Gli eroi di Montecassino
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Gli eroi di Montecassino

Storia dei Polacchi che liberarono l'Italia

  1. 192 pagine
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Gli eroi di Montecassino

Storia dei Polacchi che liberarono l'Italia

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Quando, il 1° settembre 1939, la Polonia fu invasa da Hitler e in seguito smembrata tra tedeschi e russi, molti giovani polacchi furono deportati in Unione Sovietica. Ma lo scenario del conflitto cambiò nell'estate 1941 quando, con l'Operazione Barbarossa, Hitler attaccò la Russia. Su pressione degli Alleati, e in particolare dei britannici, i prigionieri polacchi vennero liberati e andarono a costituire il 2° corpo d'armata, guidato dal generale Wladyslaw Anders e destinato ad avere un ruolo fondamentale nella liberazione dell'Italia dai nazisti. Combatterono infatti nella celebre battaglia di Montecassino (dove a testimonianza del loro sforzo esiste un cimitero militare polacco) e in quella di Ancona, e furono i primi a entrare nella città di Bologna. La loro vicenda, di grande importanza per l'andamento della guerra e per il destino del nostro Paese, è ricostruita da Luciano Garibaldi con attenzione e precisione in questo libro che, per la prima volta, svela un tassello poco conosciuto ma decisivo della storia d'Italia e dell'Europa intera.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852038525

Appendice 1

I polacchi in prima fila per l’unità d’Italia

Il sacrificio degli italiani che, sotto la guida di Francesco Nullo, immolarono le loro vite per la libertà e l’indipendenza della Polonia rappresentò la conferma di quanto Giuseppe Garibaldi aveva scritto, il 1° maggio 1861, al generale polacco Ludwik Mieroslawski, allora comandante della Scuola militare polacca di Genova: «Lei e i suoi amici, Generale, siete pronti a donare le vostre vite per l’Italia. Ebbene, io e i miei amici faremo altrettanto per la Polonia». In effetti, le affinità tra Italia e Polonia erano già allora sotto gli occhi di tutti. Fin dall’indomani del Congresso di Vienna del 1815, che aveva ristabilito in Europa l’antico equilibrio di poteri dopo lo «tsunami» rappresentato da Napoleone Bonaparte, i due popoli e i loro territori erano venuti a trovarsi in situazioni analoghe: la Polonia spartita tra Austria, Russia e Prussia; l’Italia (definita dal presidente del Congresso viennese, nonché ministro degli Esteri dell’Impero austriaco, Klemens von Metternich, con disprezzo e sufficienza, «nulla più che un’espressione geografica») mossa dall’aspirazione all’unità nazionale, alla formazione di uno Stato forte e indipendente. L’Italia realizzerà il suo sogno il 17 marzo 1861, con la proclamazione del Regno unito. La Polonia cercherà di raggiungere lo stesso risultato con l’insurrezione del 1863, che verrà soffocata nel sangue, con il sacrificio di oltre 30.000 patrioti.
I legami tra i due popoli risalivano ai secoli passati, al grande scienziato Nicolò Copernico (1473-1543), che era di casa negli atenei italiani, così come alla duchessa Bona Sforza, figlia prediletta di Gian Galeazzo Sforza, divenuta moglie del re di Polonia Sigismondo I e regina di Polonia nel 1518. Fu per merito suo che si diffuse tra i polacchi la passione per l’arte, la cucina, la cultura, i costumi italiani. Basti pensare che, dalla sola Università di Padova, sortirono, nel corso del XVI secolo, cinquanta medici, cinquanta vescovi e arcivescovi, cinquanta alti funzionari dello Stato, tutti polacchi.
Quando poi, alla fine del Settecento, la Polonia fu spartita per la prima volta tra Russia, Prussia e Austria, migliaia di patrioti polacchi accorsero in Italia per appoggiare Napoleone, contando su di lui per la liberazione della loro patria. Li comandava il generale Jan Henryk Dabrowski, che organizzò le legioni polacche, forti di 8000 uomini pronti alla morte per liberare la loro patria, all’insegna del motto: «Tutti gli uomini liberi sono fratelli». A Reggio Emilia, in quel periodo, e precisamente il 7 gennaio 1797, si era riunito il Consiglio della Repubblica Cispadana che aveva adottato, come vessillo, il tricolore verde, bianco e rosso, destinato a diventare la futura bandiera nazionale italiana. Pochi mesi dopo, sempre nella città emiliana, il poeta e volontario polacco Jozef Wybicki aveva scritto il Canto delle legioni polacche in Italia, che diverrà, nel 1927, l’inno nazionale della Polonia, come già abbiamo ricordato nel terzo capitolo: «Marcia, Mazurka Dabrowski / dalla terra italiana alla Polonia. / Sotto il tuo comando / ci uniremo al popolo».
Le aspirazioni dei patrioti polacchi potranno realizzarsi nel 1807, grazie a Napoleone, con la creazione, voluta e imposta dall’imperatore, del Ducato di Varsavia, che resterà in vita fino al Congresso di Vienna del 1815 e verrà poi cancellato dalle carte geografiche, e i suoi territori consegnati alla Russia.
Questi precedenti spiegano perché entrambe le popolazioni delle due nazioni fossero ben coscienti dei problemi comuni che le legavano l’una all’altra, come dimostreranno, da un lato, l’inno Fratelli d’Italia scritto nel 1847 dal giovanissimo Goffredo Mameli (poi caduto nel 1849, agli ordini di Garibaldi, per la difesa di Roma) e musicato da Michele Novaro, dall’altro il continuo afflusso in Italia di giovani esuli polacchi pronti a combattere a fianco dei patrioti italiani.
Con Mazzini nella Giovine Europa
Il fenomeno della fuga verso l’Italia di tanti giovani patrioti che sognavano di liberare le loro terre dal giogo tedesco e russo aveva preso il via dopo l’insurrezione polacca del 1830-31. Il mentore di quei giovani era Giuseppe Mazzini che, dopo il fallimento della spedizione in Savoia, cui avevano partecipato duecento esuli polacchi, era riparato in Svizzera e aveva creato, a Berna, il 15 aprile 1834, il Comitato centrale della Giovine Europa, cui avevano immediatamente aderito la Giovine Italia, la Giovine Germania e la Giovine Polonia, formate da idealisti che si battevano per la democrazia e la libertà dei popoli. La struttura mazziniana, cui presto si aggiungeranno la Giovine Svizzera, la Giovine Francia e la Giovine Spagna, durerà due anni. Anni di speranze e di illusioni. Uno dei massimi esponenti della Giovine Polonia fu Ioachim Lelewel (1786-1861), tra i promotori dell’insurrezione contro i russi del 1830-31 e autore del motto «Za nasza i wasza wolnosc» («Per la nostra e la vostra libertà»), diretto alle truppe russe, per convincerle a non soffocare il movimento patriottico che si era concretato nel Comitato Nazionale Polacco. Stroncata la rivolta, Lelewel era andato in esilio in Svizzera. Con lui, Stanislaw Worcell e Karol Stolzman, della Società Democratica Polacca. Nel 1835, alla Giovine Europa aderivano 86 gruppi italiani e ben 50 gruppi polacchi.
Nella grande mostra Per la nostra e la vostra libertà. I polacchi nel Risorgimento italiano, curata dalla professoressa Krystyna Jaworska a Torino nell’ottobre 2011 presso le Officine Grandi Riparazioni, con l’ausilio della Comunità polacca di Torino presieduta da Wanda Romer Sartorio e del Consolato generale di Polonia a Milano, figurava in bella evidenza una lettera inviata da Giuseppe Mazzini a Ioachim Lelewel il 21 febbraio 1835. Vi si poteva leggere: «Ormai nulla può spezzare i rapporti che si sono formati tra la Polonia e l’Italia. La prima che si solleverà tenderà le braccia all’altra». Era stato recuperato ed esposto alla mostra anche il seguente brano della conferenza tenuta da Mazzini alla Società Democratica Polacca di Londra il 2 giugno 1853: «Adesso e sempre l’Italia e la Polonia sono sorelle, sorelle nelle sofferenze, nella meta e nella lotta che deve far giungere a questa meta». Tra i dirigenti polacchi della Giovine Europa va ricordato Szymon Konarski, che, rientrato clandestinamente in Polonia nel 1835 per organizzarvi una nuova insurrezione, verrà arrestato, torturato e fucilato a Wilna nel 1839.
1848: la Legione Polacca da Palermo a Roma
Durante la rivolta di Palermo del 1848 contro i Borbone (la prima ad accendere il fuoco del Quarantotto che covava sotto la cenere in tutta Europa), il governo insurrezionale siciliano offrì il comando delle truppe a Ludwik Mieroslawski (1814-1878), già protagonista, giovanissimo (aveva soltanto sedici anni), della insurrezione polacca del 1830 e tra i fondatori della Giovine Polonia mazziniana nel 1834. Alla testa del movimento clandestino patriottico antiprussiano in Posnania, quando ricevette l’invito da Palermo non esitò ad accorrere e, nel dicembre di quel ’48, assunse il comando dell’esercito rivoluzionario. Seriamente ferito durante l’assedio di Catania, resistette, alla testa degli insorti, fino all’aprile del 1849, quando i Borbone ebbero la meglio. Tra i superstiti della sua formazione, i polacchi (circa duecento) entrarono a far parte della Legione Polacca di Adam Mickiewicz, costituita a Roma il 29 marzo 1848 dal Triumvirato Mazzini-Armellini-Saffi, alla testa della Repubblica Romana, con un decreto in cui si legge: «... la Polonia è sorella dell’Italia e sacra fra tutte le nazioni».
Adam Mickiewicz, poeta e patriota polacco, era accorso a Roma da Parigi, dove si trovava in esilio, attratto dal fascino esercitato sui cattolici rivoluzionari dal nuovo papa Pio IX che, subito dopo l’elezione al soglio pontificio, aveva concesso l’amnistia per i reati politici, posto in libertà decine di rivoluzionari mazziniani e si era dichiarato assertore dell’unità e dell’indipendenza dell’Italia. L’orientamento politico di Pio IX aveva fatto breccia persino nell’animo di Giuseppe Garibaldi, che cattolico non era mai stato, ma che, dal Sud America, dove stava creando il suo mito di combattente per la libertà dei popoli, non aveva esitato a scrivere una lettera al nuovo pontefice offrendogli di porsi al suo servizio in vista di una campagna per l’unificazione dell’Italia. Ma la lettera dell’«eroe dei due mondi» non ebbe risposta e ben presto il papa fece retromarcia, impegnandosi nella difesa dello Stato della Chiesa, con il sostegno armato della Francia.
Quanto a Mickiewicz, seguito dai suoi fedelissimi, fallita la rivolta siciliana, aveva preso la via del Nord per partecipare, alla testa della Legione Polacca, in funzione anti-austriaca, alla Prima guerra d’indipendenza voluta da re Carlo Alberto. I polacchi si erano battuti eroicamente in Lombardia e in particolare erano stati i protagonisti della battaglia di Lonate del 6 agosto ’48, sul lago di Garda, causando notevoli perdite agli uomini del maresciallo Radetzky.
Conclusa la guerra con la sconfitta dei piemontesi, la Legione Polacca prese parte ai moti rivoluzionarti di Genova, Livorno e Firenze, finché, nel maggio 1849, Mazzini la chiamò a Roma, dove giunse agli ordini del generale Aleksander Izenszmidt De Milbitz (1800-1883), cui Mickiewicz aveva ceduto il comando. I polacchi si batterono eroicamente contro i francesi nelle battaglie di Ponte Milvio e Porta Cavalleggeri. Qui, il 15 giugno 1849, morirono sul campo i volontari Podulak, Raczkowski e Rozwadowski, in memoria dei quali sorge ancora oggi un monumento in piazzale delle Belle Arti, nella capitale d’Italia. Quanto a De Milbitz, lo ritroveremo con Garibaldi in Sicilia nel 1860, comandante della 16a divisione a Palermo, poi tra i protagonisti della battaglia del Volturno, decisiva per la sconfitta delle truppe borboniche e premessa indispensabile all’unità d’Italia. Dal 1862 si stabilirà a Torino con il grado di generale dell’Esercito italiano.
E finalmente a fianco di Garibaldi
Sempre presenti nelle tappe fondamentali del cammino verso l’unità d’Italia, i polacchi ebbero infatti un ruolo importante anche nella mitica spedizione dei Mille, partita da Genova il 5 maggio 1860, agli ordini di Giuseppe Garibaldi, per conquistare il Regno delle Due Sicilie. Poche settimane dopo lo sbarco a Marsala, Garibaldi fu raggiunto da una legione formata da volontari polacchi agli ordini del generale Mieroslawski, che abbiamo già incontrato tra i protagonisti della rivolta di Palermo del 1848. La Legione Polacca fu protagonista di numerosi eventi bellici durante tutta la campagna del 1860. La gratitudine del primo re d’Italia Vittorio Emanuele II verso i polacchi si concretizzò nel 1861 con la costituzione, a Genova, della Scuola militare polacca, affidata alle cure del generale Mieroslawski. Vi aderirono più di duecento cadetti, provenienti da tutta Europa con l’obiettivo di dar vita a un corpo di spedizione destinato a liberare la patria oppressa dalle tre superpotenze dell’Europa centrale e orientale. Ecco come il grande scrittore Edmondo De Amicis descrisse quei giovani in una memoria recuperata dalla professoressa Krystyna Jaworska ed esposta alla mostra di Torino: «Erano tutti di famiglia signorile. Bei biondi, robusti, di viso ardito e grave su cui si leggeva il pensiero assiduo della patria lontana e della morte prossima: pochi mesi dopo, infatti, caddero la più parte sotto il piombo russo».
Ben presto, non appena si sparse la notizia dell’iniziativa genovese, il governo di Torino fu l’obiettivo di pressioni sempre più insistenti da parte dei rappresentanti diplomatici della Prussia e della Russia perché si ponesse fine a quella che veniva considerata, dalle due superpotenze, una inaccettabile provocazione. In un primo tempo, il governo italiano sperò di cavarsela chiudendo la sede di Genova, trasferendo la scuola a Cuneo, in una zona più decentrata, e affidandone la guida non più al popolare Mieroslawski ma al meno conosciuto generale Jozef Wysocki. Ma le pressioni russe si fecero sempre più insistenti e anche minacciose, per cui l’iniziativa cessò del tutto nel luglio 1862. Wysocki e i suoi ragazzi rientrarono allora clandestinamente in patria, in tempo per prendere parte all’insurrezione del 1863, durante la quale si batterono eroicamente assieme ai reparti mobilitati nei territori sudorientali della Polonia. Gli scontri si protrassero fino all’autunno 1864, con oltre 200.000 partecipanti, 30.000 caduti (tra i quali Francesco Nullo e i garibaldini accorsi dall’Italia a dar manforte ai fratelli polacchi), e decine di migliaia di prigionieri deportati in Siberia. Nel febbraio 1864, Garibaldi aveva scritto da Caprera agli insorti: «... le tre sorelle, Polonia, Ungheria e Italia, appaiono come avanguardia dei popoli che si liberano».
Dalla Terza guerra d’indipendenza alla Prima guerra mondiale
La presenza fisica polacca nelle vicende militari italiane non terminò con il raggiungimento dell’obiettivo dell’unità del paese, ma continuò anche durante la Terza guerra d’indipendenza del 1866, che vide volontari polacchi schierati in prima linea contro l’esercito austro-ungarico, inquadrati nelle formazioni guidate da Giuseppe Garibaldi, l’unico comandante che li aveva accolti a braccia aperte, non volendo il governo ufficializzare il loro arruolamento per timore di ritorsioni da parte russa. Troveremo gli stessi volontari polacchi a fianco di Garibaldi durante la battaglia di Mentana del 1867, che vedrà il sacrificio del colonnello Karol Borzyslawski. Pronti poi, tre anni più tardi, a seguire ancora Garibaldi, accorso in Francia alla testa dell’Armata dei Vosgi per difendere la Comune repubblicana di Parigi attaccata dall’esercito prussiano. Quella campagna vedrà il sacrificio di numerosi volontari polacchi, primo tra i quali il comandante della 1a brigata, generale Hauke Bosak.
Per completare questa panoramica sull’eroismo e i sacrifici dei polacchi battutisi per l’Italia, ecco due nomi scolpiti nella storia: Mieczyslaw Kamienski e Marian Langiewicz. Il primo, volontario durante la Seconda guerra d’indipendenza, fu uno dei protagonisti della battaglia di Magenta contro gli austriaci e morì a Milano dopo aver subito l’amputazione di un braccio. Quanto a Marian Langiewicz, da Parigi, dov’era in esilio assieme al futuro generale De Milbitz, raggiunse Genova per unirsi ai Mille di Garibaldi. Partecipò a tutta la campagna e nel 1861 fu chiamato come docente alla Scuola militare polacca di Genova. Rientrato in patria nel 1863, prese le redini dell’insurrezione. Catturato dagli austriaci, subì un anno di dura prigionia finché riuscì a fuggire riparando, come esule, a Londra, dove Mazzini lo aspettava.
I legami storici tra Polonia e Italia tornarono in primo piano al termine della Prima guerra mondiale, allorché più di 20.000 polacchi, inseriti a forza nell’esercito austro-ungarico e fatti prigionieri dagli italiani, ottennero di potersi arruolare volontari nell’Armata polacca che si stava formando a Santa Maria Capua Vetere e alla Mandria di Chivasso. L’iniziativa era stata presa dal Comitato Nazionale Polacco che, il 30 ottobre 1917, a guerra ancora in corso, aveva ricevuto il riconoscimento ufficiale del governo italiano, ormai non più costretto a temere le ritorsioni russe dato che il regime degli zar era appena crollato con il colpo di Stato di Lenin. Parte di quei volontari aveva combattuto nei ranghi dell’Esercito italiano nelle fasi finali della guerra, ottenendo nove medaglie al valor militare, di cui due d’argento e sette di bronzo.
I volontari polacchi furono inviati in Francia, da dove raggiunsero la Polonia, da poco tornata indipendente, pronti a battersi contro l’Armata sovietica (si veda il primo capitolo del libro). La loro presenza fu determinante, come riconoscerà lo stesso maresciallo Pilsudski.
Francesco Nullo e gli italiani che morirono per la Polonia
Quasi certamente, non v’era soldato o ufficiale del 2° corpo che non sapesse di Francesco Nullo, l’eroe garibaldino che, nel 1863, si era sacrificato per la libertà della Polonia oppressa dagli invasori russi. Al suo nome, in varie città della Polonia, erano intitolate scuole e strade. E in effetti, il coraggio, la determinazione e il valore con cui i soldati di Anders si batterono per la liberazione dell’Italia possono essere considerati, sul piano storico – ancorché in misura decisamente superiore – una sorta di ricompensa per ciò che Nullo e i suoi uomini avevano fatto per la loro patria, quasi un secolo prima.
Ma chi era Nullo? Nato a Bergamo il 1° marzo 1826, apparteneva a una famiglia agiata: il padre, Arcangelo, e la madre, Angelina Magno, erano proprietari di una fabbrica di tessuti, specializzata nella produzione di tele di lino. Vi lavorava anche Francesco, con i due fratelli, a lui legati da affetto e scelte politiche, tra le quali, in primis, il sentimento di italianità e la voglia di liberarsi dell’oppressione austriaca. Ciò che spinse i tre fratelli a prendere parte attiva alle Cinque Giornate di Milano, finendo sui registri della polizia come sovversivi da tenere sotto controllo.
Il provvedimento non impedì però a Francesco Nullo – che nelle battaglie della Prima guerra d’indipendenza aveva avuto modo di conoscere Giuseppe Garibaldi ed entusiasmarsi della sua tattica militare posta all’opera nel bresciano – di accorrere a Roma, alla notizia della fuga del papa e dell’istituzione della Repubblica sotto la guida del triumvirato Mazzini-Armellini-Saffi. Qui il suo rapporto con Garibaldi divenne sempre più stretto: gli fu al fianco sul Gianicolo e negli altri scontri con i francesi di Napoleone III e lo seguì nella fuga verso Venezia, che s’interruppe drammaticamente dopo la morte di Anita.
Rientrato nella sua Bergamo, Nullo torna a occuparsi di tessuti fino alla successiva «chiamata alle armi»: che avviene con la Seconda guerra d’indipendenza, allorché Garibaldi, fondatore e comandante dei Cacciatori delle Alpi, lo accoglie tra i suoi fedelissimi e se lo ritrova a fianco nelle vittoriose battaglie ingaggiate contro gli austriaci nelle terre di Como e Varese. Un precedente più che valido per ricevere da Garibaldi, nell’aprile del 1860, l’incarico di arruolare i giovani di Bergamo desiderosi di partecipare all’invasione del Regno delle Due Sicilie e all’unificazione dell’Italia. Un compito che Francesco Nullo esegue con avvedutezza ed entusiasmo tali da consentirgli di raggruppare 160 volontari soltanto nella sua città: una cifra che consentirà a Bergamo di fregiarsi giustamente del titolo di «città dei Mille». Ma non è tutto. Mobilitando i dipendenti della ditta paterna, Nullo riesce a far confezionare alcune centinaia di camicie rosse che porterà con sé a Genova perché siano distribuite, come tenuta di combattimento, ai volontari accorsi da tutta Italia. Gli fa da spalla, in quelle frenetiche giornate, Francesco Cucchi.
Dopo lo sbarco a Marsala, sarà lui, il 27 maggio 1860, a issare il primo tricolore a Palermo, appena conquistata dai Mille, nonostante i postumi di una ferita da arma da fuoco rimediata durante la battaglia di Calatafimi. Sulle spalline, dopo quella ferita e in virtù di...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Gli eroi di Montecassino
  3. Prefazione di Massimo de Leonardis
  4. I. L’ultima spartizione
  5. II. Nelle mani dei russi
  6. III. «Per la nostra e la vostra libertà»
  7. IV. La liberazione delle Marche
  8. V. Da Bologna alla vittoria
  9. VI. Via le bandiere rosse!
  10. VII. Dopo la fine, l’ultimo dramma
  11. Appendice 1 - I polacchi in prima fila per l’unità d’Italia
  12. Appendice 2 - Le testimonianze
  13. «Io e i polacchi»: ricordi di guerra di un grande scrittore italiano, Eugenio Corti
  14. «Italia, amore, libertà.» Intervista ad Anton Mosiewicz
  15. Ringraziamenti
  16. Bibliografia
  17. Indice dei nomi
  18. Copyright