A ruota libera
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A ruota libera

1974-1995

  1. 294 pagine
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A ruota libera

1974-1995

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A ruota libera raccoglie articoli, servizi e interviste pubblicati dall'autore di Cent'anni di solitudine fra il 1974 e il 1995, un periodo cruciale tanto per il Vecchio quanto per il Nuovo Mondo. Il giornalismo di García Márquez si fa teso, affilato, militante, e il suo sguardo penetrante spazia sull'ultimo scorcio del Novecento per soffermarsi sugli scenari internazionali più roventi: dal golpe di Pinochet alla dittatura argentina, dal narcotraffico in Colombia al difficile assetto cubano, dalla "rivoluzione dei garofani" in Portogallo al dramma dei profughi vietnamiti alla poco nota avventura africana del "Che", guerrigliero in Angola in nome della solidarietà internazionalista. Una straordinaria serie di ritratti di personaggi che hanno lasciato il segno nell'immaginario di più generazioni. Un singolare affresco di un'epoca tumultuosa, ricca di speranza e gravida di minacce.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
ISBN
9788852015953

Operazione Carlota: Cuba in Angolaa

Per la prima volta in una dichiarazione ufficiale, gli Stati Uniti rivelarono la presenza di truppe cubane in Angola, il 24 novembre 1975. Calcolavano allora che fosse stata mandata una spedizione di 15.000 uomini. Poche settimane dopo, durante una breve visita a Caracas, Henry Kissinger disse in privato al presidente Carlos Andrés Pérez: «Devono essere messi proprio male i nostri servizi informativi, se siamo venuti a sapere che i cubani si recavano in Angola solo quando erano già lì». In quella circostanza, tuttavia, si corresse dicendo che gli uomini inviati da Cuba erano soltanto 12.000.
Anche se non spiegò mai questa modificazione delle cifre, resta il fatto che nessuna delle due era corretta. In quel momento c’erano in Angola molti uomini di truppa, esperti militari e tecnici civili cubani, ed erano più di quanti Henry Kissinger supponesse. C’erano così tante navi cubane all’ancora nella baia di Luanda, che il presidente Agostinho Neto, contandole dalla sua finestra, ebbe un brivido di pudore tipico del suo carattere. «Non è giusto» disse a un funzionario amico suo. «Di questo passo Cuba andrà in malora.»
Probabilmente, nemmeno i cubani stessi avevano previsto che l’aiuto solidale al popolo dell’Angola avrebbe raggiunto simili dimensioni. Invece, fin dal primo momento avevano avuto chiaro che l’azione sarebbe stata per forza di cose decisa e rapida, e che non si poteva assolutamente perdere.

Primi contatti

I contatti fra la Rivoluzione cubana e il Movimento popolare di liberazione dell’Angola (MPLA) erano stati allacciati per la prima volta e si erano intensificati alquanto a partire dall’agosto del 1965, quando Che Guevara partecipava alla guerriglia in Congo. L’anno successivo si recò a Cuba lo stesso Agostinho Neto accompagnato da Endo, il comandante in capo dell’MPLA che sarebbe morto in guerra, ed entrambi incontrarono Fidel Castro. Poi, a causa delle stesse condizioni della lotta in Angola, quei contatti divennero sporadici. Solo nel maggio del 1975, mentre i portoghesi si accingevano a ritirarsi dalle loro colonie africane, il comandante cubano Flavio Bravo vide a Brazzaville Agostinho Neto, che gli chiese aiuto per trasportare un carico d’armi, e inoltre lo consultò sulla possibilità di ottenere un’assistenza più ampia e specifica. Di conseguenza, tre mesi dopo il comandante Raúl Díaz Argüelles si trasferì a Luanda alla testa di una delegazione civile di cubani, e a quel punto Agostinho Neto fu più preciso ma non più ambizioso: sollecitò l’invio di un gruppo di istruttori per fondare e dirigere quattro centri di addestramento militare.

Le forze nemiche

Bastava una conoscenza superficiale della situazione angolana per capire che anche la richiesta di Neto era tipica della sua modestia. Sebbene l’MPLA, fondato nel 1956, fosse il movimento di liberazione più antico dell’Angola, nonché l’unico sorretto da una base popolare molto vasta, e sebbene il suo programma sociale, politico ed economico fosse in sintonia con le condizioni peculiari del paese, tuttavia era quello che si trovava in una situazione militare meno vantaggiosa. Disponeva di armamenti sovietici, ma era privo di personale capace di servirsene. Le truppe regolari dello Zaire, invece, ben addestrate ed equipaggiate, erano penetrate in Angola fin dal 25 marzo, proclamando a Carmona un governo di fatto presieduto dal dirigente del Fronte nazionale di liberazione dell’Angola (FNLA), oltre che cognato di Mobutu, Holden Roberto, i cui legami con la CIA erano di dominio pubblico. A ovest, sotto la protezione dello Zambia, c’era l’Unità nazionale per l’indipendenza totale dell’Angola (UNITA) al comando di Jonas Savimbi, un avventuriero senza principi che aveva costantemente collaborato con i militari portoghesi e le imprese straniere dedite allo sfruttamento. Infine, il 5 agosto le truppe regolari del Sudafrica, attraverso il territorio occupato dalla Namibia, avevano varcato la frontiera meridionale dell’Angola, con il pretesto di proteggere le prese d’acqua del complesso idroelettrico di Raucana-Caluaqua.

Il primo contingente

Tutte queste forze con le loro enormi risorse economiche e militari erano pronte per stringere intorno a Luanda un assedio implacabile la vigilia dell’11 novembre, quando l’esercito portoghese avrebbe abbandonato quel vasto e ricco e bel territorio dov’erano stati felici per cinquecento anni. Sicché, quando i dirigenti cubani ricevettero la richiesta di Neto non si attennero ai suoi esatti termini, ma decisero di mandare subito un contingente di 480 esperti che nel giro di sei mesi dovevano allestire 4 centri di addestramento e organizzare 16 battaglioni di fanteria, oltre a 25 batterie di mortai e mitragliatrici antiaeree. Mandarono inoltre, a titolo di complemento, una brigata di medici, 115 veicoli e un’adeguata apparecchiatura per le comunicazioni.
Quel primo contingente fu trasportato su tre navi improvvisate. Il Viet Nam Heroico, l’unica per passeggeri, era stata comprata dal dittatore Fulgencio Batista a una compagnia olandese nel 1956, e trasformata in nave scuola. Le altre due, la Coral Island e La Plata, erano navi mercantili adattate d’urgenza. Tuttavia, il modo in cui furono caricate illustra benissimo il senso di preveggenza e l’audacia con cui i cubani avrebbero affrontato l’impresa angolana.
Sembra strano che portassero da Cuba il combustibile per i veicoli. In effetti, l’Angola è produttrice di petrolio mentre i cubani devono trasportarlo per mezzo mondo dall’Unione Sovietica. Tuttavia, preferivano andare sul sicuro e fin da quel primo viaggio portarono con sé 1000 tonnellate di benzina suddivisa in tre navi. Il Viet Nam Heroico trasportò 200 tonnellate in serbatoi da 55 galloni, viaggiando con le stive aperte per consentire l’eliminazione dei gas. La Plata trasportò la benzina in coperta. La notte in cui finirono di stivare le navi coincise con una festa popolare cubana, ed esplodevano mortaretti, e si fecero prodigi pirotecnici persino sui moli di El Mariel, nei pressi dell’Avana, dove una scintilla vagabonda poteva mandare in fumo quei tre arsenali galleggianti.
Lo stesso Fidel Castro si recò a salutarli, come avrebbe fatto con tutti i contingenti in partenza per l’Angola, e dopo aver visto le condizioni in cui viaggiavano pronunciò una sua frase tipica che però parve casuale. «Comunque» disse «stanno più comodi che sul Granma
Non c’era alcuna certezza che i militari portoghesi avrebbero permesso lo sbarco degli istruttori cubani. Il 26 luglio di quell’anno, quando Cuba aveva già ricevuto la prima richiesta di aiuto dell’MPLA, Fidel Castro sollecitò il colonnello Otelo Saraiva de Carvalho a ottenere l’autorizzazione del governo portoghese all’invio di rifornimenti in Angola, e Saraiva de Carvalho promise che ci sarebbe riuscito, ma la sua risposta non è ancora arrivata. Così la Viet Nam Heroico arrivò a Porto Amboim il 4 ottobre alle 6.30 del mattino, la Coral Island il 7 e La Plata l’11 a Punta Nera. Arrivarono senza alcun permesso, ma anche senza alcuna opposizione.
Come previsto, gli istruttori cubani furono accolti dall’MPLA, e fecero subito funzionare le quattro scuole per istruttori. Una a Dalatando, che i portoghesi chiamavano Salazar, 300 chilometri a est di Luanda; un’altra nel porto atlantico di Benguela; la terza a Saurimo, l’antica Henrique de Carvalho, nella remota e deserta provincia orientale di Luanda, dove i portoghesi distrussero la loro base militare prima di abbandonarla, e la quarta nell’enclave di Cabinda. In quel momento le truppe di Holden Roberto erano talmente vicine a Luanda, che un istruttore dell’artiglieria cubana stava impartendo le prime lezioni ai suoi alunni a Dalatando, e dal luogo in cui si trovava vedeva avanzare i mezzi blindati dei mercenari. Il 23 ottobre le truppe regolari sudafricane penetrarono dalla Namibia con una brigata meccanizzata, e tre giorni dopo occuparono le città di Sa de Bandeira e Moçamedes senza incontrare resistenza.
Era una passeggiata domenicale. I sudafricani avevano apparecchi che trasmettevano musiche festose, installati sui carri armati. A nord, il comandante di una colonna di mercenari dirigeva le operazioni a bordo di una Honda sportiva, accanto a una bionda cinematografica. Avanzava con un’aria vacanziera, senza esploratori, e non dovette neppure rendersi conto da dove partì il missile che mandò l’auto in mille pezzi. Nel bagaglio della donna furono trovati solo un abito da sera, un bikini e il biglietto d’invito alla festa per la vittoria che Holden Roberto aveva già organizzato a Luanda.
Alla fine della settimana i sudafricani erano penetrati per oltre 600 chilometri in territorio angolano e marciavano su Luanda a circa 70 chilometri al giorno. Il 3 novembre assalirono lo scarso personale del centro di addestramento per reclute di Benguela. Gli istruttori cubani dovettero quindi abbandonare la scuola per affrontare gli invasori con i loro apprendisti soldati, ai quali impartivano istruzioni durante le pause delle battaglie. Persino i medici rivissero le loro imprese di miliziani e andarono in trincea. I dirigenti dell’MPLA, che erano preparati per la guerriglia ma non per una guerra convenzionale, capirono allora che il complotto dei loro vicini, sostenuto dai mezzi più rapaci e devastanti dell’imperialismo, non poteva essere sconfitto senza un appello urgente alla solidarietà internazionale.

Internazionalismo cubano

Lo spirito internazionalista dei cubani è una virtù storica. Sebbene la Rivoluzione lo abbia definito ed esaltato grazie ai principi del marxismo, la sua essenza era già ben delineata nel comportamento e nell’opera di José Martí. Questa vocazione è stata evidente – e conflittuale – in America Latina, Africa e Asia.
In Algeria, ancor prima che la Rivoluzione cubana proclamasse il suo carattere socialista, Cuba aveva già prestato un aiuto ragguardevole ai combattenti dell’FLN nella loro guerra contro il colonialismo francese. Al punto che il governo del generale De Gaulle proibì, a titolo di rappresaglia, i voli della compagnia cubana nei cieli francesi. In seguito, mentre Cuba era devastata dal ciclone Flora, un battaglione di combattenti internazionalisti cubani andò a difendere l’Algeria contro il Marocco. Si può dire che di questi tempi non c’è stato un movimento di liberazione africano che non abbia potuto contare sulla solidarietà di Cuba, espressa sia con materiali e armamenti sia con la formazione di tecnici ed esperti militari e civili. Il Mozambico, fin dal 1963, la Guinea-Bissau, fin dal 1965, e a un certo punto anche il Camerun e la Sierra Leone hanno chiesto e in qualche misura ottenuto l’aiuto solidale dei cubani.
Il presidente della Repubblica della Guinea, Sékou Touré, respinse uno sbarco di mercenari grazie all’intervento di un’unità cubana. Il comandante Pedro Rodríguez Peralta, ora membro del comitato centrale del Partito comunista di Cuba, fu catturato e incarcerato per diversi anni dai portoghesi in Guinea-Bissau. Quando Agostinho Neto rivolse un appello agli studenti angolani in Portogallo affinché andassero a studiare nei paesi socialisti, molti furono accolti a Cuba. Attualmente, sono tutti impegnati nella costruzione del socialismo in Angola, e alcuni occupano posizioni di spicco.
È il caso di Mingas, economista e attuale ministro delle Finanze angolano; di Enrique Dos Santos, ingegnere geologo, comandante e membro del comitato centrale dell’MPLA, sposato con una cubana; di Mantos, ingegnere agronomo e attuale comandante dell’accademia militare; di N’Dalo, che da studente si mise in luce come il miglior giocatore di calcio di Cuba e attualmente è il vicecomandante della prima brigata angolana. (Alcuni di questi nomi sono pseudonimi assunti in clandestinità e in guerra, e poi conservati una volta raggiunto il potere. Jacobo Caetano, per esempio, usa ancora il suo: Mostro Immortale.)
Comunque, niente illumina meglio circa l’antichità e l’intensità della presenza cubana in Africa quanto il fatto che lo stesso Che Guevara, all’apogeo della sua fama e dell’età, sia andato a battersi con i guerriglieri in Congo. Partì il 25 aprile 1965, lo stesso giorno della sua lettera di commiato a Fidel Castro, nella quale rinunciava al grado di comandante e a tutto quanto lo vincolava legalmente al governo di Cuba. Partì da solo, prendendo aerei di linea, con nome e passaporto falsi, la fisionomia appena alterata da due interventi magistrali e una valigetta da uomo d’affari con libri di letteratura e parecchi inalatori per la sua asma insaziabile, ingannando le ore morte nelle stanze degli alberghi con interminabili partite solitarie a scacchi. Tre mesi dopo si unirono a lui in Congo 200 soldati cubani giunti dall’Avana su una nave carica di armamenti. La missione specifica del Che consisteva nell’addestrare guerriglieri per il Consiglio nazionale della Rivoluzione del Congo, che si battevano contro Moïse Ciombe, fantoccio degli antichi coloni belgi e delle compagnie minerarie internazionali. Lumumba era stato assassinato.
Il comandante supremo del Consiglio nazionale della Rivoluzione era Gaston Soumialot, ma a dirigere le operazioni era Laurent Kabila dal suo nascondiglio di Kigoma, sulla riva opposta del lago Tanganica. Tale situazione contribuì sicuramente a proteggere la vera identità di Che Guevara, e lui stesso, per maggior sicurezza, non figurava come comandante in capo della missione. Era conosciuto con lo pseudonimo di Tatu, che è il nome del numero due in lingua swahili.

Ritorno del Che

Che Guevara rimase in Congo dall’aprile al dicembre del 1965. Non solo addestrava guerriglieri, ma li dirigeva pure in combattimento e si batteva insieme a loro. I suoi legami personali con Fidel Castro, sui quali si è tanto discusso, non vennero mai meno. I loro contatti furono costanti e cordiali grazie a sistemi di comunicazione molto efficienti. Quando Moïse Ciombe fu sconfitto, i congolesi chiesero il ritiro dei cubani in modo da facilitare l’armistizio. Che Guevara se ne andò com’era arrivato: senza chiasso. Partì dall’aeroporto di Dar es Salam, città principale della Tanzania, su un aereo di linea, mentre leggeva da cima a fondo un libro di problemi scacchistici per nascondersi il viso durante le sei ore di volo, mentre sul sedile accanto il suo attendente cubano cercava di intrattenere il commissario politico dell’esercito di Zanzibar, che era un vecchio ammiratore di Che Guevara e parlò di lui senza sosta per tutto il viaggio, cercando di avere sue notizie ed esprimendo in continuazione il desiderio di rivederlo.
Quel passaggio anonimo e fugace di Che Guevara in Africa lasciò un seme che nessuno avrebbe sradicato. Alcuni suoi uomini si trasferirono a Brazzaville, dove addestrarono unità di guerriglia del Partito africano per l’Indipendenza della Guinea e di Capo Verde (PAIGC), diretto da Amílcar Cabral, e soprattutto dell’MPLA. Una colonna addestrata da loro entrò clandestinamente in Angola passando per Kinshasa e si unì alla lotta contro i portoghesi con il nome di Colonna Camilo Cienfuegos. Un’altra si infiltrò a Cabinda, e in seguito attraversò il fiume Congo e si stabilì nella zona di Dembo, dov’era nato Agostinho Neto e si era lottato contro i portoghesi per cinque secoli. L’azione solidale di Cuba in Angola, quindi, non fu un atto impulsivo e casuale, ma la prosecuzione della politica della Rivoluzione cubana in Africa. Solo che c’era un elemento nuovo e drammatico in questa delicata decisione. Questa volta non si trattava semplicemente di inviare degli aiuti, ma di intraprendere una guerra regolare su vasta scala a 10.000 chilometri da casa, con costi economici e umani incalcolabili e imprevedibili conseguenze politiche.

Posizione degli Stati Uniti

L’eventualità che gli Stati Uniti intervenissero in modo aperto, e non tramite i mercenari e il Sudafrica come avevano fatto fino a quel momento, era sicuramente uno degli enigmi più inquietanti. Tuttavia, una rapida analisi consentiva di prevedere che perlomeno ci avrebbero pensato su un bel po’, visto che erano appena usciti dal pantano del Vietnam e dallo scandalo del Watergate, e si ritrovavano con un presidente che nessuno aveva eletto, con la CIA fustigata dal Congresso e screditata di fronte all’opinione pubblica, dovendo stare attenti a non mostrarsi alleati del Sudafrica razzista, non solo dinanzi alla maggioranza dei paesi africani ma anche agli stessi neri degli Stati Uniti, e per di più nel bel mezzo della campagna elettorale e nell’anno speciale del bicentenario.
D’altra parte i cubani erano sicuri di poter contare sull’aiuto e sulla solidarietà dell’Unione Sovietica e degli altri paesi socialisti, ma erano altresì consapevoli delle possibili implicazioni della loro azione sulla politica di coesistenza pacifica e sulla distensione internazionale. Era una decisione dalle conseguenze irreversibili, e un problema troppo grande e complesso per risolverlo in ventiquattr’ore. Comunque, la direzione del Partito comunista cubano non ebbe più di ventiquattr’ore per decidere, e lo fece senza esitare, il 5 novembre, nel corso di una riunione lunga e serena. Al contrario di quanto si è detto così spesso, si trattò di un atto indipendente e sovrano di Cuba, e fu notificato all’Unione Sovietic...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. A ruota libera
  4. Il Cile, il golpe e i gringo
  5. Incontro con Philip Agee
  6. Lo scontro in cui è morto Miguel Enríquez
  7. Portogallo, territorio libero d’Europa
  8. Cuba da cima a fondo
  9. «Sì, la resistenza cilena esiste»
  10. «Siamo un esercito integrato nella vita quotidiana»
  11. «Montoneros: guerrieri e politici»
  12. Non mi viene in mente neanche un titolo
  13. Operazione Carlota: Cuba in Angola
  14. Al generale Torrijos invece qualcuno scrive
  15. Angola, un anno dopo
  16. Rodolfo Walsh, lo scrittore che arrivò prima della CIA
  17. Torrijos, incrocio di giaguaro e mula
  18. I mesi bui: il Che in Congo
  19. «Rivoluzione si scrive senza maiuscole»
  20. Il golpe sandinista
  21. I cubani davanti al blocco
  22. Il Vietnam dall’interno
  23. Bateman: mistero senza soluzione
  24. Dalle mie memorie: visita al papa
  25. Dalle mie memorie: Guillermo Cano
  26. Cosa succede in Colombia?
  27. Quali sono le priorità dell’umanità per i prossimi decenni?
  28. Appunti per un nuovo dibattito sulle droghe
  29. Per un paese alla portata dei bambini
  30. L’amaro aprile di Felipe
  31. L’ottimismo insaziabile di Federico
  32. Copyright