Esuli
eBook - ePub

Esuli

Dalle foibe ai campi profughi: la tragedia degli italiani di Istria, Fiume, Dalmazia

,
  1. 192 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Esuli

Dalle foibe ai campi profughi: la tragedia degli italiani di Istria, Fiume, Dalmazia

,
Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Le migliaia di giuliano-dalmati arrestati e uccisi dall'esercito nazionalcomunista di Tito nella primavera 1945, i quasi 300 mila costretti ad abbandonare le proprie terre e a rifugiarsi nei centri raccolta profughi sparsi per la penisola sono il prezzo estremo che l'Italia ha pagato per una guerra che ha contribuito a scatenare e che ha perso. Per oltre mezzo secolo di tutto questo si è scelto di non parlare per evitare verità difficili e scomode: le foibe e i profughi sono stati così negati dalla coscienza storica nazionale e confinati nella memoria della Venezia Giulia, dove le ferite rimaste aperte hanno alimentato aspre contrapposizioni.
Nel corso degli ultimi dieci anni le condizioni sono mutate: l'attenuarsi delle polemiche ideologiche, la pubblicazione di numerosi saggi di divulgazione scientifica, le prese di posizione di leader politici appartenenti a entrambi gli schieramenti hanno portato nel 2004 alla decisione pressoché unanime del Parlamento di istituire la "giornata del ricordo ": da allora, il 10 febbraio (anniversario della firma del Trattato di pace) è occasione per riflessioni e ricostruzioni storiche su una delle pagine più complesse e drammatiche della nostra storia recente.
Attraverso una ricca documentazione fotografica il volume ripercorre la vicenda della frontiera nordorientale nel corso del Novecento: l'assegnazione all'Italia nel 1918 di una terra di confine mistilingue, dove coabitano italiani e slavi; le tensioni scatenate dal nazionalismo fascista ed esasperate dalla guerra 1941-43; lo sviluppo del movimento partigiano di Tito, che mescola comunismo e nazionalismo in una miscela esplosiva; l'occupazione jugoslava dell'Istria e della Venezia Giulia nella primavera 1945 e la pulizia etnico-politica nota come "foibe"; le trattative di pace e la spartizione della regione nel 1947; la fuga di centinaia di migliaia di italiani che lasciano le terre passate sotto sovranità jugoslava; l'emergenza nei centri raccolta profughi e la faticosa ricerca di normalizzazione; le vicende del Territorio libero di Trieste sino al definitivo trattato di Osimo del 1975.
Ne risulta un ritratto efficace ed esaustivo, che attraverso le immagini, le citazioni letterarie e l'agile saggio introduttivo accompagna il lettore alla scoperta della tragedia negata degli italiani d'Istria, di Fiume e della Dalmazia.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Esuli di in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a History e World History. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
ISBN
9788852017520
Argomento
History
Categoria
World History

PREMESSA

Il 13 luglio 2010 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha incontrato a Trieste i presidenti della Slovenia e della Croazia Danilo Türk e Ivo Josipović: si è trattato di un vertice a tre di evidente impatto simbolico, organizzato a prezzo di un grande sforzo politico-diplomatico per superare i malintesi di memorie storiche contrapposte e le diffidenze dovute a reciproche colpe a lungo negate. Nulla di casuale in ciò che il protocollo ha proposto. Innanzitutto, il giorno: 13 luglio, anniversario di quel lontano 13 luglio 1920 quando una manifestazione antislava organizzata da fascisti e nazionalisti si concluse con l’assalto e l’incendio della Narodni Dom (o Casa del Popolo, meglio nota come Hotel Balkan), un imponente edificio a sei piani sede delle organizzazioni culturali ed economiche degli sloveni di Trieste. In secondo luogo, la sequenza delle tappe della visita: prima lo stesso Hotel Balkan (oggi sede di università), simbolo dell’offesa contro gli slavi; poi piazza della Libertà, con sosta davanti al monumento che ricorda l’esodo dall’Istria, dalla Dalmazia e da Fiume, simbolo dell’offesa contro gli italiani; infine, piazza dell’Unità, per uno spettacolare «concerto di popoli» diretto da Riccardo Muti ed eseguito da un’orchestra in cui hanno suonato insieme giovani musicisti italiani, sloveni e croati. Una manifestazione importante, seguita da una folla che ha sfidato il caldo soffocante della giornata e applaudito con convinzione i tre inni nazionali: una manifestazione – come ha scritto Demetrio Volcic, grande esperto di storia del confine nordorientale – «utile come supporto alla quotidianità, all’integrazione praticata giorno per giorno, alle relazioni costituite tra persone prima che tra gli Stati e tra le istituzioni».1
L’iniziativa del 13 luglio non era certamente pensabile qualche anno fa, quando le paure e le separatezze ereditate dal passato erano ostacolo al dialogo e al confronto: «foibe», «crimini di guerra», «deportazioni», «esodo» risultavano espressioni dicibili o indicibili a seconda dell’appartenenza politicoideologica di ognuno, in una contrapposizione di memorie fondate su una forte componente di rimozione. L’evoluzione che nell’ultimo decennio ha caratterizzato il dibattito pubblico è stata indubbiamente significativa e ha permesso di «sdoganare» argomenti scomodi e superare reticenze radicate.
La consapevolezza dei progressi compiuti non deve tuttavia nascondere un’insidia, connaturata a tutti i percorsi della memoria: le manifestazioni simboliche rischiano spesso di trasformarsi in occasioni ritualizzate, smarrendo la propria carica evocativa. Qualcosa di analogo è infatti accaduto a proposito del 10 febbraio, giornata per il ricordo delle foibe e dell’esodo istituita dal Parlamento italiano con voto quasi unanime. La prima celebrazione, nel 2005, ha trovato largo spazio nei media ed è stata l’occasione per far conoscere una pagina sconosciuta di storia nazionale. La fiction televisiva «Il cuore nel pozzo» del regista Alberto Negrin, trasmessa dalla Rai in prima serata, è stata vista da milioni di telespettatori e, seppur discutibile sul piano della ricostruzione storica, ha fatto entrare nell’immaginario collettivo la vicenda «foibe». Negli anni successivi la spinta iniziale è però andata rapidamente sfumando: molte pubbliche amministrazioni hanno esaurito il proprio impegno nella deposizione di una corona di fiori o in un’occasionale conferenza (là dove ci sono state comunità giuliano-dalmate a sollecitarlo); i media hanno parlato di confine nordorientale solo nelle edizioni del 10 febbraio o del giorno immediatamente precedente; i manuali scolastici hanno rimediato alle omissioni inserendo una mezza pagina sull’argomento a conclusione del capitolo dedicato alla Seconda guerra mondiale. Insomma, le foibe non sono più un argomento indicibile, ma non sono neppure diventate una consapevolezza diffusa.
La ritualizzazione non è meno insidiosa della rimozione: in entrambi i casi si finisce per ignorare il passato e i suoi ammonimenti. La storia del confine nordorientale, da sempre crocevia di popoli, è invece paradigmatica di quanto la tolleranza o l’intolleranza possano influenzare i destini umani, di come la diversità etnico-culturale possa essere volta a volta motivo di arricchimento o di avversione, di come lo scontro politico-ideologico possa stravolgere i rapporti tra le comunità. Dieci anni fa scrivere di foibe significava superare gli steccati dei pregiudizi ideologici e restituire la dignità della memoria a migliaia di triestini, istriani, fiumani, dalmati scomparsi nelle cavità carsiche. Ritornare oggi sull’argomento, «raccontando» la vicenda del confine nordorientale attraverso una scelta di fotografie spesso inedite, significa offrire un contributo perché alla rimozione non succeda l’indifferenza e la conoscenza di «quel» passato diventi consapevolezza di «questo» presente. In una società multietnica come la nostra, dove non mancano frizioni e avvisaglie di derive striscianti, la storia giuliano-dalmata assume un’evidente attualità. Val dunque la pena che la ricerca e la divulgazione non lascino cadere il messaggio mandato lo scorso luglio dall’incontro triestino dei tre presidenti e continuino lo sforzo per la costruzione di una memoria condivisa del passato. «Condividere» (al riguardo non devono esserci dubbi!) non significa né assolvere tutte le parti, né confondere l’uno con l’altro i progetti per i quali ci si è schierati e si è combattuto, né annacquare le colpe in uno slancio di immotivato perdonismo. All’opposto, «condividere» significa esplorare le contraddizioni, le responsabilità, i perché di quanto è accaduto, rintracciare il passato senza l’alibi dei silenzi e l’ipocrisia delle rimozioni, inquadrare i fatti in una dimensione di lungo periodo che aiuti a capire le dinamiche perverse che si sono innescate. Un passato condiviso è un passato compreso: solo così la storia può essere lezione per il presente.

Una terra mistilingue tra Repubblica di Venezia e Impero asburgico

La distinzione tra etnia italiana ed etnia slava nell’area nordadriatica ha origine dopo il crollo dell’Impero romano d’Occidente. Sino ad allora la regione era stata una provincia romana, con una popolazione nella quale si erano mescolate, attraverso migrazioni millenarie, tribù di veneti, liburni, istri, illirici, giapidi. Centri come Tergeste (Trieste), Parentium (Parenzo), Pietas Julia (Pola), Tarsaticum (Fiume), Rubinium (Rovigno) costituivano i riferimenti del territorio, che la via Flavia collegava ad Aquileia e di lì al grande sistema viario consolare. La distinzione tra «slavi» e «italiani» nasce dunque con i rimescolamenti di popoli successivi alla caduta dell’Impero: da una parte, sul tronco della tradizione romana, si sviluppa il senso dell’italianità, mentre dall’altra si verifica l’insediamento della popolazione slava. Si tratta di due presenze che si consolidano negli anni della dominazione bizantina e che si trasmettono al lungo periodo della dominazione veneziana. Dall’830 al 1797 queste terre sono infatti parte integrante della Repubblica di Venezia. Si tratta di un millennio di sostanziale stabilità, in cui esse assorbono i modelli organizzativi e artistici della Serenissima, ma insieme accentuano la loro peculiarità di «regione ai margini», posta al confine tra mondo occidentale e mondo balcanico, di cui riflettono le contraddizioni nella stessa composizione etnica.
Con queste caratteristiche nel 1797 la regione giuliana viene ceduta dal trattato di Campoformio alla monarchia asburgica, che vi stabilisce un dominio destinato a durare sino al 1918. È a questa esperienza statuale che occorre fare riferimento per cogliere l’origine delle dinamiche di lungo periodo, destinate a evolvere negli anni e a esplodere brutalmente nella primavera 1945. Nella seconda metà dell’Ottocento, la plurinazionale monarchia asburgica appare incapace di dar vita a un sistema politico che rispecchi gli equilibri tra i diversi gruppi ed è pertanto scossa endemicamente dalla questione delle nazionalità.
La regione giuliana è una di quelle dove il problema viene maggiormente avvertito: da un lato, la creazione nel 1861 del Regno d’Italia esercita un forte richiamo culturale ed emotivo sulla popolazione italiana dell’Impero; dall’altro, i processi di modernizzazione degli ultimi decenni del secolo assicurano alla comunità slava, e in particolare a quella slovena, una progressiva maturazione e una più viva coscienza politica e nazionale, radicando il senso di appartenenza etnica. Le opposte aspirazioni nazionali si scontrano però con la complessità etnico-geografica dell’area, perché slavi e italiani non occupano territori separati, ma convivono gli uni accanto agli altri. Nel Goriziano la delimitazione nazionale appare più netta, con una separazione longitudinale occidente-oriente e la sola città di Gorizia etnicamente mista; Trieste è a netta maggioranza italiana, ma il suo circondario è prevalentemente sloveno; in Istria, la presenza italiana è concentrata nelle cittadine del litorale e quella slava nei borghi dell’interno. Se la comunità italiana è prevalentemente urbana e quella slava rurale, la separazione non va tuttavia esagerata: non mancano infatti insediamenti rurali italiani in Istria, né insediamenti urbani sloveni (in particolare a Trieste e Gorizia, dove l’etnia slava è minoritaria ma in crescita).
Nel 1914, con lo scoppio della guerra mondiale, la contrapposizione nazionale diventa esplicita. Per gli sloveni, forti della rapida crescita del loro movimento politico ed economico e della loro espansione demografica nelle città, l’obiettivo immediato non è lo scontro con il governo di Vienna (verso il quale dimostrano anzi un sostanziale lealismo) quanto la modifica dei rapporti interni alla regione rispetto alla comunità italiana. Essi guardano a Trieste e Gorizia come ambiti dove in un prossimo futuro potranno essere etnicamente maggioritari e, sulla scorta del populismo russo ottocentesco, sostengono la dipendenza della città dal contado, perché la prima rappresenta solo il centro amministrativo, mentre il secondo è la sede della vera produttività e il custode dell’identità originale del territorio. Per i croati dell’Istria (che hanno beneficiato in misura minore del processo di modernizzazione economica e il cui grado di consapevolezza nazionale è conseguentemente meno radicato rispetto agli sloveni) l’obiettivo è invece quello di mettere in discussione la prevalenza italiana nelle istituzioni politico-amministrative e scolastiche della regione. Queste spinte nazionali slave hanno conseguenze sulla comunità italiana: preoccupati dall’emergere di tensioni che minacciano il ruolo preminente sino ad allora svolto, gli italiani si raccolgono attorno a una politica di intransigente difesa nazionale e guardano all’annessione al Regno d’Italia come obiettivo di stabilizzazione degli equilibri etnici e sociali, alimentando forti correnti irredentiste.
Con l’inizio del conflitto mondiale, gli obiettivi dell’irredentismo diventano parte integrante della politica estera dei governi liberali: il patto di Londra dell’aprile 1915 sancisce un programma di espansione italiana verso l’area balcanica, nel quale le motivazioni risorgimentali sono condizionate dalle ragioni strategico-militari del controllo dei crinali montani e delle coste dell’Adriatico orientale. Per reazione, il movimento sloveno e quello croato, preoccupati dalle ambizioni espansioniste di Roma, confermano il loro tradizionale lealismo nei confronti dello Stato austro-ungarico. Entrambe queste strategie sono fondate sull’ipotesi che l’Impero asburgico uscirà ridimensionato dalla guerra, ma continuerà a esistere come realtà statale plurinazionale. Quando però, nel corso del conflitto, si fanno evidenti i segni di disgregazione dell’Impero e si prospetta il problema concreto di ridisegnare le linee di confine, sloveni e croati si orientano verso l’idea dell’autodeterminazione e della creazione di uno Stato degli «slavi del sud»: in quest’ottica, i loro rappresentanti in esilio stipulano con quelli serbi il patto di Corfù (luglio 1917), rivendicando la riunione delle tre nazionalità in uno Stato unitario.
I governi liberali di Roma non tengono conto di questa nuova dimensione internazionale – alla quale guardano invece con interesse le altre potenze occidentali, in particolare gli Stati Uniti del presidente Wilson – e ignorano la presa di posizione slava sia nel periodo conclusivo della guerra, sia nella successiva fase armistiziale, con il risultato di subire una sostanziale sconfitta diplomatica alla conferenza di pace di Parigi, dopo un durissimo contrasto con il nuovo regno dei serbi, croati e sloveni.
Le conseguenze si manifestano su piani diversi. Dal punto di vista politico, si esasperano le tensioni per la «vittoria mutilata» e si crea il clima di fermento ed esaltazione nazionalista nel quale matura l’avventura dannunziana a Fiume; dal punto di vista delle nazionalità, si offre nuovo alimento alle contrapposizioni, tanto più sensibili in quanto molti cittadini si trovano all’interno di confini che non riconoscono come propri; dal punto di vista economico, si isolano Trieste e la Venezia Giulia dal suo naturale entroterra commerciale, con effetti paralizzanti sui traffici e sulle attività produttive. Ne deriva un quadro particolare, che rende il periodo postbellico sul confine nordorientale assai più problematico che nel resto del paese.

Il primo dopoguerra e gli anni del regime

Il quadro descritto spiega perché il fascismo trovi proprio a Trieste un terreno fertile per il proprio radicamento. Qui la battaglia contro il bolscevismo si salda a quella contro lo slavismo, le accuse agli scioperanti di essere «antinazionali» e «agenti jugoslavi» alza il livello dello scontro, la propaganda si vena di valenze più violente. «Di fronte a una razza inferiore e barbara come quella slava» tuona Mussolini percorrendo nel 1920 il Friuli e la Venezia Giulia «non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone.»2 Le tappe di sviluppo del fascismo giuliano, che sin dalle origini si autodefinisce «fascismo di confine» per sottolineare la propria specifica identità politica e territoriale, sono indicative: il fascio di combattimento di Trieste si costituisce il 3 aprile 1919; nel maggio vengono create le «squa dre volontarie di difesa cittadina»; nel luglio dell’anno successivo il movimento è già maturo per un’azione clamorosa, l’incendio dell’Hotel Balkan.
L’occasione è data dagli incidenti avvenuti il 12 luglio a Spalato tra la popolazione dalmata e alcuni ufficiali e marinai della nave Puglia: il 13 fascisti e nazionalisti triestini si radunano in piazza dell’Unità per una manifestazione organizzata da Francesco Giunta, un fedelissimo di Mussolini catapultato all’inizio dell’anno dal Lazio a Trieste. Durante il comizio, in cui Giunta eccita la piazza con una retorica vibrante, scoppiano i primi tafferugli nel corso dei quali trova la morte un giovane, Giovanni Nini, cuoco dell’albergo Bonavia. Appena la notizia della morte si diffonde, i fascisti, come per un piano preordinato, marciano verso l’Hotel Balkan, dove la comunità slovena ha i propri riferimenti culturali e organizzativi (la Cassa prestiti e risparmio, l’associazione Edinost, una biblioteca, un ristorante, la Società operaia, oltre a studi di professionisti e appartamenti privati). L’azione è esemplare nella sua brutalità e può essere considerata il vero battesimo dello squadrismo organizzato. L’edificio viene raggiunto da diverse direzioni e le vie d’accesso bloccate per impedire l’intervento delle forze dell’ordine e dei vigili del fuoco. Gli assalitori divelgono le porte e gettano all’interno taniche di benzina, appiccandovi il fuoco: l’incendio divampa immediato e investe tutti i piani, distruggendo arredi, travi, archivi, registri, documentazione. Per fortuna, al momento dell’assalto i locali sono quasi del tutto vuoti; muore comunque uno sloveno, che si getta dal terzo piano per salvarsi dalle fiamme, mentre la figlia rimane gravemente ferita. Rino Alessi, futuro direttore del «Piccolo» e dopo le leggi razziali del 1938 proprietario della testata, commenterà compiaciuto: «le grandi fiamme del Balkan purificano finalmente Trieste, purificano tutti noi», mentre Mussolini parla di «capolavoro del fascismo triestino».3
L’azione non è isolata (pochi giorni dopo il Balkan, viene distrutta la Narodni Dom di Pola) e soprattutto non è casuale. Il confine nordorientale, dove è presente un’etnia diversa da quella italiana, è il territorio più adatto per esprimere l’aggressività del nazionalismo fascista e per affermare, attraverso l’antislavismo, l’equazione fascismo = italianità. Quando il trattato di Rapallo del novembre 1920 sancisce finalmente la linea di confine, ponendo fine all’avventura dannunziana, e ingloba nello Stato italiano quasi 400 mila sloveni e croati, le contraddizioni legate alla presenza di gruppi etnici diversi diventano ancora più evidenti, alimentando la propaganda antislava del fascismo di confine.
Dopo l’assunzione del potere nell’ottobre 1922 (e ancor più a partire dal 1925, con la trasformazione del suo governo in regime), Mussolini dà seguito all’impostazione antislava della fase squadristica con una politica di progressiva snazionalizzazione delle comunità slovena e croata. Se l’area giuliano-dalmata è stata terra di scontro, adesso deve diventare un esempio di compattezza e di forza per l’opinione pubblica nazionale, una ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Esuli
  3. Premessa
  4. I segni della presenza veneziana
  5. Il regime fascista e la guerra
  6. Primavera 1945: l’occupazione dell’esercito jugoslavo
  7. I giorni della paura: gli infoibamenti
  8. I giorni dello sconforto: la via dell’esodo
  9. I giorni dell’emergenza: i centri raccolta profughi
  10. I giorni della speranza: la ricerca di normalità
  11. Il territorio libero di Trieste, una realtà mai nata
  12. Trieste ritorna all’Italia
  13. il Trattato di Osimo
  14. Cronologia
  15. Bibliografia
  16. Glossario
  17. Ringraziamenti
  18. Fonti iconografiche
  19. Dello stesso autore
  20. Copyright