Storia della filosofia greca - 1. I presocratici
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Storia della filosofia greca - 1. I presocratici

  1. 238 pagine
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Storia della filosofia greca - 1. I presocratici

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In pagine accessibilissime, brillanti, scanzonate, vita e pensiero dei più antichi filosofi, da Talete a Gorgia di Lentini. Un importante successo editoriale.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852037450
LUCIANO DE CRESCENZO

STORIA DELLA
FILOSOFIA GRECA

I presocratici


 
 
I libri di Paolo Caruso
Mondadori

Storia della filosofia greca
I presocratici

Queste cose scrivo, come a me sembrano
vere, perché i racconti dei greci sono, per
quanto a me pare, molti e risibili.
ECATEO fr. 1 JACOBY
Cartina della Grecia italiana
Fig. 1 - La Grecia italiana

Prefazione

Caro Salvatore,1
tu sei un filosofo e non lo sai. Sei un filosofo perché hai un modo del tutto personale di affrontare i problemi della vita. Ciò premesso, io credo che possa esserti utile conoscere la Storia della Filosofia Greca, ed è per questo motivo che ho deciso di scriverne una a tuo uso e consumo. Il mio tentativo sarà quello di raccontare con parole semplici il pensiero e la vita dei primi filosofi.
Perché i greci? Cominciamo col dire, caro Salvatore, che tu non sei italiano, ma greco. Sissignore, ripeto greco e sarei tentato di aggiungere «ateniese». La Grecia, se intesa come modo di trascorrere la vita, è un grandissimo paese mediterraneo, fatto di sole e di conversazione, che, per quanto riguarda la nostra penisola, si estende più o meno fino alle rive del Volturno (vedi fig. 1). Oltre questo confine, geografico e di comportamento, vivono i romani, gli etruschi e i mitteleuropei, tutta gente alquanto diversa da noi e con la quale non sempre è possibile instaurare un dialogo. Per capire meglio l’essenza di questa diversità, t’invito a riflettere su un verbo, esistente nella lingua greca, che, non avendo corrispettivi in nessuna altra lingua, è di fatto intraducibile, a meno che non si voglia ricorrere a delle frasi complesse. Questo verbo è «agorazein».
«Agorazein» vuol dire «recarsi in piazza per vedere che si dice» e quindi parlare, comprare, vendere e incontrare gli amici; significa però anche uscire di casa senza un’idea precisa, gironzolare al sole in attesa che si faccia ora di pranzo, in altre parole «intalliarsi», come si dice dalle nostre parti, ovvero attardarsi fino a diventare parte integrante di un magma umano fatto di gesti, di sguardi e di rumori. «Agoràzonta», in particolare, è il participio di questo verbo e descrive il modo di camminare di colui che pratica l’«agorazein», e cioè il procedere lento, con le mani dietro la schiena e su un percorso quasi mai rettilineo. Lo straniero che, per motivi di lavoro o di turismo, si trovasse di passaggio in un paese greco, sia esso Corinto o Pozzuoli, resterebbe molto stupito nel vedere un così folto numero di cittadini camminare su e giù per la strada, fermarsi ogni tre passi, discutere ad alta voce e ripartire per poi fermarsi di nuovo. Egli sarebbe portato a credere di essere capitato in un particolare giorno di festa, laddove invece assiste a una comune scena di «agorazein». Ebbene, la filosofia greca deve molto a questa abitudine peripatetica dei meridionali.
«Caro Fedro,» dice Socrate «dove vai e da dove vieni?»
«Ero con Lisia, il figlio di Cefalo, o Socrate,» risponde Fedro «e ora me ne vado a spasso fuori le mura. Così, su consiglio dell’amico comune Acumeno, faccio i miei quattro passi all’aria aperta, perché, dice, rinvigoriscono più che passeggiare sotto i portici.»
Ecco come comincia uno dei più bei dialoghi di Platone: il Fedro. La verità è che questi ateniesi non facevano niente di produttivo: passeggiavano, conversavano, si chiedevano cosa fosse il Bene e il Male, ma quanto a lavorare, a costruire qualcosa di pratico da poter vendere o usare, neanche a parlarne. D’altra parte non ci dimentichiamo che a quell’epoca Atene contava 20.000 cittadini e la bellezza di 200.000 individui di serie B, tra schiavi e meteci.2 C’era quindi chi pensava a lavorare e a mandare avanti la baracca. In compenso, loro, gli ateniesi, non ancora contagiati dal virus del consumismo, si accontentavano di poco e si potevano dedicare ai piaceri dello spirito e della conversazione.
Ma torniamo alla filosofia e al perché di questo mio tentativo.
La filosofia è una pratica indispensabile del vivere umano, utile ad affrontare i problemi spiccioli di ogni giorno, il cui studio, purtroppo, non è stato reso obbligatorio come il servizio di leva. Dipendesse da me, la includerei nei programmi della scuola media; temo invece che, considerandola una materia superata dai tempi, la si voglia sostituire con le più di moda «scienze umane e sociali». È un po’ come se si volesse abolire lo studio dell’aritmetica dal momento che i salumieri fanno i conti col computer.
Ma cos’è questa filosofia? Be’, così su due piedi non è poi tanto facile darne una definizione. L’uomo ha raggiunto, le più alte vette di civiltà attraverso due discipline fondamentali: la scienza e la religione. Ora, mentre la scienza, facendo ricorso alla ragione, studia i fenomeni della natura, la religione, soddisfacendo un intimo bisogno dell’animo umano, cerca qualcosa di assoluto, qualcosa che superi la capacità di conoscere attraverso i sensi e l’intelletto. Ebbene, la filosofia è una cosa che sta a mezza strada tra la scienza e la religione, più vicina all’una o all’altra a seconda che si abbia a che fare con i filosofi cosiddetti razionalisti, o con quelli più inclini a una visione mistica delle cose. Per Bertrand Russell, filosofo inglese di scuola razionalista, la filosofia è una specie di Terra di Nessuno, tra la Scienza e la Teologia, ed esposta agli attacchi di entrambe.
Tu, Salvatore carissimo, non avendo fatto le scuole superiori, di filosofia non ne sai proprio niente. Ma non ti avvilire: non sei il solo. La verità è che di filosofia non ne sa niente nessuno. In Italia, tanto per fare un esempio, su 56 milioni d’individui, sì e no 150.000 riuscirebbero a mettere insieme quattro parole sulle differenze sostanziali tra il pensiero di Platone e quello di Aristotele (in pratica i professori di filosofia e gli studenti in questo momento sotto esame). La maggior parte degli altri, con un passato di studi classici, si limiterebbe a parlare di amore platonico e ti direbbe che si tratta di quel tipo di rapporto sentimentale tra un uomo e una donna dove purtroppo non si va a letto insieme, laddove sull’argomento il buon Platone aveva idee molto più larghe e disinvolte.
Se la filosofia costituisce una specie di «buco nero» nella preparazione culturale media degli italiani, ci dovrà pur essere qualcuno a cui addebitare la colpa; ora, a mio avviso, il maggior imputato non è tanto la materia, di per sé ostica e incomprensibile, quanto gli specialisti del settore che, volutamente e di comune accordo, hanno deciso di non farla conoscere troppo in giro. Ovviamente non ho letto tutte le storie della filosofia stampate in Italia, comunque, fra quelle capitatemi tra le mani, a eccezione della Storia della Filosofia Occidentale di Bertrand Russell, ho sempre incontrato serie difficoltà a decifrare la prosa specializzata dei professori. A volte mi viene il sospetto che gli autori abbiano scritto più per i colleghi che non per gli studenti di filosofia.
Questa del linguaggio tecnico è un’antica jattura che invade ogni ramo del sapere (stavo per dire «dello scibile umano», poi mi sono ricordato che tu non hai nessuna idea di che cosa sia «lo scibile», e allora ho preferito usare un vocabolo più terra terra). Infatti, da che mondo è mondo, c’è sempre stato qualcuno che ha pronunciato un suo «abracadabra» per fare colpo sui non addetti ai lavori. Si comincia con i sacerdoti egiziani di 5000 anni fa e si continua con tutte le specie di stregoni e di azzeccagarbugli possibili, per finire ai nostri primari di ospedale che, quando vengono intervistati alla TV non dicono mai «febbre», ma preferiscono usare un più sofisticato «temperatura corporea».
Il linguaggio specializzato paga, rende importanti e aumenta il potere di chi lo usa. Oggi non esiste gruppo, associazione o confraternita che non abbia il suo linguaggio tecnico. Il malvezzo non ha limiti. Negli aeroporti, ad esempio, se si deve annunziare un ritardo nelle partenze, la frase di rito è questa: «A causa del ritardato arrivo dell’aeromobile il volo AZ 642 eccetera eccetera». Ora io vorrei sapere da quel funzionario che per primo stilò l’annunzio, se lui, a casa sua, quando deve fare un viaggio, è solito usare lo stesso linguaggio con la moglie. «Caterì, domani mattina debbo andare a Milano, prenderò l’aeromobile delle nove e cinquantacinque.» Nossignore: lui con la moglie userà il termine «aereo», riservando a noi, poveri utenti, la parola «aeromobile», e questo perché sa che di fronte a un vocabolo inconsueto come «aeromobile» il viaggiatore comune cade in uno stato di profonda soggezione e non ha più il coraggio di protestare per il ritardo; quasi come se uno gli dicesse: «Ma che ne vuoi capire tu di ritardi, ignorante che non sei altro! Ti rendi conto che non sai nemmeno come è fatto un aeromobile! Statti zitto e ringrazia Dio che ti rivolgiamo pure la parola!».
Altri esempi: quando a Napoli ci fu il colera, la colpa fu data alle cozze; in televisione però le cozze furono chiamate mìtili e allora successe che tutti i napoletani, non sapendo che cosa fossero i mìtili, continuarono imperterriti a mangiare le cozze. Un’altra volta, ero a casa del mio sarto, Saverio Guardascione, e stavo guardando il telegiornale insieme allo stesso Saverio e a Papiluccio, un bastardino trovato all’Arenaccia il giorno dopo il terremoto. Disse lo speaker: «... l’evaso è stato catturato con l’ausilio delle unità cinofile...». Al che Saverio mi chiese: «Prufessò, che sò st’unità cinofile?». «Sono i cani» risposi io, cercando di semplificare il concetto. «Gesù Gesù,» esclamò Saverio «e io tenevo un’unità cinofila da più di un anno e nunn’’o sapevo!» Papiluccio capì che stavamo parlando di lui e mosse la coda in segno di gratitudine.
Dei politici poi non ne parliamo! Sono la quintessenza del parlare difficile usato ai fini della conservazione del potere. Una volta ne ho sentito uno dire in televisione che «indubbiamente in Italia abbiamo un problema della moneta divisionale parzialmente risolto da un’emissione cartacea sostitutiva». Voleva dire che non si trovavano più spiccioli e che ci si arrangiava con i miniassegni. Ebbene, credimi, io lo avrei denudato in diretta e lo avrei frustato finché non avesse pronunziato correttamente la frase in questione! Il guaio è che gli specialisti del sapere temono che un’eventuale semplicità di espressione possa essere scambiata per ignoranza. Non ti dico poi quando si accorgono che vuoi trattare la loro materia con troppa disinvoltura: ti bollano subito con la qualifica di «divulgatore» e storcono la bocca e arricciano il naso, come se il verbo «divulgare» emanasse chissà quale puzza insostenibile. La verità è che tutti costoro non amano il prossimo e che tengono di più alla propria immagine che non alla diffusione del sapere.
In Italia siamo i maestri della noia applicata alla cultura; per capirla basta visitare uno dei nostri musei: immensi corridoi, sempre uguali e sempre deserti, sculture e quadri priv...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. di Luciano De Crescenzo
  3. Storia della filosofia greca - 1. I presocratici
  4. Prefazione
  5. Avviso
  6. I. I Sette Savi
  7. II. Mileto
  8. III. Talete
  9. IV. Anassimandro
  10. V. Anassimene
  11. VI. Peppino Russo
  12. VII. Pitagora Superstar
  13. VIII. Eraclito l’oscuro
  14. IX. Tonino Capone
  15. X. Elea
  16. XI. Senofane
  17. XII. Parmenide
  18. XIII. Zenone
  19. XIV. Melisso
  20. XV. Agrigento
  21. XVI. Empedocle
  22. XVII. Gennaro Bellavista
  23. XVIII. Atene nel quinto secolo
  24. XIX. Anassagora
  25. XX. Leucippo
  26. XXI. Democrito
  27. XXII. I sofisti
  28. XXIII. Protagora
  29. XXIV. Gorgia da Leontini
  30. XXV. L’avvocato Tanucci
  31. Copyright