Nuovi Argomenti (34)
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Nuovi Argomenti (34)

  1. 352 pagine
  2. Italian
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Nuovi Argomenti (34)

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Informazioni sul libro

Hanno collaborato: Enzo Siciliano, Massimo Rizzante, Kenzaburo Oe, Angelo Ferracuti, Andrea Bajani, Elisabetta Liguori, Flavio Santi, Carola Susani, Roberto Saviano, Massimiliano Zambetta, Andrea Melone, Alessandro Piperno, Lorenzo Pavolini, Emanuele Trevi, Sara Ventroni, Roberto Canò, Mark Strand, Amelia Rosselli, Damiano Abeni, Gabriella Palli Baroni, Alba Donati, Massimo Gezzi, Frank Bidart, Vincenzo Della Mea, Bartolomeo Di Monaco, Giuliana Petrucci, Raffaella D'Elia, Carlo Carabba, Fabrizia Giuliani, Helena Janeczek, Gianni Clerici, Federica De Paolis, Leonardo Colombati, Valerio Magrelli, Francesco Feola, Valeria Parrella.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852039249
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CERTI GIORNI SONO PIÙ BELLI
DI ALTRI GIORNI


Angelo Ferracuti

Lo sportellista stamattina è inquieto. Sua figlia piccola si è alzata nel cuore della notte. Piangeva, non riusciva a dormire. Pensa che crescendo potranno crescere anche le paure di lei, eppure spera intimamente che quelle vigliacche possano estinguersi, come si estinguono i conti correnti. Sente che il tempo stringe, questa è la sua condizione. Certe volte si chiede cos’è veramente il tempo reale, e si spiega così questa cosa: c’è un’operazione da eseguire e lui da sportellista cerca di espletarla al meglio impiegandone il meno possibile. Certe notti sogna la postazione, il terminale si blocca e una fila interminabile s’accalca. È come se i volti incattiviti di quelle persone lo assalissero neanche fosse sua la colpa di certi disservizi. Cerca di difendersi ma la fila si fa sempre più chiassosa.
Il tempo certi giorni passa più in fretta perché tutto scorre più veloce. Le cose vanno semplicemente meglio del solito. Lui non capisce perché, è quasi un mistero. Non sa se dipende dal suo umore più disponibile, oppure se si organizzano per conto loro, quelle vigliacche. Però gli resta questa confusione in testa. Se non c’è qualche intoppo quasi si meraviglia. Quando non ci sono problemi da risolvere, gente da servire o conti da risistemare, lo sportellista si immagina inconcludente e inutile, è come se fosse privato della normale energia che lo muove. Sicuramente l’esperienza aiuta a semplificare le cose, anche la vista aiuta, o la prontezza di riflessi, e una certa ostinazione che non guasta. Certi sono più svelti di altri, certi possiedono un intuito più forte o sono più muscolosi di braccia. Lui non li invidia, ma capisce perfettamente che bisogna possedere un’attitudine per fare quello che lui fa da molti anni. Nessuno è nato sportellista, o contabile, elettroinstallatore o meccanico, eppure ci deve essere qualcosa che porta le persone verso certi lavori, inutile a dire e inutile a fare. Un’attitudine, appunto. Pensa a quella parola, attitudine, e la trova perfetta. Lo sportellista si chiede perché un giorno si finisce sportellista, oppure piastrellista, invece che rocciatore di montagna o addetto alla manutenzione delle aiuole nei giardini pubblici. Ci deve essere qualche mistero in certi lavori, un ordine segreto che nessuno conosce. La vita intera è un mistero. Servono gli sportellisti come servono i becchini o i macellai, i guidatori di corriere e i notai, c’è solo una gerarchia di guadagni che li divide.
Lui è finito lì per puro caso. Ma il pensiero del caso non gli serve per spiegare quello che sta facendo. Perché è sportellista? Perché il mondo è fatto come è fatto? Perché domani è martedì? Forse non poteva essere diverso, il mondo? Se oggi fosse giovedì, per esempio, che cosa cambierebbe? A volte s’interroga, segue i suoi pensieri e non capisce dove vanno a parare. E in un mondo diverso senza sportellisti, si convince, poteva forse occuparsi della felicità degli altri o di bonifiche dei mari, poteva essere un astronauta e volare negli spazi siderali. Si sarebbe attrezzato. Oggi vagherebbe ancora nell’universo, invece è alle prese con il pagamento del conto telefonico, spropositato rispetto ai reali bisogni delle persone, ingigantito come un corpo celeste. Perché la gente parla troppo al telefono, se ne è accorto. Sorride mentre ci pensa e raccoglie i bollettini dei conti correnti, le sue mani corrono svelte, quasi non riesce a controllarle per quanto vanno di fretta. Le falangi, le falangine e le falangette della mano sono al servizio dello sportellista, e lui le esercita, le tiene sempre sveglie. Avrebbe voglia di dire al cliente che ha di fronte: perché non voliamo sulla luna? Andiamo tutti su Giove, non sarebbe bello? È assurdo quello che ha pensato, per fortuna nessuno può leggere nei suoi pensieri segreti. Purtroppo lui non può leggere quelli degli altri, e sì che ne avrebbe voglia. Chissà cosa pensano di lui? Forse qualcuno lo trova simpatico. Perché no? La simpatia gli pare un bel sentimento. Molti clienti li trova davvero alla mano. Non lo sa perché, però quando li vede è contento. Scambia poche parole con loro, parla del tempo o commenta la partita della squadra locale. Non costa nulla. L’attacco gli sembra un po’ fiacco ad essere del tutto sincero. Un centravanti più forte potrebbe fare la differenza. Ecco, con una punta abile si potrebbe vincere di più, il lunedì si tornerebbe al lavoro più soddisfatti. Si potrebbe gridare “campioni!” come si fosse vinta una brutta malattia o la malasorte. Ma purtroppo non tutte le squadre possono avere il privilegio o la fortuna di vincere.
C’è un tizio triste, un professore precario che va da lui una volta al mese a controllare se c’è il mandato della scuola. È miope, possiede uno sguardo inconfondibilmente triste, veste male, dimostra in tutto e per tutto che la condizione intellettuale è una specie di sciagura oggigiorno. Comunque si vede che ha bisogno di soldi. Lo sportellista vorrebbe dirgli “sono arrivati”, ostentando una certa generosa sicurezza, invece molte volte è costretto a scuotere la testa, e quello fila via scontento con la coda tra le gambe.
Un tempo non gli piaceva stare in prima linea e avere a che fare col pubblico. I timidi non sono adatti per certi lavori. Ma dagli e dagli ci si è abituato. Oggi ostenta persino una certa bravura, è lui il padrone della postazione. Se qualcuno gli chiedesse con un tono ricattatorio: “e allora, dimmi un po’, qual è il tuo lavoro?” Lui risponderebbe orgoglioso: “sportellista”.
Adesso controlla con cura le banconote, concentrato conta tutto il danaro che non riuscirà mai a possedere, sente l’odore della cartamoneta. È un odore forte e insolito che sa di cose disinfettate. Le banconote gli sembrano una cosa enormemente viva, sono come pesci squamati da tirare via dalle mani del mare. Il danaro di solito entra ed esce dalla sportelleria, il suo flusso è fluido, non riesce a concepirne il vero valore. Però mentre dormiva e si rigirava inquieto sotto le coperte, mentre sua figlia si lamentava, incapace di prendere sonno, le banconote si sono riprodotte. Comunque dovrà darle dei sonniferi, dovrà portarla da un medico prima o poi, dovrà farla parlare di più e meglio per capire quali brutte inquietudini la opprimono. Dovrà darsi da fare se non vuole che diventi una persona infelice.
Pensa il danaro come un dio onnipotente e invincibile, capace di ogni cosa. Segretamente cerca di immaginare che vita fanno quelli che vede solo per pochi attimi. Lo sportellista ha archiviato i suoi clienti. Certi si somigliano. Hanno maschere in viso non troppo diverse. Le donne vanno sempre di fretta. Ha notato che le donne magre che fumano sono anche molto nervose. Se le ritrova davanti ed è in pena per loro. Gli uomini col cappello, invece, li trova più distratti degli altri. Lui si ritiene un osservatore, ma naturalmente non c’è niente di scientifico nelle sue deduzioni.
Una volta ha avuto un ammanco di cassa. Si è scervellato per ore a ricontare i soldi. Ha scrutato la strisciata e ogni cifra che stava là sopra la associava a un volto. Uomini e numeri si erano confusi. Uomini e donne, giovani e pensionati erano archiviati in quei fogli e nella sua mente vacillante. Tornava su quei conti e non era capace di trovare più il bandolo della matassa. Aveva letto una cifra per un’altra, forse. Gli era sfuggito qualcosa. Ma dove? E come?
I giorni che paga le pensioni sono giorni faticosi, torna a casa stanco morto e con gli occhi gonfi, gli ci vuole una buona dormita per recuperare, e a volte non basta.
In genere davanti ai suoi occhi sfilano persone educate dalla voce bassa e supplichevole, arroganti uomini pieni di sé, oppure giovani impacciati, fisicamente asciutti e dalla facce foruncolose. Certi bevono troppo, certi hanno problemi economici, altri ancora sono innamorati. Allo sportellista basta un’occhiata per capirlo.
Succede che alle otto del mattino i terminali sono spenti. L’ufficio postale è deserto ma è come se sentisse un lieve brusio. Lo sportellista pensa che non c’è nessuno ma lui le sente lo stesso quelle voci. È come se una parte di quelle voci rimanesse nella stanza una volta che quelle persone sono uscite dallo stabile.
Nel corridoio dietro le casse c’è tutto lo spazio del suo vivere, in pochi metri quadri può ritrovare un mondo che nessuno conosce. Quando scompare alla vista dei clienti per qualche secondo, è capace di fare delle buffe boccacce o riaggiustarsi il nodo della cravatta, e nessuno può vietarglielo. Certe volte si gratta persino il sedere. Per un attimo riacquista la libertà che gli serve. Ma il senso di beatitudine dura poco. Ogni volta che torna in prima linea riacquista un portamento diverso.
Quando accende il monitor una luce marziana fa un riverbero sinistro, i cristalli liquidi per un attimo brillano. È la macchina stessa a controllarlo mentre lo sportellista destina il danaro in entrata e in uscita. La macchina non si può ingannarla in nessun modo.
Adesso lavora in tempo reale, ogni operazione si realizza all’istante come uno sbadiglio o un colpo di tosse. Sente che la sua giornata sta per iniziare. Pensa che i giorni sono quasi tutti uguali. Passano inesorabili. Poi, considera che non è del tutto vero, si stava sbagliando di grosso. Si dà dello scemo con una certa inclemenza. Certi giorni sono più belli di altri giorni. Certi giorni sono davvero magnifici. Perché basta un sorriso, basta una parola priva di cattiveria a metterlo di buon umore. Quando c’è il sole, per esempio, lo sportellista sente una piccola allegria che lo scuote e che gli provoca un inaspettato sorriso. Quando c’è il sole cambia tutto.
Oggi però non c’è il sole, pensa lo sportellista e il cielo è aggrottato. Tra un po’ forse pioverà, “vedrai se non pioverà”, dice a se stesso, e allora la gente arriverà dentro l’ufficio postale con in mano gli ombrelli lucidi e gli abiti umidi di pioggia. Lui si consola con le cartoline che stanno sul retro spedite dai colleghi nei più diversi posti di villeggiatura. Lì si sente al sicuro mentre un promontorio greco gli sorride sotto il sole cocente.
Altre volte si ritrova di fronte facce incattivite e vigliacche. Fa buon viso a cattivo gioco. È zelante, nonostante tutto. Le barbe ben curate di certi clienti arroganti lo offendono, ma lo sportellista non ha nessuna intenzione di cedere alla volgarità che viene. L’unico disappunto è nel rapido movimento di mani, nell’apparire il più efficiente e veloce possibile. Deve batterli sul tempo. In quel modo è come se li ferisse. Adesso saranno costretti a guardarlo in modo diverso, perché è stato educato e professionale.
Qualcuno ha bisogno di lui, e lo sportellista è orgoglioso di servirli. Sente che quello è il suo tempo, il tempo della sua vita, e non ha nessuna intenzione di sprecarlo. I clienti avanzano. Certi ragazzi accompagnano pensionati dallo sguardo assente, claudicanti, che borbottano. I vecchi hanno ragione di lamentarsi. Lo sportellista li aspetta paziente nella sua postazione. Ha lo sguardo sereno. Sa che le persone anziane sono un po’ sorde. Sa che certi hanno un brutto carattere e che potrebbero metterlo di cattivo umore. Sa che la sua pazienza non è infinita ma che dovrà tenerla a bada fino all’ultimo.
Il ricordo di un’offesa o di un rimprovero può durare intere settimane. Certe volte ci ripensa. Rivede il volto della persona che gli ha detto cose spiacevoli in modo del tutto gratuito. Non le meritava. Lo sportellista poteva rispondergli questo o quest’altro. Non lo ha fatto. Non poteva permetterselo. Gli è restata dentro questa sofferenza per l’ingiustizia subita, e ha pensato che un giorno la vendetta sarebbe arrivata. Ma quando la vendetta era finalmente a portata di mano, quando la faccia e la bocca piena di cattiverie di quell’uomo si trovava finalmente all’altezza della sua, era veramente passato troppo tempo.
Lui è solo uno sportellista, questo dovrebbe essere chiaro a tutti. È un uomo come gli altri, e sua figlia non dorme la notte, la notte per lei si riempie di strane paure. Lo sportellista è solo un punto di una linea infinita di punti. Uno che è sostituibile in qualsiasi momento della giornata. “Utile ma non indispensabile”, questo gli ha detto una volta il direttore di filiale minacciandolo. Dopo però lo sportellista ha ripreso con calma il suo lavoro. Era una giornata come un’altra, non c’era ragione di sentirsi strani oppure diversi.
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Angelo Ferracuti è nato a Fermo nel 1960. Ha pubblicato Norvegia (Transeuropa, 1993), Nafta (Transeuropa, 1997 e Guanda, 2000), Attenti al cane (Guanda, 1999), Un poco di buono (Rizzoli, 2002), Non avere paura del buio (Editoria e Spettacolo, 2004), Le risorse umane (Feltrinelli, 2006). Collabora con “Diario”.

ALL INCLUSIVE


Andrea Bajani

Quando sei atterrato all’aeroporto, come tutti hai rilasciato il fiato non appena l’aereo ha fatto presa sull’asfalto e i prati fuori hanno cominciato a rallentare. Come tutti hai slacciato la cintura prima che il campanello e l’icona luminosa sopra la testa dessero l’autorizzazione a farlo. Quindi ti sei manovrato in mezzo agli altri per estrarre dalla cappelliera il tuo bagaglio a mano e come tutti sei rimasto immobile in mezzo al corridoio nell’attesa che si decidessero ad aprire i portelloni. Poi uno dopo l’altro siete sfilati di fronte a un’hostess che guardando fuori ha detto a tutti arrivederci e che da tutti, mentre guardavate fuori, si è sentita replicare arrivederci. Poi sei sceso giù per le scalette dell’aereo con la sicurezza dei capi di stato e dei pontefici, con la mano a visiera sopra gli occhi per ripararti dal sole. Tallonando gli altri sei poi salito sulla navetta con la sicurezza del pendolare consumato. Mentre tutti accendevano i display dei loro cellulari rinculando di fronte alla batteria di messaggi rimasti prigionieri durante il volo, tu guardavi fuori. Mentre tutti insieme indossavano gli occhiali da sole e si riavviavano i capelli, la navetta ha percorso la distesa d’asfalto che vi separava dall’aeroporto. Durante il tragitto hai contato gli aerei vuoti lasciati lì in mezzo alla pista come giocattoloni trascurati ma ancora con le sagome e il tepore dei viaggiatori impressi sui sedili.
Con la sicurezza dell’ingegnere rumeno atterrato in Italia hai aspettato accanto al nastro dei bagagli che la tua valigia ti arrivasse davanti. Come gli altri ti sei sporto in avanti per individuare la tua borsa, come genitori che aspettano i figli all’uscita da scuola. Con la sicurezza dell’ingegnere rumeno atterrato per la prima volta in Italia non hai capito nulla di quello che ti diceva la signora anziana sovrappeso, salvo il fatto che era molto arrabbiata perché la valigia che avevi in mano evidentemente era la sua, nonostante fosse in tutto e per tutto identica alla tua. E quanto più tentavi di spiegarle a gesti che eri dispiaciuto, tanto più la donna anziana sovrappeso montava su tutte le furie perché non capiva nulla del misto di rumeno, italiano, inglese e linguaggio dei segni con cui le consegnavi il tuo senso di colpa. Con la sicurezza dell’ingegnere rumeno atterrato per la prima volta in Italia ti sei riavvicinato con le orecchie basse al nastro trasportatore, e con l’occhio alla bocca di uscita delle valige hai aspettato il tuo bagaglio come un genitore appena uscito di galera che vada a prendere il figlio di fronte a un comitato di genitori meritevoli e incensurati. Quindi hai strappato la tua valigia alla giostra del tapis roulant e passando accanto alla donna anziana sovrappeso sei salito verso la fermata del pullman. Quando la donna anziana ti ha visto passare ti ha indicato al resto della famiglia sovrappeso che le stava accanto, e tutti insieme si sono messi a ridere.
Con la sicurezza dell’ingegnere rumeno atterrato per la prima volta in Italia sei salito sul pullman che collega l’aeroporto alla città. Imitando gli altri che ti precedevano nella coda hai comprato il biglietto, lo hai infilato nella macchinetta arancione e poi ti sei seduto dietro l’autista. Hai guardato passare alcuni dei tuoi compagni di viaggio con gli occhiali da sole, che sono sfilati verso gli ultimi posti del pullman e hanno cominciato a fare e ricevere telefonate. Poi il pullman è partito e tu hai guardato sfilare la campagna e ti sei chiesto a che punto sarebbe cominciata la città. Quindi con la fronte contro il finestrino ti sei abbandonato al sonno giusto che si merita un ingegnere rumeno atterrato in Italia e uscito dall’aereo con la mano a visiera. Quando ti sei risvegliato il pullman era fermo al capolinea, dentro non c’era nessuno e l’autista era in piedi accanto alla porta con le maniche ripiegate e una sigaretta appesa alla bocca. Hai raccolto i tuoi bagagli con l’energia di un ingegnere rumeno appena uscito dal sonno e appoggiandoti alla cabina di guida sei sceso dal pullman. Quando sei passato davanti all’autista gli hai fatto un cenno di saluto a cui lui ha risposto con un’alzata del collo. Quindi ti ha guardato andare via, con le tue valige aggrappate alle braccia e una gomma americana rimasta incollata sotto il sedere, chissà se in aereo oppure sul pullman. Ti sei allontanato da lì e ti sei infilato sotto i portici guardando quella città con la sicurezza di un ingegnere rumeno che arriva per la prima volta in un posto lontano così.
Dopo due mesi passati a cercare un lavoro, finalmente sei riuscito a trovarlo. È così che dopo due mesi sei riuscito a recuperare la fiducia in te stesso che avevi perduto e che un ingegnere rumeno atterrato per la prima volta in Italia non dovrebbe perdere mai. È così che dopo due mesi passati a cercare un lavoro, adesso siedi ogni sera al tavolo di una piccola cucina con le luci al neon e davanti hai un signore anziano che si ostina a voler tagliare la carne con le forbici. Se gli avvicini un coltello al piatto comincia a urlare, te lo strappa dalle mani e lo butta in terra. Con la sicurezza di un ingegnere rumeno lo raccogli da terra, raggiungi il lavello, lo sciacqui e poi lo metti ad asciugare. Quindi ti siedi di nuovo davanti all’anziano signore e lo guardi mangiare, perché l’anziano signore non vuole che tu mangi con lui. Non sei un suo amico, non sei suo figlio, non sei suo nipote, quindi lui con te non ci mangia. Da un mese ormai vivi in casa sua e ti prendi cura di lui tutto il giorno e tutta la notte. È un lavoro all inclu...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Nuovi Argomenti (34)
  3. DIARIO - Enzo Siciliano
  4. CONVERSAZIONE
  5. ARTICOLO 1
  6. CANTIERE
  7. DIALOGHI
  8. Copyright