Nel mese di giugno del 1935 lasciai il mio ranch nell’America del Sud per tornare in Inghilterra con la prospettiva di rimanerci per almeno sei mesi. Avevo parecchi affari da sistemare in patria per i quali ero convinto che fosse assolutamente necessaria la mia presenza. Anche noi, come chiunque altro, eravamo stati colpiti dalla crisi mondiale e, soprattutto negli ultimi tempi, la nostra vita era stata assai dura. Mia moglie era rimasta al ranch per occuparsi della sua amministrazione.
Inutile dire che, appena arrivato in patria, uno dei miei primi pensieri fu quello di cercare il mio vecchio amico Hercule Poirot.
Lo trovai installato in uno dei palazzi più moderni di Londra tanto che lo accusai (e lui finì per ammettere che avevo ragione) che lo aveva scelto unicamente per la sua struttura e le sue proporzioni rigorosamente geometriche.
«Sì, certo, caro amico! Non trovate che questi ambienti abbiano una simmetria gradevolissima?»
Gli risposi che tutte quelle linee così squadrate non erano di mio gradimento e, alludendo a una battuta di spirito, trita e ritrita, gli domandai se in quei quartieri ultramoderni erano riusciti perfino a ottenere che le galline facessero uova quadrate.
Poirot rise di cuore.
«Ah, ve la ricordate anche voi, quella storiella! Ahimè! No… la scienza non è ancora riuscita a fare in modo che le galline si adattino ai gusti moderni… continuano a deporre uova di forma e di colore differenti!»
Mentre parlavamo, osservavo il mio vecchio amico con occhi pieni di affetto. Aveva un aspetto magnifico; sembrava che non fosse invecchiato neanche di un giorno dall’ultima volta che lo avevo visto.
«Vi trovo in gran forma, Poirot» gli dissi. «Anzi, mi sembrate addirittura ringiovanito. Se fosse possibile, direi che avete perfino meno capelli grigi di una volta.»
Poirot mi rivolse uno sguardo raggiante.
«Perché no? È verissimo. Vi sembra davvero una cosa impossibile?»
«Cosa vorreste dire? Che i vostri capelli, con il passare degli anni, invece di diventare grigi fanno il contrario? Diventano più neri di prima?»
«Precisamente.»
«Ma, dal punto di vista scientifico, è impossibile…»
«Niente affatto.»
«Ma è una cosa assolutamente straordinaria e, a quanto pare, contro natura!»
«Caro Hastings, mi accorgo che gli anni non hanno per nulla alterato la vostra solita bella ingenuità! Osservate un fatto e gli trovate immediatamente la spiegazione senza neppure accorgervene!»
Lo guardai a bocca aperta, senza capire.
Lui non aggiunse altro e andò in camera da letto. Quando ne uscì, aveva in mano una bottiglietta che mi consegnò.
La presi ma, per il momento, continuavo a non capirci niente.
L’etichetta diceva:
REVIVIT. RESTITUISCE AI CAPELLI LA TINTA NATURALE. REVIVIT NON È UNA TINTURA. IN CINQUE TINTE DIVERSE: BIONDO CENERE, CASTANO CHIARO, ROSSO TIZIANO, CASTANO SCURO, NERO.
«Poirot!» gridai. «Vi siete tinto i capelli!»
«Ah, ci siete arrivato finalmente!»
«Ecco perché i vostri capelli mi sembrano molto più scuri dell’ultima volta che vi ho visto!»
«Precisamente.»
«Povero me!» dissi, mentre cercavo di riprendermi dallo shock. «Cosa devo pensare? Che la prossima volta vi troverò con i baffi finti… oppure lo sono già, per caso?»
Poirot trasalì. I baffi erano sempre stati il suo debole. Ne era esageratamente fiero e le mie parole, adesso, lo avevano toccato sul vivo.
«No, no, assolutamente, mon ami. Mi auguro con tutto il cuore che quel giorno sia ancora molto lontano. Baffi finti! Quel horreur!»
Se li arricciò con un’energica tiratina in modo da assicurarmi che erano autentici.
«Bene! Vedo che sono ancora folti e rigogliosi» dissi.
«N’est ce pas? Devo dire che non esiste, in tutta Londra, un paio di baffi più belli dei miei.»
“E per fortuna!” pensai tra me. Ma non lo avrei detto a Poirot per tutto l’oro del mondo perché non volevo offenderlo. Gli domandai, invece, se continuava ancora, di tanto in tanto, a esercitare la sua professione.
«Sono al corrente» dissi «che vi siete ritirato a vita privata già da qualche anno…»
«C’est vrai. Volevo dedicarmi alla coltivazione delle zucche! Ma appena mi ci metto… capita qualche misterioso delitto… e io mando allegramente al diavolo le zucche e la loro coltivazione! Così, da quando ho tentato di dare l’addio alla mia professione… tacete, so già quello che state per dire… assomiglio sempre di più a una di quelle vecchie attrici che, ogni tanto, danno la serata d’addio! Una serata d’addio destinata a ripetersi per un numero incredibile di volte!»
Scoppiai a ridere.
«In verità, a me è andata proprio così. Ogni volta dico: è l’ultima, e basta. Poi, ecco che salta fuori qualcosa d’altro! Del resto, caro amico, voglio confessarvi che l’idea di andare in pensione non mi piace molto. Se non tengo in esercizio le piccole cellule grigie, finiscono per arrugginire.»
«Capisco» dissi. «Le tenete in esercizio con moderazione.»
«Precisamente. Scarto quello che non mi interessa e scelgo quello che mi piace. Per Hercule Poirot, oggi, ci vuole soltanto il fior fiore dei delitti.»
«E ce n’è stato in abbondanza di questo fior fiore dei delitti?»
«Pas mal. Poco tempo fa l’ho scampata bella.»
«Avete rischiato di far cilecca?»
«No, no.» Poirot mi parve scandalizzato. «Ma io… “io, Hercule Poirot”, c’è mancato poco che non ci lasciassi le penne.»
Mi lasciai sfuggire un fischio di stupore.
«Un assassino molto ardito!»
«Direi più avventato che ardito» ribatté Poirot. «Proprio così… avventato… ma lasciamo perdere. Sapete bene, Hastings, che – in un certo senso – vi ho sempre considerato una specie di portafortuna.»
«Davvero?» dissi. «In quale senso?»
Poirot non rispose direttamente alla domanda che gli avevo fatto, ma proseguì: «Appena ho saputo che stavate per tornare in Inghilterra mi sono detto: capiterà qualcosa. E andremo di nuovo a caccia insieme, noi due, come ai vecchi tempi. Però, se dovesse proprio succedere ciò che mi auguro, si tratterà di qualcosa…» fece un gesto vivace con le mani «… qualcosa di recherché… delicato… sopraffino…». E sottolineò quest’ultimo aggettivo pronunciandolo con un gusto tutto particolare.
«Vi giuro, Poirot» dissi «che a sentirvi sembra che stiate ordinando un pranzo al Ritz!»
«Già! Purtroppo non si può considerare un delitto come si vorrebbe, vero?» sospirò. «Però io ho una fiducia straordinaria nella buona sorte… o nel destino, se volete chiamarlo così. E il vostro destino è quello di stare al mio fianco e impedirmi di commettere l’errore imperdonabile.»
«Quale sarebbe l’errore imperdonabile?»
«Quello di trascurare la cosa più evidente.»
Cercai di capire ciò che volesse dire, ma inutilmente, tanto che gli domandai sorridendo: «Bene, si può sapere, dunque, se questo delitto super, questo delitto “sopraffino”, si è già verificato?».
«Pas encore. Perlomeno… ecco…»
Non finì ciò che stava per dire. Aveva corrugato la fronte e le sue mani stavano mettendo di nuovo al loro posto, macchinalmente, uno o due oggetti che io avevo spostato senza accorgermene.
«Non ne sono del tutto sicuro» riprese lentamente.
Aveva parlato con un tono di voce tanto strano che alzai gli occhi di scatto, sorpreso, a guardarlo.
Continuava ad avere l’espressione corrucciata di poco prima. Poi, dopo aver fatto improvvisamente un lieve cenno affermativo con la testa, si alzò e attraversò la stanza per raggiungere una scrivania vicino alla finestra. Inutile dire che nei cassetti di quella scrivania ogni cosa era accuratamente catalogata e conservata in ordine perfetto in modo che Poirot poté mettere subito le mani sulla carta che gli occorreva in quel momento.
Tornò lentamente verso di me con una lettera aperta in mano. La lesse in silenzio e infine me la passò.
«Ditemi, mon ami,» disse «che cosa ne pensate?»
La presi con una certa curiosità.
Si trattava di un foglio di carta da lettere bianco, piuttosto spesso, scritto in stampatello. E diceva:
EGREGIO SIGNOR HERCULE POIROT, VI SIETE SEMPRE VANTATO DI SAPER RISOLVERE CERTI CASI TROPPO COMPLICATI E DIFFICILI PER I NOSTRI POVERI E STUPIDI POLIZIOTTI INGLESI, UN PO’ DURI DI COMPRENDONIO… NON È VERO? E ALLORA, VEDIAMO UN PO’, CARO SIGNOR INTELLIGENTONE, FINO A CHE PUNTO VI POTRÀ AIUTARE LA VOSTRA TANTO DECANTATA INTELLIGENZA. FORSE STAVOLTA TROVERETE PANE PER I VOSTRI DENTI. IL 21 DI QUESTO MESE TENETE D’OCCHIO ANDOVER.
VOSTRO, ECC.
A.B.C.
Guardai la busta: anche questa era scritta in stampatello. «Porta il timbro WC 1, cioè del centro di Londra» disse Poirot, accorgendosi che stavo osservandolo. «Ebbene, qual è la vostra opinione?»
Mi strinsi nelle spalle e gli restituii la lettera.
«Un pazzo, secondo me.»
«È tutto quello che avete da dire?»
«Be’… perché a voi non sembra scritta da un pazzo?»
«Sì, caro amico, certo.»
La sua voce aveva un tono grave. Lo guardai incuriosito.
«Mi pare che prendiate molto sul serio questa lettera, Poirot!»
«Non bisogna mai p...