Morituri te salutant
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Morituri te salutant

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  1. 240 pagine
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Morituri te salutant

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Roma, 45 d.C. Come sempre, i gladiatori scendono nell'arena rivolgendo il loro saluto all'imperatore: « Ave, Caesar, morituri te salutant! ». "Coloro che stanno per morire ti salutano!" Qualcuno sembra aver deciso di prendere fin troppo sul serio quell'antica formula: sotto lo sguardo stupefatto del senatore Publio Aurelio Stazio, dell'imperatore Claudio e di migliaia di romani, infatti, l'asso dell'arena, l'imbattibile, colossale Chelidone, si accascia al suolo inspiegabilmente. Non c'è nulla da fare, è morto. Preoccupato, Claudio convoca al Palatino l'amico Publio Aurelio e, in via riservatissima, gli affida l'indagine sulla morte improvvisa quanto inspiegabile del gladiatore. Il senatore non immagina certo in quale rete di intrighi resterà presto invischiato. Perché, partendo dal cadavere di Chelidone, la sua indagine finirà per coinvolgere le più alte autorità dell'impero, scoprendo un disegno criminale che estende le sue trame ben oltre i confini dell'arena.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852039546

Appendice
UNA DEA PER PUBLIO AURELIO STAZIO
Racconto

Personaggi
PUBLIO AURELIO STAZIO senatore romano
CASTORE il suo segretario
SERVILIO E POMPONIA i suoi amici
PALEMNONE gran sacerdote di Iside
EGLE E ARSINOE sacerdotesse
DAMASO E FABIANA custodi del tempio
VIBIO, NIGELLO E IPPOLITO ricchi fedeli

Baia, anno 798 ab Urbe condita
(anno 45 dopo Cristo, estate)
La carovana si arrestò nei pressi di Bauli e Publio Aurelio Stazio scese, stiracchiandosi, dal carro padronale. Mentre i nubiani montavano la lettiga leggera, il senatore si affacciò al bordo della strada per rimirare ancora una volta il porto di Baia in tutto il suo splendore.
Baia, il luogo di ogni delizia, nelle cui terme miracolose si coniugavano i piaceri più raffinati del corpo e dell’anima. Baia, la perla del mare, dove i vecchi ringiovanivano, i fanciulli si effeminavano e le vergini non restavano tali a lungo. Baia, il paradiso dei cacciatori di donne, da cui le belle matrone tornavano guarite nel corpo e ferite nel cuore...
La magica insenatura perfettamente circolare, i colonnati a picco sul mare, gli enormi bulbi delle aule termali, i giardini fioriti, le lussuose residenze dei grandi di Roma, prima tra tutte quella dell’imperatore: tutto ciò faceva di Baia la più bella e la più famosa stazione di villeggiatura dell’impero.
Tornarci era sempre una gioia per il senatore, anche se, come sosteneva la sua amica Pomponia, l’ambiente sociale negli ultimi anni si era un po’ involgarito con la presenza di molti nuovi ricchi dalle origini incerte, la cui educazione lasciava alquanto a desiderare. D’altronde, raffinatezza e cultura non sempre si accompagnavano a un borsellino ben fornito, o viceversa – rifletteva il patrizio – e Roma aveva un gran bisogno di sangue nuovo per rinvigorire la classe dirigente aristocratica, ormai in pieno declino.
Aurelio si sorprese a sorridere, pensando alla vecchia amica che lo stava aspettando. Chissà che cosa avrebbe inventato, stavolta, per animare la stagione. L’anno precedente c’era stata la grande festa notturna sull’acqua, con gli invitati travestiti da nereidi, tritoni e sirene...
«Ho mandato una parte dei muli a imbarcarsi per Pithecusa» lo informò in quel momento il segretario Castore.
Aurelio assentì. Infatti, sebbene lieto di partecipare all’intensa vita mondana della celebre stazione termale, voleva anche concedersi un po’ di tempo per riposare, e avrebbe quindi intervallato i bagni e i banchetti con qualche breve ritiro nella sua residenza sull’isola di Pithecusa dove, avendo al suo servizio soltanto una trentina di domestici, poteva godere di una relativa solitudine.
«Suppongo che per i primi giorni sarai ospite di Pomponia e Servilio» disse il liberto.
«Certo, Castore: occorre che i servi abbiano il tempo di ripulire la villa e rassettarmi il guardaroba. E a questo proposito, ti avverto che ho fatto inventariare le mie vesti estive capo per capo, nel caso tu avessi intenzione di farne sparire qualcuna, come al solito» precisò Aurelio, ben conoscendo la propensione del greco ad appropriarsi della roba altrui. «Ora manda uno schiavo ad avvertire che stiamo arrivando e aiutami a mettere un’altra tunica: quella che indosso è già zuppa di sudore.»
«Abbiamo perso troppi liquidi, domine; è necessario ristabilire l’equilibrio degli umori, o potremmo cadere stecchiti da un momento all’altro» affermò il servo con aria spaventata.
Aurelio sbuffò. Era evidente che Castore aveva sete, e non certo di acqua. «Ti sei già scolato una giara di Setino a Literno e due coppe di Ulbano a Cuma...» gli fece notare.
«Appunto! Per digerirli, occorre un vinello leggero. Ecco, l’ho già preparato, bevine un po’ anche tu!» lo invitò il liberto, mescendo generosamente dall’orcio del padrone, che era stato conservato per l’intera durata del viaggio tra due lastre di ghiaccio. «Porto i bagagli in villa e vengo a raggiungerti. Ti dispiace se finisco il vino? Tu sei quasi arrivato, ma io ho ancora tanta strada...»
Il patrizio lo guardò, seccato: la sua villa si trovava sul contrafforte tra Baia e il lago Lucrino, mentre quella di Pomponia era ubicata proprio accanto al maggior stabilimento termale della città, per dar modo alla matrona, comodamente seduta sulla sua terrazza, di osservare il via vai dei clienti che entravano, e commentarne poi, con adeguata competenza, la ricchezza dell’abbigliamento, lo stato di salute e le eventuali amicizie compromettenti.
«Non hai che mezzo miglio in più da percorrere» fece notare Aurelio al suo segretario.
«In salita, però! Vieni, lascia che ti sistemi la veste pulita... ehi, vuoi davvero mettere questa?» chiese Castore, additando la sobria tunica color sabbia scelta dal senatore. «Alla matrona Pomponia farebbe più piacere se indossassi quella che ti ha regalato lei, col fregio purpureo ricamato a cigni in volo!»
«Ma sembrano oche...» protestò debolmente il patrizio, già rassegnato a mettere in pericolo i suoi gusti raffinati pur di far contenta la vecchia amica.
Poco dopo, il senatore, avvolto nei cigni svolazzanti, faceva il suo ingresso in città, acclamato da una folla di monelli a caccia di qualche manciata di monete.
Presto il carro si arrestò davanti alla dimora di Pomponia. Stranamente, però, ad attenderlo sulla porta di casa non c’erano né il portiere né il capo della servitù, ma il cavaliere Tito Servilio in persona.
«Oh Aurelio, meno male che sei qui» esclamò quest’ultimo, andandogli incontro con aria agitata. «Sono successe tante cose, sapessi! Non impressionarti se troverai qualche piccolo cambiamento...»
L’avviso, però, giungeva tardi. Varcate di buon passo le fauces, il senatore era rimasto inchiodato sulla soglia dell’atrio, fissando allibito due colossali statue nere dalla testa canina che incombevano su di lui. Ai lati dei mostri, alcuni enormi babbuini di granito rosa lo scrutavano minacciosi, mentre sulla parete di fondo si ergeva in tutta la sua possanza l’immagine di una Dea dal copricapo cornuto, riccamente vestita di lino bianco e adornata di gemme.
«Avete un faraone tra gli ospiti?» chiese Aurelio, sarcastico, mentre l’amico allargava le braccia con rassegnazione.
«Peggio, Aurelio, peggio» sospirò Servilio. «Mia moglie si è convertita al culto di Iside!»
«Non mi dire!» gemette il patrizio, paventando già i pasticci in cui si sarebbe cacciata una Pomponia pia, devota, e per di più egittizzante.
«Ahimè, l’ha presa proprio brutta! Partecipa a tutte le funzioni, cambia personalmente il mantello della statua e digiuna tutte le nundinae
«Pomponia sta digiunando?» ripeté Aurelio, incredulo. La situazione doveva essere grave, se l’opulenta matrona, che andava famosa per l’insaziabile golosità, si asteneva da leccornie e manicaretti...
«Sì, e pretenderebbe che io facessi altrettanto!» protestò Servilio, toccandosi indignato la pancia ridondante.
«Povero amico mio» disse Aurelio, compiangendo il bravo cavaliere, esperto di gastronomia più ancora che di affari.
«Per di più, mi ritrovo quotidianamente la villa invasa dagli adepti del culto, un’accolita di fanatici puzzolenti di incenso e capaci di raccontare le favole più inverosimili... ma eccoli che arrivano! Si presentano sempre puntualissimi, dopo ogni rito, pronti a bere e mangiare alle mie spalle: non hai idea della quantità di cibo che questi sedicenti digiunatori riescono a divorare in un solo pasto!»
«Aurelio, Aurelio caro!» gli corse incontro Pomponia, sbracciandosi dall’entusiasmo. «Ho tante novità da raccontarti... pensa che oggi ho assistito a un prodigio!»
«La statua di Iside, al tempio, stillava lacrime di sangue!» spiegò, con aria visibilmente commossa, il giovane che la seguiva.
«Ci sono elezioni in vista?» chiese caustico Aurelio, guadagnandosi subito un’occhiata storta da parte dell’uomo dall’abito candido alla guida del drappello.
Dietro di lui, due giovani piuttosto graziose, le spalle nude e il corpo fasciato di lino trattenuto in vita dal nodo isiaco, rivolsero invece al senatore un sorriso smagliante.
«Questo è Palemnone, il gran sacerdote.»
«Lieto di conoscerti» disse Aurelio, sforzandosi di apparire sincero. «Permettimi di offrire qualche anfora del mio Setino alla cantina del tempio» aggiunse per compiacere la vecchia amica, che sembrava tenere il sacerdote in grande considerazione.
«Grazie, senatore. E tu accetta in dono questo potente amuleto, atto a salvaguardarti dagli incidenti di viaggio» ribatté il sacerdote, togliendosi dal collo uno scarabeo di turchese.
«Bello. Ma cosa significa l’iscrizione in geroglifico?» chiese curioso il senatore.
«È una giaculatoria augurale, per impetrare la protezione di Sobek, il Dio Coccodrillo» precisò il prete con un certo sussiego.
Lo scambio di cortesie fu interrotto da Pomponia, ansiosa di terminare le presentazioni.
«Ecco Damaso, il custode del sacello, con sua moglie Fabiana. E queste sono le sacerdotesse Egle e Arsinoe, che hanno l’incarico di lavare e pettinare il simulacro della Dea» disse, spingendo avanti le due fanciulle.
Iside aveva i suoi lati buoni, considerò il senatore apprezzando la grazia delle fanciulle, che lo guardavano con aperto interesse. Non tutti, però, dovevano pensarla come lui, perché alla vista dei corpi abbondantemente esposti delle sacerdotesse, la moglie del custode – una matrona dall’aspetto alquanto severo – si avvolse ancor più strettamente nella tunica vereconda e storse la bocca in segno di disapprovazione.
«Vibio, Nigello e Ippolito, i più assidui fedeli della Dea» introdusse Pomponia. L’ultimo citato, Ippolito, il giovane che aveva riferito con enfasi l’episodio della lacrimazione della statua, si affrettò a invitare il senatore a una visita al tempio.
«Ne sarei lietissimo. Purtroppo, un precedente impegno mi impedisce...» tentò di defilarsi Aurelio, ma Pomponia lo smentì decisa, assicurando la sua prestigiosa presenza alle cerimonie del giorno dopo. Fu il segnale di attacco: immediatamente il patrizio venne sommerso di ragguagli non richiesti circa preci, novene, meditazioni e ineffabili estasi mistiche.
Aurelio si guardò attorno desolato, finché non scorse il profilo aguzzo di Castore che, tornato dalla villa sul monte, gli faceva segno dalle cortine del tablino. Il senatore lo raggiunse in fretta, felice di sottrarsi a una conversazione non troppo gradita.
«Pensi di dormire in un normale giaciglio, domine, o per stanotte devo procurarti un sarcofago?» lo canzonò il segretario.
«Numi dell’Olimpo!» esclamò il senatore con le mani nei capelli, mentre si avviava verso il suo alloggio. «Nemmeno il più ingenuo dei bambini crederebbe a una simile montagna di sciocchezze! Quel Vibio va dicendo che Iside lo ha guarito da un’infezione mortale, Nigello sente la voce della Dea durante le meditazioni e Ippolito fa intendere di averne addirittura goduto i favori!»
«Non è tutto, domine. I servi mi hanno raccontato che la moglie di un pretore, dopo anni di assoluta sterilità, ha ottenuto di concepire grazie a una sola notte di preghiera» riferì Castore, senza far mistero della sua perplessità.
«Bubbole!» scosse la testa Aurelio. «Purtroppo Pomponia crede ciecamente alle parole dei suoi correligionari e si offenderebbe a morte se li smentissimo. Per nostra fortuna, tuttavia, le passioni religiose della nostra amica durano poco: occorre soltanto trovare il modo di dissuaderla. Prendi subito informazioni su quel manipolo di esaltati, Castore, primo tra tutti il gran sacerdote, che mi sembra alquanto ambiguo.»
«Che brutta faccia, con quegli occhi sporgenti. Il collare d’oro che si porta addosso lo fa sembrare un bue al giogo. Non hai qualche incarico più interessante da affidarmi?» chiese il liberto.
«Indaga sulla gravidanza della moglie del pretore e la malattia di Vibio; sono ambedue vicende piuttosto dubbie.»
«Che ne dici se cominciassi invece dalle sacerdotesse?» si offrì Castore, volonteroso. «Di certo sono depositarie di arcani segreti, e per interrogarle serve un uomo dotato di tatto e discrezione.»
«È vero, Castore; di conseguenza ci penserò io stesso» lo deluse Aurelio. «Tu appura piuttosto quanti soldi ha già incamerato Palemnone con le offerte dei fedeli. A parte il custode, gli altri adepti hanno tutti la borsa ben piena e sospetto che la aprano spesso per gratificare il tempio di laute donazioni.»
«Senti odor d’imbroglio, eh?»
«Non lo nego. Queste nuove divinità orientali, coi loro riti fin troppo suggestivi, mi danno ancora meno affidamento dei Numi greci e latini.»
«Stavolta la tua allergia di epicureo nei riguardi del soprannaturale rischia di portarti fuori strada, padrone: sulla costa, la Dea Iside, lungi dall’essere una straniera, è di casa da secoli, fin dai tempi in cui i primi marinai, in gran parte egizi, hanno fatto la loro comparsa nel porto di Puteoli.»
«Dove infatti le è dedicato un grande tempio.»
«Come pure a Neapolis e a Pompei. Il culto è ormai diffuso in tutto l’impero, tanto che l’Iseum della spianata dei Saepta Iulia, a Roma, viene frequentato da cittadini della migliore società, e gode persino del riconoscimento imperiale» osservò Castore.
«Nell’Urbe l’amministrazione dei templi è sottoposta a ferrei controlli» puntualizzò Aurelio «ma a Baia le cose stanno diversamente. Qui tutto è lecito, lo sai bene; e non ci sarebbe da meravigliarsi se, invece di puntare su bagni, feste e cortigiane, qualcuno avesse deciso di fare soldi con la religione che, da che mondo è mondo, è sempre stata una delle industrie più fiorenti.
«In effetti, ricordo che fino a un paio di anni or sono l’Iseum di Baia era chiuso al pubblico, mentre adesso è d...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Di Danila Comastri Montanari
  3. Morituri te salutant
  4. I
  5. II
  6. III
  7. IV
  8. V
  9. VI
  10. VII
  11. VIII
  12. IX
  13. X
  14. XI
  15. XII
  16. XIII
  17. XIV
  18. XV
  19. XVI
  20. XVII
  21. XVIII
  22. XIX
  23. XX
  24. XXI
  25. XXII
  26. XXIII
  27. Appendice - Una Dea per Publio Aurelio Stazio
  28. Glossari
  29. Copyright