Nuovi Argomenti (27)
eBook - ePub

Nuovi Argomenti (27)

  1. 384 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Nuovi Argomenti (27)

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Hanno collaborato: Enzo Siciliano, Kaha Mohamed Aden, Francesco Pacifico, Luca Rossomando, Silvio Chen, Massimiliano Zambetta, Marco Archetti, Marco Rossari, Chiara Ronchini, Lucia Sgueglia, Adonis, Philippe Jaccottet, Giorgio van Straten, Afanasij Afanasievich, Toni Maraini, Albert Samson, Michelangelo Zizzi, Renzo Paris, Sapo Matteucci, Andrea Canobbio, Nicanor Parra, Andrea Cortellessa, Raffaele Manica, Alberto Pellegatta, Marco Debenedetti, Gianni Venturi, Alberto Sebastiani, Alessandro Piperno, Leonardo Colombati, Marisa Volpi.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Nuovi Argomenti (27) di AA.VV. in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Letteratura e Storia e teoria della critica letteraria. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852042003
Images

NOVELLE DAL DUCATO IN CENERE


Andrea Cortellessa

Non v’è più meta alle nostre pigre passeggiate,
se non la realtà.
Tommaso Landolfi, Ombre
Penso a Eros e Priapo di Carlo Emilio Gadda. Ma a parte l’improprietà del paragone, che posso mettere da parte considerando Eros e Priapo un modello e non già un termine di confronto – ciò che più subdolamente si pone è il secondo paragone, quello che di fatto coinvolgerebbe gli argomenti trattati. Su ciò si discute da anni.
Mussolini, l’argomento di Gadda, è una parola proibita. Un’altra parola proibita è emozioni. Un’altra è vip. Berlusconi proibitissima. Ecco perché tanto spesso si usa Cavaliere – ma di Cavalieri ce ne sono tanti, di Cavalieri Neri non più di undici, di duchi di Mantova uno solo, inesistente.
I giornali di sinistra su simili paragoni da anni costruiscono le loro fortune, se fortune sono; il sottotitolo del pamphlet autobiografico di Gadda era Da furore a cenere; né quel furore io posso permettermelo, né quella cenere si dà – di quella cenere non v’è parvenza.
Non posso permettermi furore perché non so nulla – se scrivessi del nulla in quanto tale sarei un grande scrittore, ma l’impresa non è riuscita a nessuno, sarebbe come se l’essere umano, con le sue navicelle, fosse arrivato fino a Venere, il nulla lo percepiamo dietro le cose e la loro gerarchia, o la gerarchia che pensiamo esse abbiano – posso io parlare di Berlusconi in quanto tale? dovrei averne fatta l’esperienza, non l’ho fatta, qual è l’esperienza, del suo non esserci, del suo non esserci più, del suo non essere mai stato?1
È questo il nucleo concettuale del libro di Cordelli. Strutturalmente di poco anticipato rispetto al suo baricentro materiale (è il ventiduesimo dei cinquanta paragrafi, non numerati, che lo compongono), ne enuncia in rapida successione i temi. Com’è tipico dell’animus strutturalista (beninteso molto sui generis) del Cordelli intellettuale, questi temi non sono presi in sé, quali puri oggetti, ma in quanto sistemi di relazioni. Non dunque Berlusconi è ‘argomento’ del Duca di Mantova (com’era invece Mussolini di Eros e Priapo), semmai Berlusconi
Image
Mussolini
(nonché, in alternativa e in correlazione dialettica, Berlusconi
Image
Nulla
). Come già nel capitolo precedente della ‘pseudotrilogia’2 inaugurata nell’86 dall’apologo sugli anni Settanta Pinkerton – e cioè Un inchino a terra, raffigurazione degli anni Ottanta apparso nel ’99 –, icone e comportamenti ‘politici’ del presente si dànno, cioè, solo come spettrali rifolgorazioni, revenants o ‘immagini dialettiche’, di avvenimenti del passato più o meno recente, svoltisi negli stessi luoghi (Roma, cioè: set sul quale da un secolo si avvitano uno sull’altro tutti gli splendori, e gli orrori, dell’Italia pubblica)3.
(Dove intanto si può notare come la distanza cronologica del momento della scrittura da quello degli avvenimenti si sia col tempo ridotta: se l’‘innesco’ figurale di Pinkerton è rappresentato dal delitto Moro, e quello di Un inchino a terra dai primi scricchiolii di Tangentopoli, l’avventura di Berlusconi è, ahinoi, in pieno svolgimento – il che contribuisce a spiegare come mai in questo caso la ‘forma’ impostasi al narratore sia, a differenza che nei due episodi precedenti, quella diaristica.)
Ma il passo citato è importante anche per un altro motivo. Si capisce bene, qui, come la figura retorica sulla quale s’innerva Il Duca di Mantova sia non tanto la litote (come spesso, landolfianamente, in passato) bensì, suo caso particolare se si vuole, la preterizione4: penso a Eros e Priapo ma è un paragone improprio (intanto lo si è avanzato); Mussolini è il secondo paragone Mussolini è una parola proibita (intanto la si è pronunciata); di Duchi di Mantova ce n’è uno inesistente (ma c’è). E quella che le riassume tutte: del nulla in quanto tale non si può scrivere (che è appunto, da Leopardi a Beckett, l’unico modo in cui sia stato dato scriverne). In questo modo si capisce bene perché con tanta ossessività (ossessività che ha infastidito più di un lettore) venga variata, nel romanzo, la frase questo non è un romanzo (“Il Duca di Mantova è tutto, tranne che un romanzo: è uno zibaldone, è un diario tematico, un taccuino gotico – il riassunto delle mie (e nostre) pulsioni di rigetto”: 167): è, alla lettera, l’unico modo per iscrivere nella tipologia del romanzo un testo che, strutturalmente, non ne ha la parvenza. In tal senso andranno altresì interpretate, dunque, le due negazioni che preteriscono il titolo, anzi il sottotitolo, di Gadda: quel furore io non me lo posso permettere e di quella cenere non v’è parvenza. Al contrario, la scrittura di Cordelli non è mai stata, stilisticamente, tanto furente, tanto poco “bianca” (al punto che essa si può paragonare a una “jam session, una improvvisazione a tema, cioè maniacale, o presque maniacale”: 128). Ma rispetto alla tradizione espressionistica che Gadda incarna – rispetto alle fiamme, cioè, nelle quali il Duca di Sant’Aquila vedeva avvolto il Ducato dell’‘altro’ Duca (nella sua raccolta di Novelle del 1953) – qui è proprio di cenere che si tratta.
L’ombra del romanzo
Sono una sua vittima prima di esserlo. Perché dovrei esserlo due volte? Una non basta? Sono una sua vittima, l’ho detto, per ciò che lui è, uno scrittore, un mio rivale (sebbene travestito da editore). In modo specifico, divento sua vittima riducendomi a scrivere un romanzo a tesi. Cioè, non più un romanzo di eventuale interesse comune, di universale interesse; ma un romanzo che potrebbe interessare alcuni e da altri essere disprezzato. Non è uno svantaggio?
Secondo: il grande romanziere, l’arguto storico, il modernissimo manipolatore, chi è? È un’ombra che cammina. (22)
Ombra di un reale evocato per via di preterizione, come s’è detto, è per eccellenza il Duca: colui che c’è, ma è anche inesistente. Oltre al cane “Silvio” – che accompagna l’ombra chiamata “Cordelli” lungo tutte le sue peregrinazioni e jam sessions – questi ha un altro doppio, anche se molto più episodicamente presente: la “cinese” che spunta dal nulla (nel quinto paragrafo: 25) sorpassando “Cordelli”, a passo di marcia, mentre questi si dà alla sua attività preferita: meditare camminando in circolo lungo l’ovale di uno stadio (in questo caso quello “in terra battuta” dell’Acqua Acetosa, più avanti sarà il fascista Stadio dei Marmi). La prima parola che la cinese pronunci, o tenti di pronunciare, è proprio “Be-lluscioni”: “chi è?”. Già, chi è? Poco più avanti (27) la cinese “affermò che il suo nome cinese era Jing, Ombra – anche lei, dunque, un’ombra che cammina”.
Ma sotto l’insegna di un’ombra è, Il Duca di Mantova, sin dalla copertina (scelta dall’autore): la silhouette nera di un uomo che, in apparenza quieto, passeggia con un cane al guinzaglio. Una simile presenza della figura, ma solo in negativo, è emblematica di un’opera, come questa, al pari delle altre di Cordelli retta da un principio di universale ambiguità; e che, ciò malgrado, stavolta si qualifica non solo come romanzo ma addirittura romanzo a tesi:
Qui sviluppo non ne vedevo nessuno, nessuno ne vedo in questo momento, l’anno palindromo è finito, l’inverno se n’è andato, siamo in una nuova primavera, la primavera nulla porta in sé di prima mai visto. Non vedo nessuna dinamica, né parabola. Nessun centro e nessuna periferia. (213)
Un romanzo a tesi, sarebbe quello che si conclude così? Basta chiedersi quale tesi per destituire di fondamento la definizione. Un paradosso che si spiega con, e contribuisce a spiegare, l’apparentemente incongrua menzione di Jacques Lacan (18-19): “Lacan, io me lo ricordo: con i suoi capelli bianchi tagliati a spazzola, con il papillon e il suo mutismo ad oltranza. Che dire di un conferenziere che non parla?”. Se ne può dire, credo, lo stesso di un romanzo a tesi senza tesi: che si fondi cioè su un’assenza di fondamento o, detto appunto lacanianamente, su un manque-à-être. Un calco vuoto, uno spettro: un’ombra.
(E un giorno bisognerà riflettere sul fatto che i romanzi ‘politici’ più fondativi degli ultimi trent’anni, fra loro diversissimi – da Horcynus Orca al Duca di Mantova, passando per Santa Mira di Gabriele Frasca –, hanno in comune il protagonista o la voce narrante – se non entrambi – spettro, morto-che-parla, ombra che cammina.)
Si capisce come la natura di romanzo di un testo siffatto non possa che essere preterita, paradossale, negativa. I due grandi modelli di romanzo coi quali la filosofia dell’arte ha dibattuto nel moderno, quello di Lukács e quello Bachtin, possono sembrarci a posteriori, benché fra loro “contrastanti”, anche “complementari”5: perché entrambi assumono il romanzo come piena rappresentazione del mondo in quanto soprattutto vedono il mondo, prima che il romanzo, come campo di forze – economiche, sociali, ideologiche, linguistiche – in effettivo contrasto. A Cordelli è toccata in sorte, invece, quella che John Barth, in un celebre saggio del ’67, ha definito literature of exhaustion. La sua generazione è la prima, cioè, che abbia dovuto pensare – e tentare – il romanzo dopo aver preso atto della sua fine. Cioè dopo la fine della società che storicamente ha prodotto questa sua forma di autorappresentazione, e autocritica, che appunto è il romanzo. Un titolo come Le forze in campo, 1979, assume allora il valore di un preciso segnale d’autocoscienza: di frustrante sarcasmo.
Se il reale ‘argomento’ del Duca di Mantova si offre e si caratterizza nel suo essere “una non-cosa, nel suo non esserci, nel suo non esserci più, nel suo non essere mai stato”, non può essere considerata gratuita la forma negativa del romanzo che quel reale tematizzi e affronti; e anzi unico possibile contrasto dialettico di tale realtà negativa, nonché un’identità forte (quella che il giovane Bachtin chiamava appunto “identità forte d’autore”), sarà a sua volta uno spettro, un effetto ottico, un’ombra. Di fatto quel cruciale paragrafo ventidue si conclude coll’apice lirico (sì, lirico) del libro. Quella che non può non essere – in un contesto, si badi, nel quale il sempre ritornante paesaggio romano acquista, al contrario, una quasi insopportabile evidenza e fisicità cromatica, dunque affettiva – una fantasia di sparizione6:
Sono qui, sulle rive del Tevere, guardo gli uccelli che volano via, a pelo d’acqua, nell’argento; guardo i canottieri che remano controcorrente e sembra non facciano alcuna fatica; guardo Roma laggiù, in controluce, investita dalla sua luce mattutina, accecante, la gialla luce di aprile. Guardo e penso. Penso e mi sento pulsare.
Il sentimento che dovrei per primo analizzare è questo ribrezzo – del nulla; esso determinato, lo so, prima che dalla perdona dal fatto che ve ne sia una, che il nostro sistema percettivo, prima di quello giuridico-costituzionale, abbia maturato una simile necessità: di semplificazione a oltranza, di materialità (immaginaria), di contatto. Lo strapotere della carne. Io che, notturno, giro per le strade intorno a piazza Argentina, a piazza Venezia, all’orrendo Plebiscito.
La carne che ha un solo privilegio: essa si consuma; non c’è più, tra poco non vi sarà più Berlusconi, tra poco non vi sarà più mia madre, non vi sarò più io, nessun Cordelli. (97-98)
Naturalmente e a maggior ragione anche gli altri ‘personaggi’ del ‘romanzo’ – la ridda tristemente carnevalesca di voci loquenti, opinanti, bislaccamente strologanti – sono senza peso e senza spessore: “Quando mi si chiedeva di disegnare personaggi che avessero maggior rilievo, rispondevo sempre nello stesso modo: a me i personaggi non interessano, di tanto in tanto mi interessano le persone, io ai personaggi non credo, credo nel Duca, o in chi per lui, nei tipi come lui, di tipi come lui per fortuna ne nascono pochi” (39). Eppure questi personaggi-ombra non sono funzioni, frecce, vettori – come nell’antiromanzo ‘classico’, strutturalista e post-tale. Sono bensì contorni fisicamente delineati (tanto più scostante e sconcertante, allora, il loro essere, e ostentarsi, vuoti), silhouettes come quella in copertina, sagome. Puri spiriti (come s’intitola il libro più programmatico – persino troppo – di Cordelli), quelli a un certo punto definiti “illetterati” nel senso dell’Enchiridion super Apocalypsim di Gioacchino da Fiore: ossìa “che pur essendo spirituali in confronto agli altri che li avevano preceduti, tuttavia si trovano ad essere – pure loro – meno spirituali e meno contemplativi di coloro che verranno” (202). “E se qualcuno ritenesse troppo spiritualista questa considerazione, dico che sbaglierebbe. Forse sarà una persona che ha capito tutto della politica. Ma nulla della vita. Dunque, nulla della politica” (48).
Questi spiriti, ivi compreso quello che ha preso la parola, hanno come si diceva un’apparenza figurale (una sagoma); ma hanno anche un vettore che li muove. Questo movente è lo stesso che anima, sotterraneamente, tutta l’opera di Cordelli (almeno, sostiene lui, dal ’78): l’idea della colpa. O, come si corregge sùbito, il sentimento della colpa7. Quello che anima – o dovrebbe animare – la nostra parte, “la cosiddetta sinistra”: “schiacciata da un sentimento di colpa. È il sentimento di colpa che la muove” (31). Senza più – come era in passato – ingiustizie, subìte, da sanare; al contrario onusta di privilegi, goduti, da farsi perdonare. Di qui, la cenere.
L’ombra dei fantasmi
Il senso di questa colpa si chiarisce meglio identificando l’ombra che figura in copertina. Il suo rovescio, il suo “positivo” è l’attore Ed Norton nel film La venticinquesima ora di Spike Lee.
Un personaggio che dà figura, sagoma, incarnazione al senso, o al sentimento, di colpa che cresce sempre più: che – sempre più amaro e sempre meno confessabile a misura che la colpa, oggettiva, cresce – si alimenta, giorno dopo giorno e massacro dopo massacro, nella coscienza d’Occidente. Che contempla la propria colpa individuale specchiandola sulle macerie di Ground Zero.
Come in un angoscioso quadro di Magritte, oggi l’Occidente, cresciuta a lungo dentro di sé la propria ombra, violentemente collutta con questa parte di sé: “una linea gotica, mentale, per me taglia a mezzo gli italiani” (34). Non taglia a mezzo l’Italia, si badi, ma gli italiani; passa dentro ciascuno di loro. Ciascuno di noi è chiamato a scoprire, nei fantasmi che ci governano dai loro palazzi, i riflessi oscuri delle parti meno confessabili di se stesso. Non potrebbe essere detto in modo più chiaro – e più lancinante:
In questo governo di persone normali, non contraddistinte dalla tradizionale ieraticità dell’investitura, tutti si somigliano, tutti ci somigliano, o noi somigliamo a loro: poiché si tratta di un governo di sottosegretari, essi crescono. Quando ci imbattiamo in uno di loro ci confondiamo, allo stesso modo in cui ci confondiamo la mattina osservando la nostra faccia allo specchio – uno specchio scuro. Siamo, di fronte a loro, come di fronte a noi stessi, mai migliori di ciò che siamo, anzi nel frangente di uno smarrimento, estranei, anime in pena (83-84).
L’ipotesi dominante in questi giorni, l’ipotesi che definirei agghiacciante, è che vi sia un Duca di Mantova, o uno scudiero del Duca, in ciascuno di noi. È verisimile? (144)
Il Re e il Buffone sono la stessissima persona. L’ho ammesso fin dal primo istante, l’ho confessato: quanto di Berlusconi c’è in me? (167)
Ma cosa, in questa ipotesi, esattamente ci agghiaccia? Se il Re e il Buffone si possono scambiare le parti è perché il Re, il Duca – questa l’intuizione antropologica e politica su cui si regge il testo –, ha usurpato l’arte del Buffone. Per Cordelli Berlusconi – entertainer di dozzina sulle navi da crociera, paroliere da strapazzo, barzellettiere da caserma – ha preso il potere attraverso la narrazione, cioè riempiendo lo spazio vuoto lasciato dall’antinarratore – colui che rinnega le grandi narrazioni – con un’infinita rete di micronarrazioni: che tramano a tutti i livelli il reale mistificandolo, allontandolo, sottraendolo, al limite uccidendolo (Baudrillard, certo). È questa, nella fattispecie, la colpa individuale del Buffone, dell’artista, del narratore: aver abdicato.
Così, i ruoli sono rovesciati. In effetti io sono un politico e lui è un facitore di romanzi. Per essere più precisi, in un campo ci sono i romanzi, i racconti, le poesie; nell’altro i mille microdrammi: le soap, i serial, gli sceneggiati, i telefilm, i romanzi a puntate, le fiction, le telenovelas, le sit-com e, all’infinito riciclati, i film degli ultimi cinque anni, i lungometraggi, i mediometraggi, i corti. (21)
Come quello di tutti i dittatori, il potere del Duca si fonda sulla depravazione di un ideale. Sulla sua realizzazione – cioè – in forme spurie, mendaci, traditrici8:
Quando eravamo ragazzi credevamo nella poesia, avevamo un’utopia, la nostra utopia era quella di […] Lautréamont, pensavamo che tutti dovessero diventare poeti, che la poesia fosse il vessillo della liberazione umana, avevamo questa idea, che gli uomini si debbano liberare […] Ma il Duca di Mantova ha di fatto rovesciato la nostra giovanile utopia poetico-comunista. Sono tutti poeti, o quasi-poeti, o disponibili alla poesia – cioè al...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Nuovi Argomenti (27)
  3. DIARIO
  4. LIVE
  5. ALBUM KOSOVO - Chiara Ronchini - Lucia Sgueglia
  6. SCRITTURE
  7. CANTIERE
  8. GIORNALI DI BORDO
  9. Copyright