Nuovi Argomenti (42)
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Nuovi Argomenti (42)

IL MILIONE

  1. 352 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Nuovi Argomenti (42)

IL MILIONE

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Informazioni sul libro

Hanno collaborato: Luigi Malerba, Carlo Carabba, Dacia Maraini, Gianluigi Ricuperati, Mauro F. Minervino, Diego De Silva, Carlo Mazzoni, Alessandro Piperno, Lorenzo Pavolini, Paolo Lagazzi, Anna Tellini, Flavio Santi, Alberto Garlini, Arnaldo Greco, Raffaella D'Elia, Matteo Nucci, Luigi Caterino, Roberto Saviano, Antonio Pennacchi, Anonima Scrittori, Silvia Bre, Attilio Scarpellini, Valentina Pascarelli, Arben Idrizi, Armando Suárez Cobián, Alberto Bevilacqua, Andrea Caterini, Giovanni Bracco, Gaia Manzini, Dave King, Michael McDonald, Chiara Valerio, Paola Frandini.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852037214
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IL MILIONE


RAFFAELE MANICA

All’inizio fu Marco Polo. Il suo nome è la sintesi del viaggiare: spostarsi nello spazio e nel tempo per guardare senza pregiudizi, per conoscere e per incrementare il sapere pratico. Partito al seguito del padre e dello zio, Marco viaggiò attraverso Medio Oriente e Asia Minore, e arrivò al Catai, la Cina. Ci stette diciassette anni. Al termine del viaggio di ritorno (Indonesia, Malacca, Sumatra, India), rimesso piede a Venezia, si accorse che erano passati in totale venticinque anni. Del viaggio, come spesso capita, scrisse da fermo. Anzi il suo libro fu dettato molto da fermo: durante il tempo di galera al quale fu costretto una volta imprigionato dai Genovesi. Sotto dettatura scriveva un grammatico, Rusticiano o Rustichello. Il libro ebbe come titolo il soprannome di Marco, Milione. Gli atti che lì erano diversi – del viaggiare o dell’aver viaggiato; e dello scrivere – si raccolgono ormai, per i viaggiatori, in un unico atto. Dar conto ancora dello sguardo in movimento mentre lo si fissa sulla pagina.
Poi ci fu l’originale signore che stava sempre in difficoltà, ma era arguto. Le sue storie erano raccontate in un verso generalmente noioso, ma dal ritmo martellante e dunque adatto alle fiabe: l’ottonario. «Qui comincia l’avventura / del signor Bonaventura», era l’immancabile inizio del suo inventore, Sergio Tofano. Alla fine dei distici sotto le vignette, il signor Bonaventura, come in tutte le favole, vedeva compensata la disgrazia iniziale dall’arguzia. E invariabilmente guadagnava «Un milione!». Quel milione, cifra fiabesca, è tornata ad essere fiabesca, dopo molti anni. Siamo sicuri che oggi la ricompensa di Bonaventura (mai nome fu più adatto) sarebbe assai più di cinquecento euro. Un milione è la cifra dei sogni per eccellenza: il punto in cui il denaro, che è valore di mera quantità, si trasforma in una qualità, e cambia la vita (o aiuta a cambiarla). Ma non siamo sicuri che oggi Bonaventura, un idealista, vorrebbe essere gratificato con un gigantesco assegno. Bonaventura, l’anti-Paperone, sa meglio di tutti che il denaro in tanto conta in quanto è possibilità di scambio, una forma di comunicazione come un’altra. E adesso, che cos’è il denaro?
Raduniamo qui di seguito, sotto l’unica dizione di «Milione», alcune pagine che si ispirano ai due Milioni: quello di Marco Polo e quello di Bonaventura.

PASSAGGI DI DENARO


DACIA MARAINI

La descrizione dei passaggi di denaro da una mano all’altra è sempre eccitante, quasi piú eccitante dell’esperienza sessuale”. L’ha letto in un libro di aforismi, ma non saprebbe dire chi sia l’autore. È mai stato eccitante per lei il passaggio di denaro? Se lo chiede nel momento in cui la cassiera della libreria le porge il resto.
Ha scelto un libro, si è diretta verso la cassa, ha chiesto il prezzo: trenta euro. Ha estratto dal portafogli un biglietto da cento, l’ultimo che è rimasto della paga mensile. Sa che bisogna stare attenti in momenti come questo. Sa che un falco dovrebbe annidarsi tra le sue ciglia e tenere sotto tiro quelle mani.
Sente la presenza del falco, il fruscío delle sue ali. Lo sguardo concentrato si dirige cauto e preciso verso le mani della cassiera, ma viene rapito da una veduta di Napoli stampata sul piattino di plastica. C’è un pino che sporge, pencolante, verso destra, il mare di un azzurro improbabile riempie lo sfondo e il Vesuvio fuma. Il pennacchio esce dal piattino con l’allegria di una nuvola di Chagall. Ma dove vai con la testa Isotta! Stai attenta, fissa le mani della cassiera!
Su quel piattino dieci dita paffute dalle unghie laccate di rosso stanno maneggiando dei biglietti dal fondo rosa e i numeri iridati. Il falco sposta appena le pupille che ora si fermano incantate sul biancore irreale di quelle dita. Un biancore polveroso, assoluto. Le vengono in mente le unghia di Emma Bovary che spendeva quel poco che c’era in casa per comprarsi chili di limoni da strofinare contro i polpastrelli per mantenerli freschi e candidi. Figurarsi, dei limoni nel paesino abbandonato di Yonville! Intanto sono passati dei secondi preziosi e il suo sguardo si è perso chissà dove. Inutile che cerchi di trasformarlo nel piglio di un uccello cacciatore, rimane un volatile distratto.
Ma proprio mentre si sforza di tenere gli occhi fissi sulle dita gonfie dalle unghie laccate di rosso, la sua mente sguscia via un’altra volta con fare furtivo. Insegue un pensiero ombra. Qualcuno che è uscito dalla sua vita senza sbattere porte, ma con passo sicuro. Una avvisaglia di perdita, una assenza. Sa cosa significa quell’assenza per lei: il precipizio che un uomo dagli occhi dolci ha lasciato nel tepore di una testa innamorata. Le impronte dei suoi piedi umidi sulle mattonelle del bagno. Un odore di fichi secchi sul divano. Come ha potuto consegnare il suo futuro a un uomo così poco innamorato, così complicato e freddo!
Ancora una volta si è distratta mentre la cassiera ammucchia i biglietti da dieci sul piattino col Vesuvio che fuma, movendo lesta i polpastrelli. Sente che le palpebre si fanno pesanti. Un sonno improvviso. Un piccolo movimento delle pupille che precede la caduta. È questa la sensualità dello scambio di denaro? I suoi sensi devono avere preso cavoli per fiori.
La cassiera intanto ha capito ogni cosa. Una lunga pratica le ha insegnato a distinguere il grado di attenzione di chi le sta davanti. Senza neanche fissare gli occhi negli occhi del cliente. Le unghie laccate raccolgono una impercettibile vibrazione sulla carta scricchiolante dei biglietti. Come la traccia sensibile di uno smarrimento momentaneo e irrimediabile.
Due dita farfalline gonfie e bianchissime sfiorano la carta moneta. La cassiera conta a voce alta: “dieci, venti, trenta, quaranta”, e sembra che si appaghi dei movimenti dei polsi agili e adddestrati: come eseguendo un complicato gioco di prestigio, oplà signori, il diversivo è concluso, guardate il prodigio, ammirate! E dal cappello da cui abbiamo visto sparire il coniglio, vediamo uscire un uovo, provocando negli spettatori un leggero malessere, un principio di nausea, come quando ci si infila un paio di occhiali spessi da miope e miopi non siamo.
Il cuore della cassiera bussa contro la camicetta bianca e trasparente. Lo si puó indovinare al di là del reggipetto nero che si intravede sotto la stoffa leggera. Osare o no? Alle volte i clienti distratti si svegliano all’improvviso per acchiappare al volo la mano agile, astuta della truffatrice. Ma non c’è traccia di concentrazione in questa cliente dalla fronte alta, gli occhi chiari in cui navigano pacifiche nuvole bianche come vele distese sopra un cielo turchino. L’attenzione di questa cliente è una recita, lo si vede bene, una finzione involontaria, tanto piú finta quanto meno consapevole, presa al laccio da una ripetizione meccanica della memoria.
Isotta incontra per un momento lo sguardo gelato della cassiera che le sorride meccanicamente. È una gioia vedere come questa donna dai capelli arricciati muova le dita quasi fossero sei per mano. I biglietti vengono sparsi e poi ammonticchiati con sapienza da artista e Isotta ancora una volta si perde mentre allunga la mano inerte, sgraziata, verso quel piccolo monticello di carta moneta. Che decide di non ricontare nonostante i dubbi, per non mortificare quell’elegante manipolatrice.
Con un palese gesto di fiducia, Isotta caccia il mucchietto di soldi nella borsa a tracolla e si avvia verso l’uscita, quasi rincorrendo dei pensieri vaganti, frettolosi. Ma dove va? Ha un piccolo singhiozzo al pensiero dell’innamorato dagli occhi dolci che non vedrà più.. Darebbe qualsiasi cosa per risentire il suo profumo di bergamotto. Perché vuole che lo insegua? Le sembra che ammicchi da lontano. Cammina davanti a lei col solito passo slanciato, leggero. Ha la nuca fragile, nuda di capelli. O sono le sue impronte sulle mattonelle del bagno a fare da battistrada? Verso dove? E lei, facendosi segugio di un’attenzione che aspira al possesso, si avvia a seguirlo. Ma fin dove potrà scortarlo senza logorarsi le suole? “Sette paia di scarpe ho consumato/sette fiaschi di lacrime ho riempito/”… ma come continua la canzone?
Isotta cammina lungo un marciapiede affollato, si avvicina al giardino pubblico i cui cancelli sono stati appena aperti. Sceglie l’ombra di una magnolia dal profumo insistente. Una panchina dipinta da poco. Delle piccole bolle d’aria sotto la vernicie, esplodono, si disfano. Si siede. Scarta il pacchetto. Apre il libro. Prende a leggerlo. Solo allora si ricorda della distrazione, del conto fatto in fretta, del resto manipolato da mani di prestigiatrice. Uno sguardo al mucchietto ancora piegato in fondo alla borsa e capisce l’inganno: mancano infatti due biglietti da dieci.
La distruzione del denaro è l’unico autentico sacrilegio di cui ci sia stato tramandato l’orrore” Rex Stout.
Un paio di pantaloni rosa, finiti nella lavatrice. E dentro una delle tasche c’erano duecentomila lire, consegnatele da suo padre perché gli comprasse un obiettivo. Era l’anno 1973 e Isotta aveva 12 anni. Ma non sapeva che i soldi erano rimasti in quella tasca, anzi non sapeva per niente dove fossero finiti quei denari. E l’acquisto dell’obiettivo veniva rimandato con una scusa o un’altra di giorno in giorno.
Un uomo gentile suo padre. Non l’avrebbe accusata. Non voleva neanche sospettare che la figlia avesse “rubato” quei soldi. Ma l’impressione era quella. Non sapeva dare una ragione alla sparizione. Né lei trovava una credibile giustificazione.
E se li avesse spesi? Se ne sarebbe accorta, no? Il dubbio covava nello sguardo affettuoso di suo padre. Da un dubbio nascono altri dubbi: e se non ci fosse da “fidarsi” di questa bambina di solito cosí giudiziosa e sincera? E se qualcosa si fosse incrinato nell’antica naturalezza dei loro gesti di dare e avere?
Non veniva in mente né a lei né a lui che il denaro fosse stato involontariamente “distrutto”. Il sacrilegio avrebbe inquinato i loro pensieri, li avrebbe resi insicuri come gusci di noce sull’acqua in tempesta.
In capo ad una settimana la bambina dovette arrendersi all’evidenza: era una ladra. Aveva rubato, e poi dimenticato ad arte, i soldi che suo padre le aveva consegnato per comprare l’obiettivo che gli serviva. Il suo non ricordare era parte della colpa e forse neanche la minore.
Per questo veniva esiliata dallo sguardo del padre in una zona oscura della loro amicizia dove si accumulavano rancori, incomprensioni, rimproveri non dati e piccole tenaci resistenze.
Poi una mattina, quando la bambina aveva quasi dimenticato il fatto, ecco che salta fuori il denaro. Piegato, bagnato, quasi dissolto nella tasca dei pantaloni rosa, appena usciti dalla lavatrice. Carta pestata e maciullata. Denaro distrutto. Cosa le sarebbe toccato? Il taglio della testa?
Suo padre non avrebbe fatto mai un gesto di violenza. Uomo mite e comprensivo si nascondeva dietro un sorriso triste, forse desideroso di complicità. Ma lo stesso la testa della bambina sarebbe volata via come una rondine sotto la scure del dubbio. Ogni distruzione è un sacrilegio e ogni sacrilegio un’offesa irrimediabile all’autorità paterna.
Il denaro del quale si dice tanto male, svolge almeno una funzione benefica, quella di distrarre dalle miserie del cuore” Henry Duvernois.
Allungando per caso un occhio Isotta aveva letto delle parole d’amore. Non doveva essere la lettera a un amico? Con che impudenza suo marito si metteva a scrivere una lettera d’amore a un’altra donna proprio accanto a lei? Contava sulla sua distrazione, come la cassiera, come suo padre quando era bambina, consapevoli che bastava indicarle la finestra e dire: guarda, un asino che vola, perché lei distogliesse gli occhi, scrutasse il cielo cercando incantata l’animale volante? Un mulo che punta i piedi, drizza il muso allarga le ali (ma dove gli spunteranno, dalle costole o dalle zampe, quattro alette nerborute o due grandi ali da pellicano?) e prende a caracollare fra una nuvola e l’alta.
Lui non aveva voglia di giocare, il suo amato marito. Davanti a lei si era seduto il giovane fratello con le carte in mano. L’aria di un pomeriggio di agosto, al mare, invasa da grida di bagnanti. Che fai? Scrivo una lettera a un amico. E lei, con i ricci neri ancora induriti dal sale, si era chinata sulle carte: un re di bastoni, un altro re di denari, una regina e un settebello. La mente stanca dopo una giornata di tuffi e corse sull’arena, si crogiolava sui numeri. Che sono sempre uguali a se stessi, non truccano, non ingannano, non dicono una cosa per un’altra. Così si rassicurava. Stava vincendo, contro il giovane fratello e una amica di lui. Le carte sorridevano ai suoi pensieri lontani. Le piastrine dorate si accumulavano davanti a lei. La fortuna era lì, gioiosa e benefica, una ballerina bendata? un neonato dagli occhi vuoti? C’era un fiato tiepido che soffiava sul suo collo e benediceva le sue scelte.
Per caso l’occhio le scivola su quelle parole. Troppo vicine, troppo nere, troppo evidenti sul foglio bianco. Il bellissimo marito non aveva neanche cercato di coprire con un braccio il foglio. Era spudoratezza o voglia di farle sapere qualcosa senza dirlo? O era solo indifferenza? L’indifferenza di chi, con disinvoltura, si appresta a farti del male senza neanche pensarci?
Le parole scritte, ancora una volta, venivano a guastare la simmetria aerea e perfetta dei numeri, per rivelare i loro complicati e ambigui significati. Re di coppe, asso di bastoni, sette di denari. Eppure quelle piccole sfacciate vittorie la distraevano, e con che vigore, dalle “miserie del cuore”. Il cognato le aveva messo in mano la sua vincita: due carte da dieci. E lei le aveva infilate in tasca cercando di inghiottire un pungente senso di colpa.
[1990]

IL GIORNO IN CUI È RISORTO


GIANLUIGI RICUPERATI

Le mie venti sterline non smettono di risorgere, le mie venti sterline continuano a incamminarsi: le mie venti sterline vivranno perché tu lo dici. Le mie venti sterline sono ora e saranno sempre.
Le mie venti sterline non smettono di risorgere. Non c’è niente di meglio, quando fai sesso in chat, che assecondare le manie di lentezza e circumnavigazione della donna dall’altra parte dello schermo e mentre lei sta ancora cercando di avvicinarsi ai cerchi più stupidi del suo orgasmo, fregarla, venire, buttare via tutto e scrivere: infatti hai ragione, non ha senso, sappi che comunque ti penso sempre con pensieri buoni, davvero, dunque buona notte, e arrivederci a quando le cose saranno davvero ferme, non voglio più frustrarti. Federica, la ragazza con cui ogni tanto facevo sesso in chat, aveva talento: aveva otto anni in più di me: aveva i capelli neri filamentosi e la pelle sporca anche se si lavava. Avevamo fatto l’amore realmente solo una volta, ed era stato abbastanza bello, ma non sembravamo fatti per incontrarci per davvero. Era successo di notte, a casa mia, al buio. La sua bocca sapeva di buono ma il suo mento pungeva come una barra di una merendina arrugginita. L’avevo conosciuta un paio d’anni prima a un corso di regia e montaggio. Alla prima lezione era entrata in classe con alcuni ritagli di giornale e una videocassetta, salutando con un cenno della mano e senza incrociare neppure uno sguardo. Poi aveva disposto tutto l’armamentario sulla cattedra senza dire una parola, inserito il nastro nel videoregistratore, lasciato partire le immagini. Sullo schermo si vedevano scorrere inquadrature di un negozio di profumi nella pace assolata di una strada qualunque in una cittadina statunitense: la data segnava qualche mese prima, il 27 giugno, alle tre e mezza di mattina. Quella notte la maggior parte degli abitanti di una zona residenziale di Saratoga Spring, erano stati svegliati da un boato impressionante, ed erano usciti per vedere cosa fosse successo. L’ultima parte del filmato mostrava la profumeria parzialmente fumante, e i pompieri alle prese con l’acqua e le sirene tutt’intorno.
Le mie venti sterline continuano a incamminarsi. Ho chiesto denaro in prestito a praticamente tutti. A una coppia di veneti di un’ignoranza tempestosa, che abitavano al quarto piano, che come tutti i veneti danno l’idea di essere contadini ma poi hanno case qua e là e riscuotono affitti e portano in giro le due carcasse di ma...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Nuovi Argomenti (42)
  3. DIARIO - Luigi Malerba
  4. ARGOMENTI - Carlo Carabba - UN LAICO NEL PAESE DEI CREDENTI
  5. IL MILIONE DI BONAVENTURA
  6. CITTÀ DELL’UOMO
  7. SCRITTURE
  8. RIFLESSIONI SULLA LETTERATURA
  9. Copyright