Il terrore viene per posta
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Il terrore viene per posta

  1. 182 pagine
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Il terrore viene per posta

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Informazioni sul libro

L'indicazione dei medici è tassativa: il pilota Jerry Burton, dopo il grave incidente di cui è rimasto vittima, ha bisogno di passare un lungo periodo in campagna. E cosa c'è di più tranquillo di Lymstok, un villaggio nel quale la vita scorre fin troppo monotona? Jerry, con l'esuberante sorella Joanna, inizialmente si trova proprio a suo agio, ma ben presto la vita dei due, come quella di molti altri abitanti del villaggio, viene stravolta da una serie di lettere anonime. Queste assurde lettere, all'inizio apparentemente innocue, alla fine provocano due morti. Quale degli irreprensibili abitanti della comunità è il responsabile? Un vicario integerrimo, un medico indaffarato, uno strano collezionista o un facoltoso notaio? A gettare una luce sull'intricata vicenda arriva miss Marple, la persona piùà adatta per ricordare che la malvagità può nascondersi ovunque, senza risparmiare le località dall'aspetto più innocuo.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
ISBN
9788852014871

Il terrore viene per posta

1

Ho ripensato spesso al mattino in cui arrivò la prima lettera anonima.
Giunse all’ora di colazione. Me la rigirai pigramente tra le mani, come si usa fare quando il tempo trascorre lentamente e qualsiasi evento diventa un avvenimento. L’indirizzo sulla busta era scritto a macchina. Aprii la lettera prima delle altre due che venivano da Londra, una delle quali era un conto da pagare, mentre l’altra mi era stata inviata da un cugino particolarmente noioso, come capii dalla calligrafia.
Ora, a distanza di tempo, mi pare strano che Joanna e io ci scherzassimo sopra, invece di prenderla sul serio. D’altra parte, non potevamo immaginarne le conseguenze, il sangue, la violenza, il sospetto e la paura che avrebbe portato con sé. Tutte cose a cui non veniva fatto di pensare, in un posto come Lymstock.
Comunque mi accorgo ora di avere iniziato male: prima di tutto avrei dovuto parlare di Lymstock.
Ero rimasto vittima di un brutto incidente aereo, e nonostante le parole rassicuranti di medici e infermiere, temevo di dover passare il resto della mia vita immobilizzato in un letto. Quando finalmente mi avevano tolto l’ingessatura, avevo ricominciato lentamente a usare gli arti e, battendomi una mano sulla spalla, Marcus Kent, il mio medico, mi aveva detto che sarebbe andato tutto bene e mi aveva ordinato di trasferirmi in campagna per almeno sei mesi, e di pensare soltanto a riposare.
«Rifugiati in una parte del mondo dove non hai amici, e dove tu possa stare tranquillo. Interessati alla politica locale, ascolta i pettegolezzi sulla gente del paese, goditi qualche piccolo scandalo e beviti qualche birra, ma con moderazione. È l’unica cura che posso prescriverti: tranquillità e assoluto riposo.»
Tranquillità e riposo! Davvero buffo, ripensandoci ora. Fu così che mi trasferii a Lymstock, e più precisamente a Little Furze.
Lymstock era stato un centro importante al tempo della conquista normanna, ma nel ventesimo secolo era una cittadina priva di qualsiasi attrattiva. La strada provinciale passava a circa cinque chilometri dal paese, intorno al quale non c’era altro che brughiera. Little Furze era una casetta bassa e graziosa intonacata di bianco, con la veranda vittoriana di un verde sbiadito.
Non appena la vide, mia sorella Joanna decise che era il posto ideale per un convalescente. La proprietaria, una simpatica vecchietta vittoriana quanto la sua casa, spiegò a Joanna che non si sarebbe mai sognata di affittarla, se “oggigiorno le cose non fossero così cambiate, con tutte le tasse che ci si trova a dover pagare”.
Ci mettemmo d’accordo, firmammo il contratto e qualche tempo dopo c’installammo a Little Furze, mentre la signorina Emily Barton si trasferiva in un appartamentino di Lymstock dove alloggiava una sua precedente cameriera, “la fedele Florence”, come la chiamava lei. A badare a Little Furze rimase l’attuale cameriera della signorina Barton, Partridge, una donna piuttosto scorbutica ma efficiente, che si avvaleva per la pulizia della casa dell’aiuto di una ragazza “a ore”.
Ci concessero alcuni giorni perché ci sistemassimo, poi tutta Lymstock venne a trovarci. In paese si conoscevano tutti, era come una grande famiglia felice, secondo Joanna. C’era l’avvocato Symmington, magro e secco, con la querula consorte, accanita giocatrice di bridge; c’era il dottor Griffith, il medico condotto, un tipo scuro e malinconico, con la sorella, una donna alta e ben piantata. Poi c’era il vicario, anziano, colto e perennemente distratto, e la moglie, una donna piuttosto eccentrica sempre in movimento. E il signor Pye di Prior’s End, uomo facoltoso che amava collezionare oggetti d’antiquariato, e infine la signorina Emily Barton, la nostra padrona di casa, la tipica zitella di provincia.
Joanna adocchiava i biglietti da visita quasi non credesse ai suoi occhi. «Non immaginavo proprio che la gente potesse venire a trovarci con tanto di biglietto da visita» osservò sbigottita.
«È perché non sei abituata alla vita di provincia» replicai.
Mia sorella è una ragazza molto carina e allegra, che ama ballare, partecipare alle feste, avere corteggiatori e guidare auto potenti. Un tipo decisamente cittadino.
«In compenso» riprese Joanna «mi sono adeguata per quanto riguarda l’abbigliamento.»
L’osservai con aria critica, e neanche su questo punto mi trovai d’accordo.
Mia sorella indossava un abito sportivo firmato Mirotin. Un bel vestito senza dubbio, ma inadatto a Lymstock.
«No» obiettai «hai sbagliato in pieno. Avresti dovuto indossare una vecchia gonna di tweed, magari un po’ sbiadita, un bel pullover di cashmere in tinta con sopra un cardigan largo e comodo, cappello di feltro in testa, calze pesanti e scarpe basse, meglio se un po’ logore. Nemmeno il tuo viso si addice all’ambiente.»
«Perché, che cos’ha che non va? Mi sono messa il fondotinta Country Tran numero 2.»
«E infatti» continuai «se tu vivessi qui, ti saresti limitata a incipriarti il naso per coprire il lucido della pelle e avresti tutte le tue sopracciglia, invece di averne conservato solo un quarto.»
Joanna scoppiò in una risata e disse che abitare in campagna era un’esperienza che le sarebbe sicuramente piaciuta.
«Io invece temo che ti annoierai a morte» replicai, sentendomi un po’ in colpa.
«Sono sicura di no. Incominciavo ad averne abbastanza di tutti quei balordi, e per giunta ti dirò, pur sapendo come la pensi in proposito, che la storia con Paul mi ha fatto molto male. Mi occorrerà del tempo per rimettermi in sesto.»
Ero piuttosto scettico. Le storie di Joanna seguono tutte lo stesso corso. S’innamora pazzamente di qualche giovanotto assolutamente privo di spina dorsale, che lei giudica un genio incompreso. Dopo aver ascoltato pazientemente le sue ripetute lamentele, si dà da fare per aiutarlo ad affermarsi e a conquistare la fiducia in se stesso. In cambio ne riceve solo ingratitudine, cosa che la offende e che, a suo dire, le spezza il cuore. Finché, di solito tre settimane dopo, compare all’orizzonte un altro giovanotto malinconico, e la storia ricomincia da capo.
Ecco perché non presi sul serio il cuore spezzato di Joanna. Mi resi conto comunque del fatto che l’idea di vivere in campagna per un po’ di tempo era come un gioco per la mia graziosa sorellina. Joanna accettò con entusiasmo i numerosi inviti che ricevemmo per il tè e per il bridge, inviti che contraccambiammo di buon grado.
Per noi era una novità, un passatempo divertente. E, come dicevo, quando arrivò la lettera anonima, trovai divertente anche quella.
Quando l’ebbi aperta, rimasi a guardarla qualche istante senza capire. Era fatta con lettere ritagliate da un libro e incollate su un foglio di carta.
L’anonimo mittente, esprimendosi in un linguaggio grossolano, sosteneva di non credere che io e Joanna fossimo fratello e sorella.
«Ehi, che roba è?» mi domandò Joanna.
«Una lettera anonima particolarmente sciocca» risposi.
In un primo momento, ero rimasto di stucco. In un posto pacifico come Lymstock, l’ultima cosa che mi aspettavo di ricevere era una lettera anonima.
Joanna era curiosa. «Davvero? Che cosa dice?»
Di solito nei romanzi si evita di mostrare le lettere anonime alle donne, soprattutto quando il contenuto mette in dubbio il loro onore. Come se le donne avessero un sistema nervoso tanto delicato da correre il rischio di essere seriamente compromesso da certe insinuazioni. Quanto a me, non mi sfiorò neppure l’idea di nascondere la lettera a Joanna. Gliela porsi perché la leggesse.
Joanna mostrò di meritare in pieno la mia fiducia nel suo sistema nervoso, e infatti per tutta reazione scoppiò a ridere. «Che insinuazione stupida!» esclamò. «È la prima volta che vedo una lettera anonima. Sono tutte come questa?»
«Ti dirò, anche per me è la prima volta» le risposi. Joanna rise di nuovo. «Forse avevi ragione, per quanto riguarda il mio trucco, Jerry. Devono avermi giudicata una ragazza poco seria.»
«Per giunta, nostro padre era alto e bruno, mentre nostra madre era piccola di statura, bionda e con gli occhi azzurri. Tu hai preso da lei, mentre io assomiglio a nostro padre, e questo deve aver contribuito a trarre in inganno il nostro amico.»
Joanna annuì, pensierosa. «Già, noi due non ci assomigliamo affatto. Non si direbbe che siamo fratello e sorella.»
«Come dimostra questa lettera anonima» osservai, piuttosto contrariato.
Joanna trovava divertente la situazione. Tenendo la lettera per un angolino, mi domandò che cosa dovessimo farcene.
«La prassi giusta» risposi «dovrebbe essere quella di bruciarla.»
Alle parole feci seguire l’azione. Joanna applaudì.
«Sei stato bravissimo» disse. «Avresti dovuto fare l’attore di mestiere. Meno male che esistono ancora i caminetti!»
«Se avessi utilizzato il cestino della carta straccia per bruciare la lettera, sarebbe stato meno d’effetto» convenni. «Eventualmente, avrei potuto darle fuoco con un fiammifero, per poi guardarla ardere lentamente.»
«Quando si vuole bruciare qualcosa, non sempre ci si riesce» osservò Joanna. «A volte capita che il fuoco si spenga. Saresti stato costretto ad accendere un fiammifero dopo l’altro, e l’effetto sarebbe stato meno drammatico.»
Si alzò, si avvicinò alla finestra, girò la testa dalla mia parte. «Chissà chi è stato a scriverla.»
«Probabilmente non lo sapremo mai.»
«Hai ragione.» Tacque un istante. «A pensarci bene» riprese «non capisco che cosa ci sia da r...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione
  4. Il terrore viene per posta
  5. Postfazione
  6. Copyright