Elisabetta I
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Elisabetta I

La vergine regina

  1. 396 pagine
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Elisabetta I

La vergine regina

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La storia di Elisabetta I, la sovrana che, coniugando spregiudicatezza politica e pugno di ferro, riuscì a fare del proprio paese il padrone assoluto dei mari e la prima potenza mondiale, gettando le basi dell'impero coloniale britannico. Figura enigmatica di donna capace di "sublimi tenerezze e solenni ingiurie", la regina rivive nella narrazione brillante e documentata di una nota storica americana.

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Informazioni

Parte seconda

LA VERGINE DI DIO

VI

If anyone at fifteen hath taken up and found
A pretty thing that hath her maidenhead unbound:
If any gallant have with catertray
Played the wisacre, and made all away:
Let him come to the crier.
There will be laid a thousand pound to ten
That none of these will e’er be had again.a
Thomas Seymour, lord alto ammiraglio d’Inghilterra, entrò con impudenza nella vita di Elisabetta non appena la giovane varcò le soglie dell’adolescenza. «Le donne lodano l’uomo modesto, ma non lo vogliono» diceva il proverbio, e il lord alto ammiraglio incarnava perfettamente la segreta preferenza di molte per l’immodestia e l’arrogante spavalderia.
Una volta Seymour inviò un messaggero a Kat Ashley, ordinandogli di porgerle i suoi rispetti e quindi di domandarle se «il suo enorme fondoschiena fosse un po’ diminuito oppure no».1 Scherzava e motteggiava con una licenziosità rabelesiana, persino su temi scottanti come la successione. «Te lo dico tutt’altro che con gioia, tutt’altro che con gioia» assicurava allo sgomento tesoriere di Elisabetta, Thomas Parry, dopo avergli riportato una voce infondata sui presunti piani segreti di quest’ultimo per sposare Jane Grey.2
In un’epoca che apprezzava (e coltivava) la circospezione, il lord alto ammiraglio era disinibito e rude, con i sentimenti sempre a fior di pelle e le reazioni intime chiuse nel profondo delle viscere. Era, o sembrava, impavido e la sua baldanza lo rendeva temibile agli occhi altrui. Era inoltre assolutamente convinto dell’affidabilità del proprio giudizio. «Quando si fissava su una certa opinione» scriveva il suo servo Wightman «non c’erano avvocati né altri che potessero dissuaderlo.»3 Il fatto che le sue idee mancassero di acume e le sue convinzioni di nerbo lo penalizzava in una corte insidiosa e affamata di potere quale quella di Edoardo VI. Ma Seymour aveva anche altre tattiche.
Alcuni anni prima, quando era stato proposto come marito dell’unica figlia di Norfolk, Mary (che, avendo sposato Henry Fitzroy, era la prima di una lunga serie di vedove reali e di altre relazioni femminili desiderate da Seymour), Enrico VIII aveva commentato che Norfolk intendeva «accoppiarla con un individuo straordinario per desiderio e gioventù, capace di soddisfarla sotto ogni punto di vista». Seymour aveva fama di essere un uomo di robusti appetiti sessuali. Questo non significa che, per gli standard dell’epoca, egli fosse lussurioso o cinico nei confronti delle donne: semplicemente vedeva in loro desiderabili bottini da classificare, ottenere e conquistare nel migliore dei modi.
Ma l’ammiraglio era ben lungi dal misurare la propria scaltrezza politica in termini di prestanza fisica o magnetismo. A suo parere, possedeva esattamente quell’audacia – temprata da anni di duro servizio militare e di comando sul mare – che la gravità delle condizioni in cui versava l’Inghilterra richiedeva. Era una situazione a dir poco vacillante, con un bambino sul trono, un Consiglio in perenne discordia a guidarlo e, incombente sopra tutto e tutti, l’irascibile figura di Edward Seymour, Lord Protettore, la cui presa sulle redini del potere era tutt’altro che salda.
Il re fanciullo appariva fragile e destava apprensione. Tutti si preoccupavano per lui: i consiglieri, che tenevano pronti i piani da attuare in caso di morte, e cittadini della capitale, che attendevano di assistere alle apparizioni periodiche della sua cagionevole figura ornata di gioielli e, se queste non avevano luogo, pensavano subito al peggio. All’età di dodici anni il re scrisse nel suo diario: «Poiché si diceva in giro che fossi morto, ho attraversato Londra».4
Intellettualmente precoce come le sorellastre, Edoardo divenne col tempo un linguista tanto sciolto da conversare in latino fluente persino su argomenti scientifici. Compì notevoli progressi anche in greco e nelle lingue moderne, sebbene l’ambasciatore imperiale, informato che il latino del re era migliore del suo francese, avesse osservato che gli «sembrava ne capisse poco sia dell’uno che dell’altro».5 Certo è che i suoi traguardi linguistici superavano quelli dei suoi consiglieri. Dudley, quando fu costretto a commentare la revisione di Edoardo dello statuto dell’ordine della Giarrettiera, scritta in un latino impeccabile, ammise non senza imbarazzo di poterne solo «indovinare» i meriti.6
Ciononostante, l’educazione di Edoardo fu intensamente pratica, e se gli fu consentito di assecondare il suo talento naturale per le lingue, venne anche istruito al comando. Delle solide basi di geografia erano essenziali per un sovrano destinato a guidare eserciti e governare flotte. Armi e armamenti erano oggetto di uno studio approfondito, come pure la storia e la strategia militare.
Fu compiuto ogni sforzo per circondare il successore di Enrico VIII delle formalità e del decoro che il padre aveva richiesto. Si allestirono gli stessi spettacoli elaborati, le giostre, i masqueb e le rappresentazioni teatrali che avevano lasciato senza fiato gli ospiti alla corte del precedente sovrano. Nella residenza reale fu mantenuto lo stesso numerosissimo seguito. Alla persona del monarca si tributava una deferenza esagerata. Laddove Elisabetta si era inchinata tre volte dinanzi al padre, doveva farlo cinque volte al cospetto del fratello, che a stento mostrava di accorgersi delle sue riverenze e le proibiva, come pure agli altri parenti, di sedere con lui sotto il baldacchino della regalità. Eppure, nonostante tutto, il piccolo re era per molti versi una figura ridicola con il suo sgargiante piumaggio e i gioielli sfavillanti. Nessuno dimenticava infatti che, ovunque andasse, il Protettore era con lui e che in realtà era la parola di Edward Seymour a governare il paese.
L’obiettivo più pressante del Protettore era quello di portare la Scozia, in via totale e definitiva, sotto il controllo inglese. Enrico VIII aveva iniziato la sottomissione del regno autonomo scozzese, una volta per tutte, all’inizio del decennio 1540-50, sperando di mettere fine al suo tradizionale ruolo quale «porta sul retro» per l’invasione dell’Inghilterra. Per secoli i francesi avevano manipolato la politica della Scozia secondo il proprio tornaconto, assicurandosi di poterne utilizzare il territorio a piacimento come testa di ponte per un’invasione, o come esca in caso di guerra con gli inglesi sul continente. Enrico aveva cercato di eliminare il pericolo, dapprima con la diplomazia e poi, una volta che questa era fallita, con la forza.
Il Protettore era stato il suo vendicativo emissario bellico: aveva dato alle fiamme Edimburgo e seminato rovina in gran parte della campagna circostante. Ora era venuto il momento di sferrare l’attacco decisivo, perché sul trono di Scozia, come in Inghilterra, sedeva una bambina e il paese era lacerato da lotte intestine. La giovane regina, Maria Stuarda, era stata fidanzata a Edoardo VI, ma gli scozzesi avevano annullato l’accordo. Bastava questo, oltre all’onnipresente pericolo rappresentato dalla dispotica influenza francese alla corte di Scozia e il cocciuto cattolicesimo della monarchia, a fornire solide ragioni alla conquista. Nell’ottica del Lord Protettore, nulla avrebbe dovuto ostacolare il progetto: non la minaccia d’invasione da parte di Carlo V, il cui potere non era mai stato più grande e la cui vittoria sui protestanti tedeschi a Mühlberg ne faceva un pericolo senza precedenti, non i sinistri brontolii di ribellione nelle campagne, né tantomeno i capricci sconsiderati di un fratello minore irresponsabile e assetato di potere.
«Mio fratello» osservò Thomas Seymour «si fa in quattro per aiutare chiunque tranne me.» Il Protettore si guadagnò un’immeritata fama di idealista attento ai bisogni del popolo (cedette tutte le sue terre intorno a Hampton Court a contadini e piccoli proprietari), ma il suo umanitarismo fu più apparente che reale. In verità era un feroce autocrate, avido di dominio sul Consiglio e determinato ad abbattere ogni ostacolo alla sua preminenza. «Brusco e irascibile» nei confronti degli altri consiglieri, con la sua indole stizzosa causava ferite tanto profonde da spingere talvolta alle lacrime persino i colleghi più temprati; era «un uomo arido, acido, ostinato», sgradevole e poco amato.7
Elisabetta, sorella del re e seconda erede al trono per linea diretta, visse nell’occhio del ciclone politico per tutto il 1547 e il ’48. Esteriormente la sua vita cambiò poco. C’erano le ore di studio, gli esercizi di calligrafia, la musica e il ricamo, le infrequenti visite a corte.
Nel gennaio del 1548 Grindal, il suo tutore, morì di peste e si pose il problema di sostituirlo. Fu proposto un parente, anch’egli di nome Grindal, mentre Caterina e Seymour favorivano un altro candidato. Elisabetta preferiva Ascham, che sapeva esserle congeniale e di cui aveva quasi certamente intuito la singolarità di spirito. Di sua iniziativa gli parlò e quindi si recò dalla matrigna e dal consorte. La divergenza fu presto appianata (forse con l’intervento di Cheke, che parteggiava per Ascham) e Roger Ascham lasciò Cambridge per Chelsea.8
Il contrattempo sulla scelta del tutore era sintomatico dell’atmosfera di dramma personale che si respirava a Chelsea. Un triangolo amoroso andava rapidamente delineandosi tra Caterina, Seymour ed Elisabetta.
All’inizio sembrava abbastanza innocente. Non appena si trasferì nella residenza della moglie, Seymour prese a irrompere nella camera da letto di Elisabetta al mattino presto, prima che la ragazza fosse completamente vestita. Lei annaspava per la sorpresa, lui le gridava un cordiale buongiorno e le chiedeva come stesse, poi «le batteva familiarmente la mano sulle spalle o sul sedere» mentre lei lottava, rossa come un peperone, per infilarsi nelle sottane. Prese l’abitudine di giungere ancor più presto, prima che Elisabetta si fosse alzata. Piombava nella stanza, spalancava le cortine del letto e si buttava sulla ragazza (che, con tutta probabilità, era nuda, poiché le camicie da notte erano una rarità nel sedicesimo secolo per chiunque avesse superato l’infanzia), facendola strillare di deliziato terrore e costringendola a tuffarsi sotto le coperte. Una volta tentò di baciarla mentre si trovava in quello stato di vulnerabilità e Kat Ashley, che dormiva con lei, vedendo che si spingeva troppo oltre, «lo invitò ad andarsene per decenza».9
Ma potrebbe anche essere scoppiata a ridere mentre glielo diceva, perché Kat aveva un debole per Seymour e lo giudicava più divertente che pericoloso. Ben presto Elisabetta riprese il vantaggio alzandosi ancor prima del solito, cosicché Seymour, arrivando, la trovava vestita, composta e pronta ad augurargli un dignitoso buongiorno.
Dopo il trasferimento della residenza da Chelsea a Hanworth accadde uno strano incidente. Seymour, forse seriamente o forse con giocosa malizia, cominciò a gridare in giardino contro Elisabetta e a rimproverarla, quindi, estraendo un pugnale o un coltello, infierì sull’abito nero della ragazza (era ancora in lutto per il padre) sino a ridurlo a brandelli. Elisabetta cercò di divincolarsi, ma Caterina la trattenne mentre lui completava l’opera.10
Con il passare dei mesi Seymour si fece più audace e il gioco più elaborato. Ma quando una mattina arrivò ad assediare Elisabetta e le sue cameriere, che si rifugiarono insieme dietro le cortine del letto, e si rifiutò di andarsene finché la giovane non ne fosse uscita, vi fu un tale trambusto che scoppiò uno scandalo. Le dame vennero a sapere tutto dalle cameriere e i gentiluomini dalle dame. Le intenzioni di Seymour erano ovvie; la sua reputazione non lasciava alcun dubbio. Ed Elisabetta, si diceva, era talmente infatuata di lui da perdere ogni pudore in sua presenza ed era più lusingata che offesa dalla sua sfrontatezza. Se le indiscrezioni di Seymour fossero state ancora tollerate, sarebbe potuto succedere il peggio. Dopotutto, Elisabetta era attraente e nubile e, con ogni probabilità, degna figlia di sua madre. Forse il peggio era già accaduto. I sussurri si fecero più allusivi.
Kat decise di affrontare l’ammiraglio una volta per tutte. Lo incontrò nella galleria a Chelsea e gli disse apertamente che la casa era tutta un vociferare di scandalosi pettegolezzi. La stessa Elisabetta era accusata di impudicizia; la sua reputazione ne traeva danno.
Seymour esplose. «Per la preziosa anima di Dio!» sbottò, non avrebbe permesso il diffondersi di simili storie. Si sarebbe lamentato delle calunnie che lo infangavano con il Protettore suo fratello e le cose sarebbero andate esattamente come dovevano, perché le sue intenzioni «non erano cattive».
Ma invece di placarsi, lo scandalo si amplificò, alimentato ora dalla regina. Caterina raccontò a Kat Ashley una storia sospetta. Seymour, disse, «ha guardato alla finestra della galleria e ha visto milady Elisabetta gettare le braccia intorno al collo di un uomo». Allarmata, Kat si precipitò nella camera di Elisabetta e la accusò. Lei scoppiò a piangere e scosse la testa in segno di diniego, e quando le riuscì di parlare giurò di essere innocente e chiamò tutte le sue donne a testimoniare per lei. Queste la sostennero e Kat, dopo aver riflettuto, decise di crederle.
Dopo averci pensato sopra, Kat comprese la tattica della regina. Caterina era gelosa, tanto quanto restia ad ammetterlo. Non si sarebbe abbassata a chiedere a Kat di spiare il marito, ma sapeva che se avesse messo in dubbio la castità di Elisabetta, mistress Ashley l’avrebbe sorvegliata più da vicino, scongiurando il rischio di adulterio.11
Mentre la rete di intrighi andava serrandosi intorno a Elisabetta, proseguiva la sua educazione alla modestia femminile. Aveva raggiunto un’età in cui simili insegnamenti acquistavano immediata rilevanza.
Le donne che morivano vergini, recitava una canzone del sedicesimo secolo, erano destinate a «guidare le scimmie all’inferno». Ma perdere la verginità prima delle nozze era la più orribile delle tragedie. L’umanista spagnolo Vives, che era stato il tutore di Caterina Parr in gioventù e di cui Elisabetta aveva letto senza dubbio i trattati per le ragazze, si occupò diffusamente del tormentoso clima di sospetto indotto da una reputazione macchiata. Se una fanciulla perde la verginità, scrisse, non ha speranza di trovare marito; peggio ancora, infanga di vergogna i propri genitori, che inevitabilmente vengono incolpati della sua debolezza di carattere. Alle off...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Elisabetta I
  4. Prefazione
  5. Parte prima. IL FIGLIO IMPROBABILE
  6. Parte seconda. LA VERGINE DI DIO
  7. Parte terza. «LA PLUS FINE FEMME DU MONDE»
  8. Parte quarta. «UNA DONNA MOLTO STRANA»
  9. Parte quinta. «LA REA D’INGHILTERRA»
  10. Parte sesta. «UNA DONNA SORPRESA DAL TEMPO»
  11. Note
  12. Bibliografia
  13. Copyright