Per fortuna che ci sei
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Per fortuna che ci sei

Duda e gli altri fratelli animali che mi hanno cambiato la vita

,
  1. 180 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Per fortuna che ci sei

Duda e gli altri fratelli animali che mi hanno cambiato la vita

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Informazioni sul libro

"Duda è una cagnolina tutta nera, con una macchietta bianca sotto la bocca, una sopra il tartufo e una un po' più grande sul petto. Ha anche quattro ciuffetti, sempre bianchi, in mezzo ai piedini. Assomiglia un po' a un Bracco, ha qualcosa anche del Pointer, la struttura è però del Labrador e le orecchie sono del Setter: insomma è il prototipo del vero bastardino doc." Duda è la simpatica cagnetta che, insieme a Titico, allieta le giornate della famiglia Stoppa.
Edoardo l'ha incontrata in un canile di Olbia quando aveva solo pochi giorni di vita. Qualcuno l'aveva buttata dentro un cassonetto della spazzatura insieme al resto della cucciolata. Sprofondata fra i rifiuti e allo stremo delle forze per i miasmi, Duda era riuscita incredibilmente a produrre un acuto guaito quando una mano ignota aveva sollevato il tettuccio del cassonetto lasciando entrare un filo di luce. Era la mano amica di un volontario che stava casualmente controllando proprio quella zona. Un piccolo grande miracolo.
Per fortuna che ci sei racconta questo e tanti altri miracoli quotidiani in cui le persone sensibili aiutano i nostri fratelli e sorelle animali. Ma il tema originale di questo libro è la scoperta che gli animali salvati ripagano l'amore ricevuto con altrettanto amore donato, riuscendo spesso a migliorare la vita degli esseri umani. Marco, per esempio, ha trovato in Bijou una delle ragioni per chiudere con una vita di espedienti, dentro e fuori dal carcere. Marta, invece, è una ragazza che ha superato un periodo di profonda crisi personale prendendosi cura di Elisa, una dolcissima randagia che si accucciava di notte accanto a lei sulla panchina del parco. E storie simili sono capitate a Sandra, Claudia, Alicja e a tanti altri...

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Informazioni

Maktub
(Perché tutto è già scritto!)

Dea è una bellissima femminuccia di pastore belga, nera e molto robusta, quasi troppo. Infatti, è leggermente fuori misura rispetto allo standard della sua razza: forse non potrà mai vincere un concorso di bellezza, però questo suo essere... un po’ troppo cresciutella la rende molto resistente e potente.
Alicja è una ragazza solare, innamorata della vita e del nostro pianeta. È molto sportiva e ha una passione sfrenata per lo sci e la neve. Fin da piccola, con suo padre, è stata abituata a rispettare la natura e a viverla appieno. Crescendo è diventata un’appassionata di triathlon, arrivando a essere una delle migliori atlete del suo paese. Entrambe sono polacche: Dea arriva da un piccolo allevamento nei pressi di Wałbrzych, una piccola cittadina del sudovest. Alicja è originaria di Breslavia.
Entrambe, per motivi molto diversi, lasciarono il proprio paese. Alicja in giovane età si trasferì con la famiglia a Varsavia; prese un diploma come perito agrario e poi si laureò in biologia. Ottenne degli ottimi risultati e, vincendo una borsa di studio, ebbe la possibilità di venire in Italia per un corso biennale organizzato da alcuni parchi nazionali italiani in collaborazione con l’Università di Milano. Si trasferì quindi nel nostro paese, fiera ed entusiasta per la grande opportunità che le era stata offerta.
Dea arrivò invece in modo decisamente più rocambolesco. Fu infatti venduta, assieme ad altri cinquanta cuccioli, a un commerciante italiano che tentò di importarli illegalmente. La guardia di finanza, pochi chilometri dopo il confine italiano, lo intercettò. Tutti i cuccioli vennero sequestrati: dopo aver effettuato i controlli necessari, la maggior parte degli animali fu data in adozione. Dea e altri due cuccioli furono invece “arruolati” e rimasero a servizio dei finanzieri. Vennero assegnati alle unità di soccorso valanghe e macerie. Dea era una cucciolotta molto prorompente, un po’ troppo irrequieta ed esuberante, però aveva un fiuto speciale e, fin dai primi giorni di addestramento, mostrò una predisposizione unica. Era svelta, scaltra e volenterosa. Per lei l’addestramento non era solo un gioco: sembrava percepire l’importanza del ruolo che le era stato affidato e si applicava con grande passione e accanimento in tutti i suoi esercizi. Fin dal primo giorno fu affidata a un finanziere di nome Marco. Era il primo cane che Marco addestrava, personalmente, fin dall’inizio. Tra i due si creò subito un legame forte: un feeling che sembrò nascere in maniera del tutto spontanea. Quasi troppo, come se tutto fosse già stato deciso.
Ormai da tempo si è capita la fondamentale importanza del rapporto tra il conduttore e il cane che deve effettuare le ricerche di soccorso. Proprio per questo, spesso, si permette al conduttore di adottare il cane, portandoselo a casa e gestendolo al cento per cento. Dea e Marco divennero inseparabili. Tra il tempo che passavano allenandosi, quello che trascorrevano giocando e quello che passavano dormendo insieme, si può dire che vivessero in simbiosi. Ciò nonostante Marco non riusciva a “capirla” ancora del tutto. Giornalmente, anche lui, si sorprendeva delle capacità della bellissima Dea; cercava di analizzare i suoi atteggiamenti e, ogni volta, si sorprendeva nel constatare che quella cagnolina sembrava pensare come lui, agire come lui e avere gli stessi obiettivi. Quando i superiori facevano i complimenti a Marco per i suoi risultati negli allenamenti lui, scherzosamente, precisava: «Non fateli a me, fateli a Dea... è lei la mente della coppia!».
L’addestramento durò circa un anno: Dea si dimostrava molto brava sia nelle simulazioni di ricerca in maceria che in quelle in valanga e proprio per questo, assieme a Marco, fu destinata a un’unità di pronto intervento aviotrasportata. Non passò molto tempo prima che Marco e Dea si facessero notare: erano sempre i primi nelle esercitazioni e vederli assieme era davvero uno spettacolo, tant’è che venivano inviati nei vari centri di addestramento per tenere dei corsi e partecipavano a quasi tutte le manifestazioni pubbliche a cui era invitata la guardia di finanza.
Erano sempre in giro per l’Italia, si divertivano e ricevevano un sacco di complimenti. Ma il destino, per loro, aveva in serbo ben altro. Il 5 marzo 2004 era un venerdì. Marco e Dea partirono da Milano alla volta del Trentino. Li aspettava un weekend ricco di impegni. Sabato avrebbero dovuto tenere un corso presso la caserma di Passo Rolle, dedicato ad aspiranti conduttori, con i loro futuri cani da salvataggio e domenica dovevano partecipare a una parata a Madonna di Campiglio, per poi dedicarsi a un incontro con i ragazzini di alcune scuole della zona.
Alicja, intanto, stava portando avanti il suo master a Milano. Le prime fasi erano molto teoriche, e venivano gestite per lo più nelle aule della facoltà di biologia di Milano. Per Alicja tutto era interessante, però i ritmi erano serrati e lei iniziava a sentirsi sfinita. Aveva bisogno di una bella pausa per ricaricare le batterie. Le mancavano inoltre l’aria aperta, la sua montagna e, soprattutto, gli allenamenti di triathlon, che stava un po’ trascurando.
Decise di passare un paio di giornate in montagna con il suo nuovo ragazzo milanese e alcuni amici. Alicja aveva sentito parlare a lungo delle bellissime Dolomiti, i fantastici massicci rocciosi con chilometri e chilometri di piste sulle quali sbizzarrirsi. Decisione presa, si parte!
Ad Alicja non sembrava vero: dopo tanti giorni concentrata sui libri, poteva finalmente rilassarsi. Era una bellissima giornata: il sole splendeva, faceva molto caldo, forse troppo! I giorni precedenti, tutta l’area era stata caratterizzata da una forte perturbazione che aveva portato quasi un metro di neve fresca. Anche il ragazzo di Alicja era entusiasta. Aveva appena comprato in un grande magazzino un paio di sci da free riding e non vedeva l’ora di provarli sulla neve fresca. Cercava di tracciare le sue scie su qualsiasi punto in cui il manto nevoso fosse intonso, non ancora rovinato da altri sciatori. Appena poteva si lanciava fuori pista alla ricerca di un pendio con neve immacolata. Era un buon sciatore, ma come esperto di montagna e di neve, aveva molto da imparare.
Alicja aveva invece una discreta conoscenza in materia e sapeva bene che le condizioni di quella giornata non erano ideali per fare i fuori pista: «Amore, lascia stare, non vedi che la neve è troppo molle e pesante? Va a finire che ce la tiriamo in testa!».
«Non fare la guastafeste, non vedi che figata, è troppo bella... dai seguitemi, guardate che scieee!»
Alicja era troppo innamorata per imporsi: già la accusavano sempre di essere una palla al piede e di pensare sempre allo studio, non voleva essere certo lei, adesso, a rovinare quella fantastica giornata. Sciarono varie ore, tutto era perfetto, meraviglioso; era una giornata da ricordare e, in effetti, quella giornata non l’avrebbero mai più dimenticata...
Erano le due di pomeriggio, Alicja, il suo fidanzato e gli amici iniziavano a essere un po’ stanchi e ad avere fame: «Dai, facciamo l’ultima e poi andiamo a mangiare, dalla seggiovia ho visto un crinale fantastico. Appena arriviamo, basta arrampicarsi un po’ sulla montagna, verso destra e sotto si apre una discesa da urlo» disse qualcuno del gruppo. E così fecero. Sia il crinale che il paesaggio, non c’è che dire, erano meravigliosi: purtroppo, però, non erano né l’orario né la giornata giusta per avventurarsi su quel tipo di discese. Il fidanzato di Alicja andò per primo. Alicja aspettò qualche secondo, come la prudenza e l’esperienza suggeriscono, dopo di che iniziò la discesa, facendo attenzione a seguire la massima pendenza, evitando di fare solchi troppo trasversali sulla superficie della neve. Non fece in tempo a fermarsi a metà strada tra il suo ragazzo e il gruppo per dare il via a chi doveva scendere dopo di lei, che vide tutti quanti assieme avventurarsi in una discesa senza regole. L’inevitabile accadde!
La montagna sembrò volere dire la sua: la neve iniziò a muoversi sotto gli sci dei ragazzi. Loro riuscirono a fermarsi, ma il danno era ormai fatto. La valanga raggiunse prima Alicja, travolgendola con tutta la sua potenza e poi investì anche il suo fidanzato. Gli altri ragazzi, sconvolti, non credevano ai loro occhi. In corrispondenza del tratto di discesa sul quale avevano appena visto Alicja e il suo ragazzo, adesso c’era solo uno sconfinato ammasso di neve disordinata. Di loro non v’era più traccia. Furono presi dal panico! Non sapevano che cosa fare, provarono ad avvicinarsi alla valanga, ma a malapena riuscivano a sciarci sopra. Sandra e Serena, due amiche di Alicja, scoppiarono a piangere. Thomas, che era lì con loro, capì che non si poteva più perdere del tempo prezioso. Disse agli altri di rimanere sul posto e si precipitò verso valle, in cerca di aiuto. Fece fatica a tornare in pista, ma alla fine riuscì ad avvisare un impiegato degli impianti che via radio diede l’allarme. Tutte le unità di soccorso nei dintorni furono allertate. Ci vollero sette minuti affinché giungessero i primi soccorsi che con Arva [la piccola scatola elettronica che emette continui segnali radio, ndr], sonde e pale, iniziarono a scandagliare il terreno. Dopo circa diciotto minuti arrivò la prima unità cinofila.
Dea e Marco erano impegnati a tenere il loro corso per soccorritori a Passo Rolle: furono avvisati e decisero di partire immediatamente. Facendo decollare un elicottero da Bolzano, avrebbero raggiunto la zona della valanga in meno di mezz’ora. Salirono sull’elicottero assieme ad altri cani con i loro conduttori che, abitualmente, prestavano servizio nella zona. Nel frattempo continuavano ad arrivare sul posto nuovi nuclei operativi, ma l’area da sondare era troppo vasta.
“Caspita, questi ragazzi hanno tirato giù mezza montagna!” continuava a ripetere tra sé e sé il capo nucleo della prima unità cinofila, giunto tra i primi sul luogo dell’incidente. Uno dei Pastori tedeschi impegnati nelle ricerche iniziò ad abbaiare freneticamente. Aveva trovato qualcosa: un guanto con ancora attaccata la rac chetta. Era un buon indizio, tutti i soccorritori si concentrarono in quella zona.
Infilando un sondino nella neve, un soccorritore sentì del morbido: «Qui c’è qualcosa, scaviamo, scaviamo... le pale».
Trovarono il ragazzo di Alicja. Il suo corpo era privo di vita! Aveva la bocca piena di neve. A nulla servirono i disperati tentativi dei soccorritori per rianimarlo. Non c’era più niente da fare. Arrivarono Marco, Dea e gli altri soccorritori e iniziarono subito le ricerche. Dea era frenetica. Non era uno dei soliti allenamenti, questa volta si trattava della realtà. Lei ne aveva piena coscienza. Non si fermava un attimo. Marco faceva fatica a starle dietro: continuava a cercare di calmarla, ma lei era una furia scatenata. Con il suo nasone ricoperto di neve e ghiaccio, scandagliava ogni centimetro, si soffermava per qualche secondo e poi ripartiva. Nessuno dei cani riusciva a trovare la benché minima traccia. Marco richiamò Dea, dovette farlo per ben quattro volte prima che lei, di solito ubbidientissima, interrompesse le ricerche. Marco si mise a parlare con Thomas e con le ragazze: cercava di carpire ogni indizio per ricostruire gli eventi.
«Dov’era Alicja l’ultimo istante che l’avete vista? Non è più riemersa poi, in nessun momento? Era ferma o si stava muovendo? A che distanza era dal suo fidanzato?»
Ogni informazione in più sarebbe stata preziosa, ma i ragazzi erano ancora sotto choc e non erano assolutamente di aiuto. Marco si sedette per un istante sulla neve; Dea si posizionò al suo fianco continuando a scrutare fissa la valanga. Entrambi avevano bisogno di riprendere il fiato e di radunare le idee. Marco tirò fuori una barretta, la spezzò in due. Ne mangiò un pezzo e offrì l’altra parte a Dea. Ma lei non sembrò neppure accorgersene: era troppo concentrata, continuava a fissare dritto davanti a sé, in direzione di tutta quella neve smossa. Non vedeva l’ora di ricominciare a cercare.
«Devi mangiare Dea, mangia un pezzetto di questa barretta, devi essere in forze» la spronava Marco.
Lei girò il muso verso il suo compagno: con un rapido balzo prese la barretta e la ingoiò in un sol boccone, dopo di che riprese a fissare la neve senza più distogliere lo sguardo. Il tempo passava! E per Alicja diminuivano drasticamente le possibilità di essere recuperata viva. Da un punto di vista statistico, se il recupero di una persona seppellita sotto una valanga avviene entro diciotto minuti, si hanno buone possibilità di ritrovarla viva (sempre che non siano sopraggiunti traumi provocati dalla neve o dalle rocce). Dopo diciotto minuti le aspettative di vita diminuiscono velocemente. Dopo un’ora, in genere, gli sforzi dei soccorritori mirano al recupero della salma.
Alicja era oramai sepolta da quasi tre ore. Marco non capiva come fosse possibile che non fosse emersa ancora nessuna traccia, nessun indizio e che nessun cane, neanche la sua Dea, avesse fiutato niente. Il tempo stringeva, il sole stava quasi tramontando dietro le Pale di San Martino, stupende cime, fiere e imponenti che, in quel particolare istante, incutevano un certo timore. Le ricerche non potevano continuare con il buio. Il che voleva dire che dovevano trovare Alicja entro poco tempo, altrimenti la povera ragazza avrebbe dovuto passare la notte là, su quel crinale. E a quel punto...
Thomas, con le lacrime agli occhi, infreddolito e ancora sconvolto, si ricordò di aver visto Alicja scompari re subito, quasi fosse stata risucchiata dalla montagna. Raccontando questo, tirò fuori il cellulare e mostrò a Marco una foto di Alicja, sorridente, solare; come del resto era quasi sempre.
Adesso Alicja, per Marco, non era più una sconosciuta. Aveva un volto.
«Lei è forte, è robusta, lei è un’atleta: è ancora viva, vero, vero?» continuava a chiedere Thomas.
Marco non sapeva che cosa rispondere, non voleva mentire. Si limitò a ribattere: «Solo Dio lo sa!».
Solo Dio lo sa! Era proprio vero, effettivamente anche Alicja non era più sicura di essere viva: era in un tale stato di torpore che aveva perso il contatto con il proprio corpo e con il mondo esterno. Immagini sparse, flash confusi, il suo fidanzato che la saluta, gli amici che la guardano, un bacio, un lampo di luce, un rumore improvviso. La sensazione vivida di un dolore lancinante e poi il buio e il silenzio. A poco a poco, attraverso la neve, Alicja iniziò a percepire una luce fioca. Sapeva di dover reagire: non aveva coscienza di dove fosse e che cosa fosse successo, ma sapeva che se voleva “tornare” sulla terra a far parte del mondo dei vivi doveva reagire. Provò ad aprire gli occhi, ma non ci riusciva. Come se le sue palpebre pesassero cento chili. Non riusciva a concentrarsi, non riusciva a pensare.
Alicja, fin da piccola, era stata abituata a lottare. La sua famiglia era molto semplice e piuttosto povera. Eppure lei era riuscita sempre a ottenere quello che voleva; la laurea e poi la borsa di studio per un master all’estero. Suo padre le aveva insegnato che volere è potere: basta tenere duro, crederci fino in fondo e qualsiasi risultato arriva.
Sante parole! Parole che Alicja custodiva sempre nel suo cuore come insegnamenti di vita da trasmettere ai propri figli, quando ne avesse avuti. Perché lei voleva, più di ogni cosa, quando sarebbe stato il momento giusto, costruirsi una famiglia e avere due bei bambini. Penso fu proprio questo pensiero che balenò nella mente confusa di Alicja a darle la forza di sollevare quelle pesantissime palpebre.
Gli occhi erano pieni di neve. Non capiva dove fosse. Aveva la bocca spalancata. Mosse leggermente la lingua, si rese conto che anche la bocca era ricolma di neve. Ne sputò una parte e le venne da tossire. Quel colpo di tosse le provocò un dolore fortissimo alla gamba destra e allo sterno. Forse fu un bene, perché quella sensazione così acuta, così “terrena”, le fece riacquistare il contatto con la realtà. Di colpo tutto fu chiaro! Si ricordò del suo ragazzo, della valanga e capì che lei era rimasta sotto. Non aveva la minima idea di quanto tempo fosse trascorso. Potevano essere pochi secondi oppure una giornata intera. Poco importava. Di colpo fu assalita dal panico, era terrorizzata. Ebbe una crisi di claustrofobia. Iniziò a respirare freneticamente e a cercare di emettere dei suoni. L’iperventilazione la stordì ben presto, rischiando di farle perdere ancora i sensi.
“Calmati Alicja, calmati” cercava di ripetersi mentalmente, “calmati. Tranquilla, devi restare tranquilla, respirare con calma. Basta piagnucolare.”
Sapeva che la situazione era disperata: non doveva e non poteva perdere la testa. Riacquistò la calma, regolarizzò il respiro e, con esso, il battito cardiaco. Gli occhi si erano oramai abituati alla penombra e iniziavano a distinguere i contorni della prigione all’interno della quale era confinata. Non riusciva a capire in che posizione si trovasse. Si sentiva scoppiare la testa, questo le fece pensare che, forse, era sottosopra. I meccanismi che governano il nostro cervello sono e saranno sempre un mistero profondo. Alicja, in quella situazione incredibile, si ricordò di un vecchio “racconto da baita” che aveva sentito quando era piccola, in compagnia del padre, durante una delle tante escursioni in montagna: “Sai qual è l’unico modo per accorgersi come sei messo se rimani sotto la neve? È farsela addosso!”.
Alicja scoprì che quel vecchio adagio, ascoltato tanti anni fa, era una perla di saggezza. Non solo il liquido tiepido che cominciò a scorrere le fornì un provvidenziale tepore, ma le permise anche di capire che, effettivamente, era a testa in giù.
Per fortuna, non era del tutto immobilizzata. La valanga l’aveva catapultata tra alcune rocce che, a giudicare dal dolore, le avevano probabilmente spezzato una gamba, però avevano al tempo stesso creato un’intercapedine d’aria, impedendo alla neve di schiacciarla e soffocarla. Radunando tutte le sue forze Alicja riuscì a far presa su una di queste rocce, e a spingersi verso l’alto, sollevando leggermente la testa. Iniziava a sentire dei dolori sempre più forti. Se da un lato capiva che aveva subito dei traumi molto gravi, dall’altro si rendeva conto che stava riacquistando coscienza di sé.
Riuscì a crearsi un piccolo spazio per muovere un po’ le mani e le braccia e avvertì un grande sollievo. Purtroppo, però, il dolore alla gamba e al bacino aumentava sempre di più. Non sentiva più i piedi. Con gli scarponi che li stringevano, incastrati, senza la possibilità di muoverli, si stava progressivamente bloccando la circolazione, con un conseguente principio di congelamento. Alicja non riusciva a sentire nessun rumore, ma circa due metri più in alto, in superficie, a duecento metri di distanza, c’erano decine di persone e molti cani impegnati in una disperata ricerca. Anche Marco e Dea, dopo la breve pausa per radunare le idee, avevano ripreso a cercare, però Marco, stavolta, aveva portato la sua fidata cagnolina più a valle, proprio dove la valanga si era assottigliata e poi fermata. Statisticamente, c’erano meno probabilità di trovare Alicja in quella posizione, ma, visti i risultati fino ad allora ottenuti, valeva comunque la pena di rischiare. Niente da fare: nessun piccolo indizio, neanche una traccia. La valanga era talmente estesa che era impossibile, con il tempo a disposizione, setacciarla in lungo e in largo. Bisognava andare per intuito e scegliere la parte che presentava maggiori p...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Per fortuna che ci sei
  3. Prefazione
  4. Nota
  5. Duda
  6. L’ora di visita di Bijou
  7. Elisa e Marta
  8. L’istinto di Sampei
  9. Perreras... senza ritorno
  10. Maktub
  11. Zira e Nomix
  12. Dead dog walking
  13. Bobby... e altre storie di fedeltà
  14. La “diniità”
  15. Vic, la bertuccia
  16. Pasqualina e Ittina
  17. Orsi della luna
  18. Sitografia
  19. Copyright