Cave Canem
eBook - ePub

Cave Canem

,
  1. 204 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Cave Canem

,
Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Cave canem, "Attenti al cane". Nelle ville patrizie dell'antica Roma era uso scriverlo all'ingresso dell'abitazione, e non sfugge all'abitudine anche la ricca dimora di Gneo Plauzio, mercante di origini plebee che, dopo aver fatto fortuna con il commercio del pesce, si è trasferito sulle rive del lago Averno. Ma in questo caso, forse, c'è davvero qualcosa a cui stare attenti. Lo scopre il senatore Publio Aurelio Stazio che, di ritorno a Roma dopo avere trascorso un periodo di vacanza a Baia, si ferma ospite di Plauzio. Appena arrivato, viene a sapere che proprio la notte precedente il figlio primogenito del padrone di casa, Attico, è morto, dopo essere scivolato nella vasca delle murene. Si mormora che sulla famiglia gravi un'oscura maledizione e che tre figli dovranno perire per opera di pesci, uccelli e insetti. E quando anche il fratello di Attico muore, trafitto da un becco appuntito, anche i più scettici iniziano a credere che quelle morti siano volute dal Fato. Certo non Aurelio Stazio, che conosce anche fin troppo bene la scaltrezza e la ferocia degli uomini.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Cave Canem di in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Letteratura e Letteratura storica. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852039522

Prologo

Roma, anno 772 ab Urbe condita (anno 19 dopo Cristo)
Le torce erano già state spente da un pezzo, e la grande domus sul Viminale giaceva immersa nel buio abbraccio della notte.
Appiattito contro la parete del peristilio, l’uomo si guardò attorno con fare furtivo e avanzò cautamente all’ombra del colonnato, attento a non far scricchiolare i sandali. Giunto davanti all’ingresso, trasse un lungo sospiro e occhieggiò attraverso il traforo della porta intagliata. Come aveva previsto, il tablino era deserto: in assenza del padrone, che si trovava ad Anzio per un banchetto, nessun altro si sarebbe azzardato a metter piede in quella stanza. Silenzioso come un sicario, scivolò dentro e si chiuse la porta alle spalle.
Avanzando di qualche passo, l’intruso cercò a tentoni una lucerna e la accese, circospetto, abbassando al minimo lo stoppino. Al debole chiarore della fiamma apparvero il letto elucubratorio, gli sgabelli e, bene addossata al muro, la grande arca di terebinto istoriata d’argento, con la toppa nera che ammiccava come una femmina in amore.
L’intruso frugò tra le pieghe della tunica, ne trasse una chiave e si chinò sul forziere.
Un istante dopo, la testa gli esplose.
Il corpo andò lentamente afflosciandosi sul coperchio spalancato del cofano, e la lucerna si infranse in mille pezzi, mentre l’olio tiepido si spandeva sul mosaico del pavimento in una larga macchia appiccicosa.
Il giorno dopo, nell’atrio della domus sul Viminale, due ragazzi bisbigliavano tra loro, interrompendosi guardinghi ogni volta che vedevano passare un servo o un’ancella.
«È tutto falso, te lo giuro! Mio padre non è un ladro!» protestava il più piccolo, un bambinetto tanto magro da perdersi nelle pieghe della veste abbondante. «Almeno me lo lasciassero vedere!»
«È impossibile, Paride. Aquila, il capo della servitù, l’ha chiuso nel cubicolo che funge da cella per gli schiavi in punizione» rispose l’altro, ostentando, dall’alto dei suoi quattro anni in più, una calma matura che era ben lungi dal provare.
«Come possono credere ad accuse tanto infami? Tutta Roma sa che mio padre Diomede è il più onesto degli intendenti! Verrà scagionato immediatamente, vero?»
«Se i fatti sono quelli che mi hai riferito, non contarci troppo, Paride. L’hanno trovato svenuto sull’arca svaligiata, con la chiave in mano» lo disilluse subito il compagno.
«Aiutalo, Aurelio... nobile Publio Aurelio Stazio!» insistette caparbio il ragazzino. «Ti prego, tu puoi farlo. Hai quasi sedici anni, e sei l’erede!»
«E con ciò? Porto ancora la bulla e non ho alcuna possibilità di dire la mia sulle questioni di famiglia» spiegò il ragazzo, toccandosi il pendente d’oro che i bambini romani nati liberi portavano sempre sulla toga praetexta. «E comunque, finché vive mio padre, per la legge sarò sempre minorenne.»
Paride annuì con lo sguardo smarrito: a Roma tutti i poteri spettavano al paterfamilias, il membro più anziano del casato. Fino alla sua morte i figli non godevano di diritti di sorta, tanto che non era infrequente vedere cittadini di età veneranda ancora sottoposti all’autorità di un genitore eccessivamente longevo, mentre chi rimaneva precocemente orfano poteva disporre a piacimento della vita e del patrimonio.
«Tua madre, forse...» esitò Paride, ben sapendo di toccare un argomento delicato.
«È ad Antiochia, col suo quinto marito. Non la vedo da tre anni» escluse Aurelio.
«La kyria Lucrezia, allora!» insistette Paride.
«L’amante di mio padre mi detesta e non cerca nemmeno di nasconderlo. È giovane, bella e ambiziosa, e spera di ottenere chissà quali vantaggi dalla relazione con un potente patrizio. Invece lui la tratta come una serva, e quando è in collera si lascia andare a menar le mani: l’ho sentito molte volte picchiarla nei fumi del vino» disse Aurelio, tacendo delle ore trascorse in ginocchio con l’orecchio incollato alla porta, a spiare la splendida e irraggiungibile matrona. «Lucrezia, lungi dal lamentarsi, ingoia in silenzio qualunque umiliazione, pur di non perdere i suoi privilegi, che invero sono alquanto miseri: una manciata di sesterzi, il permesso di indossare i gioielli di famiglia nelle grandi occasioni e l’uso gratuito di una casetta sul Celio. Quell’illusa è convinta che, se non fosse per me, mio padre si farebbe prima o poi convincere a sposarla, o almeno a intestarle qualche proprietà. A lui, d’altro canto, fa comodo lasciarglielo credere... e mettere avanti il mio nome ogni volta che non desidera aprire il borsellino.»
A Paride tremarono le labbra. «Dunque, non c’è proprio niente che possiamo fare per soccorrere mio padre?»
Davanti all’espressione sgomenta del ragazzino, Aurelio non ebbe animo di deluderlo.
«Riflettiamo un po’, Paride. Magari esiste qualche altra spiegazione per il furto. In effetti l’episodio presenta parecchi lati oscuri» borbottò, cercando di convincere se stesso prima ancora dell’amico. «Per esempio, come sarebbe riuscito tuo padre ad aprire l’arca al buio?».
«Aveva con sé una lucerna, che è andata in pezzi. Dicono che gli sia sfuggita di mano, facendolo scivolare sull’olio e battere la testa contro l’angolo del forziere che stava svuotando.»
«In questo caso, dove avrebbe nascosto il bottino?»
«Nessuno lo sa. Questo, difatti, è l’unico particolare in grado di sollevare dei dubbi sulla sua colpevolezza.»
«Scordatelo, Paride. Sarà facile sostenere che tuo padre si è avvalso dell’aiuto di un complice» scosse la testa Aurelio, deludendo le speranze dell’amico.
«Uno schiavo, magari!»
“O il suo stesso figlio” pensò l’altro, badando bene a tener per sé il suo timore. «Il fatto è che Diomede ha ammesso spontaneamente di essere entrato nella stanza» disse invece.
«Sì, ma soltanto per accertarsi che fosse tutto a posto, prima di andare a coricarsi. E proprio in quel momento è stato colpito alle spalle» lo giustificò Paride.
«Tuttavia non presenta ferite visibili sulla nuca, né alcun segno sufficiente a dimostrare che l’aggressione ha avuto davvero luogo» obiettò Aurelio.
«Aurelio, se affermi questo, significa che nemmeno tu gli credi!» fece il ragazzetto, sconsolato.
«Non ho detto questo» replicò l’amico. «L’assenza di ecchimosi non prova niente. È risaputo, infatti, che certi colpi non lasciano alcuna traccia sulla cute. A carico di tuo padre, però, ci sono altre prove, piuttosto preoccupanti: in che modo, per esempio, Diomede può giustificare la chiave che stringeva in mano, oppure la fibula d’oro scoperta nei vostri alloggi? Aquila, il capo della servitù, l’ha rinvenuta stamattina, nascosta dietro una teca, nel cubicolo dove siete soliti dormire. È un gioiello antico e prezioso, proviene dalla dote di un’antenata e la nostra famiglia lo usava di rado, preferendo conservarlo al sicuro in cassaforte.»
«Ovviamente il vero ladro l’ha messo in mezzo alla nostra roba proprio per incolpare mio padre!» protestò Paride.
«Ma chi poteva avere la chiave del forziere?» gli fece osservare Aurelio. «Per tradizione, il paterfamilias la porta sempre al collo, senza mai affidarla a nessuno. Il segretario Umbricio, tuttavia, è convinto che tuo padre sarebbe stato in grado di farsene una copia di nascosto. Se fosse nel giusto, le cose si metterebbero davvero male!»
«Per quale motivo?»
«Paride, nell’arca è custodito anche il sigillo di rubini degli Aurelii, e questo sigillo equivale alla firma autografa del paterfamilias su qualsiasi documento... Comprendi cosa significa?»
«Ma il sigillo non è stato sottratto! Non possono sancire la condanna di un uomo onesto soltanto su questa base!» insorse il ragazzino.
«Purtroppo c’è anche dell’altro» incalzò a malincuore Aurelio. «Aquila sostiene che tempo fa mio padre aveva ordinato, in gran segreto, una revisione del libro dei conti...»
«E allora?»
«E allora vuol dire che sospettava qualche irregolarità nell’amministrazione.»
«Un controllo?» impallidì il bambino, non osando chiedere che cosa ne era emerso.
«Stai tranquillo, Paride, non è stato appurato alcun illecito» lo tranquillizzò Aurelio, che aveva intuito i pensieri dell’amico.
«Allora possiamo ancora farcela. Ti supplico, Aurelio, parla al dominus non appena sarà di ritorno; cerca di farlo ragionare. Tremo al solo pensiero di cosa potrebbe accadere, se si convincesse della colpevolezza di mio padre. Non sarebbe la prima volta che manda un uomo alla morte! Ricordi Pulvillo?»
Aurelio annuì tristemente: rammentava anche troppo bene quell’episodio. Per avere levato la mano sul padrone, nel tentativo di difendersi dalle sferzate, un povero schiavo era stato condannato alla croce, e i compagni che avevano tentato di difenderlo si erano ritrovati al mercato, in vendita come bestie da soma.
Da allora il rispetto che Aurelio provava per il padre aveva subìto un duro colpo. Messo bruscamente davanti alla violenza e alla vile meschinità del genitore, il giovane aveva cominciato a giudicarlo col rigido metro morale che è proprio degli adolescenti. A poco a poco, anche l’affetto era scemato, come l’acqua che scende goccia a goccia, ma incessantemente, da un vaso all’altro della clessidra.
«Sai bene che tra noi non corre buon sangue; mi ritiene un ribelle e un insubordinato, e crede di poter ottenere la mia obbedienza minacciando di diseredarmi» osservò tristemente il giovane Stazio. «Ma se confida che io, vinto da questi metodi, intenda chinare il capo, bene, rimarrà deluso. Non è con le intimidazioni o con i ricatti che si conquista la stima di un figlio.»
«Tuttavia, gli sarai pure un po’ affezionato...» osò intervenire Paride, che dal canto suo amava profondamente il padre Diomede.
«Perché dovrei?» ribatté Aurelio. «È un codardo, sempre pronto a far la voce grossa con i deboli, mentre non si vergogna di strisciare ai piedi di chi è più potente di lui.»
«Metti da parte i tuoi rancori e parlagli: ti ascolterà, sei il suo unico figlio!» incalzò Paride, con la forza della disperazione.
«Non si direbbe, da come mi tratta» gli rispose Aurelio. «Ho subìto più volte la verga io che molti dei miei servi... Sai che ha dato ordine al pedagogo Crisippo di battermi ogni volta che lo ritiene necessario? E ti assicuro che quella vecchia mummia non si risparmia: crepa di rabbia per essere trattato come uno schiavo qualunque, lui che ha studiato coi migliori maestri; così, non potendo prendersela col padrone, sfoga i suoi risentimenti sul figlio di costui.»
«So quanto ti costa chiedere un favore a tuo padre, ma fallo per me!» supplicò ancora l’amico.
«Va bene. Per l’amicizia che ci lega, metterò da parte il mio orgoglio e cercherò di ottenere qualcosa.»
«Gli chiederai pietà?»
«Sarebbe inutile, Paride. Mio padre è irascibile e vendicativo, e quando monta in collera non sente ragioni. Per convincerlo dell’innocenza di Diomede, dovremo portargli qualche prova, e anche in questo caso non è detto che ci ascolti. Purtroppo Aquila ha chiuso a chiave il tablino; di conseguenza, ci è impossibile ispezionarlo.»
«Però io ho raccolto dall’immondizia i pezzi della lucerna che si è rotta; forse potrebbero rivelarsi utili. Ce li ho qui, guarda!»
«Fa’ vedere!» disse Aurelio, prendendo in mano i cocci per osservarli minutamente. «Ecco subito un particolare abbastanza bizzarro: parecchie schegge sono ancora unte d’olio, tuttavia risultano ruvide al tatto, come se ci fosse rimasto attaccato qualcosa» osservò, facendo passare l’indice sui frammenti di terracotta.
«Forse è polvere.»
«No, i granelli sono troppo grossi. Sabbia, piuttosto.»
«È un indizio importante?»
«Sì» affermò il ragazzo con voce eccitata. «Significa che molto probabilmente tuo padre ha detto la verità! Se Diomede fosse stato colpito con un sacchetto di sabbia, le tracce sulla nuca potrebbero non notarsi affatto. Mi sembra evidente che il vero ladro ha usato proprio un’arma simile per stordirlo, senza accorgersi che nell’impatto la stoffa si era rotta, lasciando cadere un filo di sabbia sul pavimento. Quando la lampada ci è caduta sopra, i granelli si sono attaccati all’olio caldo.»
«Bravo!» esclamò Paride, illuminandosi tutto.
Aurelio sorrise, rinfrancato. A dire il vero non era sicuro che quanto aveva così brillantemente dedotto rispondesse a verità, ma non poteva certo assillare coi suoi dubbi il giovane compagno, già tanto turbato.
«Sento che siamo sulla strada giusta» gli disse per rinfrancarlo. «Dobbiamo andare avanti!»
«E come?» chiese il fanciullo, perplesso.
«Prima di tutto, impadronendoci della f...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Di Danila Comastri Montanari
  3. Cave Canem
  4. Prologo
  5. I
  6. II
  7. III
  8. IV
  9. V
  10. VI
  11. VII
  12. VIII
  13. IX
  14. X
  15. XI
  16. XII
  17. XIII
  18. XIV
  19. XV
  20. XVI
  21. XVII
  22. XVIII
  23. Epilogo
  24. Glossari
  25. Copyright