Isole nella Corrente
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Isole nella Corrente

  1. 528 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni sul libro

La strana guerra di Thomas Hudson, pittore e grande chiacchierone, arruolato per pattugliare il mar dei Caraibi alla ricerca di sommergibili tedeschi. Una vicenda bellica vissuta forse più nei bar che sul mare. Un libro divertente sotto ogni aspetto. La cronaca scanzonata di un uomo in guerra con i tedeschi, con gli altri e con se stesso.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
ISBN
9788852020810
Parte prima

BIMINI

I

La casa sorgeva sulla parte più alta della stretta lingua di terra tra la baia e il mare aperto. Aveva resistito a tre uragani ed era una costruzione solida come una nave. L’ombreggiavano alte palme da cocco piegate dagli alisei, e uscendo di casa dal lato dell’oceano potevi scendere per la scogliera, traversare la striscia di rena bianca ed entrare nella Corrente del Golfo. A guardarla in una giornata senza vento l’acqua della Corrente era blu scuro. Ma quando t’immergevi, sopra quella rena bianca e farinosa c’era solo la luce verde dell’acqua, e di ogni pesce grosso si vedeva l’ombra molto tempo prima che quello potesse raggiungere la spiaggia.
Era un bel posto sicuro per farci il bagno durante il giorno, ma non per nuotarci la notte. La notte i pescicani venivano quasi a riva, cacciando ai margini della Corrente, e dalla veranda superiore della casa, nel silenzio della notte, sentivi lo sguazzare dei pesci ai quali davano la caccia e, se andavi giù alla spiaggia, vedevi le scie fosforescenti che lasciavano nell’acqua. Di notte gli squali non avevano paura di niente e tutte le altre creature avevano paura di loro. Ma di giorno giravano al largo, distante dalla rena bianca e risplendente, e se si avvicinavano ne scorgevi l’ombra da lontano.
Là in quella casa viveva un uomo di nome Thomas Hudson, che era un buon pittore e passava lavorando là e sull’isola la maggior parte dell’anno. Quando si è vissuto abbastanza in quelle latitudini i cambiamenti di stagione vi assumono la stessa importanza che hanno in tutti gli altri posti della terra e Thomas Hudson, che amava quell’isola, non voleva perdervi né una primavera, né un’estate, né un solo autunno o inverno.
A volte, quando in agosto il vento diminuiva o quando, in giugno e luglio, cessavano a tratti gli alisei, le estati erano troppo calde. In settembre e ottobre, e persino ai primi di novembre, potevano venire anche gli uragani, e capricciose tempeste tropicali potevano scoppiare in qualsiasi momento da giugno in poi. Ma quando non ci sono fortunali nei veri mesi degli uragani il tempo è sempre buono.
Per molti anni Thomas Hudson aveva studiato le tempeste tropicali, e quando c’era una perturbazione lo capiva guardando il cielo molto prima che ne indicasse la presenza il suo barometro. Sapeva prevedere la rotta dei cicloni e sapeva quali precauzioni prendere. Sapeva cosa voleva dire scampare a un uragano con gli altri abitanti dell’isola e conosceva il vincolo creato dall’uragano tra tutti quelli che ne erano stati colpiti. Sapeva anche che certi uragani potevano essere così brutti che nessuno l’avrebbe scampata. Pensava sempre, però, che se mai ne fosse arrivato uno così brutto gli sarebbe piaciuto star là ad aspettarlo e volarsene via con la casa, se la casa fosse volata via.
La casa, quasi quasi, sembrava più una nave che una casa. Costruita lassù per resistere alle burrasche più violente, era piantata nell’isola come se ne fosse una sua parte; ma da tutte le finestre godevi la vista del mare e c’era sempre una buona ventilazione, sicché dormivi al fresco anche nelle notti più calde. La casa era verniciata di bianco per poter essere fresca d’estate ed era visibile da lontano, arrivando sulla Corrente del Golfo. Era la cosa più alta dell’isola a parte la lunga piantagione di altissimi equiseti che erano la prima cosa che vedevi quando ti appariva l’isola dal mare. Subito dopo aver visto la scura macchia confusa degli equiseti sopra la linea dell’orizzonte, vedevi la bianca mole della casa. Poi, mentre ti avvicinavi, vedevi l’isola in tutta la sua lunghezza, con le palme da cocco, le case di legno, la riga bianca della spiaggia e il verde di South Island sullo sfondo. Thomas Hudson la casa non la vedeva mai, là su quell’isola, ma sapeva che la sua sola vista sarebbe bastata a renderlo felice. Diceva sempre lei, quando ci pensava, proprio come avrebbe pensato a una nave. D’inverno, quando soffiavano i venti di tramontana e faceva freddo davvero, la casa era calda e confortevole perché aveva l’unico caminetto dell’isola. Era un grande caminetto aperto e Thomas Hudson vi bruciava la legna sospinta dall’oceano sulla spiaggia.
Aveva un grosso mucchio di legna accatastata contro la parete della casa rivolta a mezzogiorno. Era calcinata dal sole e rosa dal vento, e lui s’invaghiva così tanto di questo o di quel pezzo che non aveva più il coraggio di bruciarlo. Ma c’era sempre della legna nuova lungo la spiaggia dopo le burrasche, e lui scoprì che era divertente bruciare anche i pezzi che gli piacevano. Sapeva che il mare ne avrebbe scolpiti degli altri, e nel freddo della sera sedeva in poltrona davanti al fuoco, leggendo alla luce della lampada posata sul pesante tavolo di legno, e mentre leggeva alzava lo sguardo per udire, fuori, il vento di nord-ovest che soffiava e il fragore della risacca, e per guardare i grossi pezzi di legno calcinato che ardevano.
Qualche volta spegneva il lume e si coricava sul tappeto che copriva il pavimento per contemplare le frange colorate che il sale marino e la sabbia penetrata nel legno creavano, bruciando, nella fiamma. Là sul pavimento aveva gli occhi alla stessa altezza della legna che ardeva e vedeva i contorni della fiamma quando essa si alzava dal ceppo e questo lo rendeva triste e felice nel medesimo tempo. Tutta la legna che bruciava gli faceva questo effetto. Ma quando bruciava la legna gettata dal mare sulla spiaggia provava qualcosa che non riusciva a definire. Pensava che forse bruciarla era uno sbaglio, se gli piaceva tanto; eppure non provava alcun rimorso.
Quando se ne stava là disteso sul pavimento aveva l’impressione di trovarsi al riparo dal vento anche se, in realtà, il vento sferzava gli angoli inferiori della casa e l’erba nei punti più bassi dell’isola e le radici delle alghe marine e staccava le lappole dalla bardana e alzava dalla spiaggia un polverio di sabbia. Là disteso sul pavimento lui poteva sentire il fragore della risacca così come ricordava di aver udito il rombo dell’artiglieria pesante quando da ragazzo, tanto tempo prima, si era gettato a terra ai piedi di una batteria.
D’inverno il caminetto era una gran cosa, e in tutti gli altri mesi lui lo guardava con affetto e pensava a come sarebbe stato quando fosse tornato l’inverno. L’inverno, sull’isola, era la migliore di tutte le stagioni, e per tutto il resto dell’anno lui non vedeva l’ora che tornasse.

II

L’inverno era finito e quasi agli sgoccioli era la primavera quando, quell’anno, arrivarono sull’isola i ragazzi di Thomas Hudson. I piani erano questi: si sarebbero trovati a New York, tutti e tre, per venire giù insieme, col treno, e poi in aereo dal continente all’isola. C’erano state le solite difficoltà con la madre di due di loro, che aveva organizzato un viaggio in Europa senza dir nulla al padre dei ragazzi, e che voleva i figli per l’estate. Lui avrebbe potuto averli durante le vacanze di Natale; dopo Natale, naturalmente. Il giorno di Natale lo avrebbero passato con lei.
Ormai Thomas Hudson conosceva la trafila a menadito, e alla fine ci fu il solito compromesso. I due più piccoli sarebbero venuti sull’isola per fare al padre una visita di cinque settimane e poi sarebbero tornati a New York per imbarcarsi, in classe turistica, su un piroscafo francese che li avrebbe portati dalla madre: a Parigi si sarebbe provveduto a comprare loro i vestiti necessari. Durante il viaggio i due ragazzi sarebbero stati affidati alla custodia del fratello maggiore che si chiamava Tom, come il padre. Tom junior avrebbe poi raggiunto sua madre, che stava girando un film nel sud della Francia.
La madre di Tom junior non aveva chiesto di lui e sarebbe stata contenta che restasse sull’isola col padre. Ma lo avrebbe anche visto volentieri, e tutto sommato era un ragionevole compromesso con la decisione irrevocabile della madre degli altri due ragazzi. Questa era una donna deliziosa e affascinante che non aveva mai cambiato un progetto in vita sua. I suoi piani nascevano nel massimo segreto, come quelli di un buon generale, e con lo stesso rigore venivano applicati. Si poteva arrivare a un compromesso. Mai, però, a un cambiamento radicale in uno dei suoi piani, l’avesse concepito durante una notte insonne o un collerico mattino o una sera con l’aiuto del gin.
Un piano era un piano e una decisione era veramente una decisione e sapendo tutto questo ed essendo stato istruito a dovere sugli usi del divorzio Thomas Hudson era lieto che si fosse arrivati a un compromesso e che i figli venissero da lui per cinque settimane. Se quelle che ci spettano sono cinque settimane, pensava, bisogna accontentarsi. Cinque settimane sono un bel po’ di tempo da passare con la gente che si a...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione di Fernanda Pivano
  4. Cronologia
  5. Bibliografia
  6. Antologia di giudizi
  7. ISOLE NELLA CORRENTE
  8. Parte prima. Bimini
  9. Parte seconda. Cuba
  10. Parte terza. In mare
  11. Copyright