Nuovi Argomenti (48)
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Nuovi Argomenti (48)

PRIVATO PUBBLICO: 7 scrittori tracciano il confine

  1. 216 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
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Nuovi Argomenti (48)

PRIVATO PUBBLICO: 7 scrittori tracciano il confine

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Informazioni sul libro

Hanno collaborato: Eraldo Affinati, Chiara Saraceno, Furio Colombo, Beppe Sebaste, Filippo Bologna, Carlo D'Amicis, Caterina Serra, Luca Mastrantonio, Matteo Nucci, Giovanni Montanaro, Flavia Piccinni, Gabriele Dadati, Davide Orecchio, Antonella Anedda, Moira Egan, Damiano Abeni, Cristina Alziati, Francesca Genti, Gaia Baracetti, Enrico Arosio, Leonardo Colombati.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852037399
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SCRITTURE

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A JORGE

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di Matteo Nucci

Non è forse questo tutto ciò che facciamo:
vedere nuove cose e assaggiare nuove bibite?
E. Hemingway, Colline come elefanti bianchi
E così ridi.
Ti avvicini un po’ e la maglietta si apre sulla spalla abbronzata e ridi. La tua maglietta di quindici anni fa e quell’espressione sfrontata e la tua risata. È una risata strana e la riconoscerei fra mille. Comincia con una specie di singulto, poi è cantilenante verso toni bassi, risale e diventa una smorfia. Alzi un po’ il labbro come a prendermi in giro e mi sembra assurdo che sia ancora così. Ancora una volta così.
La strada è una collina d’asfalto. Non si sente volare una mosca, solo la nostra macchina, Francesco che guida, tu che gli dai istruzioni e io dietro a dire cose inutili pur di confondervi, finché non ti volti, mi guardi e scuoti un po’ il capo. La strada è come in abbandono ma l’asfalto l’hanno spalmato di recente e crea una patina uniforme sull’erba giallastra già bruciata dal sole.
«L’aria condizionata, l’aria condizionata servirebbe» dici tu.
Francesco alza le spalle.
«Ma dove l’hai presa questa macchina?» chiedi ancora e ridi, la tua risata, eccola qui.
Ai lati della strada non c’è nulla, non ci sono guard rail, né muretti, né segnaletica, né strisce bianche, nulla. Dici «fermati» e Francesco si ferma, accosta e tu apri la porta e esci, io ti seguo, e il caldo di Roma ci investe. Guardiamo quello spettacolo di una periferia che sembra morta. Campi giallastri, lamiere scintillanti accatastate da una parte, una linea di fumo che sale attorcigliandosi dietro la collina. Ci sono pali della luce infilati nella terra riarsa dal sole e lunghi fili neri che si stagliano nel cielo azzurro quasi sbiadito dal sole accecante. Non si sente nulla, tranne il rombo delle macchine sul Raccordo e rumori confusi della campagna. Tu guardi giù verso le case in costruzione. Due motorini posati sul fianco e due macchine parcheggiate, quasi fossero sospese nel nulla della canicola romana. «Dovrebbero esserci, sì, dovrebbero essere loro», dici, «andiamo».
Mentre rientriamo in macchina, do un’altra occhiata giù verso le case incompiute e vedo un lago di acqua in mezzo al parcheggio e ti chiedo se lo vedi anche tu e tu fai la tua risata e mi prendi in giro e entri abbassando la testa nella piccola LNA rovente. Francesco è rimasto sul volante immobile. Dice che non bisogna muoversi, che se non vuoi sudare l’unica è non muoversi, restare fermi immobili come ramarri e tu ridi anche di lui e indichi la sua camicia a maniche lunghe e gli domandi se non sia il caso di mettersi una maglietta, invece. Poi gli fai segno di andare e io gli dico che loro ci sono, sì, sono lì, secondo te ci sono e possiamo andare.
Mentre accende il motore, mi volto dall’altra parte della strada e guardo lontano verso i campi che si aprono infiniti uno appresso all’altro abbandonati e il mare da qualche parte, dietro. «Andiamo al mare, poi?» chiedo ancora una volta ma nessuno mi risponde. La macchina scende lentamente sulla lingua d’asfalto nero che declina in curve dolci verso le case grigiastre, il cemento armato scoperto, i tralicci abbandonati e le recinzioni divelte. Il piazzale però sembra sia stato completato. Ci sono addirittura ringhiere ancora quasi nuove che forse delimitavano gli spazi dei parcheggi secondo l’idea originaria.
«Da quant’è che è tutto fermo?» chiedo e tu fai un cenno come a dire sta’ zitto e indichi a Francesco di accostare su un lato e abbassi ancora di più il finestrino girando velocemente la manopola.
«Ehi» dici con una voce che non ti riconoscerei «ehi, oh, Cico».
Mi sporgo un po’ e vedo un ragazzo dietro il muretto scalcinato, seduto all’ombra. Non me n’ero accorto, non me ne sarei mai accorto. Fuma, soffia lentamente una nuvola di fumo e alza un po’ gli occhiali da sole, solleva la testa e ti fa «Jorge».
«Sta dentro?» gli chiedi tu.
Quello abbassa un po’ la testa lasciando ricadere gli occhiali sul naso. Allora tu gli fai un cenno, poi indichi a Francesco di andare avanti e accostare sulla destra. Lui esegue, accelera dolcemente, si sente lo stridio della lamiera in movimento e io ti tocco una spalla e dico «ma chi è quel modello?» Per un attimo non dici nulla, poi ti volti e alzi un dito sulle labbra e mi guardi con gli occhi spalancati. «Qua non si commenta, capito? Attento». Io apro le mani e sorrido: «Dai, scherzo, no? non si può scherzare?» e tu scuoti il capo e dici ancora serissimo: «No, non si scherza, qui. Qui non si scherza» poi ti giri di nuovo e fai segno a Francesco che va bene, apri la portiera e mormori «Arrivo subito».
Ti vedo scomparire mentre scendi una scaletta di cemento, i tuoi passi che echeggiano e il corpo che via via svanisce nel sottosuolo, i garage, le rampe di accesso ai garage, il buio scuro del sottosuolo.
«Secondo te, posso uscire?» dico a Francesco e lui senza voltarsi fa «Resta immobile. Non ti muovere. Fai come i ramarri»
«E se scendo?»
«Io non lo farei» dice lui.
«E perché?»
«Non lo so».
Mi abbandono sullo schienale caldo della macchina. Guardo Francesco che si accende una sigaretta, mi sporgo fra i sedili e gli chiedo se abbiano intenzione di tenerla per sempre, la pietra nera lì sul cruscotto. Lui ride e non risponde.
«Tua madre proprio non può farne a meno? Tuo padre ha scoperto che in quella pietra sono racchiusi poteri magici? Spiegami».
Lui non dice nulla. Fa anelli di fumo, gonfiando e sgonfiando le labbra. Si muove solo per lanciare con una schicchera il mozzicone verso il centro del piazzale e io allora gli faccio «Sei pazzo? Mica si può. Adesso lo senti tu, Jorge. Se vengono fuori e ci ammazzano per il tuo sgarbo, lo senti tu, mica si può, sai, qui mica si può». Lui fa un sorriso senza voltarsi, sempre immobile, la camicia a strisce bianche e blu rimboccata sui gomiti, gli occhi neri neri nello specchietto retrovisore. Fa un caldo mostruoso. Vorrei uscire, infilarmi anch’io nei garage, all’ombra, nel buio, dove fa fresco, con l’aria che attraversa gli spazi mai chiusi delle case in costruzione da dieci anni.
A un tratto però sento passi echeggiare, qualche parola e la tua risata e dopo pochi secondi ecco i tuoi ricci castano chiari e il volto abbronzato e l’aria strafottente e la camminata dondolante finché non ti chini per entrare nella piccola LNA. Richiudi sbattendo la portiera e dici solo «andiamo». Francesco non si volta, io mi avvicino tenendomi con le mani allo schienale della poltroncina, ti chiedo di farmi vedere e tu mi fai «Eh, calma, calma, calma» eppoi ridi e sbuffi, ridi ancora e sbuffi.
Usciamo dall’Aurelia almeno mezzora dopo e tu hai cercato in continuazione di mettere apposto l’autoradio per sintonizzare un canale di cui parli e intanto racconti di Fiore e della sua batteria e della sua ragazza e di quanto sia straordinario lui, di quanto sia amato dalle donne e di tutta la strada che farà, perché è un musicista, sì, è un musicista pazzesco. Vorresti farci sentire una canzone bellissima, ma non ci riesci e quando Francesco imbocca la stradina sterrata che esce da via Coccia di Morto e gira verso il reticolato che protegge l’aeroporto, lanci un grido e fai «no, sei un genio, Checco, sei veramente un genio». Lui sta zitto, sempre fermo sul volante e spinge la macchina fino a un punto del reticolato che sembra conoscere perfettamente e proprio allora si sente un rombo, tu sgrani gli occhi e si vede l’aereo scendere giù, ce lo vediamo sempre più vicino, KLM, il ventre bianco poi una striscia blu e sopra un celeste chiaro, sempre più basso, ci voltiamo insieme e si vede il becco che si alza un po’ e le ruote che si avvicinano alla pista, poi toccano, rimbalzano per un attimo e il becco cala sull’asfalto della pista, un fischio lunghissimo eppoi l’aereo che sparisce rallentando in fondo alla pista.
«Sei un genio, Checco» dici di nuovo tu, e intanto rovisti tra i pantaloni, aggrotti le sopracciglia e fai un movimento brusco. Francesco apre il portafogli e tira fuori il pacchetto di sigarette, ti dà tutto e tu prendi l’accendino e alzi un po’ la fiammella sotto il dado che ti rotoli fra le dita, come se fosse la perla di un rosario. «Fammi sentire l’odore» dico io e tu fai un risolino appena accennato e dici «ingordo», poi muovi l’indice, il medio e il pollice intorno al dado, e lasci cadere le briciole sul palmo della mano e impasti il tabacco chiudendo le dita intorno all’indice eppoi poggi il dadino che rimane sul ginocchio e lo scaldi di nuovo con la fiammella lunga e sgretoli ancora un pezzetto e di nuovo impasti infilando l’indice nell’incavo del palmo della mano chiusa e ti muovi anche con il busto mentre un altro rombo squarcia il cielo e un aereo bianco con una striscia rossa si avvicina. Ti chini un po’ per guardare sul lato del finestrino, chiedi di che linea aerea si tratti, poi riprendi il lavoro, giri il tabacco nella cartina, ne tiri un lembo con le labbra, guardi che sia tutto perfetto come vuoi tu e avvolgi la cartina, la lecchi lungo il bordo, tagli via il lembo che avanza con un movimento leggero e veloce eppoi batti il filtro contro l’orologio, guardi che sia tutto apposto girando il filtro e picchiettando da una parte perché ti sembra ci sia una minima asimmetria. Allora tiri un gran sospiro appoggiandoti allo schienale, giri la testa sul collo come per sgranchirla, fai rotolare l’accendino fra le dita, dai una bottarella col pollice e la fiamma lunga compare contro il vetro e per un attimo la guardi, quindi accendi, inspiri violentemente e tieni la bocca chiusa, la tieni chiusa più che puoi finché una nuvola di fumo viene fuori tutta insieme e io dico «usciamo dai, Jorge, si sta meglio fuori».
Seduti sulla terra, poggiati di spalle contro la rete metallica, guardiamo gli aerei venire giù, uno dietro l’altro, intanto fumiamo e quando c’è silenzio si sentono le cicale e sembra che anche l’odore dei cespugli di rosmarino abbia un suono, è come un mormorio, forse il mare lontano, oppure il fischio che rimane nelle orecchie dopo che gli aerei vengono giù, oppure quello che fumiamo, che ci fa ridere di cose grottesche, ci fa scivolare sempre più fino quasi a distenderci in terra a dire dai facciamone un’altra, dai, ancora un’altra, così ci riprendiamo, sì, un’altra ancora; e intanto sono quasi le sette, la luce diventa più morbida, il sole inizia davvero a calare e c’è come un venticello fresco e Francesco dice «è il ponentino» e tu ridi, ridi e lo prendi in giro: «Il ponentino, dio mio, il ponentino» ripeti «siete proprio vecchi, siete veramente antichi». È in quel momento, mentre restiamo così, seduti a fumare, che ti chiedo se ti ricordi del tema sul silenzio, se lo sapresti scrivere di nuovo. Allora tu mi guardi un attimo e fai una smorfia e un sorriso storto: «Siamo al quinto aereo dell’Alitalia che atterra» dici «e ti vengono in mente ’ste cazzate?»
«No, davvero» insisto «Vorrei davvero saperlo».
«Ah! ma come puoi dirmelo? come potrei mai riscrivere una cosa così? Basta, neanche me lo ricordo»
Io continuo a domandarti dettagli che non mi vuoi dare e Francesco chiede di cosa stiamo parlando. Ha gli occhi coperti da una patina acquosa e gli viene da ridere perché Jorge fa facce strane e indica me, chiudendo le labbra in un’espressione da idiota. Anch’io rido e le parole mi escono come se fossero rotte da una barriera ovattata e le parole si sbriciolano e si legano l’una all’altra in circoli improbabili. Cerco di raccontare a Francesco del tema che ha fatto Jorge a scuola, l’anno prima, un tema sul silenzio che la sua professoressa ha valutato con un segno ovale. Zero. Zero gli ha messo. Rido e tu ridi e mi dai una gomitata «stronzo». ...

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