Amore non è amare
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Amore non è amare

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  1. 144 pagine
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Amore non è amare

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Che cos'è davvero l'amore? Come sta cambiando il sentimento amoroso nella nostra società? Perché l'amore ci può rendere fortissimi e un istante dopo fragilissimi? Chi può dire di essere davvero innamorato? Che differenza c'è tra amore e amare?
Sette noti e autorevoli esperti - psicologi, sociologi, filosofi - riflettono intorno al sentimento universale per eccellenza, per rispondere a questi e altri fondamentali interrogativi e offrire il loro punto di vista sull'esperienza più intensa e misteriosa che la vita ci offre. Paolo Crepet approfondisce il rapporto tra emozioni e progettualità; Rodolfo de Bernart ci guida nella realtà della coppia; Paolo Franchini riflette sui conflitti e le contraddizioni dell'amore; Stefano Zecchi tratta il delicato argomento della fedeltà; Alessandro Meluzzi affronta il tema della famiglia; Alessandro Bosi descrive la società narcisista dell'epoca di internet; Massimo Picozzi ci racconta infine storie di amanti che uccidono. Attraverso interventi che uniscono racconti di casi incontrati durante la vita professionale e quotidiana a riflessioni di grande profondità psicologica, filosofica e intellettuale, gli autori ci spiegano che se l'amore è un sentimento, amare è uno stile di vita, e ci svelano quanto sia ricca e contraddittoria un'esperienza che coinvolge sfere diverse della nostra esistenza e della nostra personalità e assume di volta in volta molteplici significati.
Un'antologia d'eccezione, curata da Paolo Franchini, che introduce una nuova prospettiva, in cui ogni autore approfondisce uno tra i diversi volti dell'amore, componendo le tessere di un mosaico che alla fine ci offre una mappa affascinante del nostro universo emotivo: un viaggio alle radici dei nostri comportamenti e delle nostre scelte di vita, per capire meglio noi stessi e gli altri nella ricerca di senso della nostra esistenza.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
ISBN
9788852019722

Progetto di amore
tra contraddizioni e conflitti

Paolo Franchini

Essere coppia ed essere genitori. Spesso non riusciamo a individuare il rapporto fra queste due realtà che in famiglia viviamo contemporaneamente, in quanto siamo marito e moglie e nello stesso tempo padre e madre. Occorre essere consapevoli della compresenza di questi due ambiti, perché il rischio è che il ruolo di genitore possa sopraffare quello di moglie o di marito. L’esperienza insegna che uno dei momenti critici della coppia è la nascita del primo bambino, poiché le attenzioni della madre per il figlio tendono a mettere in secondo piano la vita di coppia. Come se l’istinto atavico, raggiunto lo scopo della procreazione, mettesse fuori gioco l’amore. Anche per questo motivo è importante vivere la coppia come qualcosa di pensato, come un vero progetto e non solo come esperienza emotiva. Il vivere la coppia come una realtà fondata essenzialmente sull’emozione comporta un’elevata probabilità che tutto finisca quando si esaurisce la fase dell’innamoramento, in genere di breve durata.
Piero Angela, autore molto conosciuto, conduttore preparato e attento alle ricerche scientifiche, nel suo libro Ti amerò per sempre ha cercato di spiegare l’amore attraverso la scienza. Quest’opera, pur essendo interessante, presenta una prospettiva davvero limitata. Infatti illustra gli aspetti biologici, chimici e propriamente organici implicati in quel fenomeno, romantico e poetico, che noi chiamiamo «amore». Secondo questo autore, l’abbigliamento, un corpo curato, certe fattezze fisiche attraenti vanno a stimolare un istinto atavico e primitivo che attiene alla riproduzione. Certe forme, certe rotondità ci piacciono perché evocano la fertilità. In questa prospettiva, la donna preferisce un uomo di una certa età e con una buona posizione sociale ed economica, perché evoca la sicurezza rispetto al futuro mantenimento, alla protezione e all’allevamento della prole. Di conseguenza, la poesia e il romanticismo traggono origine dall’istinto atavico e primordiale della riproduzione. Questo libro compie un’operazione dissacrante, andando a cogliere la matrice biochimica dietro al decantato romanticismo dell’amore.
Quest’opera ha un indubbio fondo di verità che non va ignorato, ma presenta una spiegazione davvero riduttiva della relazione affettiva, tanto da trascurare quella dimensione umana dell’amore che è in grado di trascendere gli aspetti prettamente istintuali e biologici della natura. Il libro, insomma, termina là dove dovrebbe iniziare. È allora da qui che voglio partire con la mia riflessione, perché l’uomo è tale nella misura in cui prende coscienza della propria natura e impara a gestirla. Se affermo che l’amore non è solo espressione di un istinto primordiale, dico una cosa ovvia: eppure, l’amore è davvero «altro», e la nostra umanità può esprimere questa realtà. Tuttavia occorre sottolineare che gli uomini non sono accomunati da una sorta di generica umanità, dal momento che vi sono modi molto diversi di esprimere la dimensione umana.
Platone, con i limiti della cultura del suo tempo, aveva colto questa verità quando ha descritto l’ordine gerarchico delle parti dell’anima umana, in cui la componente più bassa è quella desiderativa, che spinge alla soddisfazione dei desideri e al possesso dei beni materiali. Più elevato, per il filosofo, è lo stile di vita improntato all’impegno per il perseguimento di valori al di là del piacere momentaneo. La virtù che caratterizza chi vive così è il coraggio. La vita che si eleva al di là dell’opinione superficiale si esprime attraverso la scienza e la sapienza. L’uomo, dunque, ha tutte le potenzialità per trascendere la natura stessa. Non solo è cosciente di quello che succede (autocoscienza), ma è in grado di dare senso e scopo alla natura, e ciò lo mette nella condizione di vivere un’«esistenza autentica» secondo l’accezione di Heidegger, a fronte di un’«esistenza inautentica».
In questo contesto mi piace ricordare e rileggere la storia di Ulisse (il mitico Odisseo, eroe greco narrato da Omero) come storia e metafora della nostra stessa vita. D’altra parte, si sa che i grandi autori e le grandi opere d’arte contengono intuizioni che trascendono il loro tempo per cogliere gli aspetti universali comuni a tutti gli uomini.
La storia di Ulisse
Il giovane Ulisse parte per quell’avventura che è la guerra di Troia, ma l’impresa più difficile, per lui, sembra quella di tornare a casa, tanto che ci impiega quasi dieci anni. È stata un’intuizione geniale, perché l’autore (o gli autori) ha colto dei valori universali. Le tappe del ritorno (in greco, nostos) di Ulisse sono dodici, con momenti in cui l’insidia è manifesta (mostri, tempeste e aggressioni) alternati ad altri in cui l’insidia è latente (un’offerta di ospitalità può sempre nascondere un pericolo mortale). La storia di Ulisse è la storia della nostra vita. Anche noi impieghiamo una vita per «tornare a casa», ossia per prendere coscienza dell’importanza della nostra dimensione interiore e degli affetti più veri e profondi. Per scoprire, alla fine, che quello che conta per noi è sentirci amati e avere rapporti con persone che ci vogliono bene in modo autentico.
Ulisse è la rappresentazione di questa lotta interiore; è colui «che odia (odisseo) e che ama». La sua vicenda esprime al meglio il concetto di ambivalenza e contraddizione dell’amore che è al centro di questa nostra riflessione. Era partito trascinato (condizionato?) dai propri amici, sperando in cuor suo di vincere in breve tempo la guerra di Troia e di accumulare fama e ricchezze. Si distingue per la sua astuzia, l’intelligenza e il coraggio. È il protagonista e l’artefice del successo degli Achei. Dopo una guerra durata dieci anni, che a un certo punto pare non avere sbocchi, suggerisce astutamente ai suoi di smontare gli accampamenti e di nascondere le navi in una baia. Poi costruisce con alcuni compagni il famoso, enorme cavallo di legno con un vano ben celato nel ventre, dove nasconde i guerrieri più feroci.
I Troiani cadono nell’inganno e pensano che gli Achei se ne siano andati, lasciando questo simulacro come voto agli dei perché li proteggano dai pericoli del viaggio di ritorno. Così lo introducono in città e, come si sa, bevono e festeggiano tutta la notte. Quando si addormentano, i nemici nascosti escono dal cavallo e aprono le porte della città ai loro compagni, che massacrano i Troiani nel sonno. Ma qui avviene la svolta con la presa di coscienza da parte di Ulisse, il quale, pur essendo giunto al massimo della gloria e del successo, è assalito da un profondo senso di vuoto e da un’intensa nostalgia per i propri cari. Ha vinto tutto, ma sente di non avere niente. La cosa più importante, per lui, è la sua casa, sono gli affetti profondi e veri che vivono là, quel figlio che aveva lasciato appena nato e quella moglie che lo amava sinceramente.
Anche noi, dopo una vita trascorsa immersi nel lavoro, pur avendo avuto successo, ci rendiamo conto che le cose che contano di più sono gli affetti autentici. E le difficoltà incontrate da Ulisse nel «tornare a casa» sono le difficoltà in cui ci imbattiamo anche noi ogni giorno per vivere i valori autentici, sono tutto ciò che ci fuorvia, dal momento che le pulsioni distruttive, come ricorda Freud, sono sempre in agguato.
Ulisse incontra Circe, una «maga» suggestiva e seducente, che irretisce con i piaceri i suoi compagni, trasformandoli in maiali. Ulisse, «vedendo il degrado dei suoi amici», di cui si sente responsabile, capisce che quel tipo di vita porta alla deriva. È la condizione in cui ci troviamo noi quando ci lasciamo abbagliare dalla seduzione perdendo di vista le cose che contano. Ulisse, lottando contro questo incantesimo e l’inganno del piacere a tutti i costi, riprende la strada del ritorno e i suoi amici lo seguono e «tornano a essere persone».
Poi compaiono le «sirene». Ulisse supera questo ulteriore tranello chiedendo ai suoi uomini di legarlo all’albero della nave e di non cedere alle sue richieste di essere liberato. Anche noi, in certi momenti, dobbiamo «legarci» e contare sull’aiuto degli amici per non lasciarci fuorviare e procedere dritti verso la meta. La ricerca esasperata del successo, del potere e dei piaceri ci possono distogliere dai valori veri, facendoci trascurare le relazioni più autentiche.
Una delle prove forse più difficili affrontate da Ulisse è l’incontro con la ninfa Calipso, di cui si innamora. Calipso era figlia di Atlante e di Pleione, e Omero racconta che amò Ulisse e lo tenne con sé per diverso tempo; tuttavia, nell’eroe greco, ancora una volta il desiderio di tornare a Itaca prevale sulle reiterate ambivalenze e contraddizioni. Può capitare di innamorarci di un’altra persona, con la conseguenza di far precipitare gli affetti più profondi. Oggi, una delle motivazioni più ricorrenti nelle separazioni è che non si prova più nulla per il partner e ci si è innamorati di qualcun altro. L’innamoramento, quella grande passione che ci prende all’inizio di una storia sentimentale, inevitabilmente perde di consistenza nel tempo. È la condizione necessaria, ma non sufficiente, dell’amore. Poi, se resta l’attrazione, essa può radicare il legame affettivo e l’attaccamento. La fedeltà ha senso solo per un importante progetto di coppia per il quale abbiamo condiviso anni di vita, valori e figli. Comporta scelte e sacrifici.
Alla certezza che la cosa più importante per lui è il «ritorno a casa» Ulisse giunge sulla base di quanto ha sperimentato, mettendo in discussione le sue precedenti convinzioni. Si è analizzato cercando di essere autentico e sincero con se stesso senza infingimenti. Nemmeno noi possiamo coltivare la verità se non ci interroghiamo per scoprire i nostri bisogni profondi e se non abbiamo l’onestà intellettuale di mettere in discussione i nostri errori e di vedere anche le parti meno piacevoli di noi.
Quasi alla fine della sua avventura, Ulisse intraprende una catabasi, scende nelle «profondità oscure del regno dei morti». In quel luogo, dove giace la sua storia, riesce a «entrare in contatto» con il suo passato, le figure dei compagni perduti, le persone più importanti della propria esistenza, come la madre e l’indovino Tiresia, colui che sa interpretare il suo futuro, e capisce così il proprio cammino e le difficoltà del ritorno.
«Andare agli Inferi» è il profondo percorso interiore, una psicoanalisi che consiste nel guardarsi dentro superando ogni resistenza. Se non cerchiamo la verità, perdiamo la direzione di marcia, ci confondiamo e finiamo per ingannare noi stessi. Se ci inganniamo, non possiamo coltivare gli affetti veri. Eppure, spesso razionalizziamo i nostri errori, evitando in ogni modo di metterci in discussione e di affrontare i problemi che essi sottendono. La gravità non consiste nel commettere errori, perché abbiamo il diritto di sbagliare, ma nel non affrontarli e non assumerci le nostre responsabilità.
Finalmente, Ulisse giunge a casa, dove ritrova il figlio, la moglie, gli amici, gli affetti autentici e profondi. In assenza del padre, la sua famiglia si è trovata in serio pericolo. In ogni nucleo familiare, i figli corrono rischi enormi quando il padre è assente come educatore: sono le compagnie che possono distruggere, la droga, i falsi valori, gli inganni, le pseudoverità. La madre da sola fatica a fronteggiare la situazione. Penelope è metafora ed esempio di una donna di spessore, indispensabile per reggere una famiglia che sarebbe andata in rovina senza la sua fedeltà e forza d’animo. Ma dov’è, oggi, Penelope?
La storia di Ulisse è metafora e racconto della nostra esistenza: un andarsene da casa alla ricerca di avventure e successo per scoprire, alla fine, che ciò che conta davvero nella vita sono gli affetti profondi e autentici che abbiamo vicino e dentro di noi. Essi esistono soltanto se li abbiamo curati nel tempo. Questo antichissimo racconto riflette su temi di incredibile attualità, confermando l’universalità dei valori di fronte alla domanda di senso.
La coppia non è una realtà data in modo gratuito, bensì occorre coltivarla, dedicarle tempo. Per essa bisogna fare scelte. Nella storia di Ulisse l’amore è un sentimento profondo, perché è una meta. È sacrificio, nel senso letterale della parola, sacrum facere, che rende «sacro», ovvero molto importante, ciò che conta per noi e per la nostra realizzazione personale, alla ricerca della felicità.
Biografia affettiva
La psicologia non è riducibile a generalizzazioni, perché il suo terreno elettivo è il misurarsi con la dimensione personale che fa di ciascuno di noi una realtà con una propria unicità.
La stessa vita di coppia ha una propria unicità, poiché vi portiamo dentro la nostra storia affettiva personale, una sorta di biografia affettiva come si è formata nel corso degli anni attraverso i nostri genitori, il contesto sociale in cui siamo cresciuti e le persone che più hanno segnato la nostra esistenza. L’essere nati in Italia o altrove, in una condizione sociale di benessere o di povertà non è indifferente per il nostro modo di pensare e i nostri comportamenti. Sappiamo che sono fondamentali i legami affettivi parentali con la madre e con il padre. Tutto viene appreso, persino le abitudini di casa. E ciascuno di noi dà quanto ha ricevuto.
Poniamo il caso di una madre immatura che mette al centro della relazione genitoriale, sempre e comunque, le proprie esigenze. La sua intenzione è buona, ma ciò non impedisce che sia egoista e non perda occasione per far sentire in colpa il figlio, che crescerà con un senso di inadeguatezza. Il ragazzo passerà la vita a cercare la stima degli altri diventando incredibilmente disponibile e sfruttato. Gli altri ne approfitteranno a piene mani e lui si ritroverà con un pugno di mosche, illuso e deluso. E, quel che è peggio, continuerà a ripetere l’errore di legarsi a persone sbagliate, come se non potesse farne a meno, come se gli egoisti esercitassero su di lui un fascino irresistibile, poiché hanno qualcosa di terribilmente familiare che gli suscita un trasporto tanto assurdo quanto irrazionale: somigliano a quella madre cui è profondamente legato. Ma se sua madre non ha saputo amarlo, tantomeno ci riuscirà un’altra persona. Se vuole uscire da questo vicolo cieco, ha solo una possibilità: prendere coscienza della propria storia e riscriverla.
Le «nostre» storie
Barbara è una bella ragazza che si è sposata da pochi mesi con un giovanotto sportivo e in gamba, ma la coppia entra incredibilmente e rapidamente in crisi. Lei ha conosciuto un ragazzo più giovane da cui si lascia corteggiare, e con il quale inizia ben presto ad avere rapporti sessuali, tanto che nel giro di poco tempo rimane incinta. Il ragazzo, che Barbara ha conosciuto in discoteca e non sembra particolarmente maturo, sa che lei è sposata. Barbara ha alcuni incontri con uno psicoterapeuta dai quali non emerge niente di grave nel suo rapporto con il marito, ma piuttosto una scarsa motivazione ad affrontare la crisi. Nonostante sia consapevole che il nuovo ragazzo è meno maturo e affidabile del marito, Barbara chiude il matrimonio e interrompe la terapia appena iniziata. C’è una spiegazione? Barbara si è innamorata del nuovo partner e non è affatto motivata a rimettere in piedi il suo matrimonio, che è durato solo pochi mesi dopo tre anni di fidanzamento. Viene ovviamente da chiedersi come mai questo matrimonio, che aveva tutti i requisiti per continuare, sia finito.
Barbara è cresciuta in un ambiente familiare piuttosto permissivo ed è abituata a fare quello che le piace. Non ha concepito la sua coppia come un progetto su cui investire, per il quale valesse la pena di fare scelte e rinunce. Barbara ha continuato a vivere come fosse una single e, alla fine, si è lasciata trascinare da quello che «sentiva». «Non sento più niente»: la sua concezione del rapporto di coppia si fonda unicamente sull’emotività. Non ci sono regole, quelle regole che sono necessarie persino per far funzionare una partita di calcio. Penso che questa sia solo la prima separazione che dovrà affrontare: prima o poi proverà emozioni più forti per un altro uomo. In lei non ho trovato né autocritica né volontà di capire che cosa sia accaduto, ma solo la determinazione a vivere le cose sull’onda delle emozioni.
Luca è stato uno sportivo ad alti livelli; è un uomo sveglio e un gran lavoratore che riesce piuttosto bene nella propria attività. Alle sei di mattina è già in piedi e tutti i giorni fa chilometri di strada. Ha una bella famiglia, con due figli e una moglie graziosa, vivace e autonoma, che lavora. Tra loro c’è una buona attrazione. In gioventù, Luca è stato piuttosto disinibito e non si è fatto mancare avventure, ma ora è del tutto fedele alla propria moglie e senza rimpianti. Dunque, una coppia apparentemente senza problemi. Invece il problema c’è ed è tanto grave che la moglie è a un passo dalla separazione: Luca pensa soltanto al lavoro, vive solo per la sua attività fino a trascurarsi anche fisicamente e a non avere nemmeno il desiderio di divertirsi. Generalizzando, si può pensare che questa vera e propria dipendenza dal lavoro sia un costume, un male di tanti uomini in carriera. Ma la psicologia ragiona per vicende reali, non in astratto e in modo generico, perciò torniamo alla storia di Luca. Nato da una relazione giovanile della madre, è cresciuto senza padre e in una situazione economica disagiata. Poiché la sua nascita ha rappresentato più un problema che una gioia, non è stato molto amato. Da ragazzo riceve finalmente gratificazione e amore – si fa per dire – quando inizia a lavorare e a guadagnare qualcosa. L’imprinting è chiaro: se vuoi affetto, lavora e porta a casa i soldi. E Luca lavora tanto anche dopo sposato, ma sua moglie, che lo ama davvero e non lo usa come una macchina per fare soldi, vuole lui, la sua presenza, per il bene suo e di tutta la famiglia.
Luca ha salvato la sua coppia, che stava inesorabilmente per naufragare, nel momento in cui ha capito le ragioni profonde della sua dipendenza dal lavoro. Fino ad allora non si era capacitato delle critiche della moglie, dal momento che non aveva mai fatto mancare niente alla famiglia.
Quanti uomini, figli di una generazione che usciva dalla fame, sono diventati macchine da soldi e si sono sentiti genitori e padri integerrimi per aver garantito il benessere economico alla famiglia. Perché, poi, i figli sono talora diventati ragazzi viziati o, in alcuni casi, addirittura tossicodipendenti? È mancato in casa un padre, andato a cercare successo e denaro, un educatore che desse più regole e limiti che soldi, più responsabilità e meno comodità, uno che avesse tempo per parlare con i figli. Luca ha capito che nessuno gli chiede di rinunciare alle proprie ambizioni, ma che la sua famiglia ha bisogno di altre cose molto importanti. Lui vale decisamente di più: i suoi figli vogliono che sia più presente, perché il padre è il miglior «gioco» che esista, e sua moglie vuole accanto l’uomo che ama.
Ecco quanto conta la propria biografia affettiva, il vissuto dei rapporti affettivi con i genitori. E quanto le esperienze passate possono schiacciarci, senza che nemmeno ce ne accorgiamo (potenza e pericolo dell’inconscio?), se non abbiamo la fortuna di incontrare una persona che ci ama davvero e che, insieme a uno psicoterapeuta, ci apra gli occhi, evitandoci di fare la fine del topo: accumulare soldi per ritrovarsi, avanti negli anni, soli e senza affetti veri, o, peggio ancora, con dei figli che ti danno seri problemi perché non li hai saputi seguire e educare.
Un grave equivoco: «Non mi capisce»
Il matrimonio, a volte, si trascina per anni come nella classica famiglia borghese: genitori perfetti e coppia di amanti scadenti. Fino al grave fattaccio: lei tradisce il marito con un uomo più giovane. Chi è tradito esce tremendamente mortificato da questa vicenda; sente che la vita non vale più niente. Si dice che il tradimento sia più naturale della fedeltà, ma basta subirlo per capire quanto faccia male. Niente avviene per caso. Forse, per anni abbiamo sentito di non contare niente per l’altro, ma non abbiamo affrontato il problema e non siamo ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Amore Non È Amare
  3. Introduzione
  4. Eros e amore: potenza e fragilità
  5. Emozioni e progettualità
  6. Interni di vita di coppia
  7. Progetto di amore tra contraddizioni e conflitti
  8. In-fedeltà
  9. La famiglia oggi, tra autenticità e verità
  10. La società di Narciso nell’epoca di Internet e di Facebook
  11. Amanti che uccidono: il male o la malattia?
  12. Postfazione
  13. Brevi note biografiche degli autori
  14. Copyright