Controvento
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Controvento

Il tesoro che il Sud non sa di avere

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  1. 132 pagine
  2. Italian
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Controvento

Il tesoro che il Sud non sa di avere

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Informazioni sul libro

"Antonio più di ogni cosa sentiva di notte, anche in casa, il rumore delle pale. Vvrroom... vvrroom... Si addormentava con le pale che giravano e si alzava, dopo le poche ore di sonno, che continuavano a girare. Giravano sempre, le pale." Nella vita di Antonio Colucci entrano un giorno, ospiti scomode e inattese, le pale eoliche. Nel suo mondo arcaico quelle pale si muovono senza un perché. Del resto è una ricchezza improvvisa e sconosciuta apparsa nel Sud dell'Italia, dove le pianure non danno da vivere. I capannoni sono oramai detriti della civiltà industriale, l'agricoltura è povera, i contadini pochi e per lo più morti di fame.
Ai sindaci il vento piace perché rappresenta una piccola pensione sociale collettiva. Pochi soldi, ma cash, ora che le casse sono vuote. E grazie a quegli industriali che fittano terreni (e coscienze) c'è una fatica in meno da fare: pensare, organizzarsi, cercare il partner, produrre in proprio. È troppo complicato, troppo impegnativo sviluppare un'economia locale fondata sull'energia sostenibile e rinnovabile. Meglio appaltare tutto in cambio di un obolo. Lo Stato ha semplicemente abdicato al suo dovere. Senza mai indicare, valutare, ammettere o respingere, proporre e magari mitigare l'impatto ambientale, dire no qualche volta alle pale. No, qui no. Lì invece sì. Senza cura per il bene di tutti, senza amore per il territorio. Lo Stato ha semplicemente chiuso gli occhi davanti al più grande scandalo di questo inizio secolo.
Antonello Caporale, uno dei più seguiti giornalisti di inchiesta, attraverso alcune storie esemplari, in cui si alternano duri toni di denuncia e accenti lirici, ci propone una ricostruzione lontana da ogni forzatura ideologica, dove le vicende dell'eolico finiscono per rivelare la malattia endemica dell'Italia e più ancora il destino a cui è condannato il Sud: bruciare la propria ricchezza senza nemmeno averla riconosciuta.

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Informazioni

V

Ostro

Le cose semplici si complicano sotto i nostri occhi.
Si gonfiano come la pancia delle rane e ci mettono ansia, e ci spingono a ritenerle difficili.
La fai facile tu!
In verità ogni cosa è al tempo stesso facile e difficile. Dipende da dove ti metti, dal luogo da cui decidi di mirarla. E dai pensieri che fai mentre guardi, dalla voglia che hai mentre guardi, dall’amicizia che senti per la questione che devi affrontare.
A mia nonna sembrava facile e semplice e giusto andare a lavare gli indumenti di famiglia al fiume.
Il fiume scorre e porta l’acqua senza aver bisogno di nessun aiuto.
A mia nonna bastava raggiungere il fiume. L’acqua aspettava che i vestiti venissero immersi e che la sua mano conducesse tutto l’avambraccio sott’acqua per strizzarli a dovere.
Così sua mamma, e sua nonna, e tutte le mamme e le nonne del paese avevano fatto e facevano. Loro conoscevano l’acqua del fiume, e il sentiero che le avrebbe condotte lì. Conoscevano quel fiume e quel sentiero, e nessuno aveva mai parlato loro di acquedotti e tubature.
Avevano l’acqua, avevano il fiume e avevano i panni da lavare.
Quando a cinquant’anni scoprì anche il rubinetto in casa, mia nonna gridò al miracolo. Non ci sarebbe mai riuscita con la sua testa a portare l’acqua del fiume in cucina. Iniziò subito a godersela. Aveva il rubinetto. Apriva e l’acqua scendeva. Chiudeva e l’acqua taceva.
Io avevo otto anni quando vidi per la prima volta zampillare la fontana al mio paese.
Non mi capacitavo di quanto fosse bello pigiare sul rubinetto e berla, finché la pancia non si fosse gonfiata come quella di una rana. Senza più secchi, senza più pozzi, senza più moscerini da ingoiare. Bastava avvicinare la bocca al rubinetto. Un gioco da ragazzi.
Bevevamo l’acqua sia in casa che per strada. Bevevamo sia fuori che dentro le mura. Bevevamo al mattino e alla sera. Anche di pomeriggio e di notte. Ci inzuppavamo. Era tutto gratis. O così pareva a noi.
Ci piacque subito l’idea che l’acqua ci facesse finalmente visita. Era divenuto semplice ciò che a tanti pareva complicato, oppure possibile ma costoso: condurre l’acqua dalla sorgente al paese.
Dalle pendici dei monti alle case, nelle città.
Ce l’avevano già fatta i Sumeri e poi i Romani e – secoli dopo – ce la fece tutta l’Italia, compresi noi meridionali. Dappertutto l’acqua. «Porteremo acqua e luce in ogni casa» diceva il mio sindaco ai comizi di piazza. E così fu.
Dopo alcuni decenni ci siamo come stufati di vedere l’acqua ovunque e quasi gratis.
Ci piace e ci è utile, ma non è più quella di una volta. Non ha più quel sapore, né è più tanto pulita. Ci mettono il cloro, la disinfettano molto, perché col tempo si è sporcata. Non sono le rocce a essere invecchiate, ma i tubi a essersi trasformati in pezzi di ruggine. Perciò la disinfettano. Più la disinfettano e più è pulita. È pulita, ma ha un cattivo sapore. Colpa del disinfettante.
Ce lo siamo detti tutti a casa mia. L’acqua del rubinetto fa schifo. È pesante, è piena di calcio. È imbevibile. Ed è un problema.
Io compro l’acqua in bottiglia, è più buona. Anche mio padre compra l’acqua in bottiglia, è più buona.
Mio nonno è morto prima che al mio paese l’acqua fosse venduta in bottiglia, perciò non l’ha potuta mai comprare.
Da vent’anni a questa parte l’acqua si è fatta piuttosto indigesta. Le sorgenti sono le stesse, ma le condotte fatiscenti e sporche. Gli acquedotti hanno bisogno di manutenzione. E non c’è tempo. E se c’è tempo, non ci sono soldi. E se ci sono i soldi, non ci sono progetti. E se ci sono soldi e progetti, non c’è voglia. E se c’è voglia compare subito qualche ladro che fa sparire i soldi e cambia i progetti. Aggiusta un pezzo e lascia intatti i buchi nell’altro pezzo.
L’acqua verrebbe pulita se noi non la disturbassimo. E ce ne sarebbe tanta se non la disperdessimo. E costerebbe sempre poco.
La fai facile!
Ricordo benissimo che, fino a qualche anno fa, la società pubblica che gestisce l’acquedotto pugliese non riusciva a spendere novecento milioni di euro per rendere sicura e pulita l’acqua del fiume Sele che disseta tutta la regione. Erano troppi soldi, o forse era troppo complicata la faccenda. In tanti si accapigliarono su come dovessero essere cambiati i tubi e i contatori. Sembrava semplice, invece la questione si complicò sotto i loro occhi. E si gonfiò come la pancia delle rane nello stagno.
Vai a farla semplice!
Dovettero cambiare i dirigenti. Una volta, due volte, tre volte. C’erano oltre duecentomila contatori inceppati, e chilometri di tubi arrugginiti. La ruggine intorbidisce l’acqua, consuma il ferro e poi lo buca. L’acqua si sporca e fugge via prima di raggiungere i rubinetti delle nostre case. Mica i soldi da soli bastano a risolvere un problema! Non si spendevano, o se si spendevano parecchi si sprecavano. Infatti si dice che l’acquedotto pugliese abbia dato più da mangiare che da bere!
L’acqua è divenuta davvero un bel problema.
Ma noi siamo intelligenti e pieni di ingegno. Gli italiani più degli altri popoli. In tanti si sono messi subito all’opera per aiutare a guarire l’acqua e far bere sano al popolo. Al supermercato ora vendono una caraffa che pulisce l’acqua sporca.
Compri la caraffa e te ne fotti dei tubi con la ruggine.
Pulisci l’acqua che bevi tu. E come la vuoi tu. E per le tue necessità. Ci sono diverse caraffe e diversi microfiltri. Tutte le tasche ormai possono permetterselo.
Anch’io ho la caraffa col microfiltro. La riempio d’acqua e lei da sola me la disinfetta, me la filtra, ci posso aggiungere anche le bollicine. Io la bevo e ho risolto il problema. Gli altri, se vogliono, vanno al supermercato e comprano la caraffa. Una caraffa per ogni famiglia. I ricchi possono anche decidere per un’attrezzatura più impegnativa, detta a osmosi inversa. Rende l’acqua davvero cristallina. Qualche migliaio di euro, anche meno.
I poveri hanno la caraffa, comunque.
Però ci sono i giornali che mettono zizzania e avvertono che il microfiltro è meno utile di quel che sembra. Non aiuta né pulisce. Non toglie e non mette. Anzi, forse il filtro si consuma e aggiunge sporco invece di toglierlo. E non tutti i cittadini si fidano del microfiltro. È un bel problema, davvero. E lo Stato garantisce che l’acqua del rubinetto è pulita e sana. Vatti a fidare dello Stato!
Allora il governo, per affrontare la situazione e forse impedire che le famiglie fossero costrette a comprare la caraffa col microfiltro, che non si sa se pulisce o sporca, aveva deciso di risolvere il problema alla fonte.
Visto che non siamo capaci di far giungere l’acqua pulita nelle case, e farla costare poco e nemmeno siamo capaci di chiudere tutti i buchi delle condutture, e togliere la ruggine e cambiare i cilindri d’acciaio, diamo le condotte con la ruggine e i contatori inceppati a chi se ne intende. Se la vedano loro!
Oggi sono decine le imprese che vendono acqua. Acqua di tutte le qualità. Tutte buone, leggere e pesanti. Frizzanti e naturali. Loro la imbustano nella plastica, la mettono sui tir e la fanno viaggiare. Nord-sud, est-ovest. Sono aziende anche molto sensibili all’ambiente: alcune di esse stanno persino investendo nell’ecosostenibilità. Producono acqua, commercializzano acqua e ritengono che sia giusto conservarla in bottiglie non inquinanti. Hanno perciò scelto di andare incontro ai desideri del consumatore e tra un po’ venderanno l’acqua pulita in bottiglie pulite, sane, perfette. La «bio bottle» sarà totalmente biodegradabile.
Credi a me, la «bio bottle» è il futuro.
C’è sempre gente che vede nero anche dov’è bianco, e alcuni ricercatori dell’università di Napoli si sono messi ad analizzare l’acqua venduta in bottiglia e a dire che mica è poi tanto pulita. Hanno analizzato l’acqua di 158 etichette industriali e in qualcuna s’è trovato più arsenico del dovuto, in qualche altra più alluminio, o più berillio o più fluoro. Mettono zizzania, ecco!
La verità è che i privati ci sanno fare. E il pubblico no. E i privati offrono l’acqua pulita e ci guadagnano pure.
Oro blu si chiama infatti l’acqua.
Potevano occuparsi anche dell’acqua di casa. Per il governo sarebbe stato un problema in meno e un affare in più!
Con pochi euro io comunque ho risolto il problema.
Vado al supermercato e ne compro dodici litri.
Pesa la confezione, ma vuoi mettere?
Costa la confezione, ma vuoi mettere?
Con trenta euro al mese bevo sano.
Ci sanno fare quelli che vendono l’acqua, l’ho detto e lo ripeto. L’acqua imbottigliata è più buona.
Però se noi gli avessimo dato in concessione anche l’acquedotto pubblico, insieme alla ruggine e ai contatori inceppati, loro avrebbero tolto la ruggine, rimesso contatori nuovi e ci avrebbero fatto bere l’acqua del rubinetto. Buona però. L’acqua sarebbe diventata loro, ma noi non saremmo stati obbligati ad andare più al supermercato a comprargliela. Gliela avremmo pagata comodi con la bolletta inviata a casa. Se non ci fossero riusciti, comunque sarebbe rimasta la possibilità dell’acqua del supermercato e, per i poveri, la caraffa col microfiltro.
Era una promessa. Se l’acqua fosse andata ai privati, loro avrebbero portato la sorgente in salotto. Avremmo potuto berne quanta ne avessimo voluta. Di mattina e di sera. Anche di notte.
In casa e per strada.
Come quando avevo otto anni e al mio paese iniziò a zampillare la fontana.
Bastava solo pagare un po’ più di adesso, certo. Quanto di più? Boh! Ma vuoi mettere?
Lo Stato non può pensare a tutto. Cambiare una condotta d’acqua sembra una cosa semplice, ma è difficile.
Un privato lo avrebbe fatto meglio e avrebbe impiegato meno soldi. Invece ci si è intestarditi ed è stato approvato un referendum che obbliga i Comuni a gestire sia l’acqua che la condotta. È un bel problema adesso. L’hanno detto subito in televisione: ora l’acqua costerà di più, il servizio sarà inefficiente e le condotte esploderanno di ruggine.
Chissà come, ma i privati, se fossero stati messi in condizione, avrebbero speso i miliardi di euro per tappare tutti i buchi, rifare daccapo le condotte, farci bere l’acqua pulita, abbassare il costo della bolletta e guadagnarci anche.
E siamo stati dei fessi a non darla ai privati, avremmo bevuto pulito. Invece ci toccherà bere con la caraffa e il microfiltro. O fare l’impianto a osmosi inversa.
Chi si fida più del rubinetto?
C’è gente che malgrado tutte queste evidenze continua a non capire e si intestardisce con le domande: perché lo Stato non è in grado di portare l’acqua pulita e dal sapore buono nelle case? Perché non è in condizione di sostituire le condotte piene di ruggine? Perché deve perderci col servizio idrico se è certo invece che ci si può guadagnare?
La fai facile!
È un problema complicato, e non c’è tempo per affrontarlo. Si saprebbe pure come fare, ma non ci sono i soldi. E si è visto che quando pure i soldi si sono stanziati, è mancata la voglia. Ci è mancato il temperamento, la tenacia, l’ottimismo. E poi ci sono i ladri, e poi l’acqua scorrerà per molti anni a venire ancora nelle condotte piene di ruggine. I privati avrebbero investito soldi, lo Stato no, soldi non ne ha.
I privati ci avrebbero guadagnato con l’acqua, lo Stato ci perderà. Questo è sicuro. Perciò è stupido chi si chiede perché i privati ci guadagnano e lo Stato ci perde. Che domande sono?
E poi troppe domande danno sui nervi.
L’acqua. Il vento. Il sole.
Sono le energie vitali dell’uomo.
Le abbiamo gratis.
E basterebbero per tutti, indistintamente. Vecchi e giovani. Alti e bassi. Ricchi e poveri.
Nel Sud dell’Italia ci sono, oltre all’acqua, tanto sole e vento. In verità anche al Nord c’è vento, magari non soffia impetuoso come sul tacco dello Stivale, ma volendolo sfruttare renderebbe bei soldi. Però il vento soffia quasi sempre solo a Mezzogiorno, e chissà perché.
Certo che lo so il perché: mica si possono mettere le pale sulle Dolomiti! Sarebbe bello per le pale, ma non per le Dolomiti. Neanche in pianura vanno bene, neanche in collina. Vi sembrerebbe giusto mettere le pale sui colli Euganei? Ci sono le ville, le vigne, le terme. O in Pianura padana? Lì i campi sono da arare, o servono per allevare maiali, o produrre piastrelle e salotti. E già sta facendo troppi danni la costruzione di centrali di biogas, di quelle idroelettriche (299 tra Como, Lecco, Bergamo e Brescia), l’installazione dei pannelli solari. Gli allevatori iniziano a lamentarsi. Ci sono le industrie in Pianura padana, c’è agricoltura intensiva, non c’è posto per le pale. E poi c’è il paesaggio da tutelare. Ci sono le colline e le città, i corsi d’acqua e le terme e le montagne.
Perciò il vento ha iniziato a soffiare prevalentemente a sud. Al Sud anzitutto non esistono le Dolomiti e non esistono le pianure. Non esistono le industrie, esistono i capannoni ma sono vuoti, chiusi. Sono detriti della civiltà industriale. E l’agricoltura è povera, le terre sono brulle, i contadini pochi e per lo più morti di fame.
Ci sarebbe solo il mare da salvaguardare. Anche i monti e le colline, a dire il vero. Il paesaggio è spesso mozzafiato. Ci sono visioni magiche. Ma con la magia non campi. Al Sud le pale generalmente non danno fastidio all’occhio. Poche o tante non fa differenza. E le campagne sono fatte apposta per ospitare gli impianti fotovoltaici. Pochi o tanti non fa differenza.
La green economy, l’economia verde, ecosostenibile. Le società del vento per questo si sono dirette quasi tutte a sud, anche se sono nate al Nord. Per far divenire ricco il Sud, che oggi è povero. Al Nord progettano e al Sud costruiscono. Bello così. Ci si divide i compiti in Italia: c’è chi offre e chi riceve.
Si fanno ottimi affari col vento e anche col sole. E anche con l’acqua.
Ma stanno divenendo un bel problema.
Il so...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Controvento
  3. I Tramontana
  4. II Grecale
  5. III Levante
  6. IV Scirocco
  7. V Ostro
  8. VI Libeccio
  9. VII Ponente
  10. VIII Maestrale
  11. Ringraziamenti
  12. Copyright