Dai vita ai tuoi sogni
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Dai vita ai tuoi sogni

Lavoro, famiglia, impegno civile, l'eccezionale esperienza di una imprenditrice

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  1. 168 pagine
  2. Italian
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Lavoro, famiglia, impegno civile, l'eccezionale esperienza di una imprenditrice

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«"Il futuro appartiene a chi crede nella bellezza dei propri sogni". L'ha scritto Eleanor Roosevelt, ed è proprio vero. Crederci significa rischiare, compromettersi con la realtà, senza avere paura delle piccole o grandi sconfitte.
Significa impegnarsi con determinazione e disciplina, senza perdere lo sguardo fiducioso nel futuro e nella vita, che proprio di quel sogno ci ha fatto innamorare.
Io mi sono buttata a 23 anni, e non ho più smesso. È stato duro, a tratti, comunque magnifico: oggi, guardandomi indietro, capisco che tutto ciò che è accaduto ha avuto un senso. Altana, Doxa, Connexia, e le altre nostre aziende (start-up nella ricerca, nel digitale e nella comunicazione), hanno radici solide: in esse costruiamo, lavorando insieme, ogni giorno un pezzo di futuro.
Nel frattempo la vita mi ha regalato quattro figli, ora adolescenti, un amore grande che ha adottato tutta la nostra tribù, un buon numero di cani (sette, mentre scrivo), la riscoperta della fede, tanti incontri umani ed esperienze che testimoniano un'Italia positiva, piena di capacità di intraprendere ed affrontare i cambiamenti in atto.
Sono e saranno anni molto duri. E non voglio, né posso dire, semplicisticamente "basta crederci" né "con un po' di determinazione ce la faremo". Penso che parecchio di buono ci sia, comunque. C'ìè un settore, il no profit, in cui operano come volontari milioni di persone, che dedicano agli altri una parte del proprio tempo e della propria progettualità. C'è una quota importante di imprenditori e manager che dimostrano, strategicamente con le loro scelte, e umanamente con i loro gesti, che è determinante organizzare il lavoro mettendo le persone al centro. Solo così potremo ricreare "comunità", mantenendo come principi ispiratori il più alto senso etico, il rigore morale e la meritocrazia. Voglio bene ai giovani, capaci di cambiare gli equilibri dei rapporti tra uomini e donne. Sapranno incontrarsi sul terreno positivo del confronto, al di là delle antiche frustrazioni o competizioni.
Ripartiamo da qui. Con coraggio, senso di responsabilità e il cuore spalancato alle possibilità, alle scoperte, alle persone. Credo che, se saremo capaci di rimanere fedeli ai nostri valori, se saremo lucidi nel guardare a noi stessi e al mondo, se saremo determinati e coerenti, e sceglieremo di aprirci alla tenerezza e alla verità, diventeremo più forti. Questa forza sarà il dono che potremo fare ai nostri figli e a coloro che amiamo: mostreremo che, con dignità, saremo stati capaci di reinventarci un futuro, da persone libere e fiere.»

Domande frequenti

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Informazioni

Tutto è etica, anche un tappeto colorato

La creazione di ricchezza deve essere correlata al
benessere dei collaboratori e degli stakeholders.
AMARTYA SEN
Credo che le persone si dividano in due categorie: i «coniglioni» e gli altri. Quando devo insultare qualcuno gli dico: «Ma sarai un coniglione?» oppure «Ma sarai una carota?», che sceglie di vivere sottoterra e di far spuntare solo il ciuffo.
«Sconigliare», magari all’imperativo («non sconigliare!»), è un verbo che uso spesso, anche con i miei figli. Sta per «rimuovere», «evitare di affrontare», magari all’imperativo («non rimuovere!»), di solito riferito a un qualche problema, che invariabilmente peggiora mentre si cerca di ignorarlo. Io esagero al contrario (più che coniglio, i colleghi nelle aziende mi chiamano «azionista cinghialata»): erbivoro, sì, ma, nel dubbio, zanne in resta, tendo a sfondare i cespugli o qualunque ostacolo. Rimandare non fa per me, tendo più a placcare la faccenda e ad abbatterla.
Infatti. Non sono riuscita a sconigliare nemmeno un po’ quando, nel 2006, mi è stato chiaro che Doxa avrebbe avuto problemi seri nel futuro se non avessimo affrontato grandi cambiamenti.
Non l’avevo toccata per anni: mi ero limitata ad acquistarla e a mantenerla sotto la guida di mio padre. Di ricerche e indagini di mercato ne sapevo come di meditazione trascendentale: zero. Invece uno dei miei fratelli, Marco, aveva studiato proprio questi argomenti, quindi nel tempo aveva affiancato papà come manager.
Come azionista, mi sono chiesta cosa ero tenuta a fare. Le strade possibili erano due: vendere a una multinazionale e fare un sacco di soldi oppure prendere il coraggio di rischiare e cambiare tutto. In questa seconda ipotesi, a giudizio di mio padre e di mio fratello, Marco sarebbe dovuto subentrare al comando.
Volevo investire su un futuro nuovo e diverso, aprire al digitale e a nuove partnership, costruendo start-up nei settori della comunicazione e di Internet. Oltre a ristrutturare le ricerche. Mi era molto chiaro che, siccome in quel settore ad avere il monopolio erano grandi realtà multinazionali, avremmo potuto farcela solo se fossimo riusciti a posizionarci a un livello di eccellenza, a realizzare i progetti migliori, innovando e attirando le persone più competenti.
I miei familiari non condividevano, incluso Marco, ottimo ricercatore che, però, temevo non fosse adatto a governare questo cambiamento. Papà sosteneva che di ricerche non avrei mai capito niente e mi consigliava di vendere.
Una sera, dopo che mio padre mi aveva ripetuto per l’ennesima volta «Vedi tutto questo? Lo farai fallire! Vendi a una multinazionale», sono rimasta in ufficio. Era tardi, tutto buio, fuori il grigio di Milano. È passato Oliver. Viene dallo Sri Lanka, in Doxa fa le pulizie da una vita. Mi ha sorriso. L’ho guardato e ho pensato: «Accidenti, non vendo. Non io».
C’erano due persone che avrebbero potuto portare avanti con me il piano che avevo in mente: Vilma e Adriana, entrambe da tanti anni in Doxa.
Vilma era in grado di diventare il nuovo capo dell’azienda. Adriana era entusiasta dei nuovi progetti. Tutte e due capivano e condividevano la mia posizione: un conto è tagliare le perdite, un altro è generare sviluppo. Esattamente ciò che volevamo fare, anche se non ci era ancora chiaro come, in quel momento.
Mentre io avevo il terrore del nepotismo, papà temeva che commettessi un’ingiustizia umana nei confronti di mio fratello Marco: riteneva che avrei dovuto fare un passo indietro. Con lui ho discusso per anni, sperando fosse possibile che rimanesse in azienda in un’altra posizione, ma non c’è stato niente da fare. Ho scelto credendo di ottemperare alla mia prima responsabilità: proteggere le persone che lavoravano per me, i dipendenti, gli impiegati, Oliver delle pulizie. I livelli alti della catena di comando sono più esposti e non possono essere protetti: devono assumersi i loro rischi in prima persona.
Non aveva senso che predicassi meritocrazia in giro e non la attuassi. Esiste un libro, Meritocrazia, di Roger Abravanel, che chiarisce il significato della parola: come azionista dovevo continuare a ristabilire giustizia. Per riuscirci non potevo e non posso volare a quota tacchino, che vede tutto da vicino ma si scontra con ogni persona; dovevo e devo volare alto, come un falco, talvolta ridiscendendo velocemente per osservare meglio cosa accade, ma rimanendo lontana abbastanza da terra per mantenere una prospettiva aperta, di lungo periodo. Fu questo atteggiamento a consentirmi, allora, di non vincolare il futuro delle aziende alla paura di perdere l’affetto dei miei familiari. Credo che le mie società non mi appartengano, nello stesso senso in cui non mi appartengono i miei figli. Sì, sono entrambi «miei», ma il mio ruolo consiste nel metterli in condizione di camminare da soli e di diventare grandi ben oltre me. Ricordo la prima volta che una donna manager, Maria, si è dimessa: io avevo 26 anni e lei 27. Ci ho sofferto molto, ma grazie a lei ho imparato che ciò che posso fare per le persone è solo aiutarle a volare. Starà a me costruire un nido gradevole e accogliente, dove torneranno a trovarmi se nel nostro rapporto ci sono ancora amore e gratitudine.
Ero convinta che la strada giusta per crescere, e quindi poter creare nuovi posti di lavoro, sarebbe stata quella di sviluppare le ricerche di mercato, cioè la competenza storica di Doxa, in modo nuovo, integrando gli insights, attraverso il digitale, con il marketing. Già allora era intuibile che il modo del marketing e della comunicazione sarebbero cambiati velocemente, e negli anni successivi emerse, da parte delle multinazionali della comunicazione, la tendenza a credere sempre meno nel nostro paese, e quindi a utilizzarlo in termini di mercato utile, ma non a investire in Italia. Questo avrebbe potuto rappresentare un vantaggio competitivo per coloro, tra noi, che avessero voluto e saputo intraprendere in questi settori.
Per onestà intellettuale devo sottolineare che non è sempre possibile agire con una simile autonomia. Ho potuto prendere la mia decisione e metterla in pratica perché avevo la maggioranza delle quote. Ma quante aziende hanno un azionariato sparso tra i figli dei fondatori, che a volte non riescono ad accordarsi fra loro? Quante hanno un padre fondatore che mantiene nelle sue mani le decisioni chiave fino a età molto anziana, impedendo che il cambiamento avanzi? In questi casi, non è detto che ai migliori intenti corrisponda un’azione coerente.
Una cosa era certa: io nelle ricerche di mercato non avevo mai lavorato. Avevo, questo sì, costruito imprese, e venivo da una prospettiva industriale. Nell’affrontare questo mondo nuovo mi sono posta con umiltà e atteggiamento di studio, facendomi domande continuamente. Un po’ come l’imprenditore che rilevi un ristorante: «Capisco che i piatti classici sono questi, ma non si potrebbe provare qualcosa di nuovo?».
Abbiamo cambiato tutto, ma non ero sola. È accaduto insieme a Vilma e a Adriana, chief financial officer in Doxa da sempre. Vilma allora era direttore generale, oggi è socia e amministratore delegato. In realtà, non credo che aspirasse a ricoprire lei questo ruolo, lavorava con grande dedizione da molti anni, e conosceva l’azienda e il settore alla perfezione. Come Barbara in Altana, anche Vilma non lavorava in funzione di obiettivi personali di potere, ma pensando innanzitutto a costruire per l’azienda nel lungo periodo e, di conseguenza, per gli azionisti e per tutti i colleghi. Con il loro esempio, Barbara e Vilma hanno testimoniato un valore molto importante per tutti, e hanno coinvolto al loro fianco persone competenti, corrette e generose nel proprio rapporto con le nostre aziende, con i colleghi e con i clienti. Non sono mancati momenti di confronto appassionato fra di noi, ma considero preziose la libertà e la verità che ci sono sempre state nel rapporto con le mie prime, magnifiche socie. Devo riconoscere che, se non ci fossero state loro, nulla sarebbe uguale, e io non avrei saputo costruire allo stesso modo. Barbara e Vilma mi hanno insegnato tanto, e continuano a farlo ogni giorno. Provo, per loro, un’enorme gratitudine, e le stimo tanto, sia sul piano umano, che professionale. Sento che sono in grado di rappresentare il futuro, oltre che il presente, della nostra storia aziendale.
Già nel 2007 Vilma e Adriana avevano fatto nascere Grid, un considerevole call center con sede in Albania, che si aggiunge a quello di Milano. Oggi a Tirana lavorano con noi diverse centinaia di persone, quasi tutte donne. Ne parlo con fierezza: non si è trattato di un progetto speculativo, ma della possibilità di creare posti di lavoro in regola, correttamente retribuiti, per molte giovani donne laureate che, altrimenti, sarebbero state destinate alla disoccupazione o all’emigrazione forzata. Le stesse persone che, arrivate in Italia, avrebbero forse trovato un lavoro come colf o badanti. La nostra responsabilità sociale di imprenditori non si applica solo in Italia, ma anche in un paese che si trova a poche centinaia di chilometri da noi, attraversando il mare, ed è uscito molto povero da una lunga dittatura comunista.
Una rivoluzione nasce dall’introduzione
di nuovi comportamenti.
Daniel Goleman
A partire dal 2008, mentre Altana continuava a essere saldamente guidata da Barbara, mi sono concentrata sui progetti di sviluppo di Doxa che, allora, immaginavo ancora in termini indefiniti, ma si stavano progressivamente delineando nella direzione delle ricerche e della comunicazione digitale.
Nel 2009 abbiamo deciso di acquisire Connexia, importante web agency dedicata a «web, social e public relations», come è scritto nel suo website. Paolo D’Ammassa, l’amministratore delegato, che l’aveva fondata insieme ad altri, è rimasto come nostro socio. Da quel momento sembra passato moltissimo tempo, eppure si tratta di pochi anni. Paolo mi è stato a fianco trasmettendomi le sue conoscenze e assistendomi nell’evoluzione della mia «cultura digitale», io spero di essermi resa utile a Connexia in termini di visione organizzativa industriale lungo il percorso condiviso con Vilma. Ho una grande fiducia nel futuro di Connexia, e sono felice che sia la nostra società primogenita nel digitale. Ci lavorano in tanti, molti sono giovanissimi: Paolo ha saputo costruire un luogo di lavoro pieno di entusiasmo e di «nativi digitali». Ora è una vera azienda ben organizzata, che è riuscita a preservare, comunque, intatta la sua energia.
Nei primi mesi del 2010 ha scelto di unirsi a noi Federico, riconosciuto da tutti come il migliore nelle ricerche di mercato online. Insieme a Paolo Mistorigo e a un magnifico gruppo di giovani ricercatori aveva fondato Duepuntozero Research: erano in cinque, molto affiatati; nello spazio di tre anni la loro dimensione è quadruplicata sul piano numerico, ma si è mantenuta altrettanto creativa e viva su quello umano. Tutti hanno generato figli (e altri sono in arrivo) e hanno continuato a lavorare molto duramente, senza rinunciare a organizzare insieme feste per i bambini, nel weekend, nei loro stessi, speciali luoghi di lavoro. Duepuntozero è rimasta l’azienda fortemente innovativa che era all’inizio, mantenendo il suo posizionamento specifico, ma ha saputo trarre ricchezza dai legami forti stretti con i colleghi di tutte le altre realtà.
Nel 2010 è nata anche Doxapharma, dedicata alle ricerche di mercato nel settore farmaceutico. È stata costituita, insieme a Doxa, da tre importanti manager del settore: Giuseppe, Paola e Gadi, che hanno cambiato il loro percorso professionale per diventare imprenditori essi stessi, con noi. Hanno saputo conquistare, molto presto, una posizione rilevante nel mercato di riferimento, ma il loro valore non sta solo o soprattutto nel successo. Piuttosto, mi piace raccontare la loro capacità di circondarsi di giovani ricercatori, e di lavorare fianco a fianco con i collaboratori, appassionandosi a ogni nuovo progetto insieme a loro. Penso che l’Italia, nel prossimo futuro, debba riscoprire la capacità di progettare luoghi come l’ambiente di lavoro che i nostri soci hanno creato: molto simile a ciò che doveva accadere nel Rinascimento, quando nelle botteghe dei grandi artisti il maestro lavorava insieme ai suoi allievi.
Doxa Advice è nata nei primi mesi del 2011 dall’incontro con Massimo, triestino a Milano per lavoro da molti anni. Ci siamo conosciuti perché ero curiosa di capire la sua storia di ricercatore capace di affiancare le metodologie di ricerca sul WEB a quelle tradizionali, e perché stimavo la sua capacità di leggere e interpretare i dati in chiave di marketing. Molto presto gli ho chiesto di costruire con noi una nuova azienda, e lui ha accettato. Al suo fianco, Patrizia, responsabile delle ricerche qualitative. Mentre penso a loro mi accorgo che, oltre alle grandi capacità professionali, ciò che li accomuna è una forte onestà intellettuale unita a una grande generosità di sé, nei confronti di colleghi e clienti. Advice ha continuato a crescere, e Massimo è stato capace di evolvere con lei, modificando il suo ruolo di guida – pur rimanendo uno «sgobbone» (come gli dico, ogni tanto, in dialetto, quando lo vedo e mi preoccupo della sua stanchezza...)
Nell’autunno del 2011 un altro grande incontro, con Paolo Guadagni, che molti anni fa aveva fondato Digital PR, l’aveva ceduta a una grande multinazionale ma aveva continuato a dirigerla. All’idea di continuare in quel ruolo, ormai a lungo sperimentato, non era felice. E aveva il sogno di costruire una nuova società, che avrebbe sviluppato, per prima in Italia, le infografiche, cioè la rappresentazione dei dati complessi non più attraverso le parole, ma attraverso dei grafici o dei video in movimento. Gli ho chiesto di farlo insieme, perché ero (e sono) molto colpita dalla sua capacità straordinaria di «fare ricerca» con un orizzonte ampio. The Visual Agency è, ora, la società più importante e più innovativa nel suo genere, nel nostro paese. E Paolo ha scelto di circondarsi di neolaureati del Politecnico, oltre che di altre competenze, comunque giovani.
All’inizio del 2012, Simone ha scelto di rischiare il suo ruolo precedente, di amministratore delegato di un’importante società americana, per fondare Doxametrics insieme a noi, e ha riunito attorno a sé alcune delle più qualificate esperienze nel mercato nel settore della customer satisfaction e dell’experience. A muovere la sua scelta, ancora una volta, non sono state ragioni strettamente economiche, ma la possibilità di costruire, con noi, prodotti di ricerca innovativi e di investire su di essi, senza limitarsi alla serrata logica di fatturati o profitti su base trimestrale, che sembra essere la base delle dinamiche gestionali di molte altre grandi aziende. Nell’ultimo periodo, quando mi parla di big data o del rapporto futuro fra il CRM e gli insights, mi sento un po’ stupida, sul momento, ma assolutamente determinata a essere all’altezza delle intelligenze che mi circondano.
A fine 2012, Pier e Silvio si sono aggiunti agli «abitanti di via Panizza 7» per diventare nostri soci. Abbiamo creato www.things.is, «a design and innovation agency for the internet of things», che si occupa di strategie innovative di business, e soluzioni innovative di visual design, brand experience, interaction design, brand evaluation e così via. Sono il nostro nucleo più avanzato d’innovazione: stanno elaborando strategie per essere pronti ad affrontare il mondo che viene avanti, un mondo di cambiamenti accelerati, che condizioneranno i comportamenti sociali, gli stili di vita e gli atteggiamenti verso i prodotti. Tra i loro progetti, un progressive co-working, modalità di lavoro sperimentale, rivolta al futuro.
Coerentemente con questi principi, stiamo ristrutturando lo spazio che ospiterà il co-working: ristrutturando perché, in un’Italia già invasa dal cemento, penso sia più etico recuperare l’esistente e valorizzarlo, che costruire qualcosa ex novo. Il Progetto Calabiana Milano – che mi coinvolge con due soci molto creativi, Max e Brenda Bizzi che hanno ideato il White, cioè la fiera di moda più trendy e innovativa – ha riportato in vita uno spazio di archeologia industriale, cioè una grande cartiera abbandonata da decenni: ci stampavano il Manzoni, sta già diventando uno spazio polifunzionale per la moda, ma non solo. Pensiamo anche al design, al food e, naturalmente, al digitale. La zona industriale dove si trova sta rinascendo: molto vicino a noi stanno iniziando i lavori per la costruzione della Fondazione Prada, straordinario spazio per l’arte contemporanea.
Ancora un’importante start-up, nata nei primi mesi del 2013: Doxa Digital, scaturita dal grande lavoro di Guido, super manager di Doxa, e di Sergio, fino a ieri capo del digitale di una grandissima azienda. Entrambi sono nostri soci e si stanno concentrando sulla costruzione di un’offerta digitale integrata tra ciò che è già presente nel nostro gruppo e ciò che verrà creato in futuro, in particolare nel settore del WEB marketing. Ancora una volta, utilizzano le proprie competenze ma applicano in contemporanea grande capacità di ascolto e di successiva sintesi, cioè decisioni, e io sono entusiasta di loro, credo realmente nelle idee di questa nuova squadra di lavoro, e continuo a imparare.
«Last but not least», iCorporate, l’ultima nata. Gabriele e io ci siamo conosciuti solo pochi mesi fa, via LinkedIn: eppure, i nostri uffici erano, da sempre, molto vicini, addirittura nella stessa strada. Non ci eravamo posti obiettivi precisi riguardo ai contenuti del nostro primo incontro. Se non temessi di apparire esagerata, parlerei di un caso tipico di «Dio-incidenza». Ci siamo incontrati, innanzitutto, sui valori condivisi – cioè come persone, esseri umani capaci di condividere molte idee e progetti innovativi – e solo in seguito abbiamo immaginato di poter diventare soci. Insieme a Paolo Guadagni abbiamo appena creato iCorporate, una s...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Dai vita ai tuoi sogni
  3. Prologo
  4. A testa bassa
  5. «I care», anche quando la via più semplice è un’altra
  6. Il potere della fiducia
  7. Al centro, le persone
  8. «Buona strada»
  9. Il dolore ci rende umani
  10. Tutto è etica, anche un tappeto colorato
  11. Cambiare il mondo, un pezzetto per volta
  12. È questione di autostima
  13. La responsabilità come antidoto al cinismo
  14. Per cambiare ci vuole coraggio
  15. Si può fare
  16. Copyright