Il faraone delle sabbie
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Il faraone delle sabbie

  1. 378 pagine
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Il faraone delle sabbie

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Informazioni sul libro

Mentre lo scontro fra i terroristi palestinesi e il Mossad rischia di far esplodere la polveriera del Medio Oriente, William Blake, egittologo di fama mondiale, viene chiamato per esaminare una strana tomba che nasconde un incredibile segreto, in grado di sconvolgere gli equilibri del mondo.
Un thriller archeologico che coinvolge il lettore in un'avventura misteriosa e estrema.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
ISBN
9788852016813

1

Gerusalemme, anno decimottavo del regno di Nabucodonosor, il nove del quarto mese. Undecimo del re di Giuda, Sedecia
Il profeta volse lo sguardo verso la valle gremita di fuochi e poi verso il cielo deserto e sospirò. Le trincee cingevano i fianchi di Sion, gli arieti e le macchine ossidionali minacciavano i suoi bastioni. Nelle case desolate i bambini piangevano chiedendo pane e non v’era chi lo spezzasse per loro; i vecchi si trascinavano per le strade sfiniti dal digiuno e venivano meno nelle piazze della città.
«È finita» disse rivolto al compagno che lo seguiva dappresso. «È finita, Baruc. Se il re non mi dà ascolto non ci sarà salvezza per la sua casa né per la casa del Signore. Gli parlerò un’ultima volta ma non ho molte speranze.»
Riprese il cammino attraverso le strade vuote e si fermò dopo un poco per lasciar passare un gruppo di persone che trasportavano, senza pianto, un feretro con passo frettoloso. Solo la salma si distingueva nel buio per il colore chiaro del sudario che l’avvolgeva. Li guardò per un poco scendere quasi trotterellando per la strada verso il cimitero che il re aveva fatto aprire a ridosso delle mura e che da tempo non era più sufficiente a contenere i cadaveri che la guerra, la fame e la carestia vi riversavano ogni giorno in grande numero.
«Perché il Signore sorregge Nabucodonosor di Babilonia e gli consente di imporre un giogo di ferro a tutte le nazioni?» chiese Baruc mentre il profeta riprendeva il cammino. «Perché si allea con lui che è già il più forte?»
Il palazzo si ergeva ormai a poca distanza da loro, presso la Torre di David. Il profeta si inoltrò nella spianata e si volse indietro mentre la luna si apriva un varco fra le nubi suscitando dal buio la mole silenziosa del Tempio di Salomone. Lo contemplò con gli occhi lucidi mentre la luce lunare brillava sulle grandi colonne, risplendeva sul mare di bronzo e sui pinnacoli dorati. Pensò ai riti solenni celebrati per secoli in quel cortile, alle folle che lo gremivano nei giorni di festa, al fumo delle vittime che saliva dagli altari per il Signore. Pensò che tutto sarebbe finito, che tutto sarebbe morto nel silenzio di tanti anni o di tanti secoli e trattenne a stento le lacrime. Baruc lo scosse: «Andiamo, rabbi, è tardi».
Il re vegliava a notte inoltrata con i capi del suo esercito e con i suoi ministri tenendo consiglio. Il profeta avanzò verso di lui e tutti si volsero al suono del suo bastone che percuoteva le pietre del pavimento.
«Hai chiesto di vedermi» disse il re. «Che cos’hai da dirmi?»
«Arrenditi» disse il profeta parandoglisi dinnanzi. «Vestiti di sacco, cospargiti il capo di cenere ed esci a piedi scalzi dalla città; prosternati ai suoi piedi e invoca il suo perdono. Il Signore mi ha detto: “Io ho consegnato il paese in potere di Nabucodonosor, re di Babilonia, mio servo, perfino il bestiame dei campi gli ho consegnato”. Non c’è scampo, o re. Consegnati e implora la sua clemenza. Forse egli risparmierà la tua famiglia e forse risparmierà la casa del Signore.»
Il re abbassò il capo e restò a lungo senza parlare. Era smunto e smagrito e aveva le occhiaie scure e incavate.
“I re sono il cuore delle nazioni” pensava fra sé il profeta mentre lo scrutava attendendo la sua risposta “e per natura sanno di avere molte corazze che li proteggono: confini e guarnigioni, fortezze e baluardi. Per questo, quando un re si sente raggiunto dal nemico il suo sgomento e il suo terrore crescono a dismisura, mille volte più che nel più povero e nel più umile dei suoi sudditi che da sempre sa di essere nudo.”
«Non mi arrenderò» disse il re alzando il capo. «Io non so se il Signore nostro Dio ti abbia veramente parlato, se veramente ti abbia detto che ha consegnato il suo popolo nelle mani di un tiranno straniero, di un adoratore d’idoli. Io sono più propenso a credere che un servo del re di Babilonia o il re in persona ti abbia parlato, e abbia corrotto il tuo cuore. Tu parli a favore del nemico invasore contro il tuo re, unto del Signore.»
«Menti» disse il profeta sdegnato. «Nabucodonosor ti aveva dato la sua fiducia facendoti pastore del suo popolo nella terra d’Israele e tu lo hai tradito, hai tramato di nascosto con gli egiziani che un tempo tennero Israele in schiavitù.»
Il re non reagì a quelle parole. Si avvicinò ad una finestra e tese l’orecchio ad un sommesso brontolìo di tuono. Il cielo si era richiuso sulle mura di Sion e il grande Tempio era solo un’ombra nel buio. Si passò una mano sulla fronte sudata mentre il tuono si spegneva lontano verso il deserto di Giuda. Il silenzio era totale ora perché non c’erano più cani né uccelli né alcun altro animale a Gerusalemme. Tutti li aveva divorati la fame. E alle donne era stato fatto divieto di piangere i morti affinché la città non risuonasse in perpetuo di lamenti.
A un tratto disse: «Il Signore ci ha dato una terra eternamente contesa, stretta fra potenti vicini. Una terra che continuamente ci viene strappata e che noi, disperatamente, cerchiamo di riprenderci. E ogni volta dobbiamo macchiarci le mani di sangue».
Il volto del re era pallido come quello di un cadavere ma gli occhi sembrarono per un momento ardere di sogni: «Se egli ci avesse dato un altro luogo, remoto e sicuro, ricco di frutti e di bestiame, stretto fra alti monti e sconosciuto alle nazioni della terra avrei forse tramato con il faraone? Sarei forse ricorso al suo aiuto per affrancare il mio popolo dal giogo di Babilonia? Rispondimi» disse. «E rispondimi presto perché non c’è più tempo.»
Il profeta lo guardò e vide che era perduto. «Non ho altro da dirti» rispose. «Il vero profeta è colui che consiglia la pace. Ma tu osi chiedere conto al Signore del suo operato, tu osi tentare il Signore Dio tuo. Addio, Sedecia. Non hai voluto darmi ascolto e per questo il tuo cammino sarà nelle tenebre.»
Si volse al suo compagno e disse: «Andiamo, Baruc, qui non ci sono orecchie per le mie parole».
Uscirono e il re ascoltò il rumore del bastone del profeta che si attenuava lontano nell’atrio colonnato fino a dissolversi nel silenzio. Guardò i suoi consiglieri e li vide atterriti; i loro volti erano verdi per la stanchezza, la lunga veglia e la paura: «Ormai è giunto il momento,» disse «non possiamo più indugiare. Mettete in atto il piano che abbiamo preparato e radunate l’esercito nel massimo silenzio. Distribuite di nascosto le ultime razioni di cibo, gli uomini avranno bisogno di tutte le energie».
In quel momento giunse un ufficiale della guardia: «Re,» disse «la breccia è quasi aperta. Un reparto dell’esercito sotto il comando di Etan sta uscendo in questo momento dalla porta orientale per fare una sortita e attirare il nemico da quella parte. È ora».
Sedecia annuì. Si tolse il mantello reale e indossò l’armatura, sospese la spada all’omero: «Andiamo» disse. Lo seguivano la regina madre Camutàl, le sue mogli, gli eunuchi, i suoi figli Eliel, Achis e Amasai, e i capi del suo esercito.
Scesero le scale fino al quartiere delle donne e di là entrarono nel giardino della reggia. Un gruppo di tagliapietre aveva quasi terminato di aprire un varco nelle mura dalla parte della piscina di Siloe e due esploratori erano già scesi in gran silenzio per controllare che la via fosse sgombra.
Il re attese che le ultime pietre fossero tolte poi uscì all’aperto. Dalla valle saliva il vento caldo e secco che aveva attraversato il deserto ed egli si appoggiò alle pietre delle mura cercando di dominare l’ansia che lo soffocava. Gli ufficiali intanto facevano uscire in gran fretta gli uomini e li facevano mettere al riparo dietro le rocce.
Di lontano giunse d’un tratto il suono delle trombe e il clamore della battaglia: Etan aveva attaccato le linee d’assedio babilonesi e subito squillarono i corni nella valle chiamando a raccolta i soldati di Nabucodonosor. Il re Sedecia riprese coraggio: il sacrificio dei suoi uomini non sarebbe stato vano ed egli avrebbe forse potuto passare indenne attraverso le linee nemiche e raggiungere il deserto dove sarebbe stato al sicuro. Passò ancora del tempo e d’un tratto una luce si accese in fondo alla valle, oscillò a destra e a sinistra tre volte.
«Il segnale, finalmente!» disse il comandante dell’esercito. «La via è sgombra, possiamo metterci in cammino.» Passò la parola d’ordine agli altri ufficiali perché la passassero ai soldati e diede ordine di partire.
Il re marciava al centro della fila e assieme a lui camminavano i figli più grandi: Eliel, il maggiore, che aveva dodici anni e Achis che ne aveva nove. Il più piccolo, Amasai, aveva soltanto cinque anni e lo teneva in braccio l’aiutante di campo del re perché non piangesse e non li facesse scoprire se per caso si aggirassero nella zona delle spie nemiche.
Raggiunsero il fondo della valle e il comandante tese l’orecchio verso oriente: «Etan li sta impegnando ancora» disse «e forse ci permetterà di metterci in salvo. Che il Signore gli dia forza e dia forza agli eroi che si battono al suo fianco. Andiamo, ora, muoviamoci più in fretta che sia possibile».
Presero verso meridione in direzione di Hebron con l’intenzione di raggiungere Beer Sheva e di là cercare scampo in Egitto. Seguivano il re Sedecia circa millecinquecento uomini, tutti quelli che ancora erano in grado di portare le armi.
Ma gli uomini di Etan che erano stremati dagli stenti non poterono resistere a lungo al contrattacco dei babilonesi, numerosi, ben nutriti e bene armati e furono presto messi in rotta e massacrati. Molti di loro furono presi vivi e torturati a morte. Qualcuno, non sopportando le atroci sofferenze, rivelò il piano del re e subito Nabucodonosor ne fu avvertito.
Dormiva nel suo padiglione su un letto di porpora circondato dalle sue concubine quando lo svegliò un ufficiale inviato dal suo comandante Nabuzardàn.
Il re si levò dal letto e comandò agli eunuchi che lo vestissero, all’aiutante di campo che gli portasse l’armatura e facesse preparare il carro da guerra.
«Fai preparare il mio carro e raduna la mia guardia» disse. «Non attenderò il ritorno di Nabuzardàn. Io stesso mi metterò sulle sue tracce.» L’ufficiale si inchinò e uscì per dare ordine che fosse fatto ciò che il re aveva comandato.
Poco dopo il re in persona uscì dal suo padiglione e salì sul carro. L’auriga frustò e tutto lo squadrone seguì in colonna sollevando una densa nube di polvere.
Verso oriente le nubi si erano diradate e il cielo cominciava ad impallidire per l’approssimarsi dell’alba. Il canto delle allodole saliva verso il sole che si affacciava lentamente all’orizzonte. I prigionieri giudei vennero impalati. Il loro comandante Etan, per il grande valore che aveva dimostrato, fu crocefisso.
Il re Sedecia giunse nella piana di Hebron che il sole splendeva già alto nel cielo e si sedette all’ombra di una palma a bere un po’ d’acqua e mangiare un poco di pane e di olive salate assieme ai suoi uomini per riprendere le forze. Intanto i suoi ufficiali cercavano dei cavalli e dei cammelli nelle stalle della città per potersi muovere più speditamente.
Quando ebbe mangiato e bevuto il re si volse al comandante dell’esercito: «Quanto tempo pensi che sarà necessario prima che i miei servi abbiano radunato in numero sufficiente cavalli, muli e cammelli che ci consentano di muoverci più veloci sulla strada per Beer Sheva? I miei figli sono stremati e non riescono più a camminare».
Il comandante fece per rispondere ma restò d’un tratto immobile tendendo l’orecchio a un rumore lontano, come di tuono.
«Lo senti anche tu, mio re?»
«È il temporale che si avvicinava a Gerusalemme questa notte.»
«No, Signore, quelle nubi sono ora sul mare. Questa non è la voce della tempesta…» e mentre pronunciava quelle parole il volto gli si riempì di sgomento e di terrore perché aveva visto, sulla sommità dell’altopiano che sovrastava la città, una nube di polvere e dentro la nube, dispiegati in un vasto spazio, i carri da guerra dei babilonesi.
«Mio re,» disse «siamo perduti. Non ci resta che morire da uomini con la spada in pugno.»
«Io non voglio morire» disse Sedecia. «Io devo salvare il trono d’Israele e i miei figli. Fai schierare l’esercito e fammi portare subito dei cavalli: il Signore combatterà al vostro fianco e questa sera mi raggiungerete vincitori nell’oasi di Beer Sheva. Ho dato disposizione che la regina madre e le mie spose vi attendano in Hebron. Viaggeranno con voi più confortevolmente quando mi raggiungerete a Beer Sheva.»
Il comandante fece come gli era stato ordinato e schierò l’esercito, ma gli uomini si sentirono sciogliere le ginocchia appena videro centinaia di carri scendere a grande velocità verso di loro, quando videro lampeggiare le falci che sporgevano in fuori dagli assali per tagliare a pezzi chiunque incontrassero. Il terreno tremava come scosso dal terremoto e l’aria si riempiva di un rombo di tuono, risuonava dei nitriti di migliaia di cavalli e del fragore dei cerchioni di bronzo sul terreno.
Alcuni di loro si volsero indietro e videro il re che cercava di fuggire a cavallo assieme ai figli e gridarono: «Il re fugge! Il re ci abbandona!». E subito l’esercito si sbandò e si sciolse e gli uomini si diedero alla fuga in tutte le direzioni. I guerrieri babilonesi li inseguivano sui carri come se cacciassero animali selvaggi nel deserto. Li trapassavano con le lance o li trafiggevano con le frecce come fossero gazzelle o antilopi.
Il comandante Nabuzardàn vide Sedecia che fuggiva a cavallo assieme ai figli, tenendo il più piccolo stretto al petto davanti a sé sulla sua cavalcatura. Fece un segno con il suo stendardo e un gruppo di carri si allargò a semicerchio abbandonando la caccia ai fuggiaschi nella pianura.
In breve Sedecia fu circondato e dovette fermarsi. I guerrieri babilonesi lo condussero alla presenza di Nabuzardàn che lo fece incatenare assieme ai suoi figli. Non fu dato loro né da mangiare né da bere, né fu concesso loro riposo. Il re fu trascinato attraverso la pianura cosparsa dei cadaveri dei suoi soldati e dovette marciare vicino agli altri che erano stati catturati e fatti prigionieri e lo guardavano con disprezzo e con odio perché li aveva abbandonati.
La colonna dei carri si diresse nuovamente a settentrione verso Ribla dove il re Nabucodonosor li attendeva. Sedecia fu condotto alla sua presenza assieme ai figli. Il più grande, Eliel, cercava di consolare il piccolo Amasai che piangeva disperato con il volto sporco di muco, di polvere e di lacrime.
Sedecia si prostrò con la faccia a terra: «Ti imploro,» disse «grande re. Per la mia inesperienza e per la mia debolezza ho ceduto alle lusinghe e alle minacce del re d’Egitto e ho tradito la tua fiducia. Fai di me ciò che vuoi ma risparmia i miei figli. Sono dei bambini innocenti. Prendili con te a Babilonia, falli crescere nella vista del tuo splendore ed essi ti serviranno fedelmente».
Il principe Eliel gridò: «Levati, padre! Levati o re d’Israele, non sporcare la fronte nella polvere! Non temiamo la ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il Faraone delle Sabbie
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. Epilogo
  21. Nota dell’autore
  22. Copyright