Seppelliti nel cielo
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Seppelliti nel cielo

La straordinaria storia degli scalatori sherpa nel giorno più drammatico della tragedia del K2

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  1. 288 pagine
  2. Italian
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Seppelliti nel cielo

La straordinaria storia degli scalatori sherpa nel giorno più drammatico della tragedia del K2

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Indice dei contenuti
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Informazioni sul libro

Quando Edmund Hillary conquistò il monte Everest, al suo fianco era Tenzing Norgay e fu quella la prima volta in cui il nome di uno sherpa fece la sua comparsa sulla ribalta della cronaca. In realtà tutto l'alpinismo himalayano è segnato dalla presenza di queste silenziose figure, il cui apporto è stato tanto decisivo quanto misconosciuto dalla storia. Nell'estate del 2008 numerosi portatori sherpa attendevano al Campo base del K2, al soldo delle numerose spedizioni internazionali decise a tentare l'assalto alla vetta. Dopo settimane di attesa, finalmente il 1o agosto le condizioni metereologiche sembravano ottimali per conquistare la Montagna selvaggia: ma l'ansia di compiere l'impresa ebbe la meglio sulla prudenza, e nell'arco di ventisette ore, dei trentotto alpinisti impegnati nella scalata ne morirono undici in quella che diventerà la più grande tragedia del K2. Circondati dalla morte, in condizioni disperate, due sherpa riuscirono a sopravvivere. Peter Zuckerman e Amanda Padoan ripercorrono le vite intrecciate di Chhiring Dorje Sherpa e Pasang Lama, seguendoli dai loro villaggi sulle pendici himalayane fino alle baraccopoli di Katmandu e attraverso i ghiacciai del Pakistan fino al Campo base del K2. Quando si scatena l'orrore nella Zona della Morte, Chhiring trova Pasang bloccato su una parete di ghiaccio, senza piccozza, fermo ad aspettare la morte. Lo soccorre e lo riporta al campo, e la vicenda di questo salvataggio, svoltosi nelle condizioni più estreme, è entrata di diritto nella leggenda dell'alpinismo.
Seppelliti nel cielo è un'avventura appassionante e al contempo un'analisi approfondita della cultura sherpa: ne nasce l'inedita ricostruzione di una delle catastrofi peggiori nella storia dell'alpinismo da una prospettiva nuova e affascinante.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852037160
Categoria
Viaggi

Parte prima

L’AMBIZIONE

1

La febbre della vetta

Valle del Rolwaling, Nepal
3700 metri slm

Non camminava: correva. Non guidava un’automobile: schizzava nel traffico su una motocicletta nera Honda Hero. Nelle sette lingue che conosceva, Chhiring Dorje Sherpa parlava così in fretta che ogni frase sembrava un’unica lunga parola interrotta solo da punti esclamativi. Tutto, in lui, era accelerato: quando mangiava, quando pensava, quando scalava, quando pregava. Non riusciva a controllare il passo. La velocità era nel suo DNA.
Il suo nome significa «lunga vita», ma per gli anglosassoni esprimeva il suo carattere: CHEER-ing, come in cheer, allegria. E Chhiring irradiava tutt’intorno a sé una determinazione e un entusiasmo che nessuno mancava di notare. I clienti elogiavano il suo ottimismo, la sua energia e la sua solerzia. Era contagioso. Come si faceva a star seduti al Campo base quando ogni due per tre lui scattava in piedi, camminava a lunghi passi, fendeva l’aria con le braccia, esclamava qualcosa, tornava a sedersi e poi si alzava di nuovo? C’era un motivo se quella dinamo di trentaquattro anni non beveva quasi mai caffè: la caffeina gli scorreva nelle vene.
«Chhiring è sempre stato matto» racconta suo padre, Ngawang Thundu Sherpa. «Era un bambino disubbidiente, e sapevo che da adulto non sarebbe cambiato.»
«Con il suo lavoro sulle montagne manteneva tutta la famiglia» ricorda il fratello minore di Chhiring, anche lui di nome Ngawang Sherpa. «Senza quei soldi non saremmo dove siamo oggi. Ma Chhiring era diventato troppo ambizioso. “Rallenta” gli dicevo sempre.» I familiari si lamentavano perché il mestiere di Chhiring offendeva gli dèi, e perché turbava la vita del villaggio, ma non avrebbero osato affermare la cosa più ovvia: il mestiere di Chhiring poteva ucciderlo.
Chhiring era nato molto lontano dal K2. Prima di iniziare a scalare le montagne viveva a Beding, un villaggio isolato nel Nepal. Incuneato tra India e Tibet «come una patata tra due macigni»,1 il Nepal sorge nella zona di collisione tra due placche continentali. Questa regione dell’Asia sudorientale un tempo era pianeggiante, sommersa sotto l’oceano Tetide; ma da sessantacinque milioni di anni a questa parte la placca indiana, spostandosi verso nord al doppio della velocità a cui cresce un’unghia, sta sollevando il fondale dell’antico oceano e con esso la crosta tibetana. È diventata la catena montuosa più alta del mondo; il Nepal ospita un terzo dell’Himalaya, compreso il versante meridionale dell’Everest.
«Sassi, ghiaccio e poco altro»: così Chhiring descrive il suo luogo natio. A circa 3700 metri sul livello del mare, il villaggio di Beding compare raramente sulle mappe e, quando c’è, viene segnalato in località diverse e con nomi diversi, come accade a molti villaggi isolati. Beding sorge una cinquantina di chilometri a ovest dell’Everest, in una valle chiamata Rolwaling. Per arrivarci c’è da fare una lunga scarpinata. Bisogna anzitutto farsi strada su un sentiero per le jeep che termina in prossimità di un dirupo. Poi c’è un saliscendi di tornanti, fiumi da guadare e ponti in rete metallica. Dopo sei giorni di cammino, portandosi in spalla il necessario per mangiare e dormire, i viaggiatori incontrano finalmente il chorten del villaggio, una cappella su cui sono dipinti occhi azzurri senza palpebre e cerchiati di rosso, che simboleggiano lo sguardo del Buddha e osservano Beding dall’alto ispirando devozione e scacciando gli spiriti maligni.
Circondato da picchi innevati, il villaggio è fatto di sassi, legno, fango e letame. I bambini sono ricoperti da un sottile strato di polvere grigia, proveniente dalla morena. L’aria profuma di erba tagliata, dai camini esce fumo azzurro e le nuvole sembrano così vicine che per toccarle basta spiccare un salto. Capre, pecore, mucche e ibridi di yak detti dzo ruminano su pascoli terrazzati somiglianti a gigantesche scalinate. Più in basso, il fiume Rolwaling spruzza nell’aria nubi di vapore iridescente.
Gli abitanti di Beding e degli altri villaggi della valle del Rolwaling sono sherpa. La parola sherpa è usata colloquialmente per indicare il mestiere del portatore d’alta quota, ma gli sherpa sono anche un’etnia, come i greci, gli hawaiiani o i baschi.2 E un’etnia minoritaria: i 150.000 sherpa del Nepal rappresentano meno dell’un per cento della popolazione del Paese.3
Il villaggio di Chhiring viene spesso descritto per sottrazione, indicando ciò che manca: antibiotici, elettricità, macchinari, igiene pubblica, strade, acqua corrente, telefoni. Gli abitanti mancano di un’istruzione elementare. Alcuni non sanno scrivere il proprio nome né leggere l’orologio, e molti sanno solo in quale stagione sono nati, non il giorno esatto. I calendari servono soprattutto a ricordare le ricorrenze legate alla vita del Buddha.
Gli sherpa del Rolwaling, però, non si definiscono mai in questo modo. Preferiscono porre l’accento su ciò che hanno: la religione e l’autosufficienza. Gli dèi sono vicini, i vicini sono famiglia. A Beding c’è tempo per chiacchierare, bere tè e giocare a carrom, un ibrido di biliardo e shuffleboard in cui i giocatori lanciano dischi verso un bersaglio. Gli abitanti conoscono a fondo il folclore, l’agricoltura e la topografia della regione, e parlano una lingua orale che combina vari dialetti del Tibet centrorientale e che riflette il lungo viaggio che li ha condotti in Nepal. Il rolwaling sherpi tamgney si parla solo qui.4
Come in altre comunità sherpa, gli abitanti del Rolwaling si spostano fra tre villaggi a seconda della stagione. Il villaggio invernale diventa afoso in estate, quello estivo è troppo freddo d’inverno, e il villaggio centrale, Beding, è più ospitale in autunno per le colture e il bestiame. Gli abitanti vivono della terra che coltivano e mangiano quantità incredibili di patate.5 Sono buddhisti, di una corrente che ha vari nomi: tantrayana, vajrayana, nyingma o, per i detrattori, lamaismo.
È difficile trovare libri sulla storia del Rolwaling, e le leggende variano a seconda dell’immaginazione di chi le racconta. L’antropologa Janice Sacherer studia dagli anni Settanta gli sherpa del Rolwaling. «Di devozione ne hanno eccome» ha dichiarato illustrando le difficoltà incontrate nello studio del loro folclore. «È la coerenza che gli manca.»
Secondo le scritture sacre del Tibet il Rolwaling è un beyul, una valle sacra nata come rifugio per i buddhisti in tempi difficili, rimasta nascosta finché non è stata svelata da un intervento divino. A Guru Rinpoche, che nell’VIII secolo convertì i tibetani al buddhismo, è attribuita la scoperta del beyul del Rolwaling, o addirittura la sua creazione, con un aratro e un cavallo giganti.6 Cinque secoli dopo, quando i mongoli invasero il Tibet, gli antenati degli sherpa si trasferirono in Nepal, dove i veggenti buddhisti raccontavano ai propri seguaci dei beyul che sorgevano sul versante meridionale dell’Himalaya. Costellati di caverne e formazioni rocciose dalle proprietà spirituali, i beyul sono tributi a Guru Rinpoche e alla sua consorte, Yeshe Tsogyal, che si prefiggevano di condurre pacificamente all’illuminazione tutti gli esseri senzienti.
Quando a raccontarle sono il padre di Chhiring e i suoi anziani amici, tuttavia, queste leggende assumono un tono assai meno buddhista. A sentir loro, la valle del Rolwaling è il centro dell’universo e la culla della vita.7 Il mondo ha avuto inizio ottocento anni fa, prima che il tempo diventasse lineare. Guru Rinpoche e sua moglie meditavano in una caverna vicino a Beding. Dopo due giorni, strinsero un patto per liberare la valle dal male: si precipitarono fuori dalla caverna e dichiararono guerra ai demoni.
Ali e squame furono strappati come bucce d’arancia, gli arti furono spezzati, le zanne vennero estratte. I demoni si coalizzarono per cercare di oscurare il sole, sollevando una nube di polvere per soffocare gli dèi. Guru Rinpoche chiamò i rinforzi, e ordinò alle sue truppe di cavare gli occhi ai nemici. I demoni, azzoppati e ciechi, si gettarono nel fiume Rolwaling. Alcuni annegarono. Guru Rinpoche si gettò all’inseguimento degli altri e tenne loro la testa sotto il pelo dell’acqua. Quelli che riuscirono a liberarsi si nascosero nelle fenditure delle rocce.
Alla fine quasi tutti i demoni rimasero uccisi o soggiogati, ma la guerra aveva colpito duramente la terra. Il panorama di Rolwaling conserva testimonianze di quell’antica battaglia: un enorme masso isolato su un pianoro, un profondo fossato tra le colline, una crepa che taglia un macigno in due. In seguito gli dèi si ritirarono sulle montagne, e Guru Rinpoche e sua moglie concepirono cinque figli, da cui discendono tutti gli altri abitanti. Alcuni sono rimasti nella valle, ma la maggior parte se n’è andata e si è lasciata corrompere. Cioè tutti noi.
Oggi gli dèi serbano parecchio rancore nei confronti del mondo fuori dal Rolwaling: gli anziani predicono che la civiltà verrà spazzata via molto presto, forse già domani, e saranno risparmiati solo gli abitanti della valle. Gli dèi non tollerano che qualcuno se ne vada: i disertori verranno massacrati insieme a tutti gli altri.
I giovani sono meno preoccupati: sono convinti che queste leggende apocalittiche siano una tattica usata dai nonni per spaventarli e indurli a tornare a casa più spesso. Nella versione classica del mito buddhista della fondazione, Guru Rinpoche attraversò l’Himalaya come un sacro cacciatore di taglie, inseguendo i demoni e convertendoli senza violenza. All’epoca, cinque sorelle abitavano le rupi del Rolwaling. Anteriori al buddhismo di vari secoli, erano le divinità di un’antica setta tibetana che praticava sacrifici di sangue.
Quando Guru Rinpoche arrivò nella valle la più anziana delle dee, Tseringma dal volto candido, lo fece inseguire da un leopardo delle nevi. Il guru domò l’animale con un incantesimo e gli fece fare le fusa; e parlò del buddhismo – senza interrompersi per mangiare o dormire – finché Tseringma si convertì.
Tseringma salì su una vicina montagna che oggi porta il suo nome – ma che gli induisti chiamano Gauri Sankar – e rinunciò a cibarsi di carne umana. Tseringma, la dea della longevità, vive ancora sul picco di 7145 metri che incombe sopra Beding. La neve che si scioglie dai suoi ghiacciai si riversa nel fiume Rolwaling e ha proprietà miracolose: alcuni anziani sostengono di essere arrivati a centovent’anni grazie a essa.8
Dopo aver placato Tseringma, Guru Rinpoche si lanciò all’inseguimento delle quattro sorelle minori. Una dopo l’altra, si convertirono e si mutarono in divinità buddhiste, trasferendosi su altre montagne. Miyolangsangma perlustra la sommità dell’Everest a dorso di tigre: è la dea della prosperità, e il suo volto brilla come oro a ventiquattro carati. Thinggi Shalsangma, il cui corpo è di un azzurro chiaro, è diventata la dea della guarigione dopo aver galoppato a dorso di zebra fino alla vetta dello Shisha Pangma, un picco tibetano di 8027 metri. Chopi Dringsangma, dalle guance perennemente arrossate, è diventata la dea dell’attrazione. Ha preferito un cervo alla zebra e si è stabilita sul Kanchenjunga, in Nepal, a 8586 metri di altitudine.
L’ultima sorella – Takar Dolsangma, la minore, dal viso verde – fu la più difficile da convertire. Montò in sella a un drago turchese e fuggì verso nord, nella terra dei tre confini (il Pakistan, nel moderno folclore del Rolwaling).9 Guru Rinpoche la inseguì e la braccò infine su un ghiacciaio di nome Chogo Lungma. Takar Dolsangma apparve pentita, e arrampicandosi a dorso di drago sulle pendici del K2 accettò di diventare la dea della sicurezza. Guru Rinpoche non dubitò mai della sua sincerità, ma forse avrebbe dovuto: Takar Dolsangma, a quanto pare, apprezza ancora il sapore della carne umana.
Il Rolwaling è un beyul, una comunità di frontiera che garantiva l’amnistia ai profughi. Si riteneva fosse protetta da una potente divinità della montagna. A metà dell’Ottocento la valle attirava in gran numero debitori e criminali, che si stabilivano lì e si dedicavano alla religione. Sulle prime una serie di carestie frenò la crescita demografica, ma negli anni Ottanta dell’Ottocento l’introduzione della patata garantì una certa sicurezza alimentare e la popolazione quadruplicò, fino a circa duecento persone.
La successiva grande novità, dopo la patata, fu Edmund Hillary. Due anni prima di conquistare la vetta dell’Everest nel 1953, Hillary attraversò la valle del Rolwaling con una squadra di ricognizione britannica, in cerca del percorso migliore per scalare la montagna. Alla fine l’inglese optò per una rotta diversa, attraverso la valle del Khumbu verso est, ma ad alcuni sherpa del Rolwaling fu offerto un lavoro: tra di loro c’era Hrita Sherpa, che batté la traccia per Tenzing Norgay e Hillary alcuni giorni prima della scalata.10
Il Rolwaling non si è mai sviluppato quanto il Khumbu, dove i turisti diretti sull’Everest hanno portato denaro e posti di lavoro, e dove Hillary costruì scuole, un ospedale e una pista di atterraggio. Durante l’infanzia di Chhiring, negli anni Settanta, il Rolwaling era «la più isolata, arretrata e povera tra le comunità sherpa in Nepal».11
I mercanti passavano di rado e le bestie da soma faticavano molto ad arrampicarsi sui pendii sassosi. Per sfamarsi e vestirsi, gli sherpa contavano su materiali reperibili in loco e sul proprio lavoro. Nessuno possedeva una t-shirt di cotone; gli abiti erano fatti di lana di yak. Il padre di Chhiring indossava un chuba, un mantello di lana legato da una fascia sopra i pantaloni. D’inverno portava stivali in pelle di bufalo imbottiti con muschio secco. Sua madre indossava un ungi, una tunica senza maniche drappeggiata con un grembiule a strisce azzurre che la copriva davanti e dietro. Per indicare il suo nubilato, la sorella minore di Chhiring portava il grembiule solo sulla schiena.
Chhiring era nato nel 1974 sul pavimento di una stanza che fungeva da cucina, fienile e camera da letto. A sentire il padre, la zia e lo zio, da bambino era uno scansafatiche a cui piaceva scappare via ed esplorare le montagne. I parenti raccontano ancora la storia della sua marachella più grave: quella volta in cui, a otto anni, si mise a giocare col fuoco e appiccò un incendio alle colline. Andarono in fiamme le riserve invernali di mangime, e gli animali non ebbero più di che sfamarsi. Il padre di Chhiring lo picchiò con un bastone e a distanza di ventisei anni non l’aveva ancora perdonato.
Fu un’infanzia segnata dalla morte. Un pomeriggio la sorella minore di Chhiring era tornata dai campi coperta di vesciche rosse; poi le pustole le avevano ricoperto la lingua ed era morta soffocata. Un’altra sorella stava portando l’acqua dal fiume quando un masso si era staccato da una parete rocciosa e le era caduto addosso schiacciando gli organi interni. Nessuno era riuscito a capire cosa fosse successo al suo fratellino di due anni: forse aveva mangiato qualcosa di velenoso, sta di fatto che un giorno gli si era gonfiata la pancia e poco dopo era morto. La madre, Lakpa Futi, aveva avuto un’emorragia partorendo una terza sorella. Madre e figlia erano morte.
Chhiring guardò il lama praticare i riti funebri sulla madre, strappandole i capelli per far uscire lo spirito dalla testa, sussurrandole all’orecchio consigli sull’aldilà. Cercò di non piangere, perché altrimenti un velo di sangue avrebbe coperto gli occhi della madre oscurandole il cammino verso la nuova vita. Era troppo piccolo per salire in cima alla collina e assistere alla cremazione, quindi restò a sedere nella stanza in cui era nato e guardò il fumo librarsi nel cielo. Il padre, Ngawang Thundu Sherpa, tornò a casa e svenne.
Da quel momento Ngawang cominciò a svenire più volte al giorno, e gli abitanti del villaggio sospettarono che fosse posseduto da un demone. Quando gli svenimenti si fecero ancora più frequenti, il padre di Chhiring smise di occuparsi dei quattro figli che gli restavano....

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Seppelliti nel cielo
  3. Elenco delle mappe
  4. Elenco dei personaggi
  5. Nota dell’autore
  6. Prologo. La Zona della Morte
  7. Parte prima - L’AMBIZIONE
  8. Parte seconda - LA CONQUISTA
  9. Parte terza - LA DISCESA
  10. Ringraziamenti
  11. Note
  12. Bibliografia selezionata
  13. INSERTO FOTOGRAFICO
  14. Copyright