GIORNO E NOTTE VEDENDO BEI FILM
Con la partecipazione di quasi tutti i paesi – di questo e dell’altro continente – prosegue la XVI Mostra del cinema di Venezia; molti film, belli e brutti, ma un’allarmante scarsità di personaggi famosi che ha deluso fotografi e turisti. Incredibile ma vero: una vecchia signora di Stoccolma si è comprata un enorme cappello di paglia e un paio di pantaloni a fiori rossi solo per venire qui a conoscere Gregory Peck.
Alla seconda settimana della Mostra, però, Gregory Peck non è ancora venuto, né pensa di venire. Solo per mantenere fede a un impegno preso con i suoi impresari è giunta in aereo Sophia Loren, con undici costumi da bagno piuttosto scollati. Essendo l’unica, Sophia è la regina del festival: ogni mattina fa un’apparizione fredda e calcolata in spiaggia, con la faccia di chi vorrebbe restare in incognito. I turisti che non entrano in acqua per non rovinare l’agendina degli autografi si lanciano verso il costume da bagno elasticizzato indossato da Sophia Loren. Stamattina, però, i fotografi hanno deciso di non sprecare neppure un flash per il quinto costume. Gina Lollobrigida, la concorrenza, non è potuta venire: è a Montecarlo che canta con Kirk Douglas per la campagna contro la poliomielite.
Con la sua musica da un’altra parte
Il giorno dell’inaugurazione l’unico attore famoso era il comico Walter Chiari, il grande amore giovanile di Lucia Bosé, del quale si dice che non abbia ancora smaltito la terribile indigestione di zucca.1 Lungo e spettinato, è arrivato all’aeroporto e ha detto ai microfoni: «Tutti sanno che sono un tipo simpatico». I turisti erano felici, e ancor più il giorno dopo, quando i giornali hanno pubblicato la frottola che Lucia Bosé sarebbe venuta a Venezia, che avrebbe costituito il piatto forte della Mostra. Ma non era vero. Lucia Bosé ha annunciato che verrà in Italia per passare le vacanze con il marito, ma non ha ancora detto quando arriverà, né se pensa di andare a Venezia. In ogni caso pare che i giornali abbiano spaventato Walter Chiari: il giorno dopo ha fatto le valigie e se n’è tornato a Roma, sicché la Mostra è rimasta senza attori. Fino a ieri non c’erano speranze che strada facendo le cose si aggiustassero. Ma alle cinque del pomeriggio ha telefonato da New York Ava Gardner per prenotare una camera all’hotel Excelsior.
Siamo lì
Nel palazzo del Cinema, dove ci sono le bandiere di numerosi paesi, c’è anche quella della Colombia, perché il rappresentante dei giornalisti, Pier Paolo Pineschi, aveva informato gli organizzatori della Mostra che sarebbero giunti a Venezia giornalisti colombiani accreditati. Nel palazzo si svolgono i grandi spettacoli cinematografici. Fuori, lo spettacolo lo stanno dando i turisti mascherati da pappagalli e la delegazione giapponese, con sette attrici mascherate da bambole di porcellana. Solo una è nota al pubblico: Machiko Kyo, la bella interprete di Rashomon. Quando una delle sette attrici va in spiaggia da sola, tutti credono che sia Machiko Kyo, perché sono tutte uguali. E quando le chiedono autografi, è indifferente che sia l’autografo di Machiko Kyo o no, dato che tutte fanno gli stessi indecifrabili scarabocchi.
«I poveri giapponesi»
Da quando, quattro anni fa, Rashomon l’ha fatta da padrone, il cinema giapponese si sta accaparrando, sistematicamente, i grandi premi dei festival. Allora non venivano attrici, ma solo un rappresentante dell’industria cinematografica giapponese, che tornava a Tokyo carico di premi e medaglie, come i migliori allievi dei collegi dei gesuiti. Quest’anno hanno deciso di inviare tutto lo stato maggiore e di portare due film: uno in bianco e nero, l’altro a colori. Il primo è un buon film giapponese, il secondo è una torta di compleanno indigesta come quei film statunitensi con Yvonne De Carlo. Probabilmente quest’anno il cinema giapponese non riceverà alcun premio, benché siano presenti con una nutrita delegazione, forse nella segreta speranza di accaparrarsi tutti i premi e le onorificenze.
Giorni fa circolava una voce: i giapponesi stavano facendo uno sforzo incredibile per venire a Venezia, perché non avevano un soldo. Non si sa se questa voce sia arrivata ai giapponesi, fatto sta che due giorni fa, all’improvviso, hanno invitato i giornalisti a un cocktail all’Excelsior. E non hanno badato a spese.
«Vendesi regista»
Ogni anno i giornalisti cercano e trovano un nome per i festival cinematografici. Quello di Venezia del 1955 ha già il suo: «La Mostra dei registi in prestito». In effetti, l’Argentina si presenta con La Tierra del Fuego se apaga (La Terra del Fuoco si spegne), diretto da Emilio Fernández, che è messicano; il Brasile con un film di Carlos Hugo Christiansen, di origine danese; l’Inghilterra con Doctor at Sea (Un dottore in alto mare),2 di Anatole Litvak, statunitense di origine russa; l’Olanda, che si presenta per la prima volta, ha mandato un film del tedesco Wolfgang Staudte. Gli Stati Uniti si sono presentati, alla prima proiezione, con un film poliziesco di Alfred Hitchcock, che è inglese, e la Iugoslavia con un film di František Cap, che è boemo.
Indigestione di cinema
Le presentazioni di retrospettive se le è aggiudicate il Giappone: ogni mattina, dopo colazione, chiunque voglia vedere vecchi film giapponesi può entrare nel palazzo del Cinema, per cento lire. A queste proiezioni, però, si rischia di dover assistere alle undici a un film fuori concorso, quindi ai due del programma ufficiale, ciascuno preceduto da due documentari. È troppo anche per un cinefilo, e per i giornalisti, che hanno appena il tempo di vedere il film e uscire di corsa a scrivere i loro pezzi.
La Epopeya del Oro (L’epopea dell’oro), brasiliano, è uno dei migliori documentari visti finora. Fra i giornalisti ha provocato un terremoto la verità sullo sfruttamento delle miniere d’oro in Brasile. In realtà è un paradiso rispetto al Chocó, eppure nemmeno quest’anno la Colombia ha inviato il suo vecchio e malfatto documentario sull’oro.
«L’enfant terrible»
Fino all’ultimo momento non si sapeva se Gli sbandati, dell’italiano Francesco Maselli, avrebbe partecipato alla Mostra. Maselli è un ragazzo di ventiquattro anni, di famiglia aristocratica, che è stato aiuto regista di Luchino Visconti ed è una specie di bambino vezzeggiato dai migliori registi italiani. È considerato l’enfant terrible di Cinecittà perché ha la testa piena di idee rivoluzionarie, pensa tutto il contrario di quello che pensano i suoi genitori e gli amici dei suoi genitori, eppure, grazie a loro, si è procurato diversi milioni di lire per realizzare un film. Lo ha girato con Lucia Bosé e i suoi compagni di scuola, e ne è venuto fuori un film coraggioso, terribile e sincero. Il governo italiano ha dichiarato: «È un film che offende la gioventù italiana», e si è opposto alla sua inclusione nella Mostra. Maselli però deve essersi dato da fare, perché il lunedì della seconda settimana, inaspettatamente, Gli sbandati è comparso nel programma ufficiale, per essere proiettato nel pomeriggio. Non è rimasto un posto a sedere libero.
Che età ha un film?
Gli sbandati, girato da un ragazzo di ventiquattro anni, è esattamente questo: un film girato da un ragazzo di ventiquattro anni. Manca l’abilità nella direzione degli attori, nel racconto della vicenda e soprattutto nella sua organizzazione. Siccome Maselli vuole fare tutto, è stato al fianco dei montatori, e anche il montaggio ha ventiquattro anni. Comunque è un film coraggioso e diverso, che dice le cose come bisogna dirle. Lucia Bosé, in un finale indimenticabile, ha dimostrato le sue straordinarie doti di attrice in questo film che è l’ultimo da lei girato in Italia, prima di volare negli Stati Uniti per sposare Luis Miguel Dominguín.
Piove anche a Venezia
Martedì, alle nove di mattina, ha cominciato a piovere. La delegazione spagnola ha deciso allora di presentare fuori programma Marcellino pane e vino, di Ladislao Vajda, un ebreo cattolico e antisemita che sta girando dei film in Spagna. Il protagonista, Pablito Calvo, si trova a Venezia e passeggia per le spiagge ostentatamente vestito da bambino, come Robertico Benzi3 a Bogotá. Adesso ha sette anni e l’unica cosa che sa scrivere è il suo autografo, ma non è stato un maestro di scuola a insegnargli a scriverlo, bensì i suoi impresari. Pablito Calvo non scende le scale per i gradini, ma scivolando a cavalcioni sul corrimano, ed è sempre a disposizione dei fotografi. Forse è stata la persona più fotografata della Mostra, perché è pronto a mettersi in posa a qualsiasi ora del giorno e della notte, su richiesta dei fotografi.
Siccome stava piovendo, i turisti si sono rifugiati nel palazzo del Cinema, infilandosi il primo straccio sul costume da bagno. E siccome l’ingresso non costava nemmeno una lira, sono entrati a vedere Marcellino pane e vino. Due ore dopo, nelle loro scandalose camicie a fiori, tutti quanti – uomini, donne e bambini – sono usciti in lacrime come vedove sconsolate.
La gomma americana di traverso
Il motivo delle lacrime era semplicissimo: Ladislao Vajda ha realizzato un film diabolicamente magistrale, e Pablito Calvo è un attore intelligente, sicuro di sé e meravigliosamente infantile. Marcellino pane e vino, che si è dovuto presentare fuori concorso perché già proiettato e premiato a Cannes, ha le stesse caratteristiche di Benvenuto, Mister Marshall!, ma è stato girato secondo un punto di vista diverso: è una favola cattolica, con tutta la demagogia e la fede di un auto sacramental4 dei tempi moderni. Naturalmente, essendo in fin dei conti un film spagnolo, ci sono molte cose superflue e tracce della tradizionale magniloquenza del cinema iberico. La storia presa in sé, però, è straordinariamente bella: il bambino che porta da mangiare al Cristo in soffitta perché lo vede magro e inchiodato su un pezzo di legno.
Si capisce benissimo perché un film del genere ha fatto sì che le gomme americane andassero di traverso ai turisti.
La democrazia in smoking
I turisti sono entrati in maniche di camicia a vedere Marcellino pane e vino perché, come si è detto, è stato presentato fuori concorso. Alle proiezioni ufficiali è tutta un’altra cosa: bisogna assistervi in smoking. Gli stranieri, che per tutta la giornata sopportano i 35 gradi di temperatura in costume da bagno, alle sei del pomeriggio escono di corsa per mangiare un boccone e indossare l’abito di gala. Quasi tutti smoking noleggiati a 1000 lire per sera.
Dopo le proiezioni, i pazienti e comuni cittadini che sono venuti a Venezia per vedere dei film salgono sugli autobus del servizio pubblico, come se dovessero recarsi in ufficio. È curioso vedere questa gente proveniente da ogni parte del mondo, che perlopiù vive in tenda alla periferia della città lagunare, indossare democraticamente lo smoking sugli autobus del servizio pubblico.
UN REGISTA FRANCESE A VENEZIA
È INTERESSATO A GIRARE UN FILM IN COLOMBIA
Forse è un caso, ma gli europei sono convinti che le stagioni siano finite da quando gli scienziati hanno cominciato a giocare con le bombe atomiche. È stato così che gli alchimisti nucleari, che non hanno nulla a che vedere con il cinema, hanno stravolto la XVI Mostra del cinema di Venezia: l’estate è finita, in modo brutale, un mese prima che cominciasse ufficialmente l’autunno. Mentre si proiettava il film polacco Gli uomini della croce blu – un lungo e solenne documentario sulla neve –, il temporale ha danneggiato l’impianto elettrico, sicché la proiezione è stata interrotta. Quando gli spettatori hanno abbandonato la sala, si sono resi conto di aver dimenticato a casa una cosa essenziale: gli impermeabili. Quella sera, solo una cinquantina di persone ha assistito all’interessante film olandese Ciske, muso di topo. Si è potuto fare a meno dell’aria condizionata, perché in sala la temperatura era di 18 gradi.
Perón in scena
La stessa sera in cui è stato presentato il film argentino La Tierra del Fuego se apaga, i quotidiani hanno pubblicato la notizia delle dimissioni del generale Perón. I giornalisti si sono subito messi in moto, perché in sala c’era Ana María Lynch, la protagonista del film, che indirettamente aveva molto a che vedere con la caduta di Perón: per concederle la possibilità di divorziare, il generale aveva rispolverato una vecchia legge contro l’indissolubilità del matrimonio creando un bel problema con la Chiesa cattolica.
I giornalisti hanno mostrato i quotidiani all’attrice per sapere cosa ne pensava, ma lei ha detto che non voleva parlare di politica. Invece era molto interessata all’opinione dei giornalisti sul film, diretto dal messicano Emilio Fernández.
Una lingua strana
I critici sono stati molto discreti quella sera, ma il giorno dopo hanno detto ai giornali quello che pensavano: La Tierra del Fuego se apaga è uno dei film più brutti fra quelli presentati alla Mostra. La fotografia di Gabriel Figueroa è eccellente, ma non ha niente a che vedere con la storia. Va per conto suo, mentre Emilio Fernández racconta un noioso dramma d’amore e morte che è una variazione sullo stesso tema di La rete.
«Indecorosamente presentato alla proiezione serale» ha scritto un giornale «il film argentino ha diviso in due gli spettatori: quelli che volevano andarsene e quelli che piangevano di rabbia.» E un altro, riferendosi ai dialoghi macchinosi e intollerabilmente retorici, ha affermato: «Lo spagnolo è una lingua strana: quando un attore chiede un bicchiere d’acqua, sembra che stia recitando Corneille».
Il protagonista
Anche il protagonista di La Tierra del Fuego se apaga, il siciliano Erno Crisa, era presente in sala. Ha i capelli ossigenati, perché il regista francese Marc Allégret ha deciso di farlo diventare inglese, quindi biondo, per recitare la sua parte in L’amante di Lady Chatterley, che sta girando con Danielle Darrieux come protagonista femminile.
Erno Crisa, che nel film argentino non fa niente, ha una vita interessante. Si è diplomato a Casablanca. In seguito ha fatto il meccanico e il rappresentante di profumi a Parigi. Poi si è iscritto a una scuola di ballo ed è diventato ballerino. Di lì è passato al cinema, durante la guerra, finché Emilio Fernández non se l’è portato in Argentina. «Lì è morto» dice un giornale.
Un mago della teoria
La conferenza stampa di Emilio Fernández ha suscitato un formidabile int...