Paolina Bonaparte
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Paolina Bonaparte

L'amante imperiale

  1. 600 pagine
  2. Italian
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Paolina Bonaparte

L'amante imperiale

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Paolina Bonaparte si presenta a noi con la stessa tempra di Napoleone: come il fratello è instancabile, accentratrice, combattiva e prepotente. Non a caso è la sorella preferita dell'imperatore, la sua confidente, l'amica sincera e disinteressata. Napoleone, prodigo di titoli con tutti i fratelli, non ha posto alcuna corona sul suo capo, e lei è felice della propria libertà; libertà soprattutto di amare chiunque, sfidando i limiti della morale, salvo poi inginocchiarsi con devozione davanti a papa Pio VII per ricevere l¿assoluzione. In questo libro, Antonio Spinosa ripercorre la vicenda di Paolina, dall'infanzia in Corsica ai fasti dei salotti parigini e delle seconde nozze con il principe Borghese. E ci restituisce l'immagine di una donna incantevole, dissoluta e capricciosa, ma capace di grande generosità, unica della famiglia a rimanere fedele a Napoleone anche nella disgrazia.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
ISBN
9788852016929
Argomento
Storia

Parte quarta

PAOLINA
L’amante imperiale

I

Il 2 febbraio 1808 le province transalpine del Piemonte e della Liguria furono costituite in dipartimento speciale dell’Impero francese. Pochi giorni dopo, il 14 febbraio, il principe Camillo Borghese ne divenne governatore generale per volere di Napoleone. Il dipartimento godeva ovviamente di un’illusoria autonomia da Parigi, come avveniva per gli altri paesi annessi alla Francia, e ancor meno dei regni d’Italia e di Napoli. Furono chiamati a governare le nazioni satelliti dell’Impero napoleonico le sorelle, i fratelli e i cognati dell’imperatore il quale, ingannandosi, aveva riposto una grande fiducia nel buon funzionamento del suo clan familiare. Ma a Paolina, sorella prediletta, non toccò tuttavia che il governo di un dipartimento speciale, mentre Carolina ebbe la corona di regina di Napoli ed Elisa il granducato di Toscana.
Paolina viveva a Nizza separata di fatto da Camillo. Napoleone era scontento di questa situazione. Perciò, nel nominare governatore il principe Borghese, gli impose di portarsi a Torino la moglie riluttante e di andare subito a Nizza per riprenderla con le buone o con le cattive.
In tal maniera Napoleone si illudeva di metter fine a una separazione da lui giudicata scandalosa e, istituendo una corte dominata dalla vivacità di sua sorella, pensava di risvegliare la dormiente società torinese. La principessa resistette, e solamente la minaccia di svelare all’imperatore la sua ostinazione la indusse infine a salire sulla carrozza diretta a Torino. Ma prima di partire prolungò per altri sei giorni la sua permanenza sulla Costa Azzurra, e poi tenne il viaggio sotto il continuo pericolo di una inversione di marcia.
Camillo era arrivato da Parigi a Nizza il 13 aprile, dichiarandosi pronto a proseguire immediatamente per la residenza destinatagli da Napoleone. Paolina però tergiversava. Non era soddisfatta di aver ottenuto il governo di un semplice dipartimento. Considerava Torino una piccola e noiosa città di provincia dal clima malsano. Per di più l’imperatore, nel formulare con la consueta pignoleria il protocollo della corte torinese, non vi aveva contemplato la presenza d’un «direttore di musica». Lo aveva fatto di proposito per strappare Blangini dalle braccia della sorella, perché ormai tutti sapevano, per la sventatezza della principessa, che a Nizza il suo musico personale ricopriva in realtà il ruolo di amante inseparabile. Ma Paolina non intendeva rinunciare né al musico né all’amante, e il marito dovette accettare un compromesso: Blangini, quanto alle sue funzioni di «direttore di musica», l’avrebbe seguita in incognito; quanto alle funzioni di amante, ognuno le avrebbe considerate a proprio piacimento, poiché in queste cose non si facevano questioni di ufficialità protocollare.
Durante la sua permanenza a Nizza don Camillo non fu accolto, se non per i convenevoli, nella villa di Paolina. Per lui e per il suo seguito la principessa aveva preso in affitto un’altra casa. Tuttavia, non mancò di tener il più possibile vicino a sé il giovane segretario del marito, Maxime de Villemarest, il quale nei suoi Ricordi di uno sconosciuto lasciò di lei un piacevole ritratto, percorso da un afflato amoroso. Non l’aveva mai vista prima e ne fu subito conquistato. Villemarest scrisse di Paolina: «La sua bellezza era infinitamente superiore a quanto avevo sentito dire da chi la conosceva. Era una bellezza perfetta. C’erano in lei idealità, grazia e fascino incomparabili. Era profondamente donna, e questo è l’elogio più sentito che si possa rivolgere a una creatura femminile. Gli intenditori mi capiranno. Il suo languore celava un ardente brio, la sua apparente fragilità nascondeva un’intensa energia. Il suo sguardo acuto e intelligente la faceva a tratti rassomigliare all’imperatore».
Il conte de Villemarest non si dedica solo ai ritratti di Paolina. Racconta anche alcuni episodi di cui egli stesso è protagonista, sia durante la permanenza a Nizza sia nel corso del viaggio verso l’ex capitale del regno di Sardegna. Una sera si faceva un po’ di musica nella piccola corte improvvisata di Nizza. Blangini e Mademoiselle Millot avevano appena eseguito il duetto di Armida quando anche la principessa fu pregata di cantare. Villemarest, seguendo l’esempio degli aiutanti di campo del principe, non si aggiunse al novero di chi sollecitava graziosamente la principessa a esibirsi. In quei giorni, in realtà, tutto l’atteggiamento del giovane segretario era stato improntato a una sorta di distacco nei confronti di Paolina. E ciò perché Villemarest era convinto, come egli stesso scrive, che a corte fosse di rigore l’impenetrabilità del volto: «Cercavo perfino di non far trasparire la mia sincera ammirazione per la principessa».
Forse fu proprio questa impassibilità ad attirare l’attenzione di Paolina su di lui e a farne l’oggetto di un suo «singolare capriccio». Paolina stava già per intonare la prima nota quando gli puntò gli occhi addosso e gli disse, con una certa vibrazione nella voce: «No, no. Se voi rimanete in questa sala io non canterò. So che siete malvagio e sareste capace di burlarvi di me». Villemarest uscì, ma non era trascorso un minuto che già riapparve nella sala ad ascoltare il «duetto italiano» eseguito dalla principessa e dal Blangini. Il memorialista annota: «Avevo riflettuto in un lampo: ero davvero colpito da un divieto o non ero piuttosto il bersaglio d’un capriccio femminile? Optai per la seconda ipotesi e mi dissi che un capriccio di donna non poteva durare più di un minuto. Se non fossi tornato subito nella sala sarei passato per uno sciocco. La principessa mi vide benissimo mentre rioccupavo il mio posto, ma continuò a cantare. A duetto concluso mi avvicinai a lei per chiederle rispettosamente se Sua Altezza mi perdonava di averla ascoltata. “Pardi!,” mi rispose sorridendo “era ben ora!”».
La partenza per Torino avvenne il 19 aprile e fu uno spettacolo per tutti, come fu uno spettacolo il lungo viaggio. La carovana fu teatrale perché fastosa, e teatrale perché tragicomica. Nella narrazione dei fatti ci soccorre ancora il suggerimento di Villemarest. Le sue sono impressioni di prima mano. Il convoglio era composto da sette carrozze e da una portantina sulla quale la principessa sarebbe salita ogni qual volta si fosse stancata di viaggiare nella sua berlina, che pure era comodissima, ben molleggiata e stracolma di cuscini. In realtà, la portantina aveva un suo ben preciso impiego. Essa doveva trasportare la principessa quando i viaggiatori, nei tratti di strada in salita, scendevano dalla carrozza, per non affaticare oltremisura i cavalli, e proseguivano il cammino a piedi. Ma Paolina ne fece un oggetto dei suoi capricci. Eppure la berlina era nuova e bellissima, era l’ultima creazione del sellaio della corte napoleonica, il famoso Braidy, che a tempo di record l’aveva ideata e costruita apposta per lei.
Il popolo di Nizza accorse ad assistere alla straordinaria partenza. Gli innumerevoli bagagli, i bauli, le valigie straripavano da ogni dove, sembrava che si dovesse partire non per Torino ma per un’esplorazione avventurosa in una terra lontana e sconosciuta. La confusione era enorme, generale il nervosismo, perché la principessa dava ordini che erano immediatamente seguiti da contrordini. I lacchè e gli scudieri venivano sballottati da una carrozza all’altra del convoglio, da una stanza all’altra della villa che Paolina non si decideva a lasciare, mentre le ore trascorrevano rapidamente. In quella berlina dovuta al genio di Braidy alfine salirono i viaggiatori. Accanto a Paolina, che si protestava debole e ammalata, sedette Camillo. Di fronte a loro presero posto Madame de Chambeaudoin, dama di compagnia, e il conte de Clermont-Tonnerre, nuovo ciambellano della principessa. Cominciò subito il ballo dei cuscini. Ne fu vittima il conte ciambellano perché Camillo, che amava sempre più debolmente la consorte, si sottrasse ben presto alle di lei bizzarrie, o camminando per alcuni tratti a piedi dove la strada si faceva ripida tra le gole dei monti, o saltando di soppiatto in un’altra vettura.
Ma in che cosa consisteva il ballo dei cuscini? Se Paolina aveva freddo raccoglieva tutti i soffici piumacci della carrozza e se ne fasciava mollemente fino a scomparire dietro al morbido baluardo. Quando però la temperatura della sua dolce persona cominciava a salire e la principessa aveva l’impressione di soffocare per il caldo, i cuscini venivano scagliati a uno a uno addosso al conte ciambellano il quale, essendo un ometto assai minuto, doveva quasi issarsi in piedi sul sedile per non farsi seppellire dalla vaporosa ma inesorabile valanga, mentre Paolina esclamava ridendo: «Conte, vi nomino conservatore dei miei cuscini». Se la principessa aveva nuovamente freddo e i guanciali non le bastavano rivolgeva la sua attenzione a Madame de Chambeaudoin che le sedeva di fronte; allungava le gambe, le deponeva su quelle della dama di compagnia e con i piedini cercava senza arrossire un posticino caldo caldo, proprio quello, assai recondito, che la decenza consiglia di non nominare anche perché tutti sanno qual è.
L’irrequietezza di Paolina esplodeva talvolta in battibecchi col principe che avevano per oggetto la collocazione dei magnifici gioielli di casa Borghese. «Li hai messi in un forziere sicuro? In quale carrozza si trovano?» chiedeva la principessa. La più accanita discussione si accese tra i coniugi su un problema di diritto di precedenza. Difatti a Parigi, con un decreto del Senato, si era stabilito in quei giorni che, nell’etichetta delle corti napoleoniche, don Camillo Borghese venisse dopo i principi francesi. Sulla base di questo decreto Paolina, essendo essa principessa francese, pretendeva di sopravanzare il marito, di avere cioè la precedenza e il diritto di prendere la parola in risposta alle allocuzioni di benvenuto delle autorità che li ricevevano al loro passaggio e in ogni altra occasione di governo. Camillo la contrastava affermando che alla carica di governatore generale era stato nominato lui e non lei. E Paolina, con stizza, lo interrompeva dicendo che egli quella carica l’aveva ottenuta solamente per aver impalmato la sorella dell’imperatore.
«Va bene; comunque sarò io a parlare» tagliò corto don Camillo. Allora Paolina, all’improvviso, fece arrestare il convoglio che era avvolto in un nugolo di polvere. Volle scendere dalla carrozza. Volle entrare nella piccola lettiga adducendo un forte dolore alla schiena. Il convoglio riprese il cammino, ma non erano stati percorsi che pochi chilometri quando la principessa chiese di tornare in carrozza. Mutò idea più volte per cui furono numerosi i passaggi dalla berlina alla chaise à porteurs, dalla chaise à porteurs alla berlina, fra la disperazione di tutti. E non si era ancora che al primo giorno di viaggio. Al termine del secondo giorno arrivarono nel villaggio di Tenda, nelle Alpi Marittime, ed essi immediatamente lo definirono «orribile» perché fatto non di case civili ma di «misere tane». E fu l’unica volta che in quel viaggio si trovarono concordi.
A Tenda esplose però l’incidente più grave dell’intero tragitto. La principessa fu assalita da una terribile colica; la piccola corte cadde in crisi, la locanda fu messa a soqquadro. Paolina si contorceva, urlava dal dolore. Don Camillo, le dame e i cavalieri del seguito si mettevano le mani nei capelli. La principessa chiedeva un clistere per le sue entrailles infiammate, e fin qui in verità non c’era nulla di eccezionale. La stranezza consisteva nel fatto che Paolina non si appagava di un lavement con l’usuale farina di semi di lino o con olio di mandorla dolce, ma pretendeva che le facessero un clistere di fraise de veau. La cosa può apparire misteriosa e raffinata se detta in francese, anche perché la persona in gioco è un’Altezza Imperiale, ma perde ogni mistero e raffinatezza se tradotta come si deve in «mesentere di vitello», che consiste nella membrana che attornia l’intestino. Paolina bramava spesso per le sue viscere un lavativo così squisito. Ma dove trovare quella sera in un villaggio sperduto un vitellino da abbattere? La principessa continuava a torcersi nel letto, mentre la cannula dorata da impiegare nella bisogna era già pronta, tirata fuori dalla piccola scatola foderata di velluto bianco che la conteneva e che seguiva la principessa nei suoi viaggi, insieme a un altro scrigno un po’ più grande e a doppio fondo, anch’esso foderato di velluto bianco, in cui veniva deposto il «vaso» di porcellana dorata.
Alla ricerca del vitello, si percorsero affannosamente i campi in lungo e in largo fino a quando, a notte fonda, se ne scovò uno in una lontana fattoria. Fu pagato a peso d’oro, trascinato in paese, sgozzato all’istante, privato della fraise che fu messa a bollire, mentre Paolina tendeva l’orecchio a tutto quel trambusto. Assorbito l’enteroclisma, la principessa guarì all’istante. Pacificata, rinfrescata, poté scendere nella sala al pian terreno dove cenò indossando uno dei sette magnifici abiti che le aveva preparato Leroy, il grande couturier parigino. E fu graziosissima. I clisteri e le docce vaginali, con i loro strumenti a cannula e a tubo, erano nella sua vita sessualmente vorace qualcosa di più d’una normale terapia; erano i surrogati anomali dei naturali giochi d’amore, i supplementi artificiali che le consentivano di unire l’utile della cura al dilettevole dei sensi.
Durante il terzo giorno di quel viaggio sempre in bilico fra tragedia e farsa, il convoglio, già penetrato nei territori del dipartimento attribuito da Napoleone ai Borghese, raggiunse la cittadina di Cuneo. Paolina intendeva assolutamente rispondere ai saluti ufficiali del sindaco e del vescovo, attorniati dagli alti funzionari della zona. Si era agghindata con cura particolare, aveva lasciato l’amazzone da viaggio di cachemire color amaranto con ricami in oro e aveva indossato un sontuoso abito da cerimonia. Era pronta a parlare. Davanti alle autorità compunte aveva già pronunciato le prime parole quando il principe, rischiando perfino la scena di un singolare duetto, ruppe gli indugi e disse tutto d’un fiato il suo discorso. Paolina dovette arrendersi. Il suo volto si oscurò e fu anche percorso da un guizzo di stupore. Tutti applaudivano con foga l’alato intervento di don Camillo, mentre Paolina sembrava chiedersi dove mai quel rozzo e incolto principe romano avesse pescato espressioni così eleganti e chiare. Mentre Camillo ringraziava commosso, lo sguardo della principessa cadde sul volto fresco e sorridente di Villemarest, il segretario. Capì subito il trucco. Il discorso l’aveva scritto lui.

II

Il 22 aprile, di venerdì, dopo un’altra lunga tappa, fecero la loro entrata in Torino, alle tre del pomeriggio, accolti solennemente dal maire barone Negro, mentre tuonavano i cannoni e suonavano a gloria le campane. Le strade erano affollate di sudditi festanti che roteavano sciarpe e cappelli, incuriositi più dalla bellezza di Paolina che non richiamati dalla scadente maestà di Camillo. Subito la principessa provò un gran gelo nel percorrere quelle vie diritte e squadrate, immerse in una leggera bruma, fiancheggiate da edifici di un severo barocco. La città era troppo geometrica e austera per la sua indole bizzarra e disordinata. Le giornate erano ancora fredde, lunghissime le notti, i monti erano coperti di neve.
Con l’ultima occupazione francese di Torino, una delle tante patite nel corso della sua storia, l’antica piazza Castello era diventata place Impériale in onore di Napoleone, nuovo Cesare. Ma la città era già stata giacobina e bonapartista. I torinesi avevano portato le coccarde tricolori e il berretto frigio, si erano tosati à la Brutus, avevano innalzato gli alberi della libertà, avevano cantato la Carmagnola, avevano votato l’annessione del Piemonte alla repubblica francese. Poi gli austro-russi avevano ripreso il sopravvento, ma per breve tempo perché il primo console, con la battaglia di Marengo, riacciuffa la regione e la riannette alla Francia. Con la pace di Lunéville fra Parigi e l’Austria, la monarchia sabauda si sente perduta, la barriera delle Alpi fra Italia e Francia sembra definitivamente atterrata.
Quando Napoleone si proclama imperatore, l’economia piemontese serve più che mai al suo regno, ed egli la sfrutta a più non posso. Ricambia debolmente inaugurando una politica di lavori pubblici che in taluni casi hanno anche un rilievo strategico, come la costruzione delle carrozzabili del Cenisio e del Monginevro. A Torino sorge uno splendido ponte sul Po, cade la cerchia delle fortificazioni settecentesche e si facilita l’espansione della città, che conta cinquantatremila abitanti. I bastioni vengono trasformati in ampi viali alberati, sul modello dei boulevard parigini. Ma le antiche piazze e le antiche strade, sebbene ora abbiano nomi nuovi come place Napoléon e rue de Tilsit, sono sempre scarsamente illuminate e presentano ai passanti negozi assai poveri.
I principi Borghese erano stati autorizzati dall’imperatore a servirsi, per i ricevimenti, del palazzo reale appartenuto ai Savoia, ormai rifugiatisi in Sardegna. Paolina in quelle sale fastose ebbe subito l’impressione di svolgere in Piemonte il ruolo di regina. Né questa dignità né le sale di palazzo Chablais dove risiedevano, e che era stato rinnovato per l’occasione, resero però felice la giovane donna. Napoleone aveva pensato a organizzare la piccola corte fin nei minimi particolari, ma fu ancora una volta impotente con gli umori insondabili della sorella. Ai Borghese l’imperatore assegnò il palazzo Chablais e tutte le altre residenze dei Savoia, compresa la grandiosa villa di Stupinigi costruita dallo Juvara circa un secolo prima. Disporranno di tre grandi carrozze, di sessanta cavalli, di una muta di cani. Avranno al loro servizio uno stuolo di valletti e di scudieri. Il principe avrà sei ciambellani, quattro scudieri, quattro aiutanti di campo, un segretario. La principessa avrà a sua volta sei ciambellani e quattro scudieri, una dama d’onore, dodici dame di compagnia. Un governatore di palazzo, con le funzioni di gran maresciallo e con un prefetto ai suoi ordini, sovrintenderà al buon funzionamento della casa. Napoleone aveva disposto anche che Paolina e Camillo potessero occupare nel teatro Regio il palchetto rosso dell’ex re di Sardegna e così aveva ordinato che il principe e la principessa dessero ogni domenica negli appartamenti di stato un ricevimento solenne in suo onore; inoltre, tutte le settimane, la principessa doveva tener circolo nei suoi saloni privati per intrecciare buoni rapporti con le più cospicue e nobili famiglie torinesi, che si erano immusonite e appartate, e con gli intellettuali come Prospero Balbo, il quale aveva seguito in esilio Carlo Emanuele IV, ma poi era tornato in patria accettando da Napoleone la carica di rettore dell’università.
Le disposizioni dell’imperatore non furono certo attuate a puntino, soprattutto perché Paolina preferiva starsene a Stupinigi, in compagnia di Blangini, piuttosto che a Torino al fianco di Camillo. Ma questa separazione da Camillo durò poco perché ben presto venne presa la decisione di trasferire la corte proprio nell’antico casino di caccia, in quel luogo di delizie fondato da Vittorio Amedeo II. La principessa non si preoccupò di conquistare la simpatia dei suoi sudditi; non fece eccessivo sfoggio dei suoi fastosi abiti di corte e di quelli da sera in tulle ricamato. Si concedeva qualche passeggiata in carrozza nei viali del Valentino, e in quelle occasioni indossava abiti assai graziosi di percalle ricamato in argento che si ispiravano alla moda cosacca.
Appena arrivata a Torino, in un momento di buonumore, fece tuttavia un gesto di accattivante cortesia verso i torinesi, o, per meglio dire, verso la nobiltà piemontese che veniva presentata alle Loro Altezze Imperiali in un gran ballo d’onore nella sala del teatro Carignano. La scena era solenne. Nemmeno le sfolgoranti toilette delle signore e il loro frivolo cicaleccio riuscivano a incrinarne l’imponenza. La gravità della cerimonia derivava dal troneggiare d’una poltrona sistemata in bella vista su un palco in fondo alla sala: la poltrona, ricoperta di velluto rosso con una «N» in oro, era vuota perché doveva simboleggiare la presenza invisibile dell’imperatore, e ciò bastava a immergere ogni cosa in un clima di epica grandiosità. O questo era ciò che pensavano in quel momento governanti e cortigiani, occupanti e occupati.
Paolina era entrata nella sala accompagnata dal principe e preceduta dal maestro delle cerimonie, il vano Alfieri di Sostegno. Il suo vestito di gala, azzurro cielo ricamato in argento, con un lungo strascico, era fra i più raffinati, i diamanti erano superbi e le illuminavano il seno bianchissimo, il collo e le spalle nude. Don Camillo attese un attimo che la consorte sedesse sulla poltrona collocata, ma più in basso, alla sinistra del trono vuoto di Napoleone, poi si accomodò sulla poltrona di destra. Si era fatto silenzio e la principessa diede il segnale d’inizio del ballo. L’orchestra intonò una controdanza francese, ma improvvisamente Paolina alzò una mano e, con un sospiro d’angelo, disse: «No, prego maestro, suonate una monferrina».
Nella sala scrosciò un lungo ed entusiastico applauso. La monferrina era una danza p...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Indice
  5. Apologia
  6. Parte prima - PAOLETTA
  7. Parte seconda - MADAME LECLERC
  8. Parte terza - LA PRINCIPESSA BORGHESE
  9. Parte quarta - PAOLINA
  10. Parte quinta - VENERE
  11. Bibliografia essenziale
  12. Indice dei nomi