Roma, anno 799 ab Urbe condita
(anno 46 dopo Cristo, primavera)
«Aurelio, Aurelio, è successa una cosa orribile!» gridò Pomponia, precipitandosi nei bagni proprio nel momento in cui Azel affrontava, con l’affilatissima novacula, il punto critico vicino all’orecchio, là dove i capelli si uniscono alla barba. La mano del tonsore ebbe un tremito impercettibile, ma bastò perché una minuscola goccia di sangue arrossasse la guancia di Aurelio.
L’azzimato siro-fenicio si portò le mani alla testa, come se un’insula intera gli fosse crollata addosso: aveva ferito il padrone, lui, il miglior barbiere di Roma!
«Su, Azel, non è una tragedia. La maggior parte dei miei concittadini si fa tagliuzzare ogni giorno da ubriaconi che brandiscono il rasoio come un gladio nell’arena» lo consolò il senatore, licenziandolo con un gesto distratto per accingersi poi ad ascoltare l’amica, invero senza grande preoccupazione. Infatti, l’annosa frequentazione della brava signora lo aveva del tutto assuefatto alle emergenze, che a Pomponia si presentavano con scadenze pressoché quotidiane.
Quel giorno, tuttavia, la matrona pareva davvero sconvolta, tanto che Castore, il segretario di Aurelio, pensò bene di intervenire, portandole subito un cordiale.
«Una cosa terribile, mi dicevi?» chiese il senatore, distratto. Domitilla doveva averle soffiato un pettegolezzo, pensò, o forse qualche amica dispettosa aveva avuto l’ardire di copiarle l’acconciatura...
«Regilla, la piccola Regilla, figlia di Regillo Tetrico...» iniziò Pomponia. «Numi, come faccio a dirtelo?»
«È morta?» corrugò la fronte il patrizio.
«Peggio... cioè, volevo dire meglio; no, non meglio, no, ecco, né peggio né meglio... Oh, insomma, è stata violentata!»
Aurelio scolorò: episodi del genere ne capitavano parecchi, nella Suburra, ma qui si trattava di una fanciulla della migliore società dell’Urbe, non ancora ventenne, cresciuta in modo rigorosissimo e fidanzata da tempo col figlio di Emilio Gemino, il migliore amico del padre. Chi poteva avere fatto una cosa simile? E come c’era riuscito? Regilla non andava certo a passeggiare da sola nei quartieri malfamati...
«Stava recandosi con un’ancella alle terme femminili del Vicus Stablarius» proseguì la matrona. «Sai, quegli stabilimenti non sono proprio vicinissimi a casa sua – lei abita nel Vicus Aesculeti, dietro al Circo Flaminio – ma nemmeno troppo lontani per arrivarci a piedi...»
«È una strada poco trafficata, salvo nei giorni delle corse» rammentò il patrizio.
«Infatti a quell’ora non c’era nessuno in giro» assentì Pomponia. «A un tratto, le due ragazze hanno sentito dei passi dietro le spalle, come di qualcuno che corresse. Due uomini si sono avvicinati e, prendendole di sorpresa, hanno gettato loro un sacco in testa; poi le hanno trascinate nel boschetto del tempio di Venere Vincitrice, accanto al Teatro di Pompeo. Lì le hanno stuprate entrambe, picchiandole a sangue perché non chiamassero aiuto!»
Aurelio ascoltava, turbato: lo stupro... un’esperienza terribile per una donna, tale da lasciare tracce indelebili...
«Ma non è finita, anzi il brutto deve ancora venire!» singhiozzò l’amica. «Una ragazza percossa e violentata... tu penserai che la famiglia si sia affrettata a soccorrerla, consolarla, assisterla con affetto e calore...»
«Non è così?» si stupì il senatore.
Pomponia scosse la testa, costernata: «Il padre si è chiuso nel tablino, in preda alla vergogna, e lei vive da dieci giorni confinata nelle sue stanze, da cui non si azzarda a uscire. Per di più, il futuro suocero, Emilio Gemino, saputo quanto era successo, si è affrettato a rompere il fidanzamento».
«Che infamia!» si indignò Aurelio.
«Del tutto legale, però. Sai bene che, secondo il mos maiorum, una donna, anche se presa contro la sua volontà, viene sempre contaminata dal rapporto col maschio.»
«Queste sono superstizioni dei tempi di Tarquinio Collatino!» esclamò il senatore. «Adesso siamo in pieno impero, e le matrone collezionano in media quattro o cinque mariti l’una, sposati in rapida successione, senza contare gli amanti, tra cui schiavi, liberti e persino gladiatori!»
«Tu ti riferisci a un mondo particolare, Aurelio, un’alta società fin troppo indulgente, dai costumi liberi e spregiudicati. Ma a Roma c’è ancora chi crede alla teoria della contaminazione perpetua, e la legge li appoggia: purtroppo, Emilio Gemino ha tutti i diritti di rifiutare le nozze; e, quel che è peggio, il padre stesso della ragazza approva il consuocero e si riferisce alla figlia come a una donna indegna... Aurelio, devi aiutarla!»
«Per Ercole, che posso fare io?» allargò le braccia il patrizio.
«Scopri chi è il violentatore, prima di tutto!» esclamò Pomponia, come se gli avesse chiesto la cosa più semplice di questo mondo.
«Se lo desideri, domine, farò un sopralluogo» si offrì Castore, sollecito. «Forse qualcuno ha visto e non parla...»
«D’accordo» ribatté Aurelio. «Tutto potrebbe esserci utile, in un caso di stuprum...»
«È un reato che comporta l’esilio e la confisca di metà dei beni» gli ricordò Pomponia.
«Tuttavia, difficilissimo da provare» osservò il senatore, senza nascondere il suo pessimismo.
«Parla con Regillo Tetrico; digli di non trattare quella poveretta come un’appestata! E prova a convincere Emilio Gemino, il padre di Caio, a tornare sui suoi passi...» consigliò la matrona.
«Mi piacerebbe saperne di più, sul fidanzato. Tu che mi sai dire?» chiese Aurelio.
«Caio Emilio Gemino, un giovanotto di vent’anni, dall’animo sensibile e delicato. Buono, obbediente, mite... persino troppo, se capisci quello che intendo. Non si opporrebbe mai al volere del padre, nemmeno se la legge glielo consentisse.»
«Uno smidollato, insomma!» sbottò il senatore, storcendo la bocca.
«Pare che l’accaduto l’abbia ridotto alla disperazione; lui è sinceramente affezionato a Regilla, ma tanta angoscia non sembra sufficiente a farlo reagire...»
«Voglio sapere tutto delle due famiglie: la storia dettagliata dei loro rapporti, la consistenza patrimoniale, le parentele» disse il senatore alla matrona. «Invece tu, Castore, batterai il quartiere palmo a palmo, cercando eventuali testimoni, mentre Pomponia si occuperà di indagare tra le serve di casa.»
«A proposito di serve, domine, ci stiamo dimenticando che le donne assalite sono state due: anche l’ancella ha subìto la stessa sorte della padrona» gli rammentò Castore.
«È vero» fece ammenda il senatore. «Siamo talmente abituati a considerare le schiave come donne a disposizione di tutti, da non pensare allo stupro di una serva come a un autentico crimine.»
«A dire il vero, le conseguenze per l’ancella saranno meno gravi; in fondo è stato soltanto un uomo in più ad approfittare di lei, oltre al padrone, ai maschi di casa, all’intendente e chissà quanti altri» fece Pomponia, amareggiata. «Di fatto, però, quella disgraziata ha sofferto le stesse pene di Regilla, senza che nessuno se ne preoccupi minimamente...»
Il senatore parve riflettere un istante.
«Se lo stupro è stato un atto di violenza casuale, come lo sfogo bestiale di due uomini in preda ai fumi del vino, non riusciremo mai a trovare i colpevoli. Ma ipotizziamo che l’assalto fosse mirato; che qualcuno, offeso da un rifiuto o da una sgarberia, ce l’avesse proprio con l’ancella... forse la stava seguendo e l’ha vista allontanarsi con la padrona. Quando le donne sono rimaste sole, ne ha approfittato per vendicarsi, prendendo in mezzo anche Regilla.»
«Ci sono parecchie bande di giovinastri, nell’Urbe, che si divertono ad aggredire le donne indifese. Stavolta, però, i violentatori erano due» osservò Castore.
«Due, troppo pochi, appunto: è questo che mi rende perplesso. I delinquenti di cui parli si aggirano in gruppi abbastanza folti, in modo da darsi man forte l’uno con l’altro» scosse la testa Aurelio. «Devo parlare con Regilla. Pensi che sia possibile, Pomponia?»
«Vedrò quanto posso fare» promise la matrona, rinfrancata dall’interessamento del suo vecchio amico.
Lei era rintanata in un angolo della stanza, con le mani in grembo. Lo sguardo, fisso e spento, ne appannava l’indubbia bellezza; i capelli chiari le spiovevano sulla fronte, come se non si fosse neppure curata di pettinarli, e sullo zigomo sinistro spiccava un livido blu, segno tangibile di quel che era accaduto. Le altre tracce della violenza, quelle peggiori, all’esterno rimanevano celate, invisibili.
«Che cosa vuoi da me, senatore?» chiese con una sfumatura di rassegnazione che non piacque per nulla ad Aurelio: la buona sorte aiuta gli audaci, non coloro che accettano supinamente di arrendersi...
«Raccontami tutto, nei minimi particolari. Sto cercando di trovare e punire il responsabile di questo scempio.»
«E a che mi servirà? Sono rovinata per sempre!»
«Non hai ancora vent’anni, Regilla, hai tutta la vita davanti» la contraddisse il senatore.
«Quale vita? Mio padre non vuole più vedermi e il mio fidanzato mi ha lasciata, come se quello che è successo fosse colpa mia!»
«Il mondo non è più quello di un tempo: troverai un altro marito...»
«Già, un plebeo magari, disposto a prendermi come merce avariata in cambio di una congrua dote. Mio padre, però, non intende assegnarmela: non gli servo più da oggetto di scambio per le sue mire ambiziose, quindi non vale la pena di investire su di me... E pensare che ero tanto contenta di sposare Caio Emilio...»
«Lui ti vuole bene?»
«Molto, e non gli importa di quello che mi è accaduto. Ma suo padre...» gemette la ragazza.
«Lo so: a termine di legge, ha diritto di annullare la promessa di nozze. Non devi pensare a questo, adesso; dimmi invece qualcosa che mi aiuti a identificare i tuoi aggressori.»
«Non ho visto niente. Di colpo, su di me è caduto il buio e mi sono sentita le braccia legate. Mi hanno portata via, facendomi camminare a calci, e mi sono trovata distesa nell’erba, con la testa chiusa in un sacco. E poi ho sentito male, tanto male...»
«Hai lottato, ti sei difesa?» domandò Aurelio, trattenendo il fiato: quel particolare sarebbe stato di primaria importanza, se si fosse arrivati a una causa in tribunale.
«Avevo troppa paura» confessò la ragazza. «Non pensavo alla mia reputazione, al mio onore di cittadina romana; sono stata zitta, sperando solo di uscirne viva.»
«Ti sei comportata nel modo migliore: se ti fossi opposta, avrebbero potuto ucciderti» approvò il patrizio, pur sapendo fin troppo bene che al processo la condotta di Regilla non sarebbe stata giudicata con altrettanta indulgenza.
«Tu la pensi così, ma gli altri... dicono tutti che se una ragazza si trova in certi guai, significa che, in un modo o nell’altro, è andata a cercarseli!»
«Non c’è nulla, assolutamente nulla, che tu possa dirmi per aiutarmi a individuare chi ti ha assalito? Un odore, un sapore, una sensazione tattile, una semplice impressione?»
«Prima di essere rovesciata nell’erba, ho avvertito uno strano sentore, come di menta. E lui era molto più alto di me: ricordo che non riuscivo a respirare con la faccia nel sacco, perché la sua spalla mi premeva sul naso... Non rammento nient’altro, mi dispiace.»
«Posso parlare con la tua ancella?»
«Balsamina? Fai pure, ma ti ripeto, è inutile, il mio destino è segnato. Sono come un’anfora preziosa che, una volta rotta, può essere aggiustata alla meglio, in qualch...