Prefazione
1 Nel corso di tutto il libro si cercherà, per quanto possibile, di utilizzare il termine «neutro» di individuo e non le sue declinazioni al maschile e al femminile. Questo perché, a dispetto dei frequenti riferimenti alle relazioni eterosessuali, quello che qui ci interessa è mostrare come la pornografia (eterosessuale o omosessuale che sia) presenti caratteristiche che la distinguono qualitativamente dall’erotismo. L’individuo è sempre uomo o donna indipendentemente dai suoi orientamenti sessuali, nella misura in cui è difficile negare l’evidenza della differenza anatomica tra i sessi.
2 Michel Foucault, La volontà di sapere. Storia della sessualità I, Feltrinelli, Milano 1988, p. 18.
3 Ibid., p. 69.
4 «Parlare contro i poteri, dire la verità e promettere il godimento; legare l’una all’altra l’illuminazione, la liberazione e innumerevoli voluttà; fare un discorso in cui si uniscono l’ardore del sapere, la volontà di cambiare la legge ed il giardino sperato delle delizie – ecco probabilmente che cosa sorregge in noi l’accanimento a parlare del sesso in termini di repressione» (ibid., pp. 12-13).
5 «Questo sarebbe il carattere specifico della repressione, e quel che la distingue dai divieti che mantiene la semplice legge penale: funziona certo come condanna alla disparizione, ma anche come ingiunzione di silenzio, affermazione d’inesistenza, e dunque constatazione che di tutto ciò non c’è niente da dire, né da vedere, né da sapere» (Michel Foucault, La volontà di sapere, cit., pp. 9-10).
6 David H. Lawrence, Oscenità e pornografia, Passigli, Firenze 2004, p. 19.
7 Gilles Deleuze, La letteratura e la vita, in Critica e clinica, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996, p. 14.
8 Michel Foucault, L’uso dei piaceri. Storia della sessualità II, Feltrinelli, Milano 1991, p. 10.
9 Ibid., p. 11.
10 Ibid., p. 9.
11 Gilles Deleuze, Foucault, Cronopio, Napoli 2009, p. 132.
12 Ibid., p. 133.
13 Come scrive Kant nella Fondazione della metafisica, si deve sempre agire in modo da trattare l’umanità sempre e ad un tempo come fine e mai semplicemente come mezzo (II, 4).
14 «Rinunciare alla propria libertà significa rinunciare alla propria qualità di uomo, ai diritti dell’umanità, e perfino ai propri doveri» (Jean-Jacques Rousseau, Il contratto sociale, Feltrinelli, Milano 2003, p. 71).
15 Quando si parla di «eteronomia», ci si riferisce in generale allo stato della volontà che attinge al di fuori di se stessa, negli impulsi o nelle regole sociali, il principio della propria azione.
16 È all’interno di questo quadro che si può comprendere come la rinuncia assoluta al proprio «io» cui si riferisce Sacher-Masoch nei suoi «contratti» con Wanda de Dunaiv rappresenta l’abdicazione totale non solo della propria libertà, ma anche della propria autonomia. Nel famoso Contratto tra Wanda e Sacher-Masoch, la donna accetta Sacher-Masoch come schiavo a condizione che rinunci completamente al suo sé. Poiché: «Non avrete altra volontà oltre la mia. Fra le mie mani siete un cieco strumento che esegue i miei ordini senza discuterli. [...] Come il vostro corpo, anche la vostra anima mi appartiene e, anche se vi capitasse di soffrire molto, voi dovete sottoporre alla mia autorità le vostre sensazioni e sentimenti. [...] Non avrete nulla al di fuori di me; per voi sono tutto: la vostra vita, il vostro futuro, la vostra felicità, la vostra infelicità, il vostro tormento e la vostra gioia [...]. Se vi accadesse di non poter più sopportare il mio dominio [...], dovrete uccidervi: non vi renderò mai la libertà» (Sacher-Masoch, Choses vécues, in «Revue Bleue», 1888, in Gilles Deleuze, Presentazione di Sacher-Masoch, Bompiani, Milano 1978, pp. 148-49).
17 Georg Simmel, Quelques réflexions sur la prostitution dans le présent et dans l’avenir, in Philosophie de l’amour, Rivages, Paris 1988.
18 Sostenere che il corpo non è un oggetto a totale disposizione dell’individuo, senza per questo negare che ognuno di noi utilizzi quotidianamente e a giusto titolo il proprio corpo, è una posizione estremamente difficile da difendere, se non si vuole, da un lato, rinchiudersi all’interno del pensiero kantiano e nemmeno, dall’altro, abbracciare la posizione di chi fa del corpo una mera «proprietà» individuale. Seguire completamente Kant e la sua esplicita condanna di qualsiasi strumentalizzazione del corpo ci farebbe perdere di vista il fatto che il corpo e la sua materialità ci definiscono allo stesso titolo della razionalità e della coscienza. Per Kant, in effetti, disporre del proprio corpo significa disporre della propria persona, e disporre della propria persona come di una semplice cosa produce una degradazione della propria umanità (cfr. in particolare: Immanuel Kant, Lezioni di etica, Laterza, Bari 1971). Ma adottare alla lettera il suo punto di vista produrrebbe l’effetto di svalutare il corpo, considerato da Kant anche e soprattutto fonte di tutte le «inclinazioni». D’altra parte, accettare una posizione come quella di Robert Nozick, che considera il corpo come una proprietà dell’individuo, avrebbe l’effetto di ridurre il primo a una semplice cosa di cui il secondo potrebbe disporre totalmente fino all’alienazione e, al limite, fino a una forma di «servitù volontaria». Si veda in proposito: Robert Nozick, Anarchia, Stato e utopia. I fondamenti filosofici dello «Stato minimo», Le Monnier, Firenze 1981; The Examined Life, Simon and Schuster, New York 1989.
19 Étienne de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, Jaca Book, Milano 1979.
20 Ma il fatto di voler spiegare tutto non deriva forse anch’esso da una forma di onnipotenza, la stessa che gli psicoanalisti si sforzano di combattere in nome della realtà? Tanto che si trovano curiosamente presi all’interno di un doppio vincolo: salvaguardare i limiti del reale che arginano i fantasmi dell’onnipotenza e, nello stesso tempo, tentare di ricondurre tutto al rapporto genitori/figli nella prima infanzia...
21 Come sottolinea Étienne de la Boétie: «Un popolo, dopo esser stato sottomesso, sprofonda subito in una tale dimenticanza della libertà che non è più possibile risvegliarsene per riacquistarla, ma serve così di buon grado il tiranno che a vederlo si direbbe non già che ha perso la sua libertà ma che si è guadagnato la sua servitù» (Étienne De la Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, cit., p. 80). Tuttavia, come l’autore sottolinea più volte, questo non impedisce che «è impossibile tenere qualcuno in schiavitù senza fargli un grande torto [...]. La libertà è naturale e a mio giudizio siamo nati non solo padroni della nostra libertà ma anche dotati della volontà di difenderla. Ora, se per caso qualcuno nutrisse ancora dei dubbi su questo e si fosse talmente depravato da non riconoscere più nemmeno i beni della propria natura umana e gli affetti che gli sono originari, è necessario render...