Mare di fuoco
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Mare di fuoco

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  1. 768 pagine
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Mare di fuoco

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Barcellona, anno 1069. Martí Barbany, l'umile contadino giunto in città a cercare fortuna, è ormai diventato un prospero armatore e una delle figure di maggiore spicco dell'intera contea. La sua vita scorre serena fino alla tragica morte dell'amata moglie Ruth e del bambino che la donna portava in grembo. È un dolore insopportabile, al quale Martí cerca di reagire concentrando il suo amore e la sua attenzione sull'unica figlia Marta e sugli affari, dirigendo con mano ferma i fiorenti scambi commerciali della sua flotta. Ma le disgrazie non sembrano avere fine. Su di lui incombe la terribile minaccia rappresentata da un losco personaggio giunto in terra catalana e animato da un'unica, ferrea, volontà: saldare con Martí un vecchio conto rimasto in sospeso.
Nel frattempo lo scontro per la successione al governo della città fra il collerico Pedro Ramón, primogenito del conte Ramón Berenguer I, e i gemelli figli di Almodis de la Marca, sua ultima moglie, crea momenti di grande tensione che potrebbero cambiare le sorti della contea.
Costretto a partire per un lungo viaggio, Martí decide di affidare la figlia alle cure della contessa Almodis, sua protettrice. Sarà proprio tra le fredde mura del palazzo, dove regnano il tradimento, l'avidità e la lussuria che la giovane Marta scoprirà il lato oscuro della nobiltà e le sofferenze di un amore impossibile che la metterà a confronto con i rigidi costumi della sua epoca e con il destino della sua famiglia. Mare di fuoco è l'attesissimo seguito de Il Signore di Barcellona, nel quale José Lloréns aveva già dimostrato le sue grandi doti di narratore nella migliore tradizione del romanzo storico. L'autore torna qui alle suggestive ambientazioni e alle atmosfere della Barcellona medievale, facendo gustare al lettore il fascino di un'epoca lontana che ha segnato profondamente il destino di questa città.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
ISBN
9788852020896

Seconda parte

UMANI DESIDERI

9

MARTA

Barcellona, primavera del 1069
«Me l’hai promesso, ma non hai mai tempo.» Così protestava Marta, dieci anni, rinfacciando ad Ahmed di non averle ancora insegnato a usare la frombola. La sua voce forte rimbombò nel silenzio che di solito regnava in casa Barbany.
La casa di Martí Barbany non era certo un posto allegro. Negli anni che erano seguiti alla morte di Ruth, una pesante quiete era calata sulla dimora, ammantandola di una cappa di desolazione. Perfino i compiti più insignificanti venivano svolti bisbigliando, ed era tutto un andare e venire in sordina per non turbare il cordoglio del signore. Un po’ alla volta, tuttavia, la tristezza si era andata attenuando, soprattutto grazie alla presenza di Marta. Neanche la bambina, però, era riuscita a cancellare del tutto il dolore che a tratti alterava il viso del padrone di casa. C’erano giorni in cui Martí Barbany tornava a immergersi nei ricordi, e allora il silenzio e il riserbo dominavano nuovamente la grande casa, contagiandone tutti gli abitanti. In quegli anni Marta era diventata, oltre che la consolazione di suo padre, il diletto di tutti i domestici di casa Barbany. Dalla madre aveva ereditato la bellezza serena, gli occhi color miele, il perenne sorriso sulle labbra e soprattutto l’allegria, la rara facoltà di conquistare chiunque la conoscesse. Dal padre aveva preso invece lo spirito di ribellione contro l’ingiustizia, la capacità di farsi obbedire solo con uno sguardo o un gesto deciso e l’inconfondibile fossetta sul mento che da generazioni aveva contraddistinto la stirpe dei Barbany. Inutile dire che – a cominciare dai capitani delle navi di suo padre fino ai domestici, alle governanti, alla servitù – in casa tutti l’adoravano, ma tre erano le persone a cui lei era più affezionata: i fratelli Ahmed e Amina, figli dei liberti Omar e Naima, ed Eudald Llobet, il sacerdote amico del padre, che Marta considerava un padrino e a cui confidava le pene che non poteva raccontare ad Amina. Per contro, aveva due nemiche giurate: donna Caterina, la vecchia governante che era diventata la sua guardiana, e la cuoca Mariona, con cui doveva sempre lottare per poter prendere dalla cucina ciò che serviva a lei e ad Amina per giocare. Ad Amancia, che l’aveva allattata, voleva bene, ma non la vedeva spesso: la donna – il cui marito, nostromo su un bastimento di Martí, la metteva incinta ogni volta che posava piede a terra – aveva già un bel da fare con i suoi otto figli. Ma il punto di riferimento di Marta era Ahmed, il fratello della sua amica: malgrado lui, dall’alto dei suoi ventidue anni, le considerasse due bambine piccole, alcune notti d’estate cedeva alle loro preghiere e iniziava a raccontare storie ambientate fuori dalle mura di casa, aprendo loro gli occhi su un mondo che entrambe non vedevano l’ora di conoscere. Ahmed aveva preso parte a diversi viaggi e le bambine lo ascoltavano incantate finché la governante intimava loro di andare a dormire, ordine al quale le due obbedivano imbronciate e dopo molte insistenze. A dire la verità, però, negli ultimi tempi Ahmed era piuttosto cambiato: aveva sempre la testa fra le nuvole e le trascurava, come accadeva ora con la frombola. Ahmed era stato addestrato fin da piccolo a maneggiarla da un calafato di Maiorca – forse un discendente di quei coraggiosi frombolieri che avevano attraversato le Alpi al seguito di Annibale, mettendo in difficoltà il potente Impero Romano – che lavorava negli arsenali di Martí Barbany. Grazie alle sue lezioni e alla lunga pratica, era arrivato ad acquisire una mira infallibile.
«Marta ha ragione!» intervenne Amina. «Non so cosa ti sta succedendo ultimamente! Ti sei ammutolito come un allocco. Ero presente quando, in cantina, ne parlavi con padre Llobet, l’ultima volta che è venuto a cena.»
Ahmed si rivoltò contro la sorella. «Ci manchi solo tu, Amina, a farmi la predica! Voi due trascorrete la giornata a giocare e per voi maneggiare la frombola è solo un passatempo, come mangiare dolciumi, ma io non ho un attimo di respiro e devo ingegnarmi per riuscire a fare tutto. Inoltre dovrei costruire una frombola più piccola perché, prima che io possa passarvene una delle mie, Marta, dovete crescere di una spanna. E poi con quella gonna e quegli scarpini sarà molto difficile che riusciate a stare in equilibrio!»
«Tutte scuse, Ahmed» sentenziò Marta con un tono autoritario poco confacente alla sua giovane età. Poi si raddolcì con un sorriso. «Dimmi quando hai tempo e io sarò pronta.»
Ahmed scosse il capo: non era dell’umore adatto per assecondare i desideri della ragazzina. «Mi dispiace, ma quando vi alzerete dopo il sonnellino io sarò già all’arsenale.»
Marta sbuffò esasperata. «Non preoccuparti: il giorno in cui avrai tempo non farò il sonnellino. Dove ci incontriamo?»
Ahmed la osservò senza poter fare a meno di intenerirsi per la cocciutaggine della bambina. Qualunque cosa chiedesse Marta, bisognava prenderla in considerazione, per quanto assurda potesse sembrare. «E va bene» cedette infine il giovane. «Dopodomani, al rintocco della campana della prima preghiera pomeridiana, vi aspetterò nell’orto dietro le cucine.»
Marta abbozzò un sorriso sincero. «Ci saremo, vero, Amina?»
Amina, che malgrado avesse sei anni in più della padroncina si fidava ciecamente della sua parola, assentì convinta.
Due pomeriggi dopo, al solito orario, la governante chiuse le imposte della stanza di Marta per il sonnellino. «Dormite bene. Vi sveglierò per tempo: oggi avete lezione di lettere e latino con il vostro padrino e sapete che non gli piace aspettare.»
Marta rispose con gli occhi chiusi. «Adesso ritiratevi, donna Caterina. Non ho riposato bene stanotte e muoio di sonno.»
La donna, un po’ sorpresa perché di solito Marta detestava il sonnellino pomeridiano, rispose avviandosi verso la porta: «Allora, approfittatene per riprendervi un po’».
Marta aspettò che i passi si fossero allontanati. Quando ebbe la certezza che la donna avesse cominciato a scendere le scale, iniziò a mettere in pratica il suo piano.
Facendo attenzione perfino agli scricchiolii dell’impiantito di legno, si alzò dal letto e si diresse all’armadio che occupava quasi una parete intera; ne aprì un’anta e cominciò a pescarvi dentro diverse cose che vi aveva nascosto sul fondo e che si era procurata negli ultimi giorni: una camiciola attillata e dei pantaloni alla zuava appartenuti a un pastorello che faceva il guardiano del bestiame di suo padre e ogni mattina si presentava a casa loro con le uova fresche e il latte, su un carro tirato da un somaro. Il ragazzo, che era magro e rachitico, aveva acconsentito a venderle quegli indumenti in cambio di un maravedí e degli avanzi di una torta di mandorle da lei trafugata dalla dispensa. Marta aveva fatto credere a Mariona di averli dati a un mendicante affamato che si era avvicinato alla porta, così, in realtà, non aveva detto una vera e propria bugia.
Stringendo quel tesoro tra le mani, si preparò in fretta. Si tolse la camicia da notte e la sottana, indossò i pantaloni alla zuava e allacciò ai polpacci le stringhe che pendevano alle estremità; poi si mise la camiciola, lasciando che le falde coprissero la parte posteriore dei pantaloni consunti, la strinse in vita con una corda e calzò delle pantofole di tela che si chiudevano alle caviglie con dei nastri. Dopo aver raccolto i capelli dentro un vecchio berretto, Marta si accinse a mettere in pratica la seconda parte del suo piano.
Socchiuse con estrema cautela la porta della stanza, si affacciò e guardò da una parte e dall’altra per accertarsi che ci fosse via libera. Quando ne fu sicura, si diresse in fondo al corridoio, oltre la grande scala. Era l’unico tragitto che le consentiva di accedere all’orto dietro le cucine senza passarvi attraverso, con il rischio di venire scoperta. Aprì la grande finestra che, all’altezza del primo piano, dava su una terrazza in cui le serve stendevano i panni. Dopo essersi accertata di non essere vista, corse fino all’angolo più lontano; lì scavalcò la ringhiera nel punto in cui una grondaia scendeva nella parte anteriore dell’orto. Vi si aggrappò con mani e piedi e si calò pian piano fino a terra, poi si scrollò la polvere dalle mani doloranti e corse incontro ai suoi amici.
Dato che non aveva dubbi sul fatto che la padroncina si sarebbe presentata all’appuntamento, già dalla mattina presto Ahmed si era dedicato alla costruzione di una frombola della misura giusta per Marta. Aveva calcolato l’altezza, tagliato una corda della lunghezza e dello spessore adatto, ci aveva collocato al centro un pezzo di cuoio incavato e aveva fatto un cappio a una delle estremità, poi, con un tizzone acceso, ne aveva bruciato l’altra, spalmandola con un impasto di sua invenzione che ne saldava le fibre. Aveva quindi verificato che la sua creazione funzionasse. Di pomeriggio, con Amina al seguito, era andato in fondo all’orto e aveva preparato i bersagli necessari per fare delle prove di tiro. Aveva conficcato una fila di bastoni davanti al muretto a secco e sulla punta aveva appeso delle vecchie pentole di coccio che non venivano più usate perché scheggiate o prive di manici; per ultimo aveva messo un paiolo di rame tutto bucato.
I due fratelli stavano finendo di sistemare i bersagli quando sul sentiero che portava alla casa apparve la sagoma di uno straccione che non c’entrava nulla con quell’ambiente.
Fu Amina la prima a rendersi conto di chi si trattasse. «Che mi venga un colpo! Ma quella è Marta!»
Ahmed si riparò la fronte con la destra a mo’ di visiera, ma ci mise più tempo della sorella a riconoscere la padrona.
Marta raggiunse gli amici e, vedendoli così sgomenti, sorrise sorniona. «Il sonnellino mi avrebbe impedito di venire, eh?»
«So che siete molto intraprendente, ma non avrei mai immaginato che poteste arrivare a tanto» disse Ahmed, sconcertato e divertito allo stesso tempo.
«Be’, come vedi sono qui. Io ho rispettato la mia parte dell’accordo. Adesso tocca a te rispettare la tua.»
Senza raccogliere direttamente la sfida, Ahmed le chiese: «Dove avete trovato questa tenuta da pezzente?».
«Non sei stato tu a dire che i miei vestiti mi avrebbero intralciato? Bene, credo che questi stracci siano più adatti.»
«Su questo non c’è dubbio, padrona» disse Amina a bocca aperta «ciò nonostante non credevo che vi sareste mai agghindata così.»
«Non chiamarmi “padrona”, Amina... e ora, a noi!»
Amina, ancora stupita, non riusciva a scuotersi. «Ma dove avete preso questi abiti?»
«Poi ti racconto. Sbrighiamoci adesso, il tempo vola.»
I tre si avviarono in fondo all’orto e si fermarono davanti alle pentole, alla distanza che Ahmed ritenne opportuna. Poi il giovane cominciò a spiegare con voce autoritaria: «Prima di tutto, osservate come procedo io. Un esempio vale più di mille parole».
Prese la sua frombola e, dopo avere infilato la mano destra nel cappio e avere sistemato l’altra estremità tra indice e pollice, estrasse un ciottolo dalla tasca e lo incastrò nel rinforzo di cuoio che si trovava al centro della corda.
«Adesso guardate quello che faccio. Indietreggiate un po’, perché potrei farvi male senza volerlo.»
Ahmed divaricò le gambe e alzò il braccio sinistro in modo che la punta delle dita rimanesse all’altezza dello sguardo, che indirizzò verso la pentola di coccio. Poi, lentamente, con un movimento circolare, impresse alla corda una forte spinta. Un ronzio simile a quello di un calabrone infuriato risuonò nell’aria, tanto che le due ragazzine si tapparono le orecchie con le mani.
Amina si fece da parte, timorosa, mentre Marta osservava attentamente i movimenti di Ahmed. Il giovane lasciò quindi l’estremità della corda che stringeva con la punta delle dita; una volta liberata, la pietra sfrecciò come uno spirito maligno e raggiunse la pentola di rame, che gemette come lamentandosi dell’impatto.
«Avete osservato bene?» domandò con studiata severità.
«Certo, lascia provare me.»
Lui scoppiò a ridere. «È ancora presto. Guardate.»
Ahmed lanciò diverse pietre e fece centro ogni volta, lasciando Marta sbalordita. Poi iniziò a istruirla.
«La mano sinistra vi indicherà l’altezza del bersaglio. Dovete mettere la frombola nella destra e tenere stretto il cappio tra le dita: ciò eviterà che la perdiate al primo tiro. Fate in modo che il lancio acquisti velocità mentre tendete la corda e soprattutto lasciate andare la punta al momento giusto: da questo dipende la precisione del tiro. Ciò è fondamentale» concluse. «Esistono diversi tipi di frombole e di lanci, ma cominceremo dall’essenziale. Avrete tempo, se proprio ci tenete, per imparare il resto.»
«Quando vuoi, io sono pronta» disse Marta, controllando a stento l’eccitazione.
«Va bene, mettetevi in posizione di lancio come ho fatto io.»
Marta si sistemò nel punto che le era stato indicato. Ahmed quindi estrasse dalla tasca la frombola di Marta e gliela sistemò al polso. Dopo aver caricato l’attrezzo con la pietra, si mise accanto a lei e la aiutò nei primi lanci. Marta era al settimo cielo. Faceva girare la corda sempre più rapidamente e al via di Ahmed lasciava andare l’estremità. La pietra partiva ogni volta più veloce e, anche se non colpiva il bersaglio, l’entusiasmo della bambina non diminuiva.
«Fammi provare da sola, Ahmed.»
«Non siete ancora pronta» la ammonì il giovane.
«Ti obbedirò in tutto» lo supplicò Marta. «Sarà come se fossi tu a guidare la mia mano.»
«Ne siete sicura?»
Marta non rispose nemmeno. Prese una pietra, la infilò nell’incavo di cuoio e si mise in posizione, in attesa di ordini.
Ahmed non poté fare altro che cedere. «D’accordo, provate pure» disse con un sospiro di esasperazione.
La frombola cominciò a roteare nella mano di Marta e prese subito la velocità giusta.
«Portate la sinistra all’altezza degli occhi. Perdio! Non guardate me, guardate avanti.»
Lei, per un attimo, si rabbuiò.
La pietra girava a gran velocità.
La voce di Ahmed la esortò. «Forza, adesso lasciate!»
La bambina perse il controllo e, quando la fionda puntava verso il cielo, lasciò andare l’estremità della corda.
I tre rimasero per un istante paralizzati. Il proiettile, sfrecciando in verticale, descrisse mezza parabola e scese come una saetta verso la terrazza dove donna Caterina, aiutata dalle serve, stava ritirando la biancheria stesa.
Un grido squarciò l’aria. Donna Caterina si sporse dalla ringhiera, scrutando l’orto. In fondo scorse i tre ragazzi. La sua voce risuonò iste...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Mare di fuoco
  3. Prima parte - Disegni Divini
  4. Seconda Parte - Umani Desideri
  5. Terza Parte - Il Risveglio Del Cuore
  6. Quarta Parte - Il Fuoco Greco
  7. Quinta Parte - Il Piacere Della Vendetta
  8. Nota dell’autore
  9. Ringraziamenti
  10. Bibliografia
  11. Copyright