Crescere un figlio
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Crescere un figlio

Dal concepimento al primo anno, le risposte alle domande e alle paure dei genitori

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  1. 192 pagine
  2. Italian
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Crescere un figlio

Dal concepimento al primo anno, le risposte alle domande e alle paure dei genitori

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Informazioni sul libro

L'esperienza della gravidanza, del parto e dei primi mesi con il bambino rappresenta uno dei momenti più intensi nella vita di una coppia. Oltre ai cambiamenti organizzativi e ai diversi ritmi quotidiani, compaiono emozioni nuove e profonde, alcune delle quali non del tutto coscienti. Molti sentimenti sono spesso ambivalenti: l'euforia può facilmente convivere con l'ansia, la soddisfazione con il dubbio, la gioia con la paura.
Le incognite della nuova esperienza, soprattutto nelle neomamme, possono generare timori, che a volte sono fondati, a volte eccessivi o immotivati. Ogni preoccupazione, però, deve essere presa nella giusta considerazione e utilizzata positivamente: la paura, se contenuta, rende infatti attenti e sensibili, mostra l'importanza e il valore di ciò che si sta facendo, spinge ad avere fiducia in chi può dare una mano, aiuta ad accettare i propri limiti.
Alla luce di questa convinzione, Alessandro Volta, pediatra e neonatologo, prende in esame le principali "paure" dei genitori (che il bambino non sia sano, che stia male durante il parto, che non si riesca ad allattarlo o a interpretarne il pianto, che si ammali o che non mangi abbastanza) con l'obiettivo di tranquillizzare le mamme e i papà fornendo loro elementi di confronto e spunti di riflessione.
Per poi affrontare, partendo da una serie di quesiti fra i molti che gli vengono posti ogni giorno in ospedale o durante i corsi di accompagnamento alla nascita, i temi che più coinvolgono i neogenitori: come rendere indolore lo svezzamento, come aiutare il piccolo a dormire da solo, le vaccinazioni, le precauzioni da adottare durante i viaggi, se sia giusto o meno parlare in "mammese", il ritorno della mamma al lavoro e il ruolo dei nonni, la lettura precoce.
Le risposte che i lettori troveranno in queste pagine evitano la scorciatoia rappresentata da soluzioni preconfezionate valide per tutti e privilegiano invece l'analisi del problema, suggerendo percorsi di intervento "aperti ", che ciascuno di noi deve personalizzare e adattare al proprio figlio.
Volta ci invita infatti a osservare attentamente il bambino e a capire i numerosi segnali che ci manda per trovare le risposte ai nostri dubbi, perché sarà lui a indicarci la strada da percorrere insieme.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852033872

Parte seconda

LE DOMANDE

Caro dottore...

Il parto cesareo e il primo contatto
Ho letto che dopo aver tagliato il cordone ombelicale si deve mettere il bimbo a contatto con la pelle della madre, ma se la mamma non può avere un parto naturale e dovrà necessariamente affrontare un cesareo, come fare per avere un contatto di pelle fra madre e figlio?
I motivi e l’importanza del contatto precoce fra la mamma e il bambino sono documentati da numerose e autorevoli ricerche, delle quali parleremo più avanti commentando la lettera di mamma Angela.
Questa domanda ci permettere di riflettere su come procedere in situazioni particolari, quali, per esempio, un parto con taglio cesareo.
L’introduzione dell’anestesia spinale o epidurale ha modificato radicalmente questo intervento: la mamma può rimanere sveglia e partecipare alla nascita del bambino, ascoltando i suoi primi vagiti e vedendolo fin da subito. Considerando le basse temperature delle sale chirurgiche (regolate per gli operatori e non per un neonato nudo e bagnato) ritengo preferibile portare velocemente il bambino sul lettino riscaldato e, solo dopo averlo asciugato e avvolto in un telino tiepido, riportarlo alla mamma che lo terrà a contatto con lei sulla parte alta del torace per tutto il tempo che desidera. In questo è sempre necessario l’aiuto dell’ostetrica o di una infermiera e la collaborazione dell’anestesista (che dovrebbe liberare almeno un braccio della mamma dagli strumenti di monitoraggio).
Nei cesarei programmati (per esempio in caso di presentazione podalica) il neonato può restare in braccio alla mamma fino al termine dell’intervento ed entrambi possono essere riaccompagnati assieme in camera di degenza. In alcuni centri nascita viene permesso ai papà che lo desiderano di assistere al cesareo e di restare vicino alla compagna. Tutto ciò allo scopo di rendere anche la nascita da cesareo meno innaturale e più umana.
Nei cesarei urgenti, con madre o bambino in difficoltà o a seguito di una nascita prematura, la procedura deve generalmente essere modificata e i tempi di contatto sono spesso più rapidi; in alcuni casi si è costretti a rimandare il contatto a un momento successivo (per esempio in camera di degenza una volta terminato l’intervento). In questi casi è possibile coinvolgere il papà, che può tenere il bambino in braccio o a contatto pelle a pelle in attesa che anche la mamma lo possa fare. Per il papà questo coinvolgimento può rappresentare un momento emotivamente molto forte, e anche per la mamma sapere che il bambino può contare sulla presenza del papà può essere motivo di grande rassicurazione.
Ma proviamo a guardare la questione anche dalla parte del bambino: la data di un cesareo programmato viene di fatto decisa senza chiedere il suo permesso. Per scegliere il momento del parto giusto per lui (cioè per essere sicuri della sua maturazione), dovremmo aspettare l’inizio del travaglio e solo a quel punto procedere con l’intervento. Questa prassi non è ancora diffusa, e di conseguenza il bambino viene letteralmente «estratto» dalla pancia della mamma e fatto nascere in maniera veloce. Molti pensano che evitare al bambino la fatica del travaglio sia un vantaggio, mentre in realtà il travaglio è utile al neonato, perché favorisce la sua maturazione e l’adattamento respiratorio delle prime ore.
Nascere senza travaglio significa dover gestire un cambiamento profondo e disorientante. Questi bambini, più degli altri, hanno bisogno di facilitazioni affinché possano ritrovare un nuovo equilibrio; il contatto pelle a pelle, l’abbraccio, il contenimento, il dondolio, parole e suoni rassicuranti (come quelli perennemente presenti nella pancia) sono tutti strumenti preziosi per rendere le ore di passaggio meno difficili e meglio tollerate.
In situazioni come il taglio cesareo il personale di assistenza dovrebbe attivarsi per fornire al neonato quello che la mamma ancora non è in grado di dare, cercando di colmare una transitoria carenza di attenzione; purtroppo, invece, in tali evenienze molto spesso prevale la normale prassi routinaria e mansioni che sarebbero a elevata valenza emotiva vengono svolte in maniera fredda e distaccata. Ecco un altro dei motivi che dovrebbero indurre gli operatori a coinvolgere il papà, i fratellini quando presenti e gli altri parenti stretti, permettendo loro di partecipare alle cure in modi simili a quelli domestici. La dimensione sociale ed emozionale è parte integrante ed essenziale della nascita e gli stessi professionisti hanno bisogno di essere contagiati e catturati dalle esperienze di vita alle quali assistono quotidianamente. Il rischio è che l’organizzazione e il contesto sottraggano emozioni, trasmettendo agli stessi genitori modalità prive di affettività e appesantite dalla routinarietà.
Chi non è capace di sorridere al viso di una mamma esausta, chi non accetta di farsi catturare dallo sguardo emozionato di un nuovo papà, chi non riesce a parlare ai neonati come se loro capissero tutto e potessero rispondere, probabilmente sta lavorando nel posto sbagliato.
È per tale motivo che abbiamo bisogno di domande come quella di questa mamma premurosa e attenta; ci servono gli occhi dei genitori e dei bambini per capire che le soluzioni non le troviamo nelle procedure di assistenza, ma nella nostra capacità di vivere le nascite (tutte le nascite) come continui e misteriosi miracoli.
Il resto viene da sé.
Mamma Angela e il contatto precoce
Mi chiamo Angela e sono in attesa da sei mesi del mio primo figlio. Ho letto un articolo che parlava del bonding (il contatto precoce) e spiegava che i primi momenti di vita il nascituro dovrebbe passarli con la mamma e il papà, ed è quello che vorrei anch’io. Il problema è che nell’ospedale della mia città ciò non sarà possibile perché, appena nato, il bimbo viene portato via per parecchie ore per i primi controlli. Arrivo al punto, chiedendo: potrei pretendere in ospedale di rimandare a dopo i vari controlli e tenere con me il bimbo nei suoi primi istanti di vita?
Quella di Angela è una domanda cruciale. Il problema non è soltanto e semplicemente decidere come gestire al meglio i primi momenti dopo il parto; la questione è più profonda e complessa: questa mamma vuole sapere se è possibile formulare richieste precise agli operatori e definire con l’organizzazione percorsi di assistenza personalizzati.
A seguito dei profondi cambiamenti avvenuti in molti ambiti delle cure sanitarie e in base a quanto riportato da numerosi documenti e protocolli, potremmo senz’altro rispondere alla domanda in modo affermativo. Negli ultimi anni l’assistenza alla gravidanza e al parto ha visto affermarsi un modello basato sulla comunicazione e sulla relazione medico-paziente, dove è prassi per gli operatori (nei diversi ambiti di competenza) presentare nella maniera più chiara possibile i percorsi assistenziali previsti e dove è normale coinvolgere i «pazienti» nei processi di cura, ascoltando dubbi e richieste.
La recente linea guida (del 2011) che regolamenta la gestione della gravidanza fisiologica, redatta dall’Istituto superiore di Sanità e autorizzata dal ministero della Salute, nella sua premessa spiega molto bene che gli operatori sanitari devono saper offrire le prassi assistenziali a oggi ritenute migliori e le donne (o meglio le coppie) devono poter scegliere le soluzioni adeguate per loro, nel rispetto delle credenze, della cultura o delle semplici preferenze.
Non si tratta di decidere quale prodotto acquistare, come al mercato – un po’ di travaglio in acqua, ma anche qualche etto di epidurale e una bella confezione di sicurezza..., si tratta di fornire cure che, per quanto possibile, siano adattate alle singole persone.
Ho scritto «per quanto possibile», ma è opportuno spiegare meglio: ci sono situazioni in cui non si può venire incontro a ogni desiderio o aspettativa; ci sono emergenze e problemi sanitari gravi e complessi nei quali la sicurezza e l’efficienza sono prioritarie; a volte occorre dare la precedenza a modelli organizzativi che richiedono particolari tecnologie per le quali è l’individuo a doversi adattare.
Al contrario, ci sono situazioni più semplici e normali, nelle quali è possibile adottare comportamenti elastici, garantendo la scelta fra prassi differenti. La gravidanza e il parto fisiologici rientrano in questa seconda categoria. Se i dati di anamnesi e i controlli eseguiti mostrano una condizione regolare, la gravidanza dovrebbe essere seguita da un’ostetrica (anziché dal medico), il parto può avvenire in luoghi privi di caratteristiche specifiche (comprese le case di maternità e il proprio domicilio) e il neonato non deve essere separato dalla mamma e dal papà fin dai primi minuti dalla nascita.
Purtroppo, in molti centri nascita si adottano ancora prassi che trattano i neonati (e le madri) senza distinguere fra le situazioni patologiche e quelle fisiologiche. Di conseguenza si procede con esami e controlli non necessari, disturbanti e inappropriati, sottovalutando la regola che, in un processo tanto delicato come la nascita, ciò che non è necessario è sempre dannoso.
La separazione di mamma e bambino risulta giustificata soltanto in presenza di un grave e imminente pericolo o rischio di vita per uno di loro. Per esempio, di fronte a un neonato che non riesca a respirare entro il primo minuto di vita il personale interverrà con tutta la tecnologia e la perizia possibili per risolvere l’emergenza; negli altri casi, invece, si potrà procedere con tranquillità, lasciando che il neonato ritrovi il nuovo equilibrio psicofisico e la madre assapori la conclusione e lo scopo delle fatiche del parto e della lunga attesa della gravidanza.
Come ha ben capito Angela, i primi momenti sono fondamentali, sia per lei che per il suo bambino; la routine e i controlli possono aspettare. Non si tratta di semplici (anche se profondi) sentimenti, c’è anche molta evidenza scientifica che ci autorizza a non separare madre e figlio quando non sia strettamente necessario. La più autorevole linea guida sulla rianimazione neonatale (che ha valore in ambito internazionale) scrive con stile chiaro ed esplicito: «Se il neonato non ha bisogno di essere rianimato, non deve essere separato dalla madre. Il bambino può essere asciugato, appoggiato direttamente sul petto della madre e coperto con telini asciutti per mantenere la temperatura».
Mediamente su cento neonati solo uno necessita di essere rianimato e altri dieci potranno aver bisogno di un aiuto per l’adattamento respiratorio nei primi minuti. Per gli altri non si deve intervenire, ma soltanto osservare e vigilare che tutto proceda regolarmente.
Altri autorevoli documenti internazionali evidenziano l’importanza delle prime due ore per favorire un buon inizio dell’allattamento al seno; si tratta sempre di indicazioni sostenute da ricerche scientifiche ben condotte e con provata documentazione.
Per la profilassi antiemorragica con la vitamina K, in base al protocollo dell’Accademia americana di Pediatria, si può attendere fino a sei ore dalla nascita.
Alcuni pediatri sono stati abituati a visitare subito il neonato; in verità per verificare il benessere del piccolo è sufficiente che l’ostetrica ne valuti i parametri vitali e gli attribuisca il punteggio di Apgar (ideato nel lontano 1953 dalla dottoressa Virginia Apgar proprio per distinguere i bambini in difficoltà subito dopo il parto da quelli con decorso regolare).
In alcuni ospedali è ancora utilizzata la prassi di tenere i neonati in incubatrice «a scaldarsi» per un paio d’ore. In realtà l’incubatrice è stata inventata per assistere i neonati prematuri con l’obiettivo di offrire loro un ambiente a temperatura costante che simula quello della pancia materna. I bambini che nascono a termine posseggono già la maturazione sufficiente per regolare la loro temperatura interna e non hanno bisogno di essere riscaldati; nelle prime ore hanno soltanto bisogno di non essere raffreddati, e quindi è importante asciugarli bene e avvolgerli in teli tiepidi.
Il contatto pelle a pelle con la mamma è una prassi fortemente raccomandata da diversi documenti, perché rassicura il neonato (che smette di piangere riducendo così il suo consumo di ossigeno e calorie), favorisce un profondo scambio emotivo fra i due, attiva l’inizio di una conoscenza e di una relazione che durerà per il resto della vita. Il contatto pelle a pelle si è dimostrato efficace anche per stabilizzare la temperatura del neonato (in questo caso è la madre la migliore incubatrice per il suo bambino).
Ad Angela possiamo quindi confermare che è un suo diritto spiegare agli operatori della struttura scelta quali sono i suoi progetti e i suoi desideri per vivere al meglio i primi momenti con il figlio. Suggeriamo, però, di contattare il responsabile dell’assistenza neonatale ed eventualmente di mettere per iscritto le proprie decisioni. Le richieste di Angela potrebbero anche non essere accolte e in questo caso, oltre a esigere di conoscere le motivazioni del rifiuto, Angela dovrà rivolgersi ad altri centri e ad altri professionisti. Questa mamma in seguito potrà allearsi con altre mamme (ma probabilmente anche con qualche ostetrica e qualche medico) per modificare le prassi assistenziali del centro nascita del suo territorio, promuovendo momenti culturali e occasioni di riflessione, attivando gli strumenti di cittadinanza attiva più efficaci nel suo specifico contesto.
La piccola Elena fra pesate e poppate
Ho una bimba di appena un mese. Dal primo giorno della gravidanza ho cercato di far avvenire tutto (gravidanza, parto, puerperio) nel modo più naturale possibile. Adesso, infatti, allatto felicemente la mia bimba e non le do nessuna aggiunta. La piccola Elena è nata di 3190 grammi. Il giorno dopo, per il calo fisiologico, ne pesava 3050. Poi, essendo uscita dall’ospedale il giorno dopo il parto, non l’ho più pesata; ho solo controllato che bagnasse almeno sei pannolini al giorno. Ho anche evitato di comprare la bilancia perché trovo assurdo pesare i bimbi prima e dopo la poppata. Oggi sono stata dalla pediatra: la piccola pesa 3720 grammi. La pediatra ha detto che è cresciuta poco, al limite del normale. Mi ha posto domande sulle modalità di allattamento. Le ho detto che allatto a richiesta e che Elena vuole mangiare ogni quattro-cinque ore (a parte qualche rarissimo caso dopo tre ore). La pediatra ha obiettato che mangia poco e che devo svegliarla ogni tre ore per darle da mangiare. Ho provato a spiegare che, non sapendo il vero peso dopo il calo fisiologico, potrebbe essere aumentata anche di 200 grammi a settimana, ma che, comunque, sicuramente ne ha presi almeno 160 a settimana (e dalle mie informazioni è nella norma); inoltre, è già capitato che, svegliata prima delle sue quattro ore, Elena è diventata molto nervosa.
Mi dica se sbaglio e se devo seguire il consiglio della pediatra o se posso evitare di cambiare i ritmi che Elena ha preso fin dal primo giorno; fra noi si è creato da subito un ottimo equilibrio e mi dispiacerebbe rovinarlo senza che sia realmente necessario.
La mamma di Elena ha partorito da poche settimane, ma è già riuscita a creare un bel legame con la sua bambina; soprattutto, ha già iniziato a esercitare la più importante e utile competenza per un genitore: «leggere il bambino», interpretare cioè i segnali comportamentali che fin dai primi giorni il piccolo è in grado di inviare a chi si prende cura di lui.
Anche Elena è una bambina con grandi competenze; in poco tempo ha saputo spiegare alla mamma parecchie cose difficili:
• voglio mangiare prevalentemente ogni quattro ore;
• quando ho fame te lo dico io;
• quando ho sonno lasciami dormire;
• lo so io quanto devo mangiare;
• sono molto abitudinaria, se rompi i miei ritmi faccio molta fatica a ritrovarmi e per questo poi divento nervosa (cioè mi spavento e non so più cosa devo fare);
• se hai dei dubbi chiedi a me, guarda come mi comporto e trai le tue conclusioni.
Teniamo presente che Elena non è completamente regolata su se stessa, non è chiusa in se stessa come potrebbe sembrare a un occhio poco attento. Ogni tanto si apre all’esterno e assorbe quanto la circonda; in particolare, quando è in braccio sente e percepisce la mamma (soprattutto attraverso la pelle e l’odore).
Quando succhia al seno, sente la mamma come una parte di sé; ha fame e una parte della mamma le entra dentro; lei il latte non lo vede e non lo tocca, lo sente placare direttamente la sua fame (e per lei la fame è una percezione fisica che significa: se non mangi, muori...). Elena non ha ancora maturato uno sviluppo cognitivo in grado di farla pensare, non è ancora capace di riflettere: adesso mangio, così dopo sto bene. Per lei ancora non esiste il prima e il dopo, vive solo l’adesso e il suo pensare procede attraverso le percezioni e le sensazioni: adesso sto bene, sento che sono contenuta in braccia calde e con un buon odore, quello che mi entra in bocca mi dà piacere e tranquillità.
Elena è rassicurata da tutto quello che le ricorda la sua esperienza di vita nella pancia della mamma (cioè da quello che fino a ora ha rappresentato quasi tutta la sua vita); nella pancia era completamente avvolta dal liquido amniotico e si trovava in assenza di gravità, adesso invece è circondata dall’aria e dallo spazio e questo la spaventa (si sente sempre cadere o rotolare). Cerca quindi un contatto, un contenimento, un abbraccio; ricerca anche i rumori che l’hanno accompagnata in quei lunghi nove mesi (nella pancia della mamma non c’è mai un attimo di silenzio); cerca il ritmico dondolio dei movimenti materni, ma anche quello degli organi con i quali era in stretto contatto (semplicemente respirando la mamma le ha trasmesso ritmiche modificazioni pressorie e un rumore che ricorda la risacca sulla spiaggia...).
Elena non ha ancora capito che la mamma è qualcosa...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Crescere un figlio
  3. Introduzione
  4. Parte prima - LE PAURE
  5. Parte seconda - LE DOMANDE
  6. Parte terza - PER CONCLUDERE
  7. Cosa ci offre la rete
  8. Bibliografia commentata
  9. Copyright