Nuovi Argomenti (45)
eBook - ePub

Nuovi Argomenti (45)

DOVE ANDREMO A FINIRE

  1. 352 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Nuovi Argomenti (45)

DOVE ANDREMO A FINIRE

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Hanno collaborato: Furio Colombo, Chiara Valerio, Pierpaolo Leschiutta, Francesco Paolo De Ceglia, Arnaldo Greco, Elisa Davoglio, Lorenzo Pavolini, Alessandro Beretta, Paolo Di Paolo, Gabriella Sica, Antonio Riccardi, Giuseppe Munforte, Giorgio Vasta, Ginevra Bompiani, Franco Buffoni, Luca Canali, Carlo Carabba, Alberto Casadei, Roberto Deidier, Paolo Di Paolo, Nadia Fusini, Paolo Giordano, Raffaele Manica, Walter Pedullà, Flavio Santi, Bianca Tarozzi, Chiara Valerio, Andrea Gibellini, Daniele Bettella, Mario Fresa, Francesco Giusti, Péter Zilahy, Noemi De Lisi, Giuseppe Zucco, Nora Bossong, Raffaele Manica, Raffaella D'Elia, Filippo Belacchi, Alberto Casadei, Emiliano Sbaraglia, Giancarlo Liviano D'Arcangelo, Andrea Bottalico.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Nuovi Argomenti (45) di AA.VV. in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Letteratura e Storia e teoria della critica letteraria. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852037191
images

INTRODUZIONE


CHIARA VALERIO

I cimiteri mi consolano da sempre. Perché morire scolora spesso in scomparire, perdere, partire, trapassare. Perché morire è mancare. I cimiteri mi consolano perché restano, come una presenza. Supplenti di persone e cose, stampelle ai ricordi. La morte e i cimiteri, a pensarci, stanno infatti sulle facce di una moneta. La testa di chi vivo lo è stato, la croce di chi morto lo è.
A leggere Leschiutta capisco perché il cimitero è l’allegoria del rapporto dell’uomo con la morte, perché è l’inizio stesso, l’abbrivo, della storia della morte. A ripetermi Riccardi, come una litania, mi viene voglia di fermarmi, e ricordare, oltre ogni architettura e mente nera di Piranesi, che a casa mia, quando ero bambina, non si diceva cimitero ma alberi pizzuti, con lo sfottò descrittivo del dialetto. È con lo stesso spirito che Riccardi apre col luogo dove restare da morti, il suo Appennino emiliano e contemporaneamente il cuore di una storia collettiva.
Dello scritto di De Ceglia mi commuove, mi perturba, per utilizzare un verbo suo, l’ostensione della morte, l’osservazione di quanto il ventesimo secolo abbia reso più fluidi i rapporti tra cultura e natura, di quanto i cadaveri imputrescibili e plastinati di Günter Von Hagens siano un esempio di terrorismo voyeuristico. Eppure De Ceglia ridona alla morte i fuochi d’artificio dei vivi. E quindi la memoria, l’ammirazione, l’atto di contrizione e di contrazione rigorosa dei cadaveri.
I cimiteri di Di Paolo sono avamposti del silenzio, per converso, quelli di Pavolini, corsie di reclusione e ancora di divisioni, tutte umane, politiche e sentimentali. La tomba milletrecentotrenta di Alessandro Pavolini, nel cimitero dentro al cimitero, è testimonianza di famiglia e storia patria.
I cimiteri di Davoglio, Greco e Beretta sono conseguenze. Non esistono in sé, non sono architetture, simboli o cenotafi, per tornare a Leschiutta e Riccardi. Compaiono in Davoglio come esempio di precarizzazione della vita e dunque della morte. Nell’epoca in cui non c’era il precariato pareva esistere una memoria perpetua da imprimere sul marmo. Adesso l’eterno è circoscritto a novantanove anni. In Greco come forma delle piccole certezze dei vivi. Ombre e misteri buffi. L’assurdo maiuscolo della morte è sostituito da tanti piccoli assurdi terra terra, quotidiani assurdi umani. E in Beretta come escamotage, confezioni di affetto, volontà di eterno e di riproduzione del mondo dei vivi. L’unico oggetto adatto a diventare una bara (del gatto) era la scatola di latta dei biscotti Lazzaroni. Di Beretta aggiungo, fuor dall’urne ma confortata dal pianto, che condivide con Storie di patio di Fabrizia Ramondino, la tartaruga che scandisce il tempo, lì è meccanica, qui d’acqua.
Munforte prima gonfia i muscoli A quel tempo cercavo di tenere a bada la morte con l’arguzia e il menefreghismo di una buona salute (…). Poi si ubriaca di nomi e disperde ogni singolarità di muscoli addomesticati. I nomi sono la tua passione, quando puoi li rubi. Nomina nuda tenemus e croci uguali, pulite o divelte. Impressionanti da ogni angolo. Prospettiche del futuro proprio e del passato degli altri.
Assurda, lampante e ovvia, condivisione della morte, che Sica sintetizza, in forma poetica nei morti-vivi. Qui dove per ogni lumino un morto vive e per ogni tomba vuota un vivo aspetta.
Perciò chiudo col racconto di Vasta, anche se mi manca l’ardesia. Che è uno scrittore col quale condivido aggettivi e ossessioni. A leggerci tutti e due, so che siamo fratelli di pagina. Morto è un participio passato (…) comunica un fatto compiuto. Risolto. Ma ognuno di noi quando pensa alla morte non percepisce qualcosa di risolto, di chiuso e protetto. (…) Io, quando sento la morte la percepisco come durata. Un morire.
Vi sia lieve la parola.

LUOGHI E SPAZI DELLA MORTE.
NUOVE IMMAGINI DI CIMITERI

PIERPAOLO LESCHIUTTA

1. «Siamo votati storicamente alla storia, – afferma Foucault – alla paziente costruzione del discorso sul discorso, al compito d’intendere quel che è già stato detto». Interrogarsi su «quel che vuol dire» è anche ricercare quello che non è stato espressamente detto, quel che rimane nell’ombra, nello spazio tra segno e senso, tra forma e significato. Questo, nell’analisi di cimiteri realizzati o solo progettati negli ultimi decenni del secolo scorso, consiste nell’individuare quale tipo di immagine della morte e del rapporto tra i vivi e i morti abbia voluto esprimere il progettista, se il suo progetto ripercorra e riproduca idee e mentalità del passato o dia corpo e materialità a forme di «rappresentazioni collettive della morte» affermatisi in quegli anni. Se vi sia coerenza tra l’immagine sedimentata del cimitero e i nuovi progetti, se questi siano espressione di una tendenza presente nella società, anche se non egemonica, o siano sperimentalismo ininfluente.
2. Il cimitero, inteso oltre che per la sua funzione, anche come simbolo e allegoria del rapporto dell’uomo con la morte, si inserisce in uno dei temi più affascinanti della storia della mentalità, quello della storia della morte, conferendogli una scansione temporale databile, ma l’immagine che il cimitero trasmette si protrae ben oltre il momento storico-sociale in cui esso è stato ideato e realizzato. Difatti, è il cimitero ottocentesco che rappresenta ancora oggi nell’immaginario il cimitero tipo, benché l’ideologia che lo supportava non sia più condivisa. È da questi cimiteri che occorre iniziare l’analisi per poter comprendere il messaggio insito nei progetti d’oggi.
È in questo secolo che i cimiteri in Italia cominciano a presentare l’aspetto che conserveranno fino ad oggi. Luogo di residenza dei morti, isolato e separato dalla città dei vivi, il cimitero dell’Ottocento assume caratteristiche completamente diverse da quelli delle epoche che lo hanno preceduto. Non più anonimo deposito di corpi in attesa della resurrezione, ma luogo di meditazione per i vivi e di consolidamento dei vincoli familiari e nazionali, meta di edificanti passeggiate e fonte di educazione morale. Viali alberati, luoghi per il raccoglimento e la riflessione, gallerie di sculture, oasi di pace, di distaccata serenità, di rimembranze. La visita ai cimiteri si inserisce nelle espressioni della mentalità romantica come un punto di riferimento insostituibile. I morti, che per secoli erano stati per lo più abbandonati agli uffici dei religiosi o delle confraternite, diventano oggetto di un nuovo culto che andrà rafforzandosi per oltre un secolo. Questa dichiarata finalità del cimitero fu ben compresa ed espressa dagli architetti che realizzarono alcuni dei più famosi cimiteri monumentali del XIX secolo, come, ad esempio, quelli di Genova, Milano o Modena e che a ragione possono essere considerati una summa della mentalità romantica.
Nel tipo di planimetria dei cimiteri ottocenteschi sono individuabili, in grandi linee, alcuni elementi ricorrenti. Comune a tutti è l’alto e imponente muro perimetrale in mattoni, completamente privo di modanature o aperture, interrotto da un unico varco d’accesso che immette in un viale alberato. Alla fine del viale, al centro dello spazio, sono collocate la cappella e l’ossario, ai cui lati si dispongono le tombe degli ecclesiastici. Addossate al muro di cinta le cappelle familiari e le tombe degli uomini illustri. Nello spazio tra queste ultime e il nucleo centrale si trova il terreno spoglio delle tombe comuni. Il cimitero, nella sua struttura e nella rigida separazione delle aree, riproduce, in una immagine atemporale, la società dei vivi con le sue divisioni di censo.
Questi cimiteri, benché dall’inizio del secolo ricadano nel dominio e nelle competenze dell’amministrazione comunale, mantengono intatta tutta la precedente connotazione di luogo sacro e religioso. La sacralità, già affermata dalla centralità della cappella, viene esaltata dalla simbologia dei monumenti funebri, ove Resurrezioni e Pietà si alternano ad angeli piangenti ed a ieratiche, ma non di meno sensuali, figure femminili coperte di veli.
Con questi cimiteri nasce e si generalizza la proprietà individuale e permanente del luogo della sepoltura. Quello che precedentemente era un esclusivo diritto dei nobili e un riconoscimento per pochi uomini illustri, si estende a fasce sempre più ampie della popolazione. Con la proprietà del sepolcro nasce il desiderio di abbellirlo, di progettarlo durante la vita, di renderlo un monumento perenne. I più abbienti edificano cappelle familiari all’interno dell’area cimiteriale, le tombe individuali vengono impreziosite da marmi pregiati e statue. Le cappelle familiari, spesso di stile neogotico, mantengono l’aspetto di chiese in miniatura: un piccolo altare con crocifisso e vasi per fiori, uno o due inginocchiatoi, nomi ed epitaffi dei defunti sulle pareti ed un pesante cancello che ne chiude l’accesso. All’esterno, in lettere d’ottone, il nome della famiglia e l’eventuale titolo nobiliare. Con la proprietà perenne del luogo della sepoltura non solo si mantiene l’individualità, ma si esalta anche l’appartenenza ad una famiglia, ad una classe sociale.
3. Con il passare degli anni e l’aumento del numero delle tombe di proprietà, i terreni e gli spazi destinati alle tumulazioni non permanenti divengono sempre più limitati.
Ben presto i cimiteri tendono a saturarsi. Spazi che precedentemente riuscivano, grazie al veloce turn-over dei corpi, a soddisfare le esigenze di città demograficamente stabili, cominciano ad essere insufficienti e a richiedere ampliamenti e nuove soluzioni.
Con l’espandersi delle città, le periferie lambiscono e ben presto circondano e inglobano nel tessuto urbano i cimiteri che solo cento anni prima ne erano stati allontanati. Le inumazioni e le tumulazioni perpetue hanno definitivamente colmato tutti gli spazi che era possibile occupare all’interno delle mura cimiteriali. Cimiteri che, a volte per secoli, erano stati in grado di sopperire ai bisogni della città debbono essere raddoppiati o chiusi all’ingresso di nuove salme nel volgere di soli venti o trenta anni.
Le soluzioni adottate sono di diverso tipo: dopo aver edificato negli ultimi spazi disponibili colombari a più piani, si progetta, se possibile, il raddoppio del cimitero esistente o si decide per la costruzione ex novo di un secondo o terzo cimitero. Il raddoppio è la soluzione più semplice e facilmente accettata dalla collettività: la contiguità con il vecchio cimitero non crea problemi d’accettazione o di cambiamento d’immagine di un luogo geografico.
Anche architettonicamente questi ampliamenti spesso non sono che una riproduzione delle linee e dei criteri tipologici del cimitero esistente o un proseguimento delle modificazioni che si sono apportate sulla struttura di base dall’Ottocento in poi. Tra le cappelle di famiglia che, poste a ridosso delle mura che circondano l’intera area cimiteriale, si apre un varco che immette nel nuovo cimitero. L’ingresso principale resta l’originario e questo secondo spazio resta un’appendice del precedente. I criteri di edificazione restano in parte simili ai precedenti, in parte sono modificati. Gli spazi adiacenti alla nuova cintura esterna sono destinati alle cappelle familiari, ma il totale degli spazi interni viene destinato alla costruzione di colombari disposti in file parallele e solitamente perpendicolari all’asse centrale che inizia dalla nuova porta d’accesso. Non esiste più, o è molto limitato, il terreno destinato a tombe singole, l’idea del “condominio” ha preso il sopravvento sulla proprietà individuale da quando la scarsità ha reso i terreni cimiteriali preziosi.
Ma non sempre la soluzione dell’ampliamento del cimitero esistente è realizzabile. Il cimitero è ormai il più delle volte immerso nel tessuto urbano. Circondato da edifici, non può più espandersi e potrebbe restare come elemento architettonico, vincolato e protetto, di un modo di concepire la morte e il rapporto tra i vivi e i morti. Non più luogo del ricordo o del culto di defunti ormai lontani nel tempo, ma importante momento della storia dell’arte e dell’architettura, come tale conservato e protetto almeno nelle sue espressioni più valide.
Quando non è possibile ampliare il cimitero esistente, si è costretti a realizzarne di nuovi altrove. Ma il progressivo espandersi delle città costringe a dislocarli in aree sempre più distanti dal centro, e questo non è accettato di buon grado. L’avere i propri morti sepolti in due luoghi distanti comporta delle scelte e spesso delle rinunce a cui non ci si adatta in pochi anni. La visita ai defunti è spesso una sola nell’anno, e in quell’occasione si vorrebbe poterli visitare tutti. Inoltre, avere i propri cari separati in cimiteri lontani mentre il nostro affetto e il ricordo li considera uniti, provoca non poco sconcerto.
Alle difficoltà di ordine emotivo e culturale bisogna poi aggiungere che la vicinanza di un cimitero alla propria abitazione non è gradita e le zone circostanti subiscono un decremento nel valore commerciale. Il cimitero non è solo un luogo, è una zona; la sua immagine identifica spazi molto più ampi della sua grandezza, diviene un riferimento nelle indicazioni toponomastiche. Un terzo ordine di problemi riguarda l’architettura e l’urbanistica interna del nuovo cimitero. Nella seconda metà del XX secolo in Italia, se si escludono alcuni esempi particolari, i cimiteri realizzati hanno ripercorso in grandi linee le idee e i principi ispiratori dei cimiteri del secolo precedente. Ritroviamo l’alto muro di cinta (lo prescrivono le norme edilizie generali) privo di modanature, una entrata monumentale con pesante cancellata in ferro, il viale alberato che conduce alla cappella e all’ossario centrale, le cappelle di famiglia disposte lungo il perimetro, ecc. Unico elemento di novità la costruzione su più piani dei colombari. Questi, divenuti ormai per la maggior parte della popolazione il solo luogo dove collocare i propri morti, comportano per loro natura e forma una standardizzazione non ancora accettata. La fantasia, l’affetto e la volontà di distinzione trova infatti poche possibilità di espressione nella limitata scelta del colore e del tipo di marmo e delle lampade perpetue. Lo spazio per le iscrizioni permette solo una frase di poche parole. La possibilità di arricchire con decorazioni ed altri elementi spazi quadrati di sessanta centimetri di lato rende ardua, se non impossibile, la «personalizzazione» delle tombe.
Ma già cominciano a intravedersi nuove forme di riappropriazione degli spazi comuni all’interno degli edifici-colombari. Nel cimitero Flaminio di Prima Porta a Roma i colombari sono stati edificati seguendo la tendenza della progettazione delle «case in linea» – edilizia «democratica» per le classi cui è destinata – già sperimentata, anche se con esiti non certo entusiasmanti, per l’edilizia popolare. Colombari posti in rigida sequenza, paralleli l’uno all’altro, con una possibilità di sviluppo della serie che in alcuni casi è quasi di un chilometro. Un’immagine che, se nell’edilizia popolare era avvilente, qui, in un ambiente spoglio e privo di colori, diviene terrificante.
All’interno di queste costruzioni un lungo corridoio su un lato del quale si aprono ampi vani dove, disposti su sei file sovrapposte, sui due lati perpendicolari al corridoio, si trovano i loculi. Una vetrata chiude il terzo lato del vano verso l’esterno. In parecchi di questi vani, che raccolgono circa 180 loculi ognuno, forme di sottoscrizioni promosse dai parenti dei «condomini» hanno portato alla realizzazione di molteplici forme di «abbellimento»: l’ingresso è stato chiuso con porte o inferriate, sulla vetrata esterna sono state poste tende e cortine, sul pavimento una guida, al centro del vano un altare in marmo con vasi di fiori, candelabri, piccole copie della Pietà di Michelangelo, ecc., si è cercato di fare di ogni vano una sorta di cappella condominiale, in alcuni casi forse eccessivamente fastose. Si assiste ad una forma di recupero dell’individualità, anche se in forme e modi diversi dai precedenti ottocenteschi, dovuti in larga parte ai vincoli di una edilizia standardizzata al massimo. La fuga dall’anonimato, cui sembrerebbero essere destinati i morti collocati nei colombari, si esplica dunque attraverso addobbi e abbellimenti. Non potendo personalizzare la tomba, si personalizza il vano, il condominio, si individua il luogo dove riposa il proprio caro attraverso l’indicazione delle modifiche apportate e dei segni che lo rendono diverso dagli altri.
4. Attualmente, nella cultura euro-mediterranea, convivono immagini del cimitero, del sepolcro e del rapporto con il defunto differenti e spesso contrastanti.
Si è già detto dell’idea ispiratrice dei cimiteri ottocenteschi: rispondevano all’esigenza sentita e diffusa della visita ai defunti, espressione di un legame, pubblicamente espresso, tra i vivi e i morti. La morte era riconosciuta dalla società con tutti i suoi rituali e simboli: dai cortei funebri ai vestiti da lutto, dal culto della memoria agli annunci di morte.
Questo rapporto con la morte è ancora oggi presente in larghi strati della popolazione, anche se di età sempre più anziana, e si esprime attraverso la cura della tomba, nella ricerca di materiali e di addobbi particolari, nella cura dei fiori e delle piante ornamentali. L’architettura e l’edilizia cimiteriale dal dopoguerra in poi assumono, al contrario, aspetti sempre più standardizzati, le tombe divengono sempre più anonime, la sostituzione della tumulazione in terra con i loculi nei colombari, oltre che una necessità, diviene una imposizione ed un indirizzo pedagogico verso un culto più discreto e casalingo, più legato al ricordo che non al luogo della sepoltura. La morte e la sua simbologia vengono messi in ombra. Coerentemente ai valori e agli ideali di una società geograficamente mobile, viene scoraggiato ciò che rimane statico e vincolato al passato. Una società proiettata verso il futuro tende a recidere i legami individuali con il passato.
Nella progettazione cimiteriale alcuni architetti si sono distinti nella ricerca di soluzioni decisamente innovative rispetto alle tipologie tradizionali. Dall’analisi di quanto realizzato in questo settore dell’arch...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Nuovi Argomenti (45)
  3. DIARIO - Furio Colombo
  4. DOVE ANDREMO A FINIRE
  5. QUESTIONARIO MORAVIANO
  6. SCRITTURE
  7. RIFLESSIONI SULLA LETTERATURA
  8. REPORTAGE
  9. Copyright