Vanità della mente
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Vanità della mente

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  1. 176 pagine
  2. Italian
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Vanità della mente

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Indice dei contenuti
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Informazioni sul libro

Il primo dato che emerge, e di evidente efficacia, nell'intero percorso di questo libro, è la vitalissima varietà di temi che lo compone. Gian Mario Villalta lavora su tracce di realtà legate all'esperienza e alla riflessione, racconta l'amore e osserva il paesaggio nel suo mutare, descrive la domestica gioia della festa ed esprime il dolore legato agli affetti. Tocca vertici di nitida asciuttezza lirica nelle splendide prose sui piccoli animali, dove circola un senso acuto di pietà, di fronte all'orrore e alla crudeltà di cui questi esseri sono vittime. Eppure, se varia, aperta è la materia di questo suo libro, Villalta riesce a mantenere, pagina dopo pagina, una sicura coerenza interna per almeno due ragioni. La prima è nella radice di verità in fondo comune a figure ed eventi che si avvicendano sulla scena: vale a dire la loro strenua, irrinunciabile (o ineluttabile), piena appartenenza alla terra, alla loro terra, e comunque, a una terra «inondata di cielo». E a quella terra, in effetti, sembra appartenere anche quella lingua dialettale, quel dialetto veneto a cui Villalta torna in una sorta di corposo intermezzo proprio nel cuore della raccolta. Ma Vanità della mente è un libro unitario e coerente anche per una seconda, decisiva ragione, e cioè per la felice medietà stilistica su cui si costruisce, per l'impeccabile decoro della pronuncia di un poeta che sa fare della sua affabile discrezione un carattere essenziale, pur nell'interna inquietudine che ne increspa la superficie, o, come lui stesso suggerisce, «nel montaggio febbrile dei dettagli». Ne scaturisce dunque un'opera di solido impianto e di sottile saggezza, e insieme di incantevole delicatezza, nella profonda trasparenza dei toni.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852033421
Argomento
Literature
Categoria
Poetry

REVOLTÀ

Revoltà

Dirò che l’è sta lu, el dialeto, che ’l me se à
revoltà, che me son revoltà, che so’ sta’ revoltà
drento de come se parla
’ncontro de come se parla
dirò che so’ sta’ bandonà
te ’sto discorso qua
te tuti i discorsi
’ndo’ che me so’ trovà
revoltà
Rivoltato
Dirò che è stato lui, il dialetto, che mi si è / rivoltato, mi sono rivoltato, sono stato rivoltato / dentro di come si parla / di fronte a come si parla / dirò che sono stato abbandonato / in questo discorso qua / in tutti i discorsi / dove mi sono trovato / rivoltato

L’ass ingrevà de la tera

I
L’ocio del merlo te’l mio.
La so pipina aguda.
La nostra paura.
La vecia co’ l’inpermeabile sgiònf
te’l sol de la folìa.
Aprile, la front ingiassàda, le man
butàe là.
Me vien contro un ciaro indurìo,
i pensieri de chi
al «via!» saltarà drento ’l dhorno
insieme de mi
(in te sto sgarfàre, perdùo,
te sto sgaretàre, serà,
conto i alberi de là del muro)
Mi qua inviscà te la verta e te l’àrder
del nero de la verta –
te ’l verde de tuti i venc
de na stajòn che dà i senc
co ogni vero par tera, ogni carta desfada,
ogni nome sigà par la strada
(l’è so, el sgarfàr,
l’è l so sgaretàr te la cova
de tenp, el so scòderse drento del scuro
la nostra età da la schena,
la data del dì de ncuò)
L’asse storto della terra
I. L’occhio del merlo nel mio. / La sua pupilla acuta. / La nostra paura. // La vecchia con l’impermeabile gonfio / nel sole della follia. // Aprile, la fronte gelata, le mani / buttate là. / Mi viene contro una luce indurita, / i pensieri di chi / al «via!» salterà dentro il giorno / insieme a me // (in questo sgraffiare, perduto, / in questo scalciare, rinchiuso, / conto gli alberi oltre il muro) // Io qua invischiato nella primavera e nell’ardere / del nero della primavera – / nel verde di tutti gli arbusti / di una stagione che annuncia la sua ora / con ogni pezzo di vetro, ogni carta disfatta, / ogni nome gridato per strada // (è suo, lo sgraffiare, / è il suo scalciare dentro il covile / di tempo, il suo scuotersi dentro il buio / la nostra età dalla schiena, / la data di oggi)
II
Poca erba, erba poreta
de un prà stornìo dadrìo ’l cavalcavìa,
erba freda, sporca erba de un prà
da ani dismentegà,
cossa insìstitu a crèsser
el to dialetìn de versi stusài
da tetrapak e monossido?
Cossa ti si – vera – ti?
I kiwi, ’lora, el mais,
te pàreli virtuài ?
No te si ti che te salva.
No te si ti che te sa.
Te si sol che ribandonàda
te l’infinìo de la to nudità.
II. Poca erba, erba povera / di un prato frastornato dietro il cavalcavia, / erba fredda, sporca erba di un prato / da anni dimenticato, / cosa insisti tu a crescere / il tuo dialettino di versi spenti / da tetrapak e monossido? / Cosa sei – vera – tu? / I kiwi, allora, il mais, / ti sembrano virtuali? / Non sei tu quella che salva. / Non sei tu quella che sa. / Tu non sei altro che abbandonata / nell’infinito della tua nudità.
III
Là-pìria de scuro, là-tubo
che buta scuro te i prà,
scuro che tuti i alberi i lo beverà.
Là-fondo che ’l verde se dissangua
e se fa duro, là-muro de biave inpenade
e de sera inpenada chissà
verso che piove
o fissa de piove
lustre te le lamiere
e maciàe de scuro, macàe te i bandòni,
sote sufìti imberlài de luna.
Idea marsìa de scure piove de veri
ch’i plana te un sgranf de pensieri,
nùvui veri batùi –
pinìa na casséla
de novi
cietissimi ciòdi
e sùbie.
III. Là-imbuto di buio, là-tubo / che butta buio nei prati, / buio che tutti gli alberi lo berranno. / Là-fondo che il verde si dissangua / e si indurisce, làmuro di canne di mais impennate / e di sera impennata chissà / verso quali piogge // o idea fissa di piogge / lucide sopra lamiere / e macchiate di buio, ammaccata latta, / sotto soffitti balordi di luna. / Idea marcita di buie piogge di vetri / che planano su un crampo di pensieri, / nuvoli vetro sbalzato – // riempito un cassetto / di nuovi / quietissimi chiodi / e sgorbie.
IV
Un vent de foie e de onbre.
Dormir inranseghìo.
Un dì, un dì, senpre quel.
El peso del servél.
Un fero te l’erba, cièt.
Un paese de nuvùi
e tenp ingiutìo.
Luse in gola. Starnìo
co figure, foiame net.
IV. Vento di foglie e di ombre. / Dormire irrancidito. / Un giorno, un giorno, sempre quello. // Il peso del cervello. / Un ferro nell’erba, quieto. / Un paese di nuvole // e tempo inghiottito. / Luce in gola. Lettiera / rifatta con immagini, fogliame pulito.
V
Sensa savòr el’aqua.
Note che beve sita.
Paese scur de aqua.
Sufiàr de la suìta.
Servél murà te l’aqua.
Pele ciara mansita.
La secatrice de l’aqua.
La sè, sè che dessita.
V. Senza sapore l’acqua. / Notte che beve silente. / Paese buio di acqua. / Soffio della civetta. / Cervello murato nell’acqua. / Pelle chiara acquietata. / La cicatrice dell’acqua. / La sete, sete che fa appassire.
VI
Passài oltra, coi nostri passài, e le case,
i prà, le piove sensa requie, passài de qua
de un gran vero.
Difendùi
straventi
da un vero spess.
Un verde sangue-de-stropa,
un sangue secà de tera
el macia
nuvuére.
Nùvui de scura pòlvare, no capir la luse
che se desfa su un muro, el peso de un fruto,
cossa l’à vussù dir
viver, un dì come n’altro, domandarse.
VI. Passati oltre, con i nostri passati, e le case, / i prati, le piogge senza requie, passati di qua / di un grande vetro. // Difesi / straventi / da un vetro spesso. / Un verde sangue-di-bosco, / un sangue di terra secco, / macchia / la nuvolaglia. // Nuvole dense di polvere, non capire la luce // che si disfa su un muro, il peso di un frutto, / cosa ha voluto dire / vivere, un giorno o l’altro, chiedersi.
VII
Foie e piova,
ore de proiessiòn
de piove e foie de piope, platani, tài.
n’imbarlumìa de rài ch’i brusa i colori
de na fabrica piata e longa, nùvui
Pioveta e foiete, detài.
Ocio fiss de la pio...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Vanità della mente
  3. L’INVASO
  4. NOTTE DI SAN NICOLÒ
  5. KINDERGARTEN
  6. NEL BUIO DEGLI ALBERI
  7. IN PENSIERO DI CASA
  8. REVOLTÀ
  9. ATTO UNICO
  10. RITORNI ISTRIANI
  11. REGIONE
  12. IL RUMORE CHE NON SENTI ANCORA
  13. FESTEGGIAMENTI PER IL NUOVO ANNO
  14. CRONACA FAMOSA
  15. MIA COLPA
  16. TRAILER
  17. MIGRAZIONI
  18. Nota
  19. Copyright