Marilyn
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  1. 252 pagine
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Marilyn

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Informazioni sul libro

Questo libro ha due protagonisti: Marilyn Monroe e l'amore. L'amore cercato, implorato, abusato, abortito, sorpreso, illuso, scoperto, perduto. L'amore che fa vivere e morire. L'amore negato dell'infanzia, la pazzia della madre, l'orfanotrofio, la violenza sessuale: "Gesù mio, perché nessuno mi ama? Ho sempre ubbidito a tutti. Mi sono sempre comportata da brava bambina, ma nessuno mi vuole bene. Perché? Perché?".
Era amore, o lo diventò, quello per il campione di baseball Joe DiMaggio. Si fece fotografare accanto a lui, antesignana e maestra di tutte le odierne fidanzate dei calciatori. Ma poi non sopportò la sua gelosia, lui che la costrinse a indossare due paia di mutandine per girare la mitica scena della gonna alzata dal vento.
Scelse l'amore il giorno in cui Aristotele Onassis le fece una proposta indecente: per rilanciare l'immagine del Principato di Monaco la voleva sposa del principe Ranieri. Lei preferì sposare Arthur Miller ("È la prima volta che un uomo mi penetra intellettualmente"), e proprio da questa sua rinuncia nacque la favola parallela di Grace Kelly. Ci furono anche amori di passaggio, Yves Montand, Tony Curtis, Marlon Brando: "Ma io sono impegnata, non lo sai?". "E allora? Anch'io stanotte ho scopato con un'altra." Fu l'amico Frank Sinatra infine (lei lo chiamava Maf, come mafioso) a fare da ruffiano con John Kennedy, ad aprirle le porte dell'ultimo sogno, il più ambizioso. Quel leggendario Happy Birthday Mister President che fece infuriare la signora Jackie Kennedy, fu forse il suo ultimo, sublime canto del cigno. Dopo restano soltanto telefonate imbarazzanti di una Marilyn distrutta al centralino della Casa Bianca e la voglia di smetterla di soffrire per amore: "Sì, ho amato per davvero. Ma non mi è mai bastato. O non sono bastata io agli altri, non so. Mi è scivolato via tutto, senza che me ne rendessi conto. Io non so più per cosa valga davvero la pena di vivere".
Dopo aver narrato la vita di Maria Callas e Coco Chanel, Alfonso Signorini dedica a Marilyn un libro appassionato e appassionante, trasformando la sua vita magnifica e tragica in un grande romanzo d'amore.

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Informazioni

Parte seconda

VERSO LA FAMA

Quando sento i suoi passi avvicinarsi alla mia stanza, mi stendo sul letto. Chiudo gli occhi, apro le gambe e penso all’Inghilterra.
REGINA VITTORIA

1

Erano le otto del mattino. Davanti allo specchio Norma Jeane vedeva riflessa l’immagine di un’estranea. Per quanto continuasse a passarsi le mani tra i capelli, per quanto si desse continuamente pizzicotti sulle braccia per tornare alla realtà, quella ragazzina in abito da sposa non era proprio lei. E pensare che era bellissima. Un lungo abito bianco in cretonne di seta con una generosa scollatura stile impero, a evidenziare il suo splendido seno. I capelli color biondo tiziano con la riga in mezzo e tanti riccioli che incorniciavano il suo levigato viso d’avorio. Un velo bianco che scendeva lungo la vita, coprendole le spalle e le braccia. A completare il quadretto, un voluminoso bouquet di fresie e margherite bianche, con cui si divertiva a coprire il décolleté con aria bamboleggiante. Era l’immagine della purezza, pronta a immolarsi all’amore: Norma Jeane Baker sarebbe diventata la signora Dougherty. No, non poteva essere lei quella ragazzina che da lì a poche ore sarebbe arrivata all’altare. Era accaduto tutto troppo in fretta. Aveva compiuto sedici anni da poche settimane. Si sentiva addosso la stessa adrenalina di una bambina che si prepara a una gara di mosca cieca. Sposarsi era un gioco divertente. Ma l’amore, quello vero, era tutta un’altra cosa. Aveva visto troppe volte al cinema gli innamorati per capire che quella che stava vivendo era solo una farsa, una sacra rappresentazione per sfuggire all’incubo dell’orfanotrofio. E pensare che nei suoi sogni di bambina quel giorno l’aveva sognato mille volte, se l’era immaginato nei minimi particolari. Prima o poi sarebbe arrivato il principe azzurro, come nelle migliori fiabe, e l’avrebbe portata via con sé. Niente cavalli bianchi. Si sarebbe accontentata di una bella Spider: capelli al vento nel deserto dell’Arizona e via verso la felicità. Jim Dougherty, con la sua stazza di atleta e il suo corpo massiccio, del principe delle favole non aveva proprio nulla. Somigliava più a un marinaio, uno di quei marinai sciupafemmine di cui erano pieni i film muti in bianco e nero e che facevano impazzire le adolescenti sui banchi di scuola. «Be’, in fondo, poteva anche andarmi peggio» commentò maliziosa tra sé, ammirandosi allo specchio.
L’idea era venuta a zia Grace e a sua cugina, la bigotta Ana: puntare sul figlio ventunenne dei Dougherty, i loro vicini di casa. Quante volte lo avevano spiato dietro alle tendine della loro cucina, quando lo vedevano sfrecciare via con la sua auto blu decappottabile, ad accompagnare le ragazze al ballo dell’università. Era bello, terribilmente bello: certo non era altissimo, ma il fisico asciutto era scolpito da anni e anni di palestra e di canottaggio. D’estate era un piacere guardarlo con le camicie a maniche corte aperte sul petto glabro: faceva impazzire tutto il vicinato. Biondo, occhi azzurri, era il modello dello yankee spaccamontagne: uno così non avrebbe fatto mancare proprio nulla alla sua donna. Avrebbe vinto la più scaltra, quella che sarebbe riuscita a mettergli per prima le briglie al collo. Anche Norma si eccitava a guardarlo quando si incrociavano per caso in strada: lui sembrava spogliarla con gli occhi e lei si divertiva a sostenere lo sguardo, con aria civettuola. La sua specialità era sbattere ripetutamente le ciglia e abbozzare un mezzo sorriso: lo aveva provato tante di quelle volte allo specchio, che ormai era diventata esperta. Inoltre era pur sempre la più bella sventola del quartiere. Giovane e acerba fin che si vuole, ma prometteva molto bene.
Grace e Ana tenevano i piedi per terra e puntavano più sulla solidità dei Dougherty, una delle famiglie più in vista di Van Nuys, che sull’avvenenza del ragazzo: il padre di Jim era ingegnere, la madre responsabile della cineteca del quartiere. E Jim con il suo impiego alla Lockheed guadagnava un ottimo stipendio. Sì, insomma, imparentarsi con quella famiglia era come vincere il primo premio alla Lotteria nazionale di San Francisco. Certo, riuscire nella scalata sociale non sarebbe stato facilissimo. Sei mesi di tempo erano pochi: il trasferimento di Kilmer in Virginia era alle porte e l’obiettivo doveva essere raggiunto al più presto. Inoltre Jim era fidanzato con Sophie, una bellissima ragazza italoamericana, reginetta di bellezza a Santa Barbara: vent’anni, assai più esperta di lui, stavano insieme da sei mesi. Lei era mora e aveva dalla sua un fisico esplosivo da pin-up: ma il trucco era sempre esagerato, la risata sempre troppo sguaiata, gli shorts sempre troppo corti e sgambati. Neppure Jim aveva mai avuto il coraggio di presentarla ai suoi genitori. Insieme, però, sembravano una coppia di Hollywood: erano belli come Fred Astaire e Ginger Rogers.
«Zia Grace, non riuscirò mai ad accalappiarlo» sbottò Norma Jeane, quando la zia le illustrò punto per punto il suo piano. «Lui è un ragazzo esperto. Sì, insomma, con le ragazze ci sa fare. Che se ne fa di una come me? E poi l’hai vista la fidanzata? È una reginetta, sembra un’attrice: io con quella non ci azzecco nulla.»
L’impresa più difficile sarebbe stata quella di convincere Norma: renderla sicura del fatto suo, delle sue potenzialità avrebbe significato avere già la vittoria in tasca. «Ascoltami bene. Tu devi solo guardarti allo specchio, aprire bene gli occhi e capire quanto vali. Ne ho visti tanti di ragazzotti che stazionano qui per ore solo per guardarti le gambe e il fondoschiena. Quando vuoi sai fare anche tu la civetta, come tutte le altre. Fai le prove davanti allo specchio, cammina, sculetta. E vedi di non arrossire: una ragazza che diventa rossa ha già perso metà del suo sex appeal.» Zia Grace aveva ragione: ogni volta che si osservava e si sforzava di sottolineare la sua sensualità era un’esplosione di femminilità e di erotismo involontari. Non faceva nulla per essere sexy, ma la sua camminata richiamava sempre un sacco di mosconi attorno a lei. Per non parlare del suo sorriso. “Quando sorridi, sembra che tu sorrida soltanto a me. E tutti gli altri che ti stanno attorno scompaiono.” Glielo aveva scritto su un bigliettino un suo compagno di classe, che non aveva avuto il coraggio di dirle in faccia tutti quei complimenti. Norma lo aveva appiccicato sulla prima pagina del suo diario. Alla fine anche Jim avrebbe ceduto davanti alle sue curve mozzafiato. Si trattava solo di sorprenderlo al momento giusto.
Il momento giusto si presentò una domenica pomeriggio. «O oggi o mai più» si era detta davanti al guardaroba, impegnata a scegliersi l’abbigliamento più adatto per la conquista. La scelta cadde su una camicetta scollatissima arricciata sul davanti. Il classico capo usato dalle ragazze più sfacciate di Los Angeles per promettere e non mantenere. Ma lei con un paio di forbici seppe fare la differenza: zac, e l’elastico era rotto. Le sarebbe bastato inchinarsi più del dovuto per lasciare intravedere tutto il suo décolleté, che non aveva certo bisogno di un reggiseno per essere valorizzato. Se fosse riuscita a far ammirare quello spettacolo, Jim avrebbe perso di sicuro la testa. Occorreva solo aspettare dietro alle tendine. Come ogni domenica pomeriggio, intorno alle quattro Jim sarebbe uscito con la sua auto dal garage per andare a prendere quella gallina di Sophie. E a quel punto sarebbe scattata l’operazione.
Quando vide accendersi le luci nel box, Norma Jeane si precipitò in strada: camicetta svolazzante, jeans strettissimi, un paio di ballerine, un filo di trucco e soprattutto quel rossetto color corallo che faceva sognare chiunque. Niente di più. Non appena vide Jim chiudere la porta del garage, si sdraiò in mezzo alla strada. Si sarebbe dovuto fermare per forza. «Ehi, che succede, Norma Jeane? Qualche problema?» Alla vista di quella bella ragazza accasciata sull’asfalto, Jim inchiodò e si precipitò a scendere dall’auto per soccorrerla. «Oh, niente di grave Jim, grazie. Solo un giramento di testa. Mi capita spesso con i primi caldi. Sai, zia Grace dice sempre che non mangio abbastanza. Me la dai una mano a rialzarmi?»
«Come no, tesoro! Appoggiati a me.» Tutto aveva funzionato secondo copione: facendo leva sulle gambe, Norma si era aggrappata al bicipite marmoreo di Jim, barcollando sapientemente in avanti e lasciando una finestra aperta sul suo seno. Impossibile non essere attratti da quella scollatura: due seni candidi e rigogliosi svettavano da sotto la camicetta color verde smeraldo. I capezzoli erano leggermente turgidi. Insomma, un sogno.
«Accidenti Norma. Adesso sei tu a far svenire me» le disse Jim, con la voce roca e gli occhi avidi di piacere.
«Ma che dici? Dai, mi fai vergognare...» Il viso di quella ragazza era davvero unico: quando sorrideva, le fossette vicine alla bocca la facevano sembrare la donna più sensuale e sbarazzina di Los Angeles.
«Come va? Tutto a posto?»
«Adesso sì, grazie mille» rispose Norma. «Ho solo bisogno di bere un’orzata o qualcosa di fresco. Mi accompagni?» Norma Jeane aveva vinto la prima partita: dopo due minuti lei e Jim erano seduti sulla veranda di casa a ridere e a scherzare come due vecchi amici.
«Sai che sei proprio un bel ragazzo? Hai una bocca stupenda... Mmm, chissà come mastichi bene il chewing-gum...» ridacchiava lei. Quella frase, piena di allusioni, pronunciata con l’aria più innocente che si potesse pretendere da una sedicenne, fece salire il sangue al cervello di Jim. Prendendole la mano e stringendogliela con forza, le disse: «Tesoro, sabato sera giù al Circolo c’è il ballo che la Lockheed offre a noi dipendenti. Ti va di accompagnarmi? Sarai la mia donna».
«Ehi, Jim che ti prende? E la tua Sophie? La parcheggi in garage?» sorrise Norma Jeane, con un velo di rossore sapientemente spalmato sulle guance.
«Oh, lei non ci sarà. Da oggi per me ci sei solo tu. E non pensare di mollarmi, perché altrimenti mi butto giù dal pontile di Santa Monica.» Era fatta: Jim Dougherty, figlio dell’ingegner Dougherty, e impiegato di concetto alla Lockheed era finalmente suo. Zia Grace aveva ragione: l’importante era crederci. Il resto era venuto da solo.
«Norma Jeane, ti vuoi sbrigare? Siamo a giugno: avrai mica intenzione di sposarti alla vigilia di Natale!» La voce di Grace Goddard la richiamò improvvisamente alla realtà. No, non era innamorata di Jim. Lei lo sapeva bene. Baciava da Dio, questo sì. Ma non le faceva mai battere forte il cuore. In cinque mesi e mezzo di fidanzamento era riuscita a scansare perfino la spinosa e imbarazzante questione del sesso. Non che lui non ci provasse ogni volta, ma l’obiettivo che si era prefissata di raggiungere era troppo ambizioso. Norma sapeva che cedendo alle voglie arroganti di quel ragazzo non sarebbe mai arrivata al matrimonio. E quel pezzo di carta era importante, perché le avrebbe permesso di stare lontana per sempre dall’orfanotrofio e di cominciare quella carriera alla quale non avrebbe rinunciato per nessun’altra cosa al mondo. Nelle sue vene scorreva pur sempre il sangue di Gladys Baker: era stata lei ad appassionarla al cinema, era stata lei a convincerla fin da bambina che sarebbe diventata la più grande attrice di Hollywood. Sposando Jim avrebbe avuto tutto il tempo per dedicarsi ai provini e ai casting come modella, l’anticamera necessaria per tentare la faticosa strada della recitazione.
Scendendo le scale di casa Goddard, Norma Jeane si sentì davvero per qualche secondo una regina: tutti gli occhi degli invitati erano puntati su di lei. Con quel vestito ricamato a mano che le avevano regalato Ana e Grace era di una bellezza disarmante.
All’improvviso alzò lo sguardo e si imbatté in quello di Kilmer. Un brivido le corse lungo la schiena. Quell’uomo non aveva mai smesso di farle paura e di disgustarla. Il pensiero andò subito alla violenza che aveva subito e che era rimasta dentro di lei come una ferita mai rimarginata. Subito la prese un’altra angoscia: l’immagine della notte che sarebbe seguita a quel giorno di festa. “Che racconterò a Jim? Che cosa accadrà quando si renderà conto che non sono più vergine?” pensò tra sé, sistemandosi il velo sui capelli. Tra l’altro il pensiero di fare l’amore con un uomo la ripugnava nel profondo: da quando le mani di Kilmer erano entrate con violenza dentro di lei l’idea di avere una qualsiasi intimità con un altro uomo la inquietava, al punto da star male. Ma a quello avrebbe pensato dopo. Per il momento si sarebbe concentrata sul più importante della sua vita. La sua nuova vita.

2

Altro che provini e casting per modelle. Essere la signora Dougherty non era poi così eccitante: nel bungalow ammobiliato di Van Nuys dove lei e Jim erano andati a vivere non faceva altro che attaccar bottoni e rammendare calzini. Se ne era accorta fin dalla sera del matrimonio. Ai Giardini Fiorentini, il ristorante per ricchi dove i suoi suoceri avevano organizzato il pranzo nuziale, un cameriere aveva inavvertitamente rovesciato la salsa di pomodoro sulla giacca bianca da smoking di Jim. Di fronte a quella macchia rossa che non ne voleva sapere di andarsene lui era montato su tutte le furie.
«Con quello che l’ho pagato, questo abito doveva durarmi per tutta la vita» aveva sbottato, cambiando improvvisamente d’umore. Norma Jeane se ne era andata in giro con la giacca del marito appesa al braccio per tutta la sera: lui non avrebbe mai tenuto addosso una giacca tanto sporca. D’un tratto si sentì afferrare: «Ehi, ragazza, nemmeno saluti? Non ho neppure baciato la sposa. Felicitazioni!». Era Kilmer, che la prese da parte portandola lontano dagli sguardi curiosi degli altri invitati. Con la sua faccia da schiaffi le disse: «Lo vuoi un consiglio? Quando quel fantoccio di tuo marito ti monterà stanotte, mettiti sotto le chiappe la sua giacca da smoking: è talmente fesso che crederà di essersi scopato una verginella». Norma odiava quell’uomo con tutte le sue forze: le aveva strappato l’ingenuità dell’adolescenza all’improvviso e ora cercava di farle ancora del male, proprio come quel dannato pomeriggio. «Lasciami in pace, fetente. E toglimi le tue luride mani di dosso. Questa volta non me ne starò zitta: urlerò a tutti il maiale che sei.» Kilmer allentò improvvisamente la presa e si dileguò nell’ombra.
Arrivati a casa, verso l’una del mattino, Jim si buttò sul letto. Non fece neppure in tempo a spogliarsi e già russava. Lei si spogliò lentamente, di fronte alla pettineuse. Quante volte da ragazzina si era immaginata la sua prima notte di nozze, prima che Kilmer segnasse per sempre il suo destino. Be’, quella notte era distante mille miglia dai suoi sogni. Di fronte a lei c’era una ragazzina di appena sedici anni che sarebbe dovuta crescere molto in fretta. Bellissima, questo sì. Faceva girare la testa a chiunque, tranne che a quel cascamorto di Jim: e pensare che credeva fosse un playboy. Vederselo lì, davanti ai suoi occhi, mentre russava con lo sparato dello smoking ancora allacciato e con lo stomaco pieno di gin e di whisky, la riempiva di tristezza. Si infilò nel letto, ma non abbastanza piano da non svegliare il marito. «Ehi, signora Dougherty, là in cucina ti ho tirato fuori la bottiglia della candeggina» bofonchiò.
«Jim, a che mi serve la candeggina?»
«Strofina per bene quella giacca: deve tornare a essere bella bianca, con quello che costa. Doveva durarmi tutta la vita quell...» Non aveva ancora terminato di pronunciare quelle parole che si girò su un fianco, continuando a dormire.
Be’, quella prima giornata insieme era stata davvero rivelatrice. Non solo per la questione della giacca (le pulizie in casa erano all’ordine del giorno), ma anche per quella assai più delicata del sesso. Jim era il classico ragazzotto di vent’anni: molte parole, soprattutto con gli amici, e pochissimi fatti. La sua resistenza sotto le lenzuola andava dai due ai tre minuti e mezzo. Le paure più intime di Norma Jeane si erano rivelate assolutamente infondate: inutile dire che non si era accorto di nulla. «Sei stata fortunata a trovare uno come me. La prima volta per tutte è un trauma. Invece tra noi è filato tutto liscio come l’olio, vero piccolina mia?»
«Vero, paparino caro» rispondeva Norma con vezzo infantile. Quando voleva stuzzicare i suoi appetiti bastava che puntasse sulla gelosia. Il sabato sera gli piaceva portarla a ballare al Circolo. Lui non era un granché in pista, ma lei, ah lei sì che ci sapeva fare. Quando il banjo dell’orchestrina attaccava con il conga, Norma Jeane si guadagnava gli applausi di tutti. Tutti in circolo intorno a lei: il suo ancheggiare in mezzo alla sala, i movimenti ritmici del suo bacino, le sue occhiate piene di carica erotica ai colleghi di Jim riscaldavano l’atmosfera, rendendola incandescente. Ogni sabato la stessa scena. Lei ballava il conga. Lui, con la faccia paonazza per il vino e la gelosia, la afferrava per il braccio, trascinandola a casa, e la sbatteva sul letto. Due minuti. Tutto finito.
Era dunque quella la vita che avrebbe fatto fino alla fine dei suoi giorni? Si sarebbe dovuta accontentare del bucato bianco e profumato, della scopata veloce il sabato sera e del bagno nella vasca la domenica mattina? No. Dentro di lei incominciava a sentire un’insoddisfazione crescente. Che cercava di reprimere, ma che riaffiorava ogni giorno con più forza. L’unica che avrebbe potuto darle un consiglio era zia Grace: in fondo anche lei non doveva fare una gran bella vita con quel Kilmer. Si sarebbe potuta confidare con lei. Ma ben presto si era resa conto che non sarebbe servito. Dalla Virginia ogni mese arrivavano a casa Dougherty lunghe lettere nelle quali Grace la esortava a praticare con soddisfazione i suoi doveri di moglie, dentro e fuori dal letto. Senza discutere.
Certo, i momenti di tenerezza non mancavano, anche tra lei e suo marito. Jim era davvero una pasta d’uomo. Bucato a parte, non si arrabbiava mai. Neppure il giorno che, tornando dalla Lockheed e aprendo la porta di casa, si era trovato una mucca in salotto. Proprio così, una mucca in carne e ossa.
«Norma, ma che sta succedendo? Che ci fa questa bestia a casa nostra?»
«O paparino caro, fuori pioveva tanto forte e lei tremava dal freddo» si era giustificata lei, sfregandogli il viso contro la spalla. Impossibile sgridarla: di fronte a quel candore infantile anche lui deponeva le sue armi. Aveva ragione sua madre: sposare una ragazzina di sedici anni avrebbe significato farle da padre per tutta la vita. Ma che soddisfazione, quando alla messa della domenica si trovava addosso gli sguardi pieni di invidia di tutti i suoi colleghi! Solo lui possedeva quel gran pezzo di figliola. Solo lui poteva mostrarla fiero al suo fianco. Norma Jeane, inoltre, avrà avuto mille difetti, ma era una moglie molto divertente.
«Sgridala. Una femmina va trattata come una giumenta. Deve sentire le briglie addosso, sennò scappa» gli aveva raccomandato sua madre. Ma lui non ce la faceva. Quella ragazza era l’immagine dell’innocenza. ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Marilyn
  3. L’infanzia
  4. Verso La Fama
  5. La Signora Dimaggio
  6. Arthur, Il Sogno Infranto
  7. La Donna Del Presidente
  8. Epilogo
  9. Inserto fotografico
  10. Dello stesso autore
  11. Copyright