Ti con zero
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Ti con zero

  1. 196 pagine
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Ti con zero

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Informazioni sul libro

Dalla caduta della luna sulla terra ai vertiginosi paradossi logici dell'abate Faria che scava labirintiche gallerie per evadere. Una serie di racconti sorprendenti sulla scienza e sulle dimensioni spazio-temporali nei quali "ogni secondo, ogni frazione di tempo, diventa un universo".

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
ISBN
9788852015922
Parte terza

Ti con zero

Ti con zero

Ho l’impressione che non sia la prima volta che mi trovo in questa situazione: con l’arco appena allentato nella mano sinistra protesa avanti, la mano destra contratta all’indietro, la freccia F sospesa per aria a circa un terzo della sua traiettoria, e, un po’ più in là, sospeso pure lui per aria e pure lui a circa un terzo della sua traiettoria, il leone L nell’atto di balzare su di me a fauci spalancate e artigli protesi. Tra un secondo saprò se la traiettoria della freccia e quella del leone verranno o meno a coincidere in un punto X attraversato tanto da L quanto da F nello stesso secondo tx, cioè se il leone si rovescerà per aria con un ruggito soffocato dal fiotto di sangue che gli inonderà la nera gola trafitta dalla freccia, oppure piomberà incolume su di me atterrandomi con una doppia zampata che mi lacererà il tessuto muscolare delle spalle e del torace, mentre la sua bocca, richiudendosi con un semplice scatto delle mascelle, staccherà la mia testa dal collo all’altezza della prima vertebra.
Tanti e così complessi sono i fattori che condizionano il moto parabolico sia delle frecce sia dei felini, da non permettermi per il momento di giudicare quale delle due eventualità sia più probabile. Mi trovo perciò in una di quelle situazioni di incertezza e attesa in cui non si sa davvero cosa pensare. E il pensiero che mi occorre è questo: mi pare che non sia la prima volta.
Non voglio qui riferirmi ad altre mie esperienze di caccia: l’arcere, appena crede d’essersi fatta un’esperienza, è perduto; ogni leone che incontriamo nella nostra breve vita è diverso da ogni altro leone; guai se ci fermiamo a far confronti, a dedurre le nostre mosse da norme e presupposti. Parlo di questo leone L e di questa freccia F giunti ora a un terzo circa delle rispettive traiettorie.
E neppure posso essere incluso tra coloro che credono nell’esistenza d’un primo e assoluto leone, di cui tutti i diversi leoni particolari e approssimativi che ci balzano contro sono solo ombre o parvenze. Nella nostra dura vita non c’è posto per nulla che non sia concreto e afferrabile dai sensi.
Altrettanto mi è estranea l’opinione di chi dice che ognuno porta in sé da quando è nato un ricordo di leone che incombe nei suoi sogni, ereditato di padre in figlio, e così quando vede un leone gli vien subito detto: to’, il leone! Potrei spiegare perché e come sono arrivato a escluderlo, ma non mi pare che questo sia il momento adatto.
Mi basti dire che per «leone» intendo solo questa macchia gialla saltata fuori da un cespuglio della savana, questo sbuffo rauco che esala odore di carne sanguinolenta, e il pelo bianco del ventre e il rosa del sotto delle zampe e l’angolo aguzzo degli unghielli retrattili così come li vedo adesso sovrastarmi in una mescolanza di sensazioni che chiamo «leone» tanto per dargli un nome sebbene sia chiaro che non ha niente a che vedere con la parola «leone» e nemmeno con l’idea di leone che uno potrebbe farsi in altre circostanze.
Se dico che quest’attimo che sto vivendo non è la prima volta che lo vivo, è perché la sensazione che ne ho è come d’un leggero sdoppiarsi d’immagini, come se nello stesso tempo vedessi non un leone o una freccia ma due o più leoni e due o più frecce sovrapposti con un’appena percettibile sfasatura, cosicché i contorni sinuosi della figura del leone e il segmento della freccia risultano sottolineati o meglio alonati da linee più sottili e di colore più sfumato. Lo sdoppiamento però potrebbe essere soltanto un’illusione con la quale mi rappresento un altrimenti indefinibile senso di spessore, per cui leone freccia cespuglio sono qualcosa di più di questo leone questa freccia questo cespuglio cioè la ripetizione interminabile di leone freccia cespuglio disposti in questo preciso rapporto con un’interminabile ripetizione di me stesso nel momento in cui ho appena allentato la corda del mio arco.
Non vorrei però che questa sensazione come l’ho descritta assomigliasse troppo al riconoscimento di qualcosa già visto, freccia in quella posizione e leone in quell’altra e reciproco rapporto tra le posizioni della freccia e del leone e di me piantato qui con l’arco in mano; preferirei dire che quello che ho riconosciuto è soltanto lo spazio, il punto dello spazio in cui si trova la freccia e che sarebbe vuoto se la freccia non ci fosse, lo spazio vuoto che adesso contiene il leone e quello che contiene adesso me, come se nel vuoto dello spazio che occupiamo o meglio attraversiamo – cioè che il mondo occupa o meglio attraversa –, alcuni punti mi fossero divenuti riconoscibili in mezzo a tutti gli altri punti ugualmente vuoti e ugualmente attraversati dal mondo. E sia ben chiaro, non è che questo riconoscimento avvenga in rapporto, per esempio, con la configurazione del terreno, con la distanza del fiume o della foresta: lo spazio che ci circonda è uno spazio sempre diverso, lo so bene, so che la Terra è un corpo celeste che si muove in mezzo ad altri corpi celesti che si muovono, so che nessun segno, né sulla Terra né nel cielo può servirmi da punto di riferimento assoluto, tengo sempre presente che le stelle girano nella ruota della galassia e le galassie s’allontanano l’una dall’altra con velocità proporzionali alla distanza. Ma il sospetto che m’ha preso è appunto questo: d’essermi venuto a trovare in uno spazio che non mi è nuovo, d’essere tornato a un punto in cui eravamo già passati. E siccome non si tratta solo di me ma pure d’una freccia e d’un leone, non è il caso di pensare che sia un caso: qui si tratta del tempo, che continua a ripercorrere una traccia che ha già percorso. Potrei dunque definire come tempo e non come spazio quel vuoto che mi è parso di riconoscere nell’attraversarlo.
La domanda che adesso mi pongo è se un punto del percorso del tempo possa sovrapporsi a punti di percorsi precedenti. In questo caso, l’impressione di spessore delle immagini si spiegherebbe con il battito ripetuto del tempo su un identico istante. Potrebbe pure darsi, in certi punti, una qualche piccola sfasatura tra un percorso e l’altro: immagini leggermente sdoppiate o sfocate sarebbero dunque l’indizio che il tracciato del tempo è un po’ logorato dall’uso e lascia un sottile margine di gioco attorno ai suoi passaggi obbligati. Ma anche se non si trattasse che d’un momentaneo effetto ottico, resta l’accento come d’una cadenza che mi sembra di sentir battere sull’istante che sto vivendo. Non vorrei tuttavia che quanto ho detto facesse apparire quest’attimo come dotato d’una speciale consistenza temporale nella serie d’attimi che lo precedono e lo seguono: dal punto di vista del tempo è proprio un attimo che dura quanto gli altri, indifferente al suo contenuto, sospeso nella sua corsa tra il passato e il futuro; quello che mi sembra d’aver scoperto è solo il suo ricorrere puntuale in una serie che si ripete identica a se stessa ogni volta.
Insomma tutto il problema, adesso che la freccia trapassa l’aria con un sibilo e il leone s’inarca nel suo balzo e non si può ancora prevedere se la punta intinta nel veleno di serpente trafiggerà il pelo fulvo tra gli occhi sbarrati oppure farà cilecca abbandonando le mie viscere inermi allo strappo che le separerà dall’intelaiatura d’ossa cui sono ora ancorate e le trascinerà disperse per il suolo sanguinolento e polveroso finché prima di notte gli avvoltoi e gli sciacalli non ne avranno cancellato l’ultima traccia, tutto il problema per me è di sapere se la serie di cui questo secondo fa parte è aperta o chiusa. Perché se, come mi pare d’aver udito talvolta sostenere, è una serie finita, cioè se il tempo dell’universo è cominciato a un certo momento e continua in un’esplosione di stelle e nebulose sempre più rarefatte fino al momento in cui la dispersione raggiungerà il limite estremo e stelle e nebulose riprenderanno a concentrarsi, la conseguenza che devo trarne è che il tempo ritornerà sui suoi passi, che la catena dei minuti si srotolerà in senso inverso, fino a quando non si arriverà di nuovo al principio, per poi ricominciare, tutto questo infinite volte, – e non è detto, allora, che abbia avuto un inizio: l’universo non fa altro che pulsare tra due momenti estremi, obbligato a ripetersi da sempre, – così come infinite volte s’è ripetuto e si ripete questo secondo in cui ora io mi trovo.
Cerchiamo dunque di veder chiaro: io mi trovo in un qualsiasi punto spaziotemporale intermedio d’una fase dell’universo; dopo centinaia di milioni di miliardi di secondi ecco che la freccia e il leone e io e il cespuglio ci siamo trovati così come ci troviamo adesso, e questo secondo verrà subito inghiottito e sepolto nella serie delle centinaia di milioni di miliardi di secondi che continua, indipendentemente dall’esito che avrà di qui a un secondo il volo convergente o sfasato del leone e della freccia; poi a un certo punto la corsa invertirà il suo senso, l’universo ripeterà la sua vicenda all’incontrario, dagli effetti risorgeranno puntuali le cause, e anche da questi effetti che m’attendono e che non conosco, da una freccia che si conficca nel suolo sollevando una nuvola gialla di polvere e minute schegge di selce oppure che trapassa il palato della belva come un nuovo dente mostruoso, si ritornerà al momento che ora sto vivendo, la freccia tornando a incoccarsi sull’arco teso come risucchiata, il leone ricadendo dietro il cespuglio sulle zampe posteriori contratte a molla, e tutto il dopo sarà via via cancellato secondo per secondo dal ritorno del prima, sarà dimenticato nello scomporsi di miliardi di combinazioni di neuroni dentro i lobi dei cervelli, cosicché nessuno saprà di vivere nel rovescio del tempo come neppure io adesso sono sicuro di qual è il senso in cui si muove il tempo in cui mi muovo, e se il poi che attendo non è in realtà già avvenuto or è un secondo, portando con sé la mia salvezza o la mia morte.
Quello che mi domando è se, visto che a questo punto si deve comunque tornare, non sia il caso che io mi ci fermi, che mi fermi nello spazio e nel tempo, mentre la corda dell’arco appena allentata si curva nella direzione opposta a quella in cui era stata precedentemente tesa, e mentre il piede destro appena alleggerito dal peso del corpo si solleva in una torsione di novanta gradi, e che stia immobile così ad aspettare che dal buio dello spazio-tempo torni a uscire il leone e a disporsi contro di me con le quattro zampe alte nell’aria, e la freccia torni a inserirsi nella sua traiettoria al punto esatto in cui è ora. A cosa serve infatti continuare se prima o poi dovremo ritrovarci in questa situazione? Tanto vale che io mi conceda un riposo di qualche decina di miliardi d’anni, e lasci il resto dell’universo continuare la sua corsa spaziale e temporale fino alla fine, e aspetti il viaggio di ritorno per saltare di nuovo dentro e poi tornare indietro nella storia mia e dell’universo fino alle origini, e poi ancora ricominciare per ritrovarmi qui di nuovo – oppure lasci che il tempo torni indietro per conto suo e poi ancora mi si riavvicini mentre io sto sempre fermo ad aspettare –, e vedere allora se è la volta buona per decidermi a fare l’altro passo, per andare a dare un’occhiata a quel che mi capiterà tra un secondo, o se non mi conviene fermarmi definitivamente qui. Per questo non c’è bisogno che le mie particelle materiali siano sottratte al loro corso spaziotemporale, alla sanguinosa effimera vittoria del cacciatore o del leone: io sono sicuro che una parte di noi resta comunque invischiata a ogni singola intersezione del tempo e dello spazio, e quindi basterebbe non separarsi da questa parte, identificarsi con essa, lasciando che il resto giri come deve girare fino in fondo.
Mi si presenta insomma questa possibilità: di costituire un punto fisso nelle fasi oscillanti dell’universo. Devo cogliere l’occasione o è meglio lasciar perdere? Fermarmi, magari mi fermerei non io da solo che mi rendo conto avrebbe poco senso, ma io insieme a ciò che serve a definire quest’attimo per me, freccia leone arcere sospesi così come siamo per sempre. Mi pare infatti che se il leone sapesse chiaramente come stanno le cose, certo anche lui sarebbe d’accordo per restare come si trova ora, a circa un terzo della traiettoria del suo balzo furioso, e separarsi da quella proiezione di se stesso che tra un secondo andrà incontro ai rigidi sussulti dell’agonia o alla masticazione rabbiosa d’un cranio umano ancora caldo. Posso parlare quindi non solo per me, ma anche a nome del leone. E a nome della freccia, perché una freccia non può volere altro che essere freccia così come lo è in questo rapido momento, e rimandare il destino di rottame spuntato che l’aspetta qualsiasi bersaglio essa colpisca.
Stabilito dunque che la situazione in cui ci troviamo ora io e leone e freccia in questo attimo t0 si verificherà due volte per ogni andirivieni del tempo, identica alle altre volte, e così si era già ripetuta per quante volte l’universo ha ripetuto la sua diastole e la sua sistole nel passato – se pure ha un senso parlare di passato e di futuro per la successione di queste fasi, mentre sappiamo che non ne ha alcuno all’interno delle fasi –, resta pur sempre l’incertezza sulla situazione nei successivi secondi t1, t2, t3 eccetera, così come appariva incerta nei precedenti t–1, t–2, t–3 eccetera.
Le alternative, a ben vedere, sono queste:
o le linee spaziotemporali che l’universo segue nelle fasi della sua pulsazione coincidono in tutti i loro punti;
oppure coincidono solo in alcuni punti eccezionali, come il secondo che sto vivendo, per divergere poi negli altri.
Se quest’ultima alternativa è la giusta, dal punto spaziotemporale in cui mi trovo si diparte un fascio di possibilità che più procedono nel tempo più divergono a cono verso futuri completamente diversi tra loro, e a ogni volta che mi trovo qui con la freccia e il leone per aria corrisponderà un diverso punto X d’intersezione delle loro traiettorie, ogni volta il leone sarà ferito in maniera diversa, avrà una diversa agonia o troverà in misura diversa nuove forze per reagire, o non sarà ferito affatto e si getterà su di me ogni volta in maniera diversa lasciandomi o non lasciandomi possibilità di difesa, e le mie vittorie e le mie sconfitte nella lotta col leone si rivelano potenzialmente infinite, e quante più volte sarò sbranato tante più probabilità avrò di colpire il segno la prossima volta che mi troverò qui di nuovo tra miliardi e miliardi d’anni, e su questa mia situazione d’ora non posso dare nessun giudizio perché nel caso in cui io stia vivendo la frazione di tempo immediatamente precedente al graffio della belva questo sarebbe l’ultimo momento d’un’epoca felice, mentre se quel che mi attende è il trionfo con cui la tribù accoglie il cacciatore di leoni vittorioso, questo che sto vivendo è il culmine dell’angoscia, il punto più nero della discesa all’inferno che devo attraversare per meritare l’apoteosi. Da questa situazione dunque mi conviene fuggire qualsiasi cosa m’aspetti, perché se c’è un intervallo di tempo che non conta nulla è proprio questo, definibile solo in rapporto a quel che lo segue, cioè in sé questo secondo non esiste, e non c’è quindi nessuna possibilità non solo di fermarcisi ma neppure d’attraversarlo per la durata d’un secondo, insomma è un salto del tempo tra il momento in cui il leone e la freccia hanno spiccato il loro volo e il momento in cui un getto di sangue irromperà fuori dalle vene del leone o dalle mie.
Aggiungi che se da questo secondo si dipartono a cono infinite linee di possibili futuri, le stesse linee provengono oblique da un passato che è anch’esso un cono di possibilità infinite, quindi il me stesso che si trova ora qui con il leone che gli piomba incontro dall’alto e con la freccia che apre la sua via nell’aria, è un me stesso ogni volta diverso perché il passato l’età la madre il padre la tribù la lingua l’esperienza sono diversi ogni volta, il leone è sempre un altro leone anche se è proprio così che ogni volta lo vedo, con la coda che nel salto si è ripiegata avvicinando il fiocco al fianco destro in un movimento che potrebbe essere tanto una frustata quanto una carezza, con la criniera così aperta che ricopre alla mia vista gran parte del petto e del torso e lascia solo sporgere lateralmente le zampe anteriori innalzate come preparandosi a un abbraccio festoso ma in realtà pronte a conficcarmi le unghie nelle spalle con tutta la loro forza, e la freccia è fatta d’una materia sempre diversa, appuntita con diversi strumenti, avvelenata con dissimili serpenti, pur sempre attraversando l’aria con la stessa parabola e con lo stesso sibilo. Quello che non cambia è il rapporto tra me freccia leone in quest’attimo d’incertezza che si ripete uguale, incertezza che ha per posta la morte, però bisogna riconoscere che se questa morte incombente è la morte d’un io con diverso passato, d’un io che ieri mattina non è stato a cogliere radici insieme a mia cugina, cioè a ben vedere d’un altro io, d’un estraneo, magari d’un estraneo che ieri mattina è stato lui a cogliere radici insieme a mia cugina, quindi d’un nemico, comunque se qui al mio posto le altre volte invece d’esserci io c’era un altro, non è che m’importi più molto di sapere se la volta prima o la volta dopo la freccia ha colpito o no il leone.
In questo caso allora è escluso che fermarmi in t0 per tutto il volgere dello spazio e del tempo abbia per me interesse. Resta però sempre l’altra ipotesi: come nella vecchia geometria alle rette bastava coincidere in due punti per coincidere in tutti, così può darsi che le linee spaziotemporali tracciate dall’universo nelle sue fasi alterne coincidano in tutti i loro punti e allora non solo t0 ma anche t1 e t2 e tutto quel che verrà dopo coincideranno con i rispettivi t1 t2 t3 delle altre fasi, e così tutti i secondi precedenti e seguenti, e io sarò ridotto ad avere un solo passato e u...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Presentazione
  4. Cronologia
  5. Bibliografia essenziale
  6. Ti con zero
  7. Parte prima. ALTRI QFWFQ
  8. Parte seconda. PRISCILLA
  9. Parte terza. TI CON ZERO
  10. Postfazione di Giuliano Gramigna
  11. Copyright