Guida poco che devi bere
eBook - ePub

Guida poco che devi bere

  1. 112 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Guida poco che devi bere

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Consapevole di aver trascorso anni di bevute colossali - cantati e celebrati anche nei suoi libri - Mauro Corona ora cambia passo: si guarda indietro con lucidità e con l'atteggiamento critico di chi sa che nella vita gli è andata bene e sente che è arrivato il momento di mettere in guardia i giovani, perché non prendano con leggerezza, e tantomeno con esaltazione, l'alcol, nemico subdolo e accattivante.
Non si considera un medico, né uno psicologo, né un "indicatore di vie con l'indice puntato": è sempre lui, uno che ha fucilato la serenità della sua vita con l'alcol, nello specifico il vino. E sa benissimo che raccomandare ai giovani di non bere è come pretendere che non piova, quindi tanto vale dare loro qualche dritta per "bere bene senza fracassarsi il naso".
Richiamando i suggerimenti che lui, a sua volta, non ha mai ascoltato, rievocando le memorabili avventure tra i monti di Erto e la valle del Vajont, e le sbronze che hanno tagliato le gambe dei suoi compagni e le sue, Mauro Corona stila un elenco di consigli, anzi, di veri e propri comandamenti. Tenendosi volutamente alla larga da falsi moralismi, solleva un problema importante e lo affronta con la sua consueta ironia, regalandoci un vademecum agile e spassoso e dedicando a tutti noi, noi bevitori, un augurio irriverente ma profondamente saggio: "Bevete e divertitevi, ma non cancellate con l'alcol le vostre tracce".

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Guida poco che devi bere di Mauro Corona in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Letteratura e Letteratura generale. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852040016
Mauro Corona

GUIDA POCO
CHE DEVI BERE

Manuale a uso dei giovani per imparare a bere
Mondadori

GUIDA POCO CHE DEVI BERE

Alla giovanissima Clio Cinotti,
cui va il grazie per aver trovato
il titolo e l’augurio di buona
vita e caute bevute
Avvertenza
Questo romanzo è frutto della fantasia dell’autore. Ogni riferimento a fatti o personaggi reali è da ritenersi puramente casuale.

Inizio alle ore 9 e 15 questo quaderno, dove cercherò di spiegare ai giovani come imparare a bere senza fracassarsi il naso, giacché pretendere che non bevano è come pretendere che non piova.
Avevo cominciato questo discorso in un quaderno, l’8 giugno 2009, poi abbandonato per altri libri. In tre anni ho rivisto, e messo in dubbio, parecchie certezze che allora avevo riguardo ai giovani che bevono. Ed è stato un bene perché, forse, questo lavoro verrà più onesto.
Non saranno consigli per non bere, ma dritte per bere bene senza farsi male. O, almeno, farsi meno male possibile. L’esistenza di ognuno poi va come va, ma almeno ci abbiamo provato.
Erto, 28 maggio 2012

Nel difficile e inquietante inizio del terzo millennio, prende forza ogni giorno di più, accompagnato dall’ansia delle famiglie impotenti e dalla totale assenza delle istituzioni, un serio problema relativo ai giovani. Che non è la droga (ahimè, purtroppo c’è anche quella), ma l’alcol.
Il nemico subdolo e accattivante che Jack London, nelle Memorie di un bevitore, chiama John Barleycorn, è ormai amico inseparabile dei nostri ragazzi. Non soltanto nei week-end, ma pure durante la settimana, specie la sera, quando impegni e studi hanno termine e i giovani partono in libera uscita. Allora trascinano le notti, come direbbe il poeta, “fino al chiarir dell’alba”, rischiando la pelle e, alla lunga, la salute.
Il fenomeno, ma si potrebbe dire lo sfacelo, aumenta di anno in anno. Non solo nel numero di ragazzi che si mettono a bere, ma nelle quantità, nella qualità del bevuto e nell’età dei bevitori che risulta sempre più giovane. Si comincia a ubriacarsi intorno ai dodici, tredici anni. Così riferiscono le statistiche. E i sondaggi – fratelli delle statistiche, parenti dell’ovvio. Sondaggi e statistiche forniscono numeri precisi e sicuri. Ma i numeri constatano, non insegnano. Fanno come quegli amici che stanno all’osteria col sedere coperto mentre fuori diluvia, e quando entri bagnato zuppo ti dicono: «Piove». Coloro invece che dovrebbero insegnare, vigilare, accompagnare il futuro dei giovani – famiglia, scuola, istituzioni – non indicano una via né tracciano qualche sentiero. Si limitano a ripetere fino al ridicolo: «Non bevete, vi fate del male, vi ammazzate in auto, fate soffrire i genitori, vi rovinate». Ma raccomandare a un giovane di non bere è come pretendere che non piova, non sorga il sole o appaia il giorno dopo la notte. I ragazzi di oggi bevono quasi tutti. Se non proprio tutti, come disse Napoleone, bonaparte sì. E bevono porcherie. Astemi e salutisti sono sempre più rari, nessuno è completamente immune dai vizi. I giovani crescono imparando le cattive abitudini dai vecchi, i vecchi si crogiolano dentro alle loro fino alla morte. Chi non beve fuma, o si droga o è ossessionato dal sesso. O coltiva tutte assieme queste debolezze, e altre ancora.
Il vizio è una dipendenza e le dipendenze sono infinite. Senza tema di cadere in paradossi, si può dire che tutta l’umanità è drogata o schiava di qualcosa o qualcuno. Molti sono dipendenti da carriera, professione, politica, televisione, notorietà, visibilità. Ci sono ancora in pista dipendenti da notorietà come Pippo Baudo o Bruno Vespa, tanto per fare alcuni esempi. Esistono dipendenze volgari, come quella dai soldi, o infami, come la smania di potere, magari esercitato con violenza. Vizi meschini e brutali, che si nutrono di cinismo e di fronte ai quali Bacco, tabacco e Venere diventano esercizi di nobiltà. Un tizio che va a donne o che si sbronza è meno pericoloso del bieco dittatore che imprigiona o fa fuori coloro che non la pensano come lui.
Tra le varie schiavitù c’è anche quella degli eroinomani d’affetto, persone fragili, insicure ed egoiste che spesso diventano violente giacché la loro esistenza è condizionata dall’amore di qualcuno. Loro non sanno amare, pretendono però di essere amati e guai a chi sgarra. Il bisogno di essere amati crea dipendenza proprio come fanno l’alcol, il fumo e la droga e spinge a questi ultimi. Scatena una possessività ottusa che spesso finisce per essere pericolosa per deboli e indifesi. Troppe volte abbiamo udito, letto o appreso di fidanzati, mariti, amanti che hanno ucciso le loro donne per gelosia o perché lasciati. O, peggio, perché non sopportavano che la persona di cui s’ergevano a padroni fosse avvicinata, sbirciata o ammirata da altri.
Eroinomani d’affetto: bombe innescate da tenere d’occhio. Il bisogno di possedere l’amore a tutti i costi, senza soprattutto offrirne, crea mostri, torturatori e assassini. Devastatori dell’equilibrio sociale molto più che un bevitore o un fumatore o un malato di sesso. Con qualche euro posso pagarmi un fiasco di vino, una stecca di sigarette, una dose o una prostituta, ma non vi è danaro al mondo che compri amore. Quello c’è o non c’è, è come il vento, viene e va. Spesso quando c’è si scioglie in breve e scappa come neve a primavera. A quel punto, se uno risulta eroinomane d’affetto si mette a far casini. Quando scopre che l’amore si disfa, da neve diventa acqua, l’abbandonato si sente perso, finito, azzerato. Se non è allenato alla sconfitta, educato a perdere, corazzato al dolore, in pratica se non ha palle, cominciano i guai. Fa danni. Danni che si riversano su di lui e quelli che gli stanno vicini: genitori, parenti, amici. Non vi è cura né rimedio per gli alcolisti d’amore, non si recuperano, sono perduti. Gelosia, insicurezza e possesso devastano il loro fegato più di quello che può fare l’alcol. Se non reggono l’intossicazione, si scagliano sugli amati che dovevano adorarli alla follia e invece li hanno piantati. Queste vendette, oggi identificate col nome strampalato di “stalking”, si ripetono, sono all’ordine del giorno, non sono curabili e spesso portano al peggio.
Per la dipendenza da alcol qualche rimedio esiste, seppur non è facile uscirne. Una volta varcata la soglia, il John Barleycorn londoniano chiude la porta alle sue spalle, dentro diventa buio e non si trova più strada per scappare. La caverna immensa e tetra dell’alcol è piena di morti e sciagure e, più che mai, sèguita a ricevere dannati in cerca d’estinzione.
Varcai quella soglia molto giovane. Oggi sono ancora qui, tra alti e bassi, incidenti, sventure, processi e condanne, entrate e uscite, salvezze e ricadute. Mentre scrivo queste righe, non bevo da nove mesi ma non ho partorito nulla, se non incertezze. L’angoscia di riprendere il bicchiere mi sta appollaiata sulla spalla come un lugubre corvo. Dall’alcol non si esce, questa è l’unica verità e condanna. Carcere a vita, ergastolo del bevitore tappato sul fondo della bottiglia. Si possono ottenere pause temporali, a volte molto lunghe, i più volitivi e tenaci riescono a non bere per anni, dieci, quindici, anche venti. Ma l’incubo persiste, il demonio è sempre lì. Sorveglia il pensiero nelle notti senza sonno. Cala sui momenti di sconforto e debolezza, apre il sipario e ti offre premuroso il calice del vecchio dramma.
Il pensiero di scrivere queste pagine è rivolto ai ragazzi che s’apprestano a impugnare il bicchiere. Parole forse inutili, che non vogliono o non possono insegnare nulla, solamente dare qualche dritta ai giovani, per farsi poco danno e recar meno dolore alle persone che vogliono loro bene. E sono tanti che vogliono bene ai giovani, genitori in testa.
Mio padre beveva, adesso è morto. Se n’è andato nel sonno, in piena salute, nonostante i molti vizi portati avanti per ottantasei anni. Fumava, beveva, picchiava i figli, mangiava male, beveva peggio, usava linguaggio scurrile. Però insegnava. Indicava la via ruminando nel peggio del suo pantano. Non mi piaceva quell’uomo, lo sentivo contro. Istintivamente percepivo che era fuori strada. Ma era mio padre, e ci avevano detto che i padri hanno sempre ragione e il loro agire è sempre giusto. Così, come una sfida, ho cominciato a fare come lui, con l’intenzione addirittura di superarlo. Voleva la disfatta? E allora avanti fino in fondo! Quando s’accorse che, non ancora quindicenne, avevo iniziato a bere e fumare, mi chiamò in disparte e disse: «Siediti qui». Eravamo a tagliare legna nei boschi della Val da Diach. Stava per arrivare l’inverno, la terra era un suono di cemento. Tagliavamo carpini contorti e tumefatti, disossati dalle valanghe dell’anno prima. Alberi vecchi e stanchi, picchiati dalla vita, avviliti e sterili, non più in grado di mettere foglie. Stavo da cani per la sbornia della sera prima, ogni tanto vomitavo. Sedetti tra le dita ossute di una ceppaia e m’apprestai, annoiato, a sentire quel rompicoglioni di mio padre.
«Scolta» disse arrotolando una sigaretta, «ho saputo che ti sei messo a fumare e bere.»
«Come te» risposi, «e allora?»
«Sono brutte bestie, te lo dico io. Se proprio hai deciso di buttarti ai vizi, prendi quello di andare a donne che dovrai smetterlo anche se non vuoi. Gli altri non li fermi più.»
Alto nel cielo passò un corvo imperiale e fece cra, come a lanciare un avvertimento. O forse fu una maledizione. Il vecchio aveva visto lontano ma non gli detti retta. Perseverai a bere e fumare, erano vizi meno impegnativi di quello suggerito e inoltre allontanavano la timidezza.
Vivo in una patria stupenda dove invece che fare si auspica. Tutti auspicano qualcosa e fra tanti “auspicamenti” c’è pure quello che i giovani non bevano. L’Italia è un Paese di auspicanti, Paese di attese perfette dove ci si augura, anzi ci si illude che succeda qualcosa senza muovere un dito. E allora, mentre auspichiamo che i giovani non bevano, diamo loro qualche dritta per bere bene senza fracassarsi il naso.
Le azioni umane devono sottomettersi a regole, spesso non scritte, discipline inevitabili per chi sta o vuol stare al mondo, dettate dal buon senso prima ancora che dalla legge. A volte queste regole vengono cancellate da pulsioni deleterie, diavoli tentatori che propongono all’intelletto sfide disastrose. Il cervello le accetta senza riflettere né pensare alle conseguenze. Non è il caso di elencare una dopo l’altra le cause che possono disturbare la mente creandole dipendenze e reazioni. Alcune sono state analizzate, molte restano misteriose, indecifrabili e mietono vittime senza preavviso. Altre, palesi, studiate dagli esperti, valutate senza risolvere nulla giacché eliminarle è impossibile, attecchiscono in vecchi e giovani condannandoli a pericoli e vita grama. La peggiore di queste piaghe sociali, molto diffusa perché legale, è l’alcol e di lui, il John Barleycorn londoniano, si occuperanno queste poche pagine.
Chi scrive non è medico, né psicologo, né teologo, tantomeno salvatore di giovani o indicatore di vie con l’indice puntato. Chi scrive è un povero diavolo che ha fucilato la serenità della sua vita e devastato quella degli altri con l’alcol. Nello specifico il vino.
Ho iniziato presto a bere “canipoli”, nomignolo che quassù, nelle terre estreme, fino a qualche anno fa veniva dato al vino. Quando ero giovane nessuno coltivava un ragazzino, nessuno l’avvertiva che l’alcol fa male, soprattutto se assunto in giovane età. Semmai accadeva il contrario, erano gli adulti, ottusi e senza scrupoli, a provocare i giovani con sarcasmo affinché dimostrassero di avere le palle afferrando un bicchiere. Molti lo facevano. Tra questi anch’io.
I giovani sembrano forti, duri, scanzonati, specie quando sono in gruppo. O meglio in branco, che è diverso. Invece sono fragili e soli, abbandonati dalle stesse famiglie che dicono di amarli. Amare ed essere amati è seguire un odore senza perderlo. I camoscini seguono l’odore di mandorla che lasciano papà e mamma. Sempre. Finché non diventano genitori a loro volta e si fanno seguire dai figli. Se odore non c’è, nessun naso riuscirà a seguirlo. Schivare pericoli vuol dire anche procedere a testa bassa sulle orme di chi è passato prima e quei pericoli li ha incontrati, evitati o affrontati. A volte vinti a volte no, ma anche le sconfitte insegnano a coloro che vengono dopo di noi. Spesso però sul cammino calano nebb...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Guida poco che devi bere
  3. Copyright