In viaggio con le melagrane
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In viaggio con le melagrane

Madre e figlia alla scoperta di un dialogo nuovo

  1. 264 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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In viaggio con le melagrane

Madre e figlia alla scoperta di un dialogo nuovo

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Informazioni sul libro

Tra il 1998 e i l 2000 Sue Monk Kidd, l'autrice nota in tutto il mondo per il bestseller La vita segreta delle api, e la figlia Ann Kidd Taylor si trovarono a viaggiare insieme attraverso l'Europa toccando una serie di luoghi sacri dalla Grecia alla Francia. Questo libro è il diario a due voci del loro percorso, un itinerario non solo fisico ma soprattutto interiore. Ciascuna delle due donne, infatti, attraversava un momento importante del la propria vita: la madre, in crisi creativa, sempre più consapevole del lo scorrere inesorabile del tempo, desiderosa di ricostruire il rapporto con una figlia ormai adulta, e quasi inseguita dal ronzio di un'idea, quel la di uno sciame di api e di un nuovo romanzo; la figlia, da poco laureata, ferita da un amore infelice, ancora incerta su cosa fare "da grande". L'intimità del viaggio e la magia dei luoghi visitati - da Atene al santuario di Eleusi, fino a Parigi e alla cappella della Madonna Nera di Rocamadour - spingono le due donne, quasi una sorta di Demetra e Persefone dei nostri tempi, a riflessioni anche drammatiche e ricche d'ispirazione, portandole alla scoperta di se stesse e di un nuovo modo, più profondo, più intimo e creativo, di stare insieme.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852033490

PERDITA

Grecia - Turchia - Carolina del Sud

1998-1999

Sue

Museo archeologico nazionale (Atene)

Grecia. Seduta su una panca del Museo archeologico nazionale guardo Ann, mia figlia ventiduenne, che sistema la macchina fotografica davanti a un bassorilievo di marmo di Demetra e Persefone, inconsapevole del balletto cui sta dando vita: i passi lenti e precisi, l’inclinazione della testa, il modo in cui si flette su un ginocchio mentre gira il torso e si piega nella luce intensa del pomeriggio. La scena mi fa venire in mente qualcosa, forse un ricordo, che però non riesco a individuare. So solo che la trovo bellissima e incredibilmente cresciuta, e per qualche ragione che non mi è chiara mi coglie un acuto senso di perdita.
È l’estate del 1998, mancano pochi giorni al mio cinquantesimo compleanno. Ann e io siamo ad Atene da ventisette ore, e gran parte del tempo l’ho trascorsa distesa sveglia in una stanza dell’albergo Grande Bretagne, in attesa della benedetta luce del giorno. Mi dico che il senso di privazione che mi ha travolto non significa nulla, che è il jet lag, ecco tutto. Ma non mi sembra particolarmente convincente.
Chiudo gli occhi e nel trambusto del museo, con dieci turisti per centimetro quadrato, mi rendo conto che in realtà questa sensazione è tutto. È la ragione nascosta dietro questo viaggio con mia figlia dall’altra parte del mondo. Perché per qualche irragionevole motivo sento di averla persa. Perché è diventata grande ed è una sconosciuta. E sento la sua mancanza quasi con violenza.
In origine il nostro viaggio in Grecia doveva essere un regalo di compleanno per me, e di laurea per Ann. La stravagante idea mi era saltata in mente sei mesi prima, quando avevo iniziato a rendermi conto che stavo per compiere cinquant’anni e, per la prima volta, avevo sentito l’ouverture della fine.
A quel tempo me ne restavo davanti allo specchio del bagno ad analizzare le nuove rughe e i cedimenti intorno agli occhi e alla bocca come un sismologo che studia le placche tettoniche instabili. Era un periodo in cui frugavo tra gli album di fotografie alla ricerca d’immagini di mia madre e di mia nonna a cinquant’anni, per esaminarne i visi e confrontarli col mio.
Sono superiore a queste cose, è naturale. Non potevo essere una di quelle donne che si aggrappano a un’apparenza giovanile. Non riuscivo a capire perché reagissi con tanta superficialità e terrore alla prospettiva di invecchiare, doveva esserci dell’altro, oltre alle incisioni che il tempo mi lasciava sulla pelle. Mi dilettavo con la logica della vanità, o forse mi dedicavo ossessivamente al viso per sfuggire all’anima? Peraltro non c’era stanza che non mi sembrasse terribilmente calda. Di notte vagavo per lunghi corridoi insonni. A quarantanove anni il mio corpo aveva assunto atteggiamenti confusi e ribelli.
E non erano gli unici segnali della mia prossima migrazione in un universo nuovo. Mentre osservavo tali evoluzioni allo specchio, mi ha preso l’irresistibile desiderio di abbandonare i vecchi luoghi – una cittadina settentrionale della Carolina del Sud dove avevamo vissuto per ventidue anni – e di trasferirmi in uno scenario nuovo. Immaginavo un luogo appartato, tranquillo e selvatico, vicino all’acqua, all’erba di palude e al ritmo delle maree. Con un atto di coraggio o di sconsideratezza, oppure per una perfetta combinazione delle due cose, mio marito Sandy e io abbiamo messo in vendita la nostra casa e ci siamo trasferiti a Charleston, dove sopravvivevamo in un minuscolo bilocale cercando nel frattempo questo luogo magico e necessario. Non ho mai detto esplicitamente di ritenerlo un obbligo assoluto per la mia anima e la mia creatività (come avrei potuto spiegarlo?), ma vi assicuro che ero convinta lo fosse.
Percepivo che la mia scrittura aveva prodotto dei semi. Era come un campo tenuto a riposo. Mi sembrava di non poter più scrivere come prima. Sentivo che la mia vita creativa era arrivata a un punto fermo, e c’era qualcosa che tentava con prepotenza di aprirsi un varco. Avevo come un’ossessiva sensazione di dover scrivere un romanzo, di cui tuttavia non sapevo quasi nulla. Francamente, il tutto mi terrorizzava.
Siamo rimasti stipati nel minuscolo appartamento così a lungo da iniziare a pensare che dovevamo aver perso la ragione per decidere di buttar via la nostra vecchia vita confortevole, ma un giorno che ero da sola in macchina ho preso una curva sbagliata che conduceva a una palude salmastra. Ho fermato l’auto davanti al cartello VENDESI su un terreno vuoto, sono scesa e ho fissato con lo sguardo la distesa ondeggiante d’erba spartina e l’insenatura in cui s’incuneava la marea. C’era bassa marea. La pianura fangosa scintillava di gusci d’ostrica su cui planavano aironi bianchi come pennacchi di fumo. Il cuore mi batteva selvaggiamente. Appartengo a questo posto. Forse, se avessi vissuto qui, la mia creatività si sarebbe schiusa come uno di quei gusci. O avrebbe rotto gli argini come la marea, traboccante e amniotica. In momenti come quello il desiderio di far sgorgare una voce nuova, un’intima ricchezza, finiva per travolgermi.
Ho chiamato Sandy: «Sono nel posto in cui dobbiamo venire a vivere».
Lui – a suo imperituro merito – non mi ha detto: “Non pensi che lo dovrei vedere prima anch’io?” e nemmeno: “Cosa vuoi dire? Non sai quanto costa?”. Ha percepito la convinzione e il desiderio nelle mie parole e, dopo una lunga pausa, ha risposto: «Ok, se proprio dobbiamo».
Qualche giorno dopo sono andata in un negozio e ho comprato un quaderno di pelle rossa. Vuoto e immacolato com’era, l’ho portato sul terreno della palude salmastra dove avevamo deciso di costruire la casa. I lavori non erano iniziati, mancava ancora qualche mese. Mi sono seduta su un asciugamano da spiaggia sbiadito sotto una palma nana e ho cominciato a stendere una lista delle “Cento cose da fare prima di morire”. La prima era una corsa di dieci chilometri, la seconda un giro in Toscana in pallone aerostatico. Non mi piaceva correre e non avevo desiderio alcuno di viaggiare in pallone. Ho voltato pagina.
Poi mi sono messa a scrivere dell’invecchiare di una donna e dell’angoscia che lo accompagna. Dei piccoli, ma significativi “tradimenti” del mio corpo. Della misteriosa immobilità della mia scrittura, come in stallo, accompagnata dal dolore per un destino non vissuto. Ho scritto dei sentimenti grezzi e indefiniti che scorrevano dentro di me, del mio bisogno di liberarmi e trasferirmi, di semplificare radicalmente la mia vita distillandola e attribuendole un significato nuovo e sconosciuto. E perché, mi chiedevo, stavo pensando per la prima volta alla mia natura mortale? Talvolta il pensiero della morte mi scavava nel cuore così in profondità che gli occhi mi si colmavano di lacrime quando mi rendevo conto delle piccole cose quotidiane che mi sarebbero mancate.
Alla fine ho scritto una serie di domande: “Esiste un’odissea che l’anima femminile desidera compiere avvicinandosi ai cinquant’anni? Un’odissea ormai sfocata e perduta in una cultura terribilmente lontana dall’anima? E, dando per scontato che esista, di che tipo di viaggio si tratta? Dove conduce?”.
L’impulso di andare in Grecia è emerso da queste domande. Mi aveva afferrato prima ancora che rientrassi nel minuscolo appartamento. Grecia: ecco il portale d’accesso. Avrei fatto un pellegrinaggio in cerca di un’iniziazione.
Qualche giorno dopo, sfogliando una piccola antologia, mi sono imbattuta in quattro versi della poesia Quando una donna si sente sola di May Sarton:
Donna Anziana, t’incontro nel profondo di me stessa,
nel letto di radici della fertilità,
un mondo senza fine, come dice la leggenda.
Sotto le parole tu sei il mio silenzio.
Ho riletto la strofa parecchie volte. Mi mandava in estasi e mi si era attaccata al cuore come una patella a una roccia. L’immagine della Donna Anziana, l’idea di quell’incontro inevitabile presso il “letto di radici” di una nuova fertilità mi ossessionavano. Chi era quella Donna Anziana che bisognava incontrare in fondo a sé? Ogni tanto mi svegliavo di notte pensando a lei. Alla sua scura fertilità. Al silenzio sotto le parole.
La prima volta che ero stata in Grecia, nel 1993, sulla prima pagina del mio diario di viaggio avevo trascritto una citazione del teologo Richard Niebuhr: “I pellegrini sono poeti che creano attraverso il viaggio”. Ricordandomene, ho copiato le parole sul nuovo diario rosso. Quello che volevo – o tentavo fortemente di volere – era dar vita a una nuova poetica dentro di me: la composizione spirituale della Donna Anziana, non attraverso le parole, ma attraverso la saggezza di un viaggio.
Immaginavo potesse diventare un pellegrinaggio anche per Ann. Circa un anno e mezzo prima era stata in Grecia in viaggio-studio e se n’era innamorata. Tornarvi sarebbe stato un grandissimo regalo di laurea, ma mi chiedevo se potesse diventare un’iniziazione anche per lei. Stava varcando ufficialmente i confini dell’adolescenza per entrare nell’età adulta – un’altra soglia non ben definita, non ben riconosciuta – e negli ultimi tempi sembrava davvero spaventata. Non che ne parlassimo. Se cercavo di indagare mi diceva che stava bene. Ma in aereo, nelle ore che ha passato al mio fianco fissando fuori dal finestrino ovale, sfogliando il catalogo di «SkyMall» o guardando il film sullo schermo, un alone di tristezza la circondava, come il flebile punto-linea del codice Morse che batte a intermittenza un dolore segreto.
Ho capito che era plausibile che Ann e io, ognuna a modo suo, stessimo vivendo una crisi, definita come: a) un momento cruciale o di svolta decisiva; b) una situazione instabile o precaria. O, perlomeno, Ann si sforzava di comprendere l’inizio della condizione di donna, e io l’inizio della sua fine.
In ogni caso ora, seduta sulla panca del museo, penso a questa nuova epifania, a com’è strano che in tutti questi mesi abbia pensato al viaggio in Grecia soprattutto come a un pellegrinaggio per varcare frontiere di zone sconosciute dell’anima. Per incontrare la Donna Anziana. Mai, invece, come a qualcosa che ha a che vedere con madri e figlie. Con Ann e con me. Con noi due.
Guardo Ann mentre sistema il teleobiettivo sul viso di Persefone, col naso in parte assente. Se mi chiedeste di descrivere Ann, la prima parola che userei è “intelligente”. Di un’intelligenza mai solo scolastica, ma sempre tesa alla creatività e all’inventiva. Quando gli altri bambini di otto anni organizzavano bancarelle di limonata, Ann ne ha messa su una in cui dispensava “Consigli per persone con problemi”: i problemi più piccoli costavano cinque centesimi, quelli più grandi dieci. Un affarone.
Ma bisogna anche dire che la qualità che meglio definisce Ann è la gentilezza. Non mi riferisco tanto alle buone maniere, quanto alla sua sensibilità. Crescendo ha iniziato a prendersela per gli abusi sugli animali, e non tollerava nemmeno l’idea di un insetto schiacciato, insistendo perché lo portassimo fuori di casa con la paletta. In realtà si appassionava a tutto quello che il suo cuore sensibile e fiero sceglieva: insetti, cani, cavalli, libri, bambole, fumetti, Save the Earth, film, Hello Kitty e Star Wars.
La lista di affetti ruotava in continuazione. Le poesie e le storie che scriveva durante l’infanzia, riempiendo quaderni su quaderni, sono testimonianze continue delle sue passioni.
L’unica cosa che pareva tenere a freno il fervore di Ann era un altro tratto del suo carattere: una naturale diffidenza che spesso degenerava in timidezza.
Mi stringo l’addome con le braccia e distolgo lo sguardo da lei, puntandolo verso la stanza che abbiamo appena lasciato e che, come quella in cui ci troviamo ora, è un cimitero dove si ammonticchiano statue e miti. È del tutto assurdo, ma ho voglia di piangere.
Ho già avvertito questo senso di perdita in passato, ma era un’ombra colta a distanza che presto spariva. Quando Ann se n’è andata di casa entravo in camera sua e annusavo il bouquet di fiori secchi del ballo di fine anno nell’armadio, oppure mi ritrovavo a fissare la sua calligrafia sul retro di una vecchia foto dei nostri beagle: “Caesar e Brutus, 1990”. O, ancora, m’imbattevo nella poesia Ode a un orsacchiotto, aprivo un ricettario e scoprivo su un margine della pagina i suoi schizzi perfetti di teste di cavallo, e allora sentivo come una momentanea eclissi.
Mi dico che è naturale che questo sentimento affiori proprio ora, quando siamo entrambe prigioniere dell’altrui presenza, unite in un modo che non abbiamo sperimentato... mai. Una volta, quando Ann aveva dodici anni, siamo andate da sole a San Francisco, ma direi che questa esperienza è imparagonabile. A quel tempo, Ann non era stata via quattro anni trasformandosi in una giovane donna che a malapena conosco.
Lo zaino cade ai suoi piedi con un tonfo e si apre. Ann sta trascrivendo su un bloc-notes blu con la spirale una parte del cartellino accanto al bassorilievo. Demetra e Persefone hanno attirato la sua attenzione, e questo non mi è sfuggito.
Ormai dobbiamo essere passate di fianco come minimo a qualche migliaio di reperti – affreschi di Santorini, ori di Micene, bronzi dell’Attica, ceramiche provenienti da ogni angolo dell’antica Grecia – e qui dico a Ann che i miei piedi sono in una condizione deplorevole e che ho bisogno di una pausa: di fronte a Demetra e Persefone. L’incontro fra madri e figlie.
Gironzolo fino ad arrivare alle tavolette di marmo, e osservo le due donne avvolte in una tunica, una di fronte all’altra. Il loro mito mi è familiare.
Persefone, la fanciulla, sta raccogliendo dei fiori in un prato, quando si apre una voragine nella terra e Ade, il signore dei morti, balza fuori all’attacco, la rapisce e la porta con sé nell’oltretomba. Non trovando la figlia, Demetra, importante divinità terrestre del grano, del raccolto e della fertilità, accende una fiaccola e perlustra tutta la terra. Dopo nove giorni di vane ricerche Ecate, nel suo aspetto di Anziana, vecchia strega fatta persona, dea dei crocicchi e della luna nera, si avvicina e le spiega che sua figlia è stata rapita.
Infuriata, e troppo abbattuta per assolvere il suo compito divino, Demetra fa seccare i raccolti e la terra si trasforma in una landa desolata. Camuffata da vecchia, Demetra viaggia fino alla città di Eleusi, e lì si siede di fianco a un pozzo in preda alla disperazione. Zeus cerca di farla ragionare. “Ade sarà un buon genero” le dice. Ora deve rasserenarsi e far crescere i raccolti, ma Demetra non cede.
La terra ormai è così desolata che Zeus decide di arrendersi e ordina che Persefone torni da sua madre. Quando la fanciulla si accinge a partire, inghiotte senza volerlo dei semi di melagrana, che sanciscono il suo ritorno nell’oltretomba per un terzo di ogni anno a venire.
Madre e figlia si ritrovano il primo giorno di primavera. È interessante notare che in quell’occasione compare anche Ecate. Il mito narra ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Di Sue Monk Kidd e Ann Kidd Taylor
  3. In viaggio con le melagrane
  4. PERDITA - Grecia - Turchia - Carolina del Sud 1998-1999
  5. RICERCA - Francia - Carolina del Sud 1999-2000
  6. RITORNO - Grecia 2000
  7. POSTSCRITTO - Settembre 2008
  8. Ringraziamenti
  9. Copyright