Lezioni di autostima
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Lezioni di autostima

Raffaele Morelli

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  1. 96 pagine
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Lezioni di autostima

Raffaele Morelli

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Nella mia professione mi capita spesso di incontrare persone che hanno dei problemi di autostima, che soffrono perché non riescono ad amarsi abbastanza, e di conseguenza a farsi amare. Sono miei pazienti, persone che mi scrivono o che frequentano i miei gruppi.
Per tutti loro, e per tutti quelli che patiscono questo disagio, ho deciso di riassumere in questo libro il mio pensiero sull'autostima, e la via per conquistarla. Ho diviso le mie idee in sette lezioni, sette messaggi chiave su cui riflettere.
Ho scelto di riportare anche dei brani di conversazione con miei pazienti e dei miei incontri di gruppo, perché le domande, le obiezioni e i problemi esposti sono spesso comuni a molti e, immagino, anche al lettore.
Per aiutare il nostro percorso verso l'autostima ho pensato fosse utile anche proporre dieci consigli di saggezza tratti dalle parole di maestri antichi o contemporanei, da visualizzare e ripetere come mantra. E infine, per concludere, una serie di piccoli esercizi. Per riconquistare, giorno dopo giorno, il piacere di stare bene con se stessi.
Raffaele Morelli

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852037733
1

Dilatare il presente

Il tempo è uno dei principali fattori di condizionamento della nostra vita: oggi tutti siamo calati in un mondo che corre, che ci trascina e spesso ci travolge lungo il suo cammino rivolto al futuro. La ricetta per non essere vittime di questa corsa convulsa sta proprio nell’imparare a rallentare: è sufficiente qualche minuto di riflessione per entrare in una zona di “non tempo”, collocata al di fuori dei modelli esistenziali preformati, lontano dagli orari del lavoro e dei riti governati dalla società.
Questa collocazione in una sfera di “senza tempo” è già da sola terapeutica: si tratta di un’area amniotica che ritagliamo per noi stessi, uno spazio affettivo, ancestrale e privato, all’interno del quale passato e futuro non esistono più. È proprio con questo obiettivo che tutte le religioni suggeriscono la via della meditazione e della contemplazione, ma mentre la religione è un insieme di regole schematizzate e preformate che contiene in sé molti elementi costrittivi, la contemplazione è uno stato libero di benessere che ci porta nella “piscina” del senza tempo: un “non luogo” in cui si realizza uno stato di pace totale, nel quale l’uomo e il cosmo si compenetrano in uno stato di benessere profondo. Calati nel “senza tempo”, comprendiamo che passato e futuro sono due sovrastrutture che non fanno più (o ancora) parte del nostro presente: il passato è una forma di attaccamento a uno schema intriso di ricordi, e ci riporta al dolore di ciò che è stato e non sarà più; il futuro, dal canto suo, produce l’ansia di quello che non è ancora, che potrebbe non avvenire o che, se anche avvenisse, potrebbe finire.
Troppo spesso ci rammarichiamo di cose che abbiamo fatto ieri e temiamo per il fatto di non poterne fare altre che arriveranno domani; passato e futuro, ciascuno a proprio modo, diventano così fonti di malessere che ci distraggono dal nostro essere reale, dal nostro essere creature calate nel flusso di un eterno presente.
Passato e futuro ci costringono ad accumulare rimpianti e aspettative che ci allontanano da quello che i latini chiamavano l’hic et nunc, il qui e ora. Il “senza tempo” è uno stato di presente totale, eterno, indefinito, un unicum assorbente all’interno del quale godiamo di una percezione assente, non codificata di noi stessi e della realtà.
Nel senza tempo ci ripetiamo in silenzio un mantra: “Io sono qui adesso, e c’è qualcosa che mi sta creando in questo stesso momento, nel grande ventre dell’Universo. Io faccio parte dell’evoluzione del mondo oggi, non domani. Sono un tassello del grande mosaico nella magia del presente. Quello che accade ora è irripetibile, e potrebbe non accadere mai più: di questa certezza io devo godere appieno, ed è in questo incontro con la realtà presente che io realizzo me stesso”.
Quando i cinesi definiscono il Tao, lo collocano vicino al “senza tempo”. Così il Sé è in quasi tutte le tradizioni che lo hanno immaginato in “un altro tempo”. Solo l’istante dà l’idea di quello “stato infinito” che più gli si avvicina. Quando facciamo le cose nella realtà, sforziamoci dolcemente di pensare che l’istante è la nostra guida. Dove siamo? Stiamo pensando al passato. A cose che abbiamo fatto e che avremmo voluto non fare. Scatta il senso di colpa. “Sarei migliore se non avessi fatto quelle determinate cose…” Tre anni fa, due mesi addietro, ieri, un’ora fa, cinque minuti fa…
Ricordiamoci che è il nostro Io che ragiona così, e se ragioniamo così siamo fuori tempo. Chiediamoci spesso durante la giornata: “Sono nell’istante? O sono fuori tempo?”. Idem per il futuro. “Mi sto angosciando per una cosa che farò tra un mese, tra un’ora, tra un anno?” Ebbene, dobbiamo tornare nell’istante, qui, adesso. C’è solo l’adesso. Guai se il nostro Sé che regge il nostro corpo, che è il nostro corpo, come dice Nietzsche, si chiedesse se il cuore batteva meglio ieri, rispetto a oggi.
La mia autostima è facile se imparo a stare nel presente.
Perché non posso fare niente per il futuro?
Perché appartiene alla psicologia di un tempo lontano da te. Immagina che c’è solo questo istante. Col tuo fidanzato, per esempio, sei sempre fuori tempo. Vorresti lasciarlo e te lo riproponi ogni giorno, poi non lo fai mai e ti colpevolizzi. Sei fuori tempo perché progetti un abbandono che non realizzi, sei tutta orientata a risultati che dovrai raggiungere, progetti che dovranno venire, ma così facendo ti autocondanni all’infelicità.
Sì, ma queste cose fanno parte della vita. Se poi uno le realizza allora aumenta l’autostima e diventa felice; certe esperienze possono servire per non farci pensare…
C’è solo questo istante.
Ma se l’istante non mi piace, non ci voglio stare, voglio scappare…
Dimmi una cosa che ti ha ferito. Una frase, una parola, una situazione.
Ho lottato tutta la vita per essere una donna intelligente e mio marito mi ha dato della scema. In quel momento mi è crollato il mondo addosso perché mi sono sentita come mia mamma, quando mio papà la chiamava “oca”. Tutta la mia vita è stata una lotta per essere una donna intelligente, autosufficiente, autonoma. Quando mi ha detto “scema”, mi è crollato tutto.
Cosa possiamo fare quando ci feriscono? Sentire la ferita sì, quello è normale e salutare. Possiamo sentirci a disagio. “Non sono la mamma che vorrei”, “Sto facendo la moglie che non mi piace”, “Sono un’insegnante che non mi piace”… Un secondo dopo però, con quel dolore che sentiamo, proviamo a chiudere gli occhi e dire: “Ok, io ci sono”. Dilatiamo l’istante. In questo istante io ci sono, quel dolore si ferma lì, non crea tutta la confusione che gli possiamo aggiungere noi.
Tuo marito ti ferisce, ma la ferita la amplifichi tu, perché la proietti nelle altre ferite del passato che non c’entrano con quella o nelle ferite che pensi verranno che pure non c’entrano. Tutte le volte che subisco un attacco, che la mia autostima è aggredita, lo è in quell’istante, in quel momento, in quella situazione. Il resto lo aggiungiamo noi andando fuori tempo.
Io faccio così per un’ora o due, è straziante. Ma il disagio non se ne va perché il pensiero ritorna e mi dice: lui mi ha detto questo, mi ha fatto questo…
Tutte le volte che il pensiero riemerge bisogna fermarsi e chiedersi: “Sono fuori tempo? Quando è successa la cosa? Due minuti fa, un minuto fa? Basta, è finita! Il dolore che ha fatto, lo ha già compiuto”. Ci siamo? Tutto ciò che succede dopo, il ridondare della mente, lo facciamo noi. Ma da adesso sappiamo che tutto ciò che pesa, può pesare per un istante.
Ma è difficile per uno che è abituato a pensare e ripensare, che ha sempre rimuginato tanto, anche per anni, le stesse cose.
Mi stai parlando di una cosa del passato o del futuro?
Del passato.
Sarà difficile, è stato difficile: adesso parliamo del presente! Mi viene detta una frase che mi colpisce, mi fa male, mi ferisce. Soffro! Soffro! Quella sofferenza è naturale, quindi soffro, poi mi porto nell’istante successivo ed entro nel mondo dell’istante: io sono qui, presente a me stesso, ci sono solo io, non c’è la mamma che devo essere, non c’è l’insegnante che devo essere, non c’è la donna che deve dire al fidanzato che lo lascia, non c’è una decisione che devo prendere adesso, perché riguarda un avvenimento che non è di questo istante, non faccio sforzi inutili, faccio solo quello che posso fare, tutto ciò che mi ferisce lo metto sullo sfondo e dilato l’istante. Mio marito mi ha insultato, sento male, lo metto sullo sfondo e dilato l’istante, c’è solo questo istante, via via che l’istante si dilata, nell’arco di poco tempo si può incominciare a sorridere di quello che è accaduto.
Ma se la situazione non cambia, perché sai che domani sarà uguale a oggi…
Domani non è adesso! Guai se voi pensate: “Tanto non cambierà”; voi siete i protagonisti di ciò che accade. Dentro di noi può cambiare il mondo… Se facciamo quest’operazione di mettere sullo sfondo passato e futuro automaticamente entriamo nell’istante, è una sorta di distrazione cosciente.
Come dice l’antropologo Alain Bauer: “L’uomo bianco non è capace di fare la cosa più semplice, stare nel suo momento, nel suo tempo. Pensa che se gode dell’istante in cui si trova, poi sarà punito. Per cui vive come sospeso tra due momenti che non esistono: il passato che non c’è più e il futuro che forse non arriverà mai”. Chi ha mai detto che se continuiamo a pensare a una cosa, questa poi ci verrà meglio? Per quale motivo si deve costruire uno spazio per il successo nella sofferenza? E se anche arriveremo allo scopo, chi ci toglierà quella sofferenza che ci siamo dati? Perché non proviamo a pensare, in ogni cosa che facciamo, che questo è l’unico istante che stiamo vivendo? La vita, in genere, ci scorre via infelice perché il nostro Io crede che l’attimo che sta vivendo sia un momento di passaggio in attesa di “momenti migliori” che verranno.
Proviamo a pensare, come fa il nostro Sé, che ogni attimo sia l’unico. Allora l’istante si allarga, lo spazio si dilata e conta tutto quello che sto facendo adesso, in questo momento. Anche se non sarò promosso, anche se non ho la partner che sognavo, anche se il mio lavoro non è quello che mi realizza, io in questo istante ci sono. Esisto. Allargo la mia mente su questo dilatarsi del presente.
2

Resa della coscienza

La “resa” della coscienza è uno stato della psiche che ritengo decisivo per l’autostima. La resa significa entrare in uno speciale “stato di abbandono”, una sorta di “coscienza vuota” da ricercare durante la giornata. Ma che cos’è la coscienza? La coscienza è uno stato puro di presenza, che ci conduce alla piena consapevolezza di noi stessi.
La coscienza può essere assimilata a un flusso universale ed eterno, a qualcosa che sempre è stato e sempre sarà. Noi, invece, tendiamo a incasellare la coscienza all’interno di sovrastrutture di pensiero, la limitiamo dentro recinti mentali che la offuscano e le tolgono brillantezza. È un po’ come se noi fossimo in grado, per cultura e per abitudine, di percepire solamente una coscienza codificata: non una presenza superiore ma una coscienza che coincide e viene limitata al mio essere di adesso, a questo corpo, a questo amore, a questo lavoro… Il d...

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