Ci penso da alcune settimane: sto lentamente riempiendo lo zaino con l’essenziale del cristianesimo, spogliandolo da ogni ridondanza, da ogni elemento consequenziale, nell’immane tentativo (forse eccessivo, per me) di sintetizzare un articolato e complesso mondo di scoperte e di verità.
Sono convinto delle cose che ho scritto: l’uomo è capace di Dio, un Dio che va cercato, come in una caccia al tesoro, un Dio che ha il volto del Padre di Gesù. E Gesù stesso svela il volto di un uomo diverso, rinnovato, redento, l’uomo che vive le Beatitudini, il paradosso del Regno.
Il modello che Gesù propone non è quello di un supereroe spirituale, di un integerrimo (e saccente) homus religiosus, ma se stesso.
Chi intende seguire il Signore, alla scoperta di Dio e di sé, non diventa un superuomo, ma un uomo vero.
Sento di avere raggiunto l’età adulta, anche se qualcuno, pensando di farmi un complimento, mi dice che sono «ancora» giovane. Ma non è così: ho vissuto la mia vita con una tale intensità che a volte ho l’impressione di averne cento, di anni. E guardando al passato (a questo punto posso già farlo!) di una cosa sono assolutamente convinto: al di là delle inevitabili semplificazioni e degli errori di gioventù, la fede mi ha condotto a Dio, anzitutto e, di riflesso, a me stesso.
La (bella) abitudine alla preghiera, al silenzio, alla meditazione quotidiana, l’invito ad andare oltre, a scoprire il senso della vita e della Storia (ne parleremo), un orizzonte di riferimento armonioso, un’etica tenace e seria, non fanatica ma evangelica, hanno fatto di me un uomo diverso da come avrei potuto essere.
Non so se migliore.
Certamente più consapevole.
Nel passato i Padri della Chiesa, vescovi e monaci che nel Primo Millennio hanno di fatto definito i contorni del cristianesimo, interrogandosi sulla ragione dell’incarnazione, sul perché Dio si fosse fatto uomo, si sono dati delle risposte.
I Padri latini scrivevano: Dio si è fatto uomo per salvare l’uomo.
Quelli orientali osavano di più: Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventi come Dio.
Oggi aggiungerei: Dio si è fatto uomo perché l’uomo impari finalmente a diventare uomo.
Il cristianesimo, indagando su Dio, scopre chi è l’uomo.
Non nel senso, oggi piuttosto diffuso, di ridurre la fede a un’antropologia semplificata e accessibile: Dio al mio servizio, di Dio prendo ciò che mi serve, vado nel supermarket delle religioni e prendo ciò che voglio, no.
Ma nel senso che in Dio, proclamato dalla Bibbia Creatore, ritrovo il progetto che egli aveva in mente quando ha creato l’uomo.
Un progetto che devo scoprire, in cui devo inserirmi. Non a prescindere dalla mia storia personale, ma dentro le mie vicende.
Sapeste quante cose ho scoperto di me, da quando sono discepolo!
Cose belle, tanto belle, come la capacità di mediare, di pazientare (nel senso di patire e di attendere), di comunicare, di ascoltare. E quanti limiti, ombra della luce, come la tendenza al pessimismo e a un certo fatalismo, un’estrosità e una profonda insofferenza alle regole che mi hanno provocato più di un guaio.
E altri ne scoprirò, certamente.
È ancora notte, mentre scrivo.
J dorme, lo lascerò dormire perché ieri sera l’ho visto proprio esausto, fuori controllo, come sono i bambini quando non ce la fanno più (e come vorrebbero essere gli adulti ma non possono permetterselo). Lo porterò a scuola in mattinata, siamo quasi a metà percorso della prima elementare e la stanchezza comincia a pesare troppo. E stiamo pure imparando lo script!
Jak non sa ancora esattamente cosa farà da grande.
Ma di una cosa è sicuro: guiderà un camion e i mezzi di cantiere (a volte aggiunge anche un jet, ma questo aspetto è da contrattare) e sa che per avere la patente deve studiare, e allora studia.
Il progetto di Gesù
Il cristianesimo intende svelare il Dio di Gesù Cristo e chi è l’uomo, ma non basta. È impossibile parlare dell’essenziale della fede cristiana senza parlare della Chiesa come dono all’umanità.
Tenetevi pronti perché è giunto il momento di parlare di Chiesa: non posso tacere il grande progetto che Gesù aveva per costruire una nuova umanità, di cui la Chiesa dovrebbe essere l’avamposto.
Dovrebbe, potrebbe, anche se fatica a realizzare quel sogno. E ne è consapevole.
Non mi voglio addentrare nel giudizio sulla Chiesa concreta e reale che abbiamo attorno, o di cui avete fatto esperienza. È un argomento proibito, specialmente di questi tempi. Un altro di quei temi della modernità troppo complessi per poterli rendere semplici.
È certo, però, che la Chiesa, così come appare, non suscita molte simpatie.
Una riflessione che personalmente mi ha molto aiutato in passato, quando ero in ricerca ed ero molto critico nei confronti dell’istituzione Chiesa, e mi aiuta ancora nel presente, quando mi devo confrontare con alcuni volti della Chiesa non propriamente seducenti, è l’intuizione, esplicitata autorevolmente in un documento del Concilio, che senza uno sguardo di fede, senza una prospettiva spirituale, è impossibile capire le ragioni della Chiesa.
Così come ci si può avvicinare a Gesù senza accogliere la sua pretesa di essere il Figlio di Dio, senza interrogarsi sulla sua profonda identità, ci si può anche avvicinare alla Chiesa scordandosi della sua natura profonda (Lumen Gentium 8).
Quando parlo di Chiesa, allora, non intendo riferirmi alla brutta esperienza che alcuni hanno avuto con l’asilo delle suore o con il parroco burbero che ha fatto penare altri per la prima comunione del proprio figlio, ma al grande sogno che Gesù aveva e che troviamo, abbozzato, nel racconto dei Vangeli.
E questo aspetto per me, come per molti altri cercatori di Dio, rappresenta un problema.
Durante i miei studi teologici sono rimasto molto affascinato dalla storia della Chiesa: non solo dalla storia dei grandi santi e dei grandi Concili, dall’intreccio col potere temporale (sempre problematico!), ma soprattutto da una logica interpretativa di questa storia che mi deriva dalla fede.
Potrei sintetizzarla così: più gli uomini credenti e di Chiesa ne facevano di cotte e di crude e più lo Spirito Santo inviava grandi santi per raddrizzare la situazione.
So bene che è un po’ ingenua come prospettiva, ma credo sia vera.
Pensate al medioevo, per esempio: c’è stata un’epoca in cui il papato era finito in mano a poche famiglie nobili romane che si spartivano i titoli cardinalizi (e relative rendite), con assoluta disinvoltura. Proprio in quel momento in Europa nascono Francesco e Domenico che, con intuizioni diverse, diventano il fulcro della fede e della rinascita spirituale dell’epoca.
Tutti noi conosciamo la vita di Francesco poverello, che affascina con la sua radicalità evangelica, il somigliantissimo (a Cristo), come lo venerano i fratelli ortodossi. Tutti sappiamo della luminosità delle sue scelte di povertà, di condivisione, di profonda armonia con la natura, di pacifismo assoluto. Tutti ci siamo emozionati leggendo il suo Cantico delle creature e ancora oggi Assisi vive all’ombra luminosa del suo figlio più famoso. Francesco poverello affascina e chiama a seguirlo centinaia di giovani da tutto il mondo. Di lui ci ricordiamo bene, anche se, quand’era in vita, era noto solo agli abitanti della sua Umbria e poco oltre.
Eppure, come sempre accade nella logica di Dio, l’allora potente e temuto papa Innocenzo III è ricordato solo per avere approvato la sua prima Regola!
Gesù e la Chiesa
Gesù aveva in mente la Chiesa?
Sì, in un certo senso.
Non come è oggi, ovvio, organizzata in dicasteri vaticani, ma gli studiosi ci dicono che possiamo chiaramente individuare un percorso all’interno dei Vangeli che dimostra in Gesù la volontà di attorniarsi di discepoli con cui condividere la propria missione e la propria vita. Diversamente da ogni forma di aggregazione religiosa del suo tempo, Gesù raduna accanto a sé persone di ceto e cultura diversi, donne, persone devote e pubblici peccatori.
Gesù non vuole fare il guru solitario, né la rockstar attorniata da fan adoranti.
Si circonda di uomini e donne che sceglie perché restino con lui, per fare una insolita, imprevista, inaudita esperienza di comunione e di comunità (Mc 3,14).
Un’esperienza forte, fatta di quotidianità, di pasti consumati insieme e di lunghe camminate per spostarsi prima fra le verdi colline in Galilea, intorno al grande lago di Tiberiade, poi al Sud, in Giudea, a Gerusalemme. Momenti condivisi con la folla, alternati a momenti più intimi, in cui il Signore vuole che il gruppo che si è radunato attorno a lui capisca di più, interpreti bene le sue parole, cresca nella conoscenza di Dio. Una scuola rabbinica fuori dagli schemi, fuori da ogni catalogazione, che prepara questo gruppo a continuare l’opera di annuncio del maestro.
Il nuovo Israele
Gesù non ha paura di tirare diritto per la sua strada.
È accusato da tutte le parti per la sua iniziativa: predica pur non avendo studiato. Tutti sanno che è il figlio del carpentiere Youssef di Nazareth, da dove trae la sua sapienza? Conosce profondamente la Legge, sia quella di Mosè sia le tante prescrizioni aggiunte nella cosiddetta Legge orale, ma si comporta liberamente, la interpreta riportandola sempre alla volontà originaria del Padre. È critico e aspro nei confronti dei sadducei, i conservatori aristocratici del tempo, che intrallazzano con i romani, ma anche con gli scribi e i ricostituiti sacerdoti del Tempio, che usano il loro potere con arroganza. Prende le distanze dalla setta degli esseni, che nel deserto aspetta la battaglia finale tra i figli delle tenebre e quelli della luce, giungendo a contraddire (ora che sono pubblicati quasi per intero i Manoscritti di Qumran lo sappiamo con certezza!) le rigide norme di quel gruppo. Ridicolizza la scrupolosa devozione dei farisei, i perushim, i puri, che filtrano il moscerino e ingoiano il cammello. Ma prende le distanze anche dai movimenti estremisti degli zeloti, che vogliono ricostruire il perduto regno di Israele a colpi di pugnale, cacciando gli amici dei romani.
Non ha paura di frequentare i pubblicani e le prostitute e questi sono convertiti dalla sua accoglienza mai giudicante, mai superficiale, rispettosa ed esigente.
È libero, Gesù.
Libero e coerente, libero e costante. La folla è attratta dalla sua profonda e radicale umanità, dalla sua compassione. Parla di Dio come se fossero faccia a faccia.
E ne parla bene, come nessuno mai era riuscito (e riuscirà) a parlarne.
Libero anche dall’immagine di sé.
Mi emoziono ogni volta che leggo della fuga dei discepoli quando, con parole durissime, dopo la moltiplicazione dei pani, nel Vangelo di Giovanni (Gv 6), il Maestro si rivolge ai dodici dicendo: «Volete andarvene anche voi?».
Non addolcisce la pillola per avere consenso, il Signore.
Non vuole discepoli a tutti i costi.
È talmente libero da infrangere tutte le prescrizioni sociali e religiose del suo tempo, mai in segno di sfida, non come un anarchico figlio dei fiori, ma come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Mette insieme pescatori con sacerdoti del Tempio (forse Giovanni Evangelista), conservatori come Giacomo e Bartolomeo con pubblici peccatori come Matteo, ebrei fanatici (Simone lo Zelota!) con meticci (Filippo, il cui nome tradisce origini greche).
E le donne.
Donne chiamate a seguire il gruppo dei discepoli, non soltanto per dare una mano ma cui viene affidato l’annuncio più importante del cristianesimo, quello della Resurrezione.
Al tempo di Gesù le donne non avevano diritto di parola in pubblico e nemmeno gli apostoli credevano alla l...