Le parole dell'anima
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Le parole dell'anima

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  1. 144 pagine
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Le parole dell'anima

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A cinquant'anni dalla morte di papa Giovanni XXIII, il suo volto, le sue parole, i suoi gesti sono ancora impressi nel cuore di molti. Non soltanto come ricordo di un protagonista che ha segnato la storia della Chiesa del Novecento, ma anche come eredità spirituale che continua a portare frutto.
In realtà, a leggere oggi questa sorta di nuovo «giornale dell'anima» costituito dalla scelta di alcuni tra i suoi discorsi più significativi, si resta sorpresi nel constatare come nulla sia andato perduto della freschezza, della semplicità e del sapore originario.
La gente ha manifestato la stima e l'affetto per Giovanni XXIII esemplificandoli nell'icona del «Papa buono». Per come si manifestava in lui, la «bontà» non era però soltanto una virtù, bensì un compendio di virtù, che si fondevano fino a tessere un ordito spirituale profondo e armonico del suo essere uomo e sacerdote. Eppure, non ci si può fermare a questa sola immagine, pur vera e sentita, né per riassumere il segreto del suo influsso, né tanto meno per cogliere la novità e la portata del suo pontificato. Occorre andare oltre gli schemi precostituiti, che rischiano a volte di apparire dei quadretti oleografici, e scendere fino a dove si nasconde l'altra faccia della verità e della grandezza di Giovanni XXIII: capire perché la sua vita e i suoi insegnamenti sono stati un dono per tutti.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852039089

Una Chiesa aperta
e sempre in cammino
1960

Permetteteci di accennare a qualcuna di queste virtù in riferimento a tre elementi caratteristici della persona umana e sacerdotale dignità, cioè, la testa, il cuore, la lingua. E cominciamo dalla testa: a capite innanzitutto.
È dalla testa che si misurano la dottrina, il giudizio, il buon giudizio dell’uomo di Chiesa, che è il sacerdote di Cristo.
La scienza suppone lo studio; e lo studio è necessario: dagli anni della preparazione sacerdotale, a quelli dell’esercizio del sacro ministero, sino agli ultimi della vita, quando si gustano meglio i ricordi delle studiose vigilie della giovinezza, e la loro applicazione diviene di anno in anno più saggia e più preziosa.
Oggi più che mai è evidente la necessità della buona cultura. L’ignorante, l’incapace non può, non deve essere ordinato sacerdote. Seminari, sinodi, concili, costituzioni pontificie, dottrina dei Padri e dei teologi, esigono l’applicazione della testa, e con ciò lo splendore della dottrina. Studiare dunque bisogna e studiare tutta la vita. L’oggetto di sempre nuovi studi non mancherà mai.
È però ugualmente grave, nella scelta degli studi e dei libri, procedere con cautela: poiché non tutti sono buoni, non tutti sono perfetti in fatto di conformità alla pura dottrina del Vangelo, e degli interpreti più noti e sicuri dell’insegnamento cristiano.
Di questo insegnamento ogni bravo sacerdote deve poter rendere la testimonianza più fedele. Ed è in questo compito che si misura il buon giudizio ed il valore di ciascuno. La sovrabbondanza della produzione letteraria in ogni settore dello scibile umano diviene sovente tentazione di sbandamento intellettuale, di posizioni bizzarre e pericolose, verso le quali corre chi manca di esperienza, ed è portato facilmente, e presto, a confidare in se stesso.
[...]
E ora, dalla testa, passiamo al cuore.
Quando è detto di un sacerdote: è un uomo di cuore, questa è la prima nota felice che inizia un elogio a cui di ordinario molta gente facilmente si unisce. E si unisce sovente a tal punto da perdonare anche qualche esuberanza di moti della testa meno aggiustati e opportuni. Viene anche fatto molto credito a quanto fu scritto, con autorità più di letterato che di filosofo e moralista, ed è applicato largamente, che cioè sovente «il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce». Ora la dignità del nostro ministero ci suggerisce di non prendere ciò alla leggera. Anche le ragioni del cuore vanno studiate e giustificate o corrette.
Il cuore di un sacerdote deve essere riempito di amore, come la testa deve essere splendente di verità e di dottrina. Amore di Gesù, ardente, piissimo, vibrante e aperto a tutte quelle effusioni di mistica intimità che rendono così attraente l’esercizio della pietà sacerdotale, della preghiera: così di quella ufficiale della Chiesa universale, come di quella dalle forme private bene scelte e seguite, e a cui il potersi abbandonare è delizia e nutrimento saporoso e solido dello spirito; è sorgente perenne di coraggio, di conforto fra le difficoltà, talora fra le asprezze della vita e del ministero sacerdotale e pastorale.
Amore della santa Chiesa e delle anime, specie di quelle affidate alle nostre cure e alle nostre più sacre responsabilità: anime appartenenti a tutti i ceti sociali; ma, con particolare interesse e sollecitudine, anime di peccatori, di poveri di ogni specie, di quanti ricorrono sotto la enumerazione delle opere della misericordia, recando nel tutto insieme dei rapporti la ispirazione della carità evangelica.
[...]
Eccoci così al terzo punto di osservazione che ci proponemmo di toccare in riferimento all’impegno della nostra santificazione sacerdotale. Oh! che parole. Oh! che insegnamento a tutti, ma al clero particolarmente.
Trattasi, dunque, non più della testa, o del cuore, ma della lingua. Siamo sempre nella dottrina o nell’ordine della carità: ma con speciale riferimento al dono fatto da Dio all’uomo di trasmettere al cielo e alla terra in voce risonante ciò che è interiorità dello spirito. «Siate concordi» scriveva san Pietro da Roma ai lontani fedeli dell’Asia Minore antica, che è l’Anatolia, presente «siate tutti concordi, compassionevoli, amanti dei fratelli, misericordiosi, modesti, umili: non rendete male per male, né maledizione per maledizione: invece benedite, perché a questo siete stati chiamati, cioè a possedere in eredità la benedizione. Chi ama la vita e vuol godere giorni felici, raffreni la sua lingua dal male, e le sue labbra non dicano menzogne. Fugga il male e faccia il bene; cerchi la pace e le vada dietro perché gli occhi del Signore sono rivolti sopra i giusti e le sue orecchie sono attente alle loro preghiere. La faccia del Signore però sta contro coloro che fanno il male» [1Pt 3,8-12].
Ah! fratelli e figliuoli: non vi sgomenti ciò che stiamo per dire. Abbiamo l’impressione che, sul punto del governo della lingua, più o meno pecchiamo un po’ tutti: e che il saper tacere e il saper parlare a tempo e bene sia un segno di grande sapienza e di grande perfezione sacerdotale.
(26 gennaio)
Chi si sofferma: chi si adagia alle comodità: chi vuole soddisfare tutta la sete delle conoscenze ed esperienze umane non è, non può essere un soldato del Regno di Dio.
Diletti figli! Nello spirito di questo distacco è racchiuso il segreto della fecondità e riuscita della vostra futura azione. Lasciate dunque che a voi, nuove scolte dei tempi moderni, avviate a ben altre imprese, che in nulla ripetono le gesta della conquista e del dominio terreno, ma piuttosto dalle nuove condizioni di una più ordinata convivenza dei popoli si volgono e si elevano al voto e all’azione ardimentosa di unificare in Cristo tutta l’umanità, affidiamo tre pensieri, che tanto ci stanno a cuore. Non li abbiamo attinti da una rivelazione celeste, come nel caso di Gedeone, ma sì dalle intimità effuse della nostra prolungata preghiera. Eccoli.
Anzitutto vi diciamo: Digne ambulate! In queste parole vi è indicata la necessaria chiarezza di vita, di ideali, di propositi, di carattere sacerdotale.
Convenuti a Roma da tutte le parti del mondo, voi qui vi affratellate nei vostri quotidiani rapporti. Non ci sono diversità sostanziali tra voi, che avete un patrimonio comune, e una comune aspirazione di servizio di Dio e delle anime. Venendo al centro dell’orbe cattolico, ciascuno di voi ha portato con sé dalla sua regione di origine, la ricchezza di antichi insegnamenti, di tradizioni sane, nobili e gloriose. E qui voi imparate a conoscervi, e perciò a meglio apprezzarvi: e a partecipare e fondere i doni di natura e di grazia, di cui siete i depositari.
Come ben sa la vostra anima, ardente di giovinezza e anelante alle messi che attendono, non siete a Roma per prepararvi a un posto di privilegio: bensì a divenire i più pronti, i più esperti, i più umili, i più generosi collaboratori dei vostri Vescovi, e anche dei vostri futuri confratelli, che tanto affidamento fanno su di voi. È questo dunque il periodo più fecondo della vostra formazione. Ecco perché con cuore trepidante vi diciamo: Digne ambulate! Che è come sottolineare l’invito del Signore al fedele Abramo: «Ambula coram me, et esto perfectus» [Gn 17,1].
Innanzitutto, questo significa camminare degnamente: cioè muoversi verso l’arricchimento della mente, che deve aprirsi a ogni cosa bella e santa nella luce di Dio; muoversi verso la perfetta purificazione del cuore, libero dal dominio delle creature, e perciò atto a comprendere chi gioisce e chi soffre; muoversi verso le conquiste della esperienza, che deve irrobustirsi e maturarsi, in vista delle responsabilità future; muoversi verso l’acquisto del tratto sempre amabile e accattivante. In una parola, muoversi nella direzione di «tutto quello che è vero, e onesto, e giusto, e santo; di tutto quello che rende amabile, che fa buon nome» [Fil 4,8]. Muoversi da questa Roma degli apostoli e dei martiri, dei monaci e dei missionari, verso le nuove conquiste. Perché quando ci si ferma per sistemarsi comodamente, e ascoltare la voce della carne e del sangue, allora si corre il pericolo di diventare acque stagnanti. Muovervi, dunque: ma muovervi digne.
Tutto infatti deve essere splendente nella vostra formazione: tutto deve essere aperto e chiaro innanzi a voi: non solo il pregustamento delle caste gioie della Messa, santamente celebrata; ma anche la conoscenza delle difficoltà, che incontrerete, delle incertezze e dei dubbi, che sembreranno volervi annebbiare e paralizzare.
Digne ambulate! Attenti al cuore, alla sensibilità, alle relazioni e alle reazioni. L’ecclesiastico non è un impulsivo, un sentimentale, un uomo parziale, chiuso, timido, triste. L’ecclesiastico non si accontenta della mediocrità. Già fin dagli anni preziosi della sua formazione vuol conoscere se stesso, per superare le eventuali manchevolezze, e formarsi a quell’ideale di perfezione, che il Signore esige: et esto perfectus.
Il secondo pensiero vi invita alle solide delizie della Sacra Scrittura: «Accipite librum, et devorate illum» [Ap 10,9].
La figura profetica dell’Apocalisse vi sia sempre davanti agli occhi: è l’Angelo del mare e della terra che, su invito della voce dal cielo, porge a voi, come a Giovanni apostolo, il Libro sacro. Quale efficace simbolo della Chiesa, che si estende su tutti i continenti, e che vi porge il suo tesoro prezioso!
Nel Libro è segnata per ciascuno la voluntas Dei: vi è indicata la direzione della vita, e il segreto del successo di ogni buon apostolato, che non è mai frenetico di risultati umani, i quali possono anche mancare. Vedete infatti come agisce la Chiesa: coi suoi concili, coi sinodi, con le prescrizioni canoniche essa semina in un secolo, e raccoglie nei secoli successivi.
[...]
Un ultimo pensiero, diletti figli: «Psallite sapienter, et frequenter». L’invito di Gesù è, a questo proposito, chiaro e programmatico: «Oportet semper orare et non deficere» [Lc 18,1]. La vostra preghiera sia dunque continua, meditata e sapiente. Sia il vostro alimento, sia per voi come l’aria che respirate, e che vi mantiene in vita, preservandovi dai miasmi di una mentalità mondana, che potrebbe mettere in serio pericolo la vostra vocazione. Ponete dunque in pratica il gioioso invito dell’Apostolo: «Verbum Christi habitet in vobis abundanter, in omni sapientia docentes et commonentes vosmetipsos psalmis, hymnis et canticis spiritualibus, in gratia cantantes in cordibus vestris Deo» [Col 3,16].
Fonte preziosissima di preghiera è il Salterio, che dovrà un giorno esservi familiare, e diventare pensiero dei vostri pensieri, sostanza viva della vostra vita consacrata. Desideriamo che già fin d’ora esso vi sia familiare: perciò studiatelo e conoscetelo nel suo insieme e nelle sue parti. Meditate i singoli Salmi per scoprirne le recondite bellezze, e farvi un sicuro sensus Dei, e un sensus Ecclesiae; riposate in essi: sollevatevi dai Salmi alla contemplazione delle cose celesti, e da essi volgetevi all’apprezzamento misurato ed esatto delle cose della terra, della cultura e della storia, e degli avvenimenti quotidiani.
È detto che sulle labbra del sacerdote deve essere una continua preghiera. Ma questo, come ogni cosa dello spirito, non si può improvvisare, né riservare al tempo che seguirà la ordinazione sacerdotale, perché, allora, se già non si è formato questo spirito di orazione, non mancheranno le occasioni, e forse purtroppo anche le presunte giustificazioni – in nome dell’attività e del lavoro – per un affievolimento di esso. È questa l’ora in cui dovete farvi uomini di preghiera: e, allora, quanta luce, soavità, calma, equilibrio, e anche quanto fascino sulle anime, verranno a voi dalla familiarità al Salterio, nutrimento solido della vostra pietà!
(28 gennaio)
A che cosa deve tendere la predicazione al popolo di Dio? si chiede san Bernardino nel suo sermone V, articolo II, tomo VII. E risponde: «Docendo illuminare: verbo Dei consolari: et iuxta posse corrigere delinquentes».
In verità quale magnifico programma, diletti figli! E per tutti, anche per voi seminaristi, quale incentivo ad applicarvi al perfezionamento di voi stessi, e agli studi sacri per prolungare nel tempo questa triplice espressione di evangelica carità: illuminare, consolare, correggere.
Il predicatore ha un compito molto arduo. Perché egli deve sforzarsi di assommare in sé le doti del maestro, dell’educatore, dello psicologo. Deve saper attirare la attenzione dei fedeli, guidare il sentimento, penetrare nelle coscienze, esporre la verità in forma convincente e graduale.
L’esposizione della dottrina impegna non solo l’intelligenza del sacerdote, che deve esserne nutrito, ma il suo cuore, la sua sensibilità. Si esige nel maestro non tanto la locuzione letterariamente perfetta, quanto la parola precisa, teologicamente esatta e misurata.
In vista delle variazioni dell’uditorio, san Bernardino accenna a un triplice grado di persone: i simplices, i mediocres, i perfectiores. La enumerazione è antica e notissima, ma ahimè spesso la si dimentica in fatto di cultura religiosa. Ciò che è assolutamente necessario per salvarsi, per accostarsi ai sacramenti, per santificarsi, va trattato con particolare semplicità di parola, di immagini, come si usa nel conversare coi bambini.
[...]
La parola di Dio è stata posta sulle labbra sacerdotali anche per consolare le anime meste e desolate.
La mestizia e la desolazione sono compagne inseparabili di chi non attinge dall’alto le divine speranze: questa traspare dagli occhi e dai volti; quella occupa i cuori. Ed è ben singolare, e, in ogni caso, non è consueto per noi, il suggerimento di san Bernardino che la parola di Dio avrà l’effetto meraviglioso di consolare, quando la massima diligenza di ordine e tenuta splenderà nei templi, sugli altari, nella amministrazione dei sacramenti, nel culto della Santissima Eucaristia.
Ciò significa, dunque, che la parola del predicatore deve attingere motivo di armonia e di conforto da tutto il complesso di ciò che nella Chiesa fa impressione di ben disposto e di vera bellezza. Chi parla, chi istruisce trae motivo dall’arte, dalla liturgia, da tutto ciò che nella Chiesa ha virtù di edificare e di commuovere.
Siamo fatti così. Un tocco d’organo, un canto collettivo, soave o poderoso, accompagnato o illustrato da una parola appropriata e serena – «est in dicendo cantus» –, tutto vale alla vibrazione del cuore, all’incoraggiamento, alla rinnovazione di uno stato d’animo bisognoso di coraggio e di pace.
L’occhio del pastore e dell’oratore sacro sa penetrare con amabile e rispettosa discrezione nelle case dei suoi figli e fedeli: egli conosce le spine più pungenti che feriscono il corpo e lo spirito. Sono il segno del sacrificio che accompagna ogni povera vita umana. Dietro la porta d’ingresso di ogni famiglia sta figurata una croce, il cui segno misterioso riassume quanto di fatto è più sostanzioso e più meritorio nei riferimenti del tempo e della eternità.
[...]
Che cosa dire circa il terzo punto? Grave avvertimento è pur questo: correggere i peccati secondo tutte le possibilità messe a nostra disposizione.
Diletti figli! Non vi occupate a porre in troppa evidenza gli aspetti negativi della vita. Nel breviario di questi giorni leggevamo il racconto del primo delitto che travolse il primo ceppo familiare: l’uccisione di Abele.
Da allora, lungo tutti i secoli della storia umana, l’abuso del libero arbitrio ha prodotto disavventure spiacevoli e squilibri penosissimi.
Conoscere le situazioni; valutarle senza accentuazione; proporre i rimedi adatti; confidare nel misterioso, ma sicuro intervento della Grazia Divina: questo il compito primo di chi vuole combattere il male e circoscriverne le conseguenze deleterie.
Anche in questo, come in tutto il resto, bisogna operare con chiarezza e nella calma assoluta, cioè: iuxta po...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Le parole dell'anima
  3. Presentazione - di Giuliano Vigini
  4. L’inizio del pontificato
  5. Il dono di un cuore puro
  6. Una Chiesa aperta e sempre in cammino
  7. Cristiani consapevoli della propria vocazione
  8. La grande avventura del Concilio 1962
  9. Al valico della vita 1963
  10. Copyright