La vita avventurosa di Alighiero Boetti
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La vita avventurosa di Alighiero Boetti

  1. 40 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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La vita avventurosa di Alighiero Boetti

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Boetti e l'Afghanistan, gli arazzi ricamati e l'Arte Povera. Torino, le notti romane e il nomadismo. L'amicizia con Schifano e i viaggi inseguendo l'antenato settecentesco: il missionario Giovanni Battista Boetti che si fece profeta e divenne «Mansur». La passione per il doppio: AB, Alighiero & Boetti, l'io scisso che ricalca una sigla commerciale. Non manca niente, in questa «vita avventurosa», che Corrias ripercorre magistralmente scandagliando le opere e raccogliendo testimonianze, non lasciandosi sfuggire nulla di un artista che sapeva «incastonare pensieri in quadrati di parole, mettere al mondo il mondo, cercare l'acqua e il fuoco nel cuore delle cose, trovare labirinti senza scampo, trovare vie d'uscita».

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852036354

La vita avventurosa di Alighiero Boetti

Alighiero Boetti ricamò due volte la vita. Fu malinconico e felice. Incantato dagli incontri e solitario. Fu padre tre volte e figlio quasi sempre. Visse a Torino, a Parigi, a Roma, a Kabul. In giro per il mondo e ritorno. Amò le donne, la velocità, i soldi e i tramonti. Amò il deserto e la sua geografia mentale. Fu nomade e stanziale. Avventuroso sempre. Si ammalò. Visse gli ultimi mesi su una terrazza di via del Teatro Pace, accanto a piazza Navona, seduto su una sedia al sole, tra un grande cactus, una palma obliqua e certi rimpianti.
Il tempo non gli è stato amico. Eppure aveva conservato per lui il doppio fondo di un antenato, Giovanni Battista Boetti, XVIII secolo, frate domenicano, viaggiatore tra gli afgani, i curdi e gli sciiti del futuro Iraq, eroe del Caucaso, che dichiarò guerra a Caterina di Russia. Insanguinò il Daghestan. Sparì in Siberia, morì facendosi leggenda d’altopiano ceceno. Giungendo, da allora, fino alle lontananze torinesi di Alighiero che nel bel mezzo della giovinezza, mentre ammirava i paesaggi a olio di Nicolas de Staël, se ne sentì sfiorato, fino a pensarsi doppio. E il doppio, da allora, gli ha sempre tenuto compagnia.
Alighiero Boetti nasce a Torino il 16 dicembre 1940. Padre avvocato, madre esperta in gentilezze & ricami per corredi matrimoniali di ragazze bene, e in esercizi col violino. Corrado e Adelina. Famiglia di ricchezza in cenere e vividi rimpianti. Con proprietà terriere nel Monferrato – un toro con tre stelle era il sigillo del casato dei trapassati conti Boetti – sperperate da un paio di antenati e un nonno (specialmente) caduto a trent’anni da cavallo, diventato cieco, affamato di vita, e da allora fino alla fine parigino a vincere tristezze tra i profumi d’anice dei café chantant per farsi consolare dalle ballerine, fino al sonno.
Lui al battesimo: Alighiero Fabrizio, non essendoci un santo disponibile per il primo nome. Fratello maggiore di Gualtiero. Infanzia svuotata dall’addio del padre che a fine guerra se ne va con gesto di piccola commedia: in fuga con la cameriera, lasciando un po’ di spiccioli sul tavolo da cucina, come una mancia. In cambio della quale vivrà di solitudine e rancori, detestato dalla ex moglie che non riusciva a perdonarsi il rimpianto, ignorato dai figli, che lo incontravano qualche volta, come una penitenza, al ristorante Caval ’d Brôns, sul tavolo agnolotti, rimproveri e sarcasmo.
Alighiero già preso dalla sua diagonale fino al completo silenzio riflessivo dell’adolescenza. Ascolta musica. Vuole fare il direttore di orchestra. Suona i tamburi. Sente il ritmo. Lo mette anche nel suo modo di camminare. È capace di leggere in velocità Tolstoj e Faulkner, ma a modo suo, saltando capitoli, intercettando La montagna incantata di Thomas Mann, sempre aprendo a caso, alla maniera fatalista dell’I Ching, come avrebbe fatto per sempre, sapendosi capace di riconoscere, in un solo capitolo, le sue «felici coincidenze» da trasformare in un’idea. L’idea in un’immagine. L’immagine in un progetto.
All’alba dei Sessanta, Torino moltiplica i capannoni, la nebbia e gli immigrati. La città si muove verso la periferia, scandisce il tempo sugli orologi della Fiat. Ai bordi nascono coree. Nel centro storico si annodano i primi ingorghi, triplicano i semafori, sbocciano profumerie in plastiche e cristallo e nelle vecchie gallerie d’arte si alzano le quotazioni di Felice Casorati. Ma il miracolo economico irradia energie, accelera impazienze.
Alighiero, che si è appena iscritto a Economia e Commercio, memorizza l’essenziale del denaro, «la colonna dei più e quella dei meno», che gli rimarrà impressa per gli anni a venire. Tutto il resto della facoltà lo annoia. La musica non gli basta. Cerca significati nelle cose. Ha baffi a manubrio e capelli lunghi. Guida una Cinquecento bianca. Viaggia da solo nei dintorni, cerca mercati e antiquariato per alimentare col commercio (comprare a poco, vendere a un po’ di più) quella doppia colonna che altrimenti resterebbe vuota. Si spinge sulla Costa Azzurra, risale la Provenza. Approda tra le botteghe di Vallauris, il paese delle ceramiche e di Picasso che fino al 1955 cuoceva maioliche nella fornace di Madoura, prima di scendere a Cannes e poi a Vauvenargues con la nuova moglie Jacqueline Roque. Alighiero compra ceramiche, vasi, teiere. Le infila tra i sedili della Cinquecento con carta di giornale e cartoni. Mangia sandwich al volo. Beve calici di Bandol. Poi si innamora.
Accade dietro alla porta a vetri del laboratorio di La Ferrade. Accade nel mese di agosto, dell’anno 1962, nel giorno 11 che è poi il primo numero doppio e gemellare che si incontra. Il caldo è soffocante, 40 gradi, i forni sono accesi, lui la vede per la prima volta e la riconosce, gli occhi neri, i capelli nouvelle vague, la giovinezza parigina. Lei si specchia nel suo stupore. Ha un mancamento per il caldo. Alighiero ci legge l’emozione. Lei si gira e cade per terra come fanno i foulard nelle storie d’amore. Accorrono dalla fornace. Accorre Alighiero: come si chiama l’angelo caduto? Si chiama Annemarie Sauzeau.
Molte vite passate da allora in questi cinquantun’anni, ma ancora riverbera quel caldo (e il mancamento) negli occhi odierni di Annemarie, seduta in nero tra gli scaffali bianchi dell’Archivio Boetti, quando racconta di quel giorno che innalzò il sipario sui molti bivi a venire, un ma...

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  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La vita avventurosa di Alighiero Boetti
  4. Copyright