La notte ha cambiato rumore
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La notte ha cambiato rumore

  1. 664 pagine
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La notte ha cambiato rumore

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Informazioni sul libro

Sira Quiroga è una giovane sarta nella Madrid degli anni Trenta, sta per sposarsi e avviarsi a un destino senza imprevisti quando perde la testa per un carismatico imprenditore e, prima che scoppi la Guerra Civile, lascia la Spagna per trasferirsi con lui in Marocco, in quella Tangeri dove si respira un'atmosfera internazionale, mondana e inebriante. Ma qui si ritrova presto sola, ingannata e piena di debiti. Raggiunto il protettorato spagnolo di Tetuán, con l'aiuto di alcuni improbabili amici Sira riesce ad aprire un atelier di alta moda che, grazie al suo gusto e alla sua forza di volontà, diventa il punto di riferimento per le signore più ricche e influenti della città. Una clientela all'apparenza insospettabile, ma che nasconde dei segreti. E qui il destino di Sira subisce una svolta imprevedibile, intrecciandosi con quello di un variegato gruppo di personaggi, alcuni dei quali storicamente esistiti, come Juan Luis Beigbeder, il ministro degli Esteri del regime franchista, e la sua amante, l'eccentrica e affascinante inglese Rosalinda Fox. Saranno loro a dare a Sira la possibilità di riscattarsi, di ricostruire pezzo a pezzo il suo destino. Anche se questo sarà per lei l'inizio di una doppia vita, in cui il suo mestiere, la sua arte, il ruolo che si è conquistata nel mondo della grande sartoria diventeranno la facciata di qualcosa di molto più oscuro e pericoloso.
Avventura, mystery, grande rievocazione storica e tragedia amorosa sono gli elementi del nuovo successo che, dopo L'ombra del vento, ci offre la narrativa spagnola contemporanea. Pubblicato nel 2009 e diventato un grande bestseller (più di venti edizioni a oggi) grazie al solo passaparola dei lettori, anche La notte ha cambiato rumore può essere letto come un moderno feuilleton, avvolgente e irresistibile nel disegnare le atmosfere e con uno splendido cast di personaggi, le cui vite María Dueñas drammatizza con ritmo impeccabile, trasportandoci sul filo della Storia attraverso una mappa di affascinante ampiezza - Madrid, Tangeri, Tetuán, Lisbona - per intrecciare una storia di fedeltà e tradimento, coraggio e dedizione, amore e ideali, in cui i lettori scopriranno l'arte di narrare di una nuova scrittrice che combina sapientemente i generi e immette una linfa nuova nella grande tradizione del romanzo d'appendice.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
ISBN
9788852017346

Quarta parte

44

Varie centinaia di individui ben nutriti e vestiti ancor meglio accolsero il 1941 nel Salone Reale del Casinò di Madrid al suono di un’orchestra cubana. Fra gli altri, come una di loro, c’ero anch’io.
Avevo intenzione di trascorrere quella serata da sola, forse avrei invitato la signora Manuela e le ragazze a dividere con me un cappone e una bottiglia di sidro, ma la tenace insistenza di due clienti, le sorelle Álvarez Vicuña, mi costrinse a cambiare i miei programmi. Non ero particolarmente entusiasta, però mi impegnai per prepararmi con cura alla serata: mi feci fare una crocchia bassa e mi truccai mettendo in risalto gli occhi con il khol marocchino, per dare allo sguardo quel falso aspetto da raro esemplare d’importazione che dovevo essere per tutti. Disegnai una specie di tunica color argento con le maniche ampie e una cintura alta che fasciava la vita; una mise a metà strada fra un esotico caffettano marocchino e l’eleganza di un abito da sera europeo. Il fratello celibe delle mie clienti venne a prendermi a casa: un tale Ernesto di cui non seppi mai niente,tranne che aveva una faccia da volatile e che mi trattò con untuosa deferenza. Quando arrivai, salii con sicurezza la grande scalinata di marmo e, una volta entrata, finsi di non soffermarmi sulla magnifica sala né sulle diverse paia di occhi che mi trapassarono senza preoccuparsi di nasconderlo. Non mostrai di fare caso neanche ai giganteschi lampadari di cristallo di La Granja che pendevano dai soffitti, né agli stucchi che decoravano le pareti incorniciando grandiosi dipinti. Sicurezza, dominio di me stessa: ecco che cosa sprigionava la mia immagine. Come se la sontuosità di quel luogo fosse il mio ambiente naturale. Come se fossi un pesce e quell’opulenza l’acqua.
Ma non era così. Sebbene vivessi circondata di tessuti magnifici come quelli che sfoggiavano le signore intorno a me, il ritmo dei mesi precedenti non era stato precisamente un cadenzato lasciarsi portare, bensì un susseguirsi di giorni e notti in cui le mie due occupazioni avevano succhiato come insetti tutto il tempo che avevo, sempre più ridotto.
La riunione con Hillgarth due mesi prima, subito dopo l’incontro con Beigbeder e Ignacio, aveva segnato un prima e un dopo nel mio comportamento. Sul primo avevo fornito informazioni particolareggiate; il secondo, invece, non l’avevo nominato. Forse avrei dovuto farlo, ma qualcosa me lo aveva impedito: pudore, insicurezza, timore, forse. Ero consapevole che la visita di Ignacio era frutto della mia imprudenza: avrei dovuto mettere al corrente l’addetto navale del pedinamento ai primi sospetti, e forse in quel modo avrei evitato che un rappresentante del ministero degli Interni entrasse in casa mia così facilmente e mi aspettasse seduto nel salone. Ma l’incontro era stato troppo personale,troppo emotivo e doloroso per trovare posto nei freddi ingranaggi dei servizi segreti. Tacendolo contravvenivo al protocollo che mi era stato imposto e saltavo a piè pari le norme più elementari del mio incarico, certo. Ciò nonostante rischiai. E poi non era la prima volta che nascondevo qualcosa a Hillgarth: non gli avevo detto nemmeno che la signora Manuela apparteneva a quel passato cui lui mi aveva proibito di tornare. Per fortuna, né l’assunzione della mia vecchia maestra né la visita di Ignacio avevano avuto conseguenze immediate: alla porta dell’atelier non erano arrivati ordini di deportazione, nessuno mi aveva convocato per interrogarmi in un ufficio tetro, e i fantasmi con l’impermeabile avevano finalmente smesso di assillarmi. Se si trattava di una liberazione definitiva o solo di un sollievo transitorio era ancora da vedere.
Durante la riunione urgente che aveva convocato dopo la destituzione di Beigbeder, Hillgarth si era mostrato impassibile come il giorno in cui l’avevo conosciuto, ma il suo interesse per conoscere nei minimi particolari la visita del colonnello mi fece sospettare che l’ambasciata fosse scossa e sconcertata dalla notizia della destituzione.
Trovai senza problemi l’indirizzo dell’appuntamento, al primo piano di un palazzo d’epoca: in apparenza, niente di sospetto. Dopo aver suonato il campanello, dovetti aspettare solo qualche secondo perché la porta si aprisse e un’anziana infermiera mi facesse accomodare.
«Sono attesa dal dottor Rico» annunciai seguendo le istruzioni contenute nel nastro dei cioccolatini.
«Venga con me, prego.»
Come mi aspettavo, quando entrai nell’ampia stanza nella quale mi accompagnò non trovai un medico, ma un uomo inglese dalle sopracciglia folte che svolgeva un lavoro ben diverso. Anche se in diverse occasioni l’avevo visto con l’uniforme blu della Marina, quel giorno era in borghese: camicia chiara, cravatta a pois e un elegante abito grigio di flanella. A prescindere dagli indumenti, la sua figura era assolutamente fuori posto in quell’ambulatorio, dotato di tutti gli elementi tipici di una professione che non era la sua: un paravento metallico con pannelli di tela, armadi a vetri stipati di boccette e strumenti, una branda accostata alla parete laterale, titoli e diplomi alle pareti. Mi diede una vigorosa stretta di mano e non perdemmo altro tempo in saluti e convenevoli.
Ci accomodammo e cominciai subito a parlare. Ripercorsi secondo per secondo la notte di Beigbeder, sforzandomi di non dimenticare alcun particolare. Ripetei tutto quello che avevo sentito dire all’ex ministro, descrissi con precisione il suo stato, risposi a decine di domande e consegnai a Hillgarth le lettere per Rosalinda. Il mio rapporto durò più di un’ora, nel corso della quale lui mi ascoltò seduto immobile con il volto tirato, mentre fumava metodicamente, sigaretta dopo sigaretta, un pacchetto intero di Craven A.
«Non abbiamo ancora idea delle conseguenze che questo cambiamento ministeriale avrà per noi, ma la situazione è tutt’altro che rosea» chiarì alla fine, spegnendo l’ultima sigaretta. «Abbiamo informato Londra, che per il momento non ci ha ancora risposto; quindi siamo in attesa. La prego dunque di essere estremamente cauta e di non commettere errori. Ricevere Beigbeder a casa sua è stata un’autentica imprudenza; capisco che non potesse impedirgli di entrare e ha fatto bene a calmarlo, per evitare che il suo stato portasse a esiti ancora più problematici, ma il rischio che ha corso è stato elevatissimo. D’ora in poi, per favore, agisca con la massima cautela, e in futuro cerchi di non trovarsi in situazioni simili. E stia attenta alle presenze sospette intorno a lei, in particolare nei pressi del suo domicilio: non escluda la possibilità di essere sorvegliata.»
«Lo farò, non si preoccupi.» Intuii che forse sospettava qualcosa di Ignacio e del pedinamento cui mi aveva sottoposta, ma preferii non indagare.
«Le acque si intorbidiranno ancora di più; per il momento è tutto quello che sappiamo» aggiunse mentre mi tendeva la mano per salutarmi prima che me ne andassi. «Ora che la Germania si è liberata del ministro più scomodo, prevediamo che la sua pressione sul territorio spagnolo aumenterà; quindi stia all’erta e si tenga pronta a qualunque imprevisto.»
Nel corso dei mesi successivi agii di conseguenza: ridussi i rischi, cercai di comparire in pubblico il meno possibile e mi concentrai sui miei impegni tenendo gli occhi ben aperti. Continuavamo a cucire, molto, sempre di più. La relativa tranquillità raggiunta con l’arrivo della signora Manuela all’atelier durò appena qualche settimana: la clientela in aumento e l’approssimarsi del periodo natalizio mi costrinsero a dedicare di nuovo il cento per cento del mio tempo al cucito. Fra una prova e l’altra, però, continuavo a svolgere l’altra mansione: quella clandestina, parallela. Così, mentre aggiustavo i fianchi di un abito da cocktail, raccoglievo informazioni sugli invitati al ricevimento offerto dall’ambasciata tedesca in onore di Himmler, il capo della Gestapo, e mentre prendevo le misure del nuovo tailleur per una baronessa venivo a conoscenza dell’entusiasmo con cui la comunità tedesca aspettava l’imminente trasferimento a Madrid del ristorante berlinese di Otto Horcher, il locale preferito dalle alte cariche naziste. Di tutto quello e di molto altro informai Hillgarth in modo rigoroso: frammentando il materiale minuziosamente, scegliendo le parole più adatte, camuffando i messaggi in mezzo a quelle che sembravano innocenti impunture e recapitandoli con puntualità. Seguii il suggerimento dell’addetto navale e rimasi sempre all’erta e concentrata, attenta a tutto quello che accadeva intorno a me. E grazie a quel comportamento mi accorsi che qualcosa stava cambiando: piccoli particolari che forse erano la conseguenza della nuova situazione, o semplici coincidenze frutto del caso. Un sabato al Museo del Prado non incontrai il solito uomo calvo che aveva sempre preso in consegna la mia cartellina piena di cartamodelli codificati; non lo vidi mai più. Alcune settimane dopo la ragazza del guardaroba dal parrucchiere fu sostituita da un’altra donna: più matura, più robusta e altrettanto ermetica. Notai anche una maggiore vigilanza nelle strade e nei locali, e imparai a distinguere le figure che se ne facevano carico: tedeschi imponenti come armadi, muti e minacciosi, con il cappotto lungo quasi fino ai piedi; spagnoli asciutti che fumavano nervosamente davanti a un portone, accanto a un locale, dietro un cartello. Anche se in teoria non ero l’oggetto delle loro missioni, cercavo di evitarli cambiando direzione o marciapiede non appena li scorgevo. A volte, per evitare di passare accanto a loro o per non trovarmene uno di fronte, mi rifugiavo in un negozio qualunque o mi fermavo davanti a un venditore di caldarroste o a una vetrina. In altre occasioni, tuttavia, mi era impossibile schivarli, perché me li trovavo davanti all’improvviso, senza un margine d’azione per invertire il senso di marcia. In quei casi mi armavo di coraggio: formulavo un muto “andiamo”, allungavo il passo con decisione e guardavo dritto di fronte a me. Sicura, indifferente, quasi sdegnosa, come se quello che avevo in mano fosse un acquisto capriccioso o un necessaire per cosmetici e non un carico di dati cifrati sull’agenda privata delle figure più rilevanti del Terzo Reich in Spagna.
Mi tenevo informata anche sulla situazione politica. Come ero solita fare con Jamila a Tetuán, ogni mattina mandavo Martina a comprare i giornali: “Abc”, “Arriba”, “El Alcázar”.Mentre facevo colazione, tra un sorso di caffellatte e l’altro, divoravo le cronache degli avvenimenti spagnoli ed europei. In quel modo venni a sapere che Serrano Suñer era stato nominato ministro degli Esteri, e seguii parola per parola le notizie relative al viaggio durante il quale Franco e il nuovo ministro avevano incontrato Hitler a Hendaye. Lessi anche del patto tripartito fra Germania, Italia e Giappone, dell’invasione della Grecia e dei mille eventi che si succedevano in modo vertiginoso in quei tempi convulsi.
Lessi, cucii, informai. Informai, cucii e lessi: nell’ultima parte di quell’anno che stava per finire le mie giornate trascorrevano tutte allo stesso modo. Per quel motivo accettai la proposta di festeggiare il capodanno al Casinò: un po’ di svago mi avrebbe aiutato a scaricare la tensione.
Marita e Teté Álvarez-Vicuña si avvicinarono al fratello e a me non appena ci videro entrare nel salone. Elogiammo vicendevolmente gli abiti e le acconciature, parlammo di frivolezze e banalità e lasciai cadere come sempre qualche parola in arabo e qualche espressione posticcia in francese. Nel frattempo esaminai la sala con la coda dell’occhio e individuai diversi volti familiari, varie uniformi e alcune svastiche. Mi chiesi quanti degli individui che si muovevano in quel luogo con aria rilassata fossero, come me, spie e agenti in incognito. Intuii che potessero essere molti e decisi di non fidarmi di nessuno e di tenere gli occhi aperti; forse avrei ottenuto qualche dato interessante per Hillgarth e i suoi. Mentre la mia mente elucubrava quei piani e io fingevo di seguire la conversazione, la mia cliente Marita si allontanò per qualche istante. Quando tornò era sottobraccio a un uomo, e capii subito che la serata aveva preso un’altra piega.

45

«Arish, cara, voglio presentarti il mio futuro suocero, Gonzalo Alvarado. Gli piacerebbe molto parlare con te dei suoi viaggi a Tangeri e degli amici che aveva lì, magari ne conosci qualcuno.»
In effetti davanti a me c’era Gonzalo Alvarado, mio padre. In frac e con in mano un bicchiere di whisky a metà. Nel momento in cui ci guardammo negli occhi per la prima volta capii che sapeva benissimo chi ero. Un attimo dopo intuii anche che l’idea di invitarmi a quella festa era partita da lui. Quando mi prese la mano e l’avvicinò alla bocca simulando un baciamano, nessuno in quella sala avrebbe potuto neanche immaginare che le cinque dita che quell’uomo stringeva appartenevano a sua figlia. Ci eravamo visti soltanto per un paio d’ore in tutta la vita, ma dicono che il richiamo del sangue sia talmente forte da far capitare cose del genere, a volte. A pensarci bene, però, forse la sua perspicacia e la sua buona memoria erano prevalse sull’istinto paterno.
Era più magro e con più capelli bianchi, ma continuava ad avere un bell’aspetto. L’orchestra cominciò a suonare Aquellos ojos verdes e lui mi invitò a ballare.
«Non sai quanto sono felice di rivederti» disse. Nel suo tono di voce colsi qualcosa di simile alla sincerità.
«Anch’io» mentii. In realtà non sapevo se ero felice o no; ero ancora troppo turbata dall’incontro inaspettato per elaborare un giudizio razionale.
«E così hai un altro nome, un altro cognome e saresti marocchina. Immagino che non mi rivelerai il motivo di questi cambiamenti.»
«No, credo che non lo farò. Del resto, credo che non le interesserebbero più di tanto, sono cose mie.»
«Dammi del tu, per favore.»
«Come preferisci. Vorresti anche che ti chiamassi papà?» chiesi con una punta di sarcasmo.
«No, grazie. Gonzalo basta.»
«D’accordo. Come stai, Gonzalo? Credevo che fossi stato ucciso durante la guerra.»
«Sono sopravvissuto, come vedi. È una lunga storia, troppo tetra per la sera di capodanno. Come sta tua madre?»
«Bene. Adesso vive in Marocco, abbiamo un atelier a Tetuán.»
«Quin...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. LA NOTTE HA CAMBIATO RUMORE
  4. Prima parte
  5. Seconda parte
  6. Terza parte
  7. Quarta parte
  8. Nota dell’autrice
  9. Bibliografia
  10. Copyright