La felicità è qui
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La felicità è qui

Domande e risposte sulla vita, l'amore, l'eternità

  1. 156 pagine
  2. Italian
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La felicità è qui

Domande e risposte sulla vita, l'amore, l'eternità

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Informazioni sul libro

"Non puoi essere sempre felice e se ti illudi di esserlo vuol dire che sei finto. Sarebbe come dire a una pianta che sta perdendo le foglie: 'Dài fiorisci, così sarai felice'. Mentre perde le foglie, la pianta sta realizzando alcune delle sue capacità, che si manifestano proprio in quel preciso momento."
"L'identificazione: questo è il nemico. Cioè il credere che tu ti debba richiamare alla visione comune. Rientrare nello schema che ci hanno disegnato gli altri. Passiamo il 99 per cento della vita a imitare. E a malapena l'1 per cento a creare."
"Noi sappiamo che in molte cose della vita il pensiero non serve. È inutile. Quando ti innamori, guai se ti metti a ragionare. Diventa un inferno."
"Darsi una meta da raggiungere è un grave errore, perché con questo atteggiamento ostacoli il progetto che la tua essenza ha già tracciato per te. Quando invece sei davvero te stesso? Quando sei spontaneo, naturale, quando non fai fatica."
La psicologia di Morelli è una filosofia che cura l'anima. Ci fa amare i nostri vizi, ribaltare i pregiudizi, scoprire i veri tesori nascosti.
Nelle pagine di questo libro, come un allievo davanti al proprio maestro, il giornalista Luciano Falsiroli lo interroga con tutte le domande che ogni suo lettore vorrebbe porgli: la felicità, l'amore, le scelte della vita, la famiglia, i giovani, la morte, l'eternità... Morelli risponde spiazzandoci ogni volta, mostrandoci punti di vista inaspettati, varchi. Ci parla di piante che fioriscono, di ragni che fanno la tela, di parte sconosciuta, di sapere innato. E quello che impariamo, in fondo, è come essere davvero felici con noi stessi.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
ISBN
9788852019340
Argomento
Psicologia
1

Chi siamo

Sì. Il sole sorge a oriente ma sorge anche dentro di te.

SI FA GIORNO

Stiamo per incominciare il nostro viaggio. Che ne dice se prendessimo il via dal risveglio, che ha posto fine al riposo notturno? Adesso è mattina e si deve ripartire. Spesso con il pensiero rivolto a ciò che ci ha lasciato in eredità la vita del giorno prima. Con quale spirito sarebbe salutare riprendere il cammino quotidiano?
Io ricordo un pezzo di Jung citato da Serrano. Jung racconta che un giorno andò a trovare degli indiani Navajos. Rimase sorpreso perché li vide raccolti in gruppo. Erano in gran parte vecchi, seduti in una posizione meditativa. Si avvicinò a uno di loro e gli chiese: “Ma cosa state facendo qui?”.
“Aiutiamo il sole a sorgere” fu la risposta del vecchio indiano. “Noi aiutiamo il sole a sorgere tutti i giorni.” E aggiunse: “Sono gli dei a volerlo. E se i bianchi non rispettano i nostri dei, il sole non soltanto si spegnerà ma non sorgerà più. Né per noi né per loro…”.
Jung rimase colpito. Si chiese cosa volesse dire “rispettare i loro dei”. Noi siamo esseri ragionevoli, siamo essere pensanti. Crediamo che la ragione sia la forza della nostra grandezza.
Evidentemente non è così! Il messaggio degli indiani Navajos è un messaggio forte. Tale lo ha considerato Jung. “Noi aiutiamo il sole a sorgere…”: non è impegno da poco. Ed è pure un messaggio chiaro. Io lo leggo così: quando al mattino ti svegli, ritrovi la coscienza che hai fatto dormire,affidandola all’utero della notte. Ogni mattina la fai rinascere. Diventi l’artefice di una creazione. Come tutti gli uomini, tu sei un artefice speciale, sei artefice di un qualcosa che assolve il compito di aiutare il sole a sorgere. Intendiamoci, il sole non è quello che vediamo. Ma il sole della tua coscienza. Jung accetta il pensiero dei Navajos e ci avverte che se ignoriamo i nostri dei il sole non sorgerà più per nessuno…
Ma chi sono i nostri dei? Gli dei sono le forze misteriose che ci abitano. Che ci fanno vivere. Come si manifestano? Improvvisamente e mai a comando. Siamo capaci di gesti affettuosi, siamo capaci di cambiare direzione, capaci di mentire, capaci di amare. Ci sentiamo avidi ma ci scopriamo anche generosi, altruisti. A volte siamo Saturno, a volte siamo l’intelligenza profonda e libera di Atena. A volte siamo il desiderio erotico di Venere, a volte siamo l’assenza di desiderio di chi si sente soddisfatto perché ha raggiunto il punto più alto del piacere, l’estasi. Siamo tutto nel tutto. Questo significa che un buon risveglio del mattino vuol dire ricordarsi che il sole non sorge solo per te, ma nasce per tutti. Un buon risveglio è sapere che stai contribuendo alla creazione, perché nel momento in cui la coscienza sorge in te, sorge anche in tutto il cosmo.

TU E L’ALTRO

Dal cosmo all’io. Accettarsi, conoscersi sono bersagli cui mirare, essenziali per dare vitalità alla nostra esistenza o tortuosità cerebrali che alla fine esauriscono il nostro spirito di avventura, presente in ogni anima? Cioè questo accettarsi, questo conoscersi è un obiettivo valido, un procedimento davvero utile da compiere, e vitale?
Un mio carissimo amico, grande studioso della natura, diceva che se tu abbracci con lo sguardo un intero campo e dici “C’è l’albero” non sei nel vero, perché fissi e presenti solo una parte del campo. Non comprendi tutto il campo, non esprimi tutto il campo. Se dici “Ci sono i fili d’erba” dai un’immagine parziale del campo, perché i fili d’erba non sono tutto il campo. Ed è lo stesso se dici “la terra”, “i fiori”, “il cielo”… Tutti questi sono “campi d’azione del campo”, l’espressione del campo. Quindi “accettarsi” che cosa vuol dire? Accettare i campi d’azione che mi abitano e che ogni tanto appaiono. Accettare tutte le mie facce. Ma questo significa che devo accettare anche quello che improvvisamente la vita mi sbatte in faccia? Come i lampi dell’invidia? Sì. A un certo momento, mi assale un impeto di invidia che non pensavo di poter covare dentro di me. Proprio io, che ho sempre pensato di non essere invidioso. E ora, che faccio? Cosa dico a me stesso? Nulla. Devo solo accoglierlo.
Così un’ora dopo, quando mi accorgo che ho un impeto di generosità che non provavo da tempo. Oppure alla sera, quando mi prende il desiderio di una donna, che ho visto in quel momento. Accettarsi cos’è? La parola “accettarsi” implica il dirsi: “Guarda che così va bene” o “Guarda che va bene comunque”. Al di là di tutto quello che vorresti essere.
Accettarsi vuol dire ammettere che c’è anche l’“altro”, quello invidioso, quello geloso e pure quello arrabbiato. Sento nascere dentro di me l’invidia? Ebbene devo percepirla, anche se c’è una voce pronta a dirmi che devo cacciarla via. Una voce forse ereditata da una educazione cattolica male interpretata.
Ci aiuti con una spiegazione semplice, indicandoci magari una soluzione da mettere facilmente in pratica. E ci spieghi soprattutto quanto è importante questo suo “accettarsi”.
Non è un’impresa ardua. Dobbiamo solo compiere un passo che è alla nostra portata, un passo che si rivelerà decisivo: cogliere la “precarietà del tutto”. La precarietà… Tutto è diverso oggi, rispetto a ciò che è stato ieri… Come dire che l’invidia di oggi è diversa da quella che provavo ieri. Allora perché devo torturarmi per fare sparire l’invidia di adesso che c’è soltanto in quest’attimo irripetibile? Forse dovremmo accettare l’idea di continuità che impongo ai sentimenti? L’idea di continuità che gli attribuisco quando dico: “Ti amerò per sempre”? Ma come posso dire “sempre”, se io vivo qui, in questo preciso, unico istante?
Quindi lei ridimensiona il concetto di “accettarsi”, dal momento che noi siamo individui in perenne evoluzione?
Esattamente! Noi siamo in perenne evoluzione, in continuo mutamento. Conta soprattutto la nostra percezione. Chi di noi direbbe, se non per averlo studiato o appreso, che il mondo si è sbagliato per migliaia, per milioni di anni? Chi di noi direbbe che la terra gira intorno a se stessa e intorno al sole? Per molto tempo gli uomini hanno pensato che fosse il contrario: il sole mobile e la terra ferma.
Allo stesso modo, chi direbbe che la gelosia non è sempre la stessa? Eppure non è sempre la stessa. In alcuni momenti detta legge, in altri si volatilizza. Allora forse la chiave giusta è l’essere consapevoli dei propri stati emotivi,quando irrompono e disturbano. Prendere atto che ci sono e conviverci.
Allora finalmente si può smettere di rincorrere un inutile modello di perfezione, che ci spinge a tentare di eliminare i presunti “pensieri cattivi”, a cominciare dall’invidia: anziché accoglierla come una forza misteriosa, che viene a trovarci per esprimere una funzione che al primo impatto non sappiamo quale sia, cerchiamo di sbarazzarcene subito. Non si può dire che se l’invidia è un dio, è un dio negativo. È negativo per il mio punto di vista. E quindi la parola “conoscersi” che tu hai messo accanto alla parola “accettarsi” implica un diverso modo di comprendere se stessi.
Quando dico “Raffaele” e percepisco il Raffaele che sta parlando in questo momento, non posso avere in mente il Raffaele con la sua storia. La mia storia, in sé, non è importante. È importante quella luce interiore che è la coscienza, e quindi la consapevolezza. Per essere davvero consapevoli, dobbiamo essere presenti anche ai nostri demoni, anche se non ci piacciono.
2

Il bosco dimenticato

Se ignori la tua natura, stracci la tua carta di identità.

APPARTIENI ANCHE TU ALLA TERRA

Che idea si è fatta dell’uomo di oggi, dell’uomo che evolve? Non rischia di soffocare nell’habitat che lui stesso ha contribuito a creare, con l’idea di sentirsi più ricco e più libero ma che a poco a poco gli sta imponendo uno stile di vita, per ricorrere a un termine che si è fatto strada, globalizzato? Mi piacerebbe conoscere cosa pensa di questa evoluzione. Se c’è in atto qualcosa. Se ci sono sorprese in arrivo. E verso dove stiamo correndo.
Io penso che il vero grande dramma della nostra cultura sia la scomparsa del rapporto con la natura. Se ci guardiamo attorno si ha quasi la sensazione che la nostra civiltà abbia ripudiato la natura. Oggi un bambino può crescere, diventare uomo e vivere molti anni senza vedere un bosco. Anzi se io ti chiedessi “Quanto tempo è che non vai in un bosco?” dovresti andare molto indietro nel tempo, tutti noi dovremmo retrocedere nel tempo. Andare in un bosco, perdersi nel bosco, guardare il bosco. Perché dico il bosco? Perché il bosco apparentemente è una “presenza caotica”. Non c’è niente di più caotico di un bosco. Lì cresce l’edera, la felce, là il ciclamino e sembra tutto casuale, figlio del caso.
In realtà oggi sappiamo da alcuni studi che i semi non germogliano a caso, ma crescono vicino a piante affini, mentre si allontanano dalle piante con cui non hanno un rapporto di empatia. Sappiamo anche che i pomodori all’improvviso emettono sostanze repellenti quando li avvicinano insetti ostili. Sanno difendersi. Quindi c’è un sapere nella natura. Ecco perché giudico un grande dramma aver perso il contatto con la natura. Tu magari ti chiederai perché, in fondo è un uomo nuovo quello che nasce oggi. Già, ma le nostre fondamenta, cioè le radici, rimangono abbracciate alla natura. Guai a ignorarle o a modificarle. Racchiudono la vita, danno la vita, perché senza le sue radici una pianta muore. Radici che per natura hanno una caratteristica primaria: nascono, crescono, vivono e muoiono sempre di nascosto. Tutte le radici sono inaccessibili ai nostri occhi.
Anche l’uomo possiede questa “virtù”. Ciò che è vero di me, ciò che è autentico di me, è nascosto. Non è visibile. Quindi io sono prima di tutto l’invisibile che mi abita. Non sono io il protagonista della mia vita. Ne sono protagoniste le radici, che hanno fatto di me lo psichiatra, di te il giornalista, di lui lo psicoterapeuta. Di quell’altro il pittore, di quell’altro l’imbianchino. Le radici caratterizzano ciascun essere.

IL PUNTO FERMO: LA TRADIZIONE

Quindi oltre a vivere un’evoluzione interiore, che è di tutti, occorre ammettere che l’uomo fa la stessa strada che percorreva il suo antenato di mille anni fa. Ma allontanandosi, come dice lei, sempre più dalla natura. Perché?
È così vero quello che dici che l’uomo da sempre, da tutti i “sempre di sempre”, ha cercato, quando ha potuto, un punto fermo. Gli uomini di tutti i tempi hanno mantenuto un punto fermo, il punto fermo della tradizione. In alcune religioni si trattava del battesimo o della cresima. In altre erano i digiuni rituali della primavera. I greci e i romani inneggiavano alla natura con le feste d’autunno o del solstizio,quello che poi è diventato il nostro periodo natalizio…
Insomma, gli uomini cercavano un punto fermo. Come il sole, che sorge tutti i giorni, un punto fermo che era fuori e dentro di loro. E avevano una concezione che li teneva stretti alla natura. Nessuno si sarebbe mai sognato di farsi il lifting, nessuno si sarebbe mai sognato di abbronzarsi d’inverno. Non rientrava nella visione cosmica della psiche, che trovava la sua linfa nella tradizione.
È come se, a nostra insaputa, una voce interna, segreta ma ben udibile, ci dicesse: “Fai pure la vita che vuoi: innova, costruisci il carro, vai sulla luna. Però ricordati che tu vieni da quelle radici della terra, ricordati che l’inverno tornerà tutti gli anni”.
Non sappiamo come sarà il mondo tra mille anni, tra centomila, ma sappiamo che ci sarà l’inverno, la primavera… Non sappiamo dell’uomo che verrà, ma sappiamo che nascerà sempre da un seme… Lo manipoleremo? Sì. Ma sarà sempre un seme… Non sappiamo che cosa accadrà, ma sappiamo che l’orgasmo e l’emissione del seme saranno sempre collegati nel maschio.
Ci sono delle leggi, immutabili. Non sappiamo come sarà l’uomo di domani, ma sappiamo che avrà gli occhi a una certa distanza dalla bocca. Nella creazione c’è un grande mistero di proporzioni, dove tutti gli esseri viventi rispettano una legge eterna. La formica ha la bocca a una distanza dalla coda proporzionalmente uguale a quella che separa la bocca dell’uomo dall’ano e dai genitali. Il cranio è posto in alto, non è posto in basso. L’uomo non può ignorare queste leggi. L’uomo aveva una posizione di predominio sulla natura, ma non da nemico. Semmai in preparazione e nell’attesa di un Dio che verrà, come ben sanno gli ebrei che attendono l’era messianica, vale a dire una nuova evoluzione.
Questo era l’uomo. Oggi è cambiato, rischia di autoescludersi dal cosmo, perché non rispetta più la natura. Se non conosci il bosco, come fai a conoscere te stesso? Ecco perché noi abbiamo un’idea statica dell’invidia o della gelosia.
Gli antichi avrebbero detto: “Guarda, sono così eccitato con la mia compagna perché è venuta a trovarmi Venere”; non avrebbero mai personalizzato il rapporto fra loro. Una dea misteriosa li aveva uniti. Ecco da dove nasceva la loro visione cosmica, tradizionale. Tutto ciò che accadeva non era di loro pertinenza ma di pertinenza del cosmo, di cui l’uno e l’altra erano anzi espressione.
Quando al mattino mi sveglio io partorisco il sole. Tutti i giorni in me si formano funzioni che mi chiamano… a rapporto. Come se dentro di me, ogni giorno, le forze della natura facessero l’appello. Sarebbe una ben misera vita se dentro di me non sapessi che sto fiorendo e recidessi i fiori. Come fiorisce la natura? Con i fiori. Attenzione, il ciclamino crea il suo fiore in un preciso momento, il suo momento. La rosa fiorisce a maggio. Il melograno a settembre o in certe varietà a giugno. Non puoi pensare che il melograno fiorisca a novembre. E così ci vogliono occhi giusti per capire quando stiamo fiorendo.

DAVANTI ALL’ANIMA

Una domanda diretta alla sua professione. Al suo modo di interpretarla. Lei si sente più speleologo della mente o dell’animo? O per giungere al fondo del problema, occorre esserlo di entrambi? Quando è faccia a faccia col paziente come comincia la sua indagine? Per esplorare i pensieri difficili di lui o di lei, si avvale degli stessi strumenti? Come torna dai suoi viaggi con e dentro gli altri?
Se per mente si intendono i pensieri, i ragionamenti, il modo di vedere il mondo di una persona, ecco, a me tutto ciò non interessa. Penso che un bravo terapeuta debba possedere questa semplice qualità: saper aspettare e vedere che cosa sorge dentro la persona che ha di fronte.
Recentemente osservavo una paziente che mi diceva cose veramente banali. Mi fosse accaduto anni fa avrei detto: “Che perdita di tempo…”. Adesso so di poter contare su un occhio interno che guarda l’apparenza e scruta l’immenso. Poi questa signora di sessant’anni e passa ha incominciato a raccontarmi di sé. Chi l’avrebbe detto che una persona così piena di luoghi comuni, di banalità, stesse vivendo una storia d’amore con un uomo di trent’anni più giovane? Chi l’avrebbe mai immaginato? E mentre lei parlava e mi parlava dei suoi disturbi e dei suoi disagi, in un attimo mi si è affacciata la visione di tutto il quadro. Come un puzzle. In una frazione di secondo. Era una donna che non faceva nulla per apparire più giovane di quello che era, anzi…
Ma c’era qualcosa di frizzante dentro di lei. In un attimo mi è sbocciata nella mente l’idea che quella donna non volesse fare la nonna. Come avrò fatto a intuirlo? Chi me lo ha suggerito? Confesso, ho una qualità: so aspettare che il mio sapere innato si manifesti. Proprio come accade al ragno quando il suo sapere innato gli fa ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La felicità è qui
  4. Prefazione
  5. 1. Chi siamo
  6. 2. Il bosco dimenticato
  7. 3. La felicità
  8. 4. I perché della solitudine
  9. 5. Il vecchio e il bambino
  10. 6. La famiglia
  11. 7. I giovani sotto assedio
  12. 8. I peccati dell’animo
  13. 9. L’amore
  14. 10. I veri maestri
  15. 11. Esiste solo il presente
  16. 12. I saggi
  17. 13. Le paure
  18. 14. Le virtù
  19. 15. Il senza tempo
  20. Epilogo
  21. Copyright