Palomar
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Palomar

  1. 182 pagine
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"Rileggendo il tutto, m'accorgo che la storia di Palomar si può riassumere in due frasi: 'Un uomo si mette in marcia per raggiungere, passo a passo, la saggezza. Non è ancora arrivato'." La vertigine dell'uomo davanti agli inesorabili misteri dell'universo nei pensieri del taciturno signor Palomar, trasparente 'alter ego' di Calvino. Uno dei romanzi più profondi della nostra letteratura.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852033032

Le vacanze di Palomar

Palomar sulla spiaggia

Lettura di un’onda

Il mare è appena increspato e piccole onde battono sulla riva sabbiosa. Il signor Palomar è in piedi sulla riva e guarda un’onda. Non che egli sia assorto nella contemplazione delle onde. Non è assorto, perché sa bene quello che fa: vuole guardare un’onda e la guarda. Non sta contemplando, perché per la contemplazione ci vuole un temperamento adatto, uno stato d’animo adatto e un concorso di circostanze esterne adatto: e per quanto il signor Palomar non abbia nulla contro la contemplazione in linea di principio, tuttavia nessuna di quelle tre condizioni si verifica per lui. Infine non sono «le onde» che lui intende guardare, ma un’onda singola e basta: volendo evitare le sensazioni vaghe, egli si prefigge per ogni suo atto un oggetto limitato e preciso.
Il signor Palomar vede spuntare un’onda in lontananza, crescere, avvicinarsi, cambiare di forma e di colore, avvolgersi su se stessa, rompersi, svanire, rifluire. A questo punto potrebbe convincersi d’aver portato a termine l’operazione che s’era proposto e andarsene. Però isolare un’onda separandola dall’onda che immediatamente la segue e pare la sospinga e talora la raggiunge e travolge, è molto difficile; così come separarla dall’onda che la precede e che sembra trascinarsela dietro verso la riva, salvo poi magari voltarglisi contro come per fermarla. Se poi si considera ogni ondata nel senso dell’ampiezza, parallelamente alla costa, è difficile stabilire fin dove il fronte che avanza s’estende continuo e dove si separa e segmenta in onde a sé stanti, distinte per velocità, forma, forza, direzione.
Insomma, non si può osservare un’onda senza tener conto degli aspetti complessi che concorrono a formarla e di quelli altrettanto complessi a cui essa dà luogo. Questi aspetti variano continuamente, per cui un’onda è sempre diversa da un’altra onda; ma è anche vero che ogni onda è uguale a un’altra onda, anche se non immediatamente contigua o successiva; insomma ci sono delle forme e delle sequenze che si ripetono, sia pur distribuite irregolarmente nello spazio e nel tempo. Siccome ciò che il signor Palomar intende fare in questo momento è semplicemente vedere un’onda, cioè cogliere tutte le sue componenti simultanee senza trascurarne nessuna, il suo sguardo si soffermerà sul movimento dell’acqua che batte sulla riva finché potrà registrare aspetti che non aveva colto prima; appena s’accorgerà che le immagini si ripetono saprà d’aver visto tutto quel che voleva vedere e potrà smettere.
Uomo nervoso che vive in un mondo frenetico e congestionato, il signor Palomar tende a ridurre le proprie relazioni col mondo esterno e per difendersi dalla nevrastenia generale cerca quanto più può di tenere le sue sensazioni sotto controllo.
La gobba dell’onda venendo avanti s’alza in un punto più che altrove ed è di lì che comincia a rimboccarsi di bianco. Se ciò avviene a una certa distanza da riva, la schiuma ha il tempo d’avvolgersi su se stessa e scomparire di nuovo come inghiottita e nello stesso momento tornare a invadere tutto, ma stavolta spuntando da sotto, come un tappeto bianco che risale la sponda per accogliere l’onda che arriva. Però, quando ci s’aspetta che l’onda rotoli sul tappeto, ci si accorge che non c’è più l’onda ma solo il tappeto, e anche questo rapidamente scompare, diventa un luccichio d’arena bagnata che si ritira veloce, come se a respingerlo fosse l’espandersi della sabbia asciutta e opaca che avanza il suo confine ondulato.
Nello stesso tempo bisogna considerare le rientranze del fronte, dove l’onda si divide in due ali, una che tende verso riva da destra a sinistra e l’altra da sinistra a destra, e il punto di partenza o d’arrivo del loro divergere o convergere è questa punta in negativo, che segue l’avanzare delle ali ma sempre trattenuta più indietro e soggetta al loro sovrapporsi alternato, finché non viene raggiunta da un’altra ondata più forte ma anch’essa con lo stesso problema di divergenza-convergenza, e poi da un’altra più forte ancora che risolve il nodo infrangendolo.
Prendendo a modello il disegno delle onde, la spiaggia inoltra nell’acqua delle punte appena accennate che si prolungano in banchi di sabbia sommersi, come le correnti ne formano e disfano a ogni marea. È una di queste basse lingue di sabbia che il signor Palomar ha scelto come punto d’osservazione, perché le onde vi battono obliquamente da una parte e dall’altra, e scavalcando la superficie semisommersa s’incontrano con quelle che arrivano dall’altra parte. Dunque per capire com’è fatta un’onda bisogna tener conto di queste spinte in direzioni opposte che in una certa misura si controbilanciano e in una certa misura si sommano, e producono un infrangersi generale di tutte le spinte e controspinte nel solito dilagare di schiuma.
Il signor Palomar ora cerca di limitare il suo campo d’osservazione; se egli tiene presente un quadrato diciamo di dieci metri di riva per dieci metri di mare, può completare un inventario di tutti i movimenti d’onde che vi si ripetono con varia frequenza entro un dato intervallo di tempo. La difficoltà è fissare i confini di questo quadrato, perché se per esempio lui considera come lato più distante da sé la linea rilevata d’un’onda che avanza, questa linea avvicinandosi a lui e innalzandosi nasconde ai suoi occhi tutto ciò che sta dietro; ed ecco che lo spazio preso in esame si ribalta e nello stesso tempo si schiaccia.
Comunque il signor Palomar non si perde d’animo e a ogni momento crede d’esser riuscito a vedere tutto quel che poteva vedere dal suo punto d’osservazione, ma poi salta fuori sempre qualcosa di cui non aveva tenuto conto. Se non fosse per questa sua impazienza di raggiungere un risultato completo e definitivo della sua operazione visiva, il guardare le onde sarebbe per lui un esercizio molto riposante e potrebbe salvarlo dalla nevrastenia, dall’infarto e dall’ulcera gastrica. E forse potrebbe essere la chiave per padroneggiare la complessità del mondo riducendola al meccanismo più semplice.
Ma ogni tentativo di definire questo modello deve fare i conti con un’onda lunga che sopravviene in direzione perpendicolare ai frangenti e parallela alla costa, facendo scorrere una cresta continua e appena affiorante. Gli sbalzi delle onde che s’arruffano verso riva non turbano lo slancio uniforme di questa cresta compatta che li taglia ad angolo retto e non si sa dove vada né da dove venga. Forse è un filo di vento di levante che muove la superficie del mare trasversalmente alla spinta profonda che viene dalle masse d’acqua del largo, ma quest’onda che nasce dall’aria raccoglie al passaggio anche le spinte oblique che nascono dall’acqua e le devia e raddrizza nel suo senso e se le porta con sé. Così va continuando a crescere e a prendere forza finché lo scontrarsi con le onde contrarie non la smorza a poco a poco fino a farla sparire, oppure la torce fino a confonderla in una delle tante dinastie d’onde oblique, sbattuta a riva con loro.
Appuntare l’attenzione su un aspetto lo fa balzare in primo piano e invadere il quadro, come in certi disegni che basta chiudere gli occhi e al riaprirli la prospettiva è cambiata. Adesso in questo incrociarsi di creste variamente orientate il disegno complessivo risulta frammentato in riquadri che affiorano e svaniscono. S’aggiunga che il riflusso d’ogni onda ha anch’esso una sua forza che ostacola le onde che sopravvengono. E se si concentra l’attenzione su queste spinte all’indietro sembra che il vero movimento sia quello che parte dalla riva e va verso il largo.
Forse il vero risultato a cui il signor Palomar sta per giungere è di far correre le onde in senso opposto, di capovolgere il tempo, di scorgere la vera sostanza del mondo al di là delle abitudini sensoriali e mentali? No, egli arriva fino a provare un leggero senso di capogiro, non oltre. L’ostinazione che spinge le onde verso la costa ha partita vinta: di fatto, si sono parecchio ingrossate. Che il vento stia per cambiare? Guai se l’immagine che il signor Palomar è riuscito minuziosamente a mettere insieme si sconvolge e frantuma e disperde. Solo se egli riesce a tenerne presenti tutti gli aspetti insieme, può iniziare la seconda fase dell’operazione: estendere questa conoscenza all’intero universo.
Basterebbe non perdere la pazienza, cosa che non tarda ad avvenire. Il signor Palomar s’allontana lungo la spiaggia, coi nervi tesi com’era arrivato e ancor più insicuro di tutto.

Il seno nudo

Il signor Palomar cammina lungo una spiaggia solitaria. Incontra rari bagnanti. Una giovane donna è distesa sull’arena prendendo il sole a seno nudo. Palomar, uomo discreto, volge lo sguardo all’orizzonte marino. Sa che in simili circostanze, all’avvicinarsi d’uno sconosciuto, spesso le donne s’affrettano a coprirsi, e questo gli pare non bello: perché è molesto per la bagnante che prendeva il sole tranquilla; perché l’uomo che passa si sente un disturbatore; perché il tabù della nudità viene implicitamente confermato; perché le convenzioni rispettate a metà propagano insicurezza e incoerenza nel comportamento anziché libertà e franchezza.
Perciò egli, appena vede profilarsi da lontano la nuvola bronzeo-rosea d’un torso nudo femminile, s’affretta ad atteggiare il capo in modo che la traiettoria dello sguardo resti sospesa nel vuoto e garantisca del suo civile rispetto per la frontiera invisibile che circonda le persone.
Però, – pensa andando avanti e, non appena l’orizzonte è sgombro, riprendendo il libero movimento del bulbo oculare – io, così facendo, ostento un rifiuto a vedere, cioè anch’io finisco per rafforzare la convenzione che ritiene illecita la vista del seno, ossia istituisco una specie di reggipetto mentale sospeso tra i miei occhi e quel petto che, dal barbaglio che me ne è giunto sui confini del mio campo visivo, m’è parso fresco e piacevole alla vista. Insomma, il mio non guardare presuppone che io sto pensando a quella nudità, me ne preoccupo, e questo è in fondo ancora un atteggiamento indiscreto e retrivo.
Ritornando dalla sua passeggiata, Palomar ripassa davanti a quella bagnante, e questa volta tiene lo sguardo fisso davanti a sé, in modo che esso sfiori con equanime uniformità la schiuma delle onde che si ritraggono, gli scafi delle barche tirate in secco, il lenzuolo di spugna steso sull’arena, la ricolma luna di pelle più chiara con l’alone bruno del capezzolo, il profilo della costa nella foschia, grigia contro il cielo.
Ecco, – riflette, soddisfatto di se stesso, proseguendo il cammino, – sono riuscito a far sì che il seno fosse assorbito completamente dal paesaggio, e che anche il mio sguardo non pesasse più che lo sguardo d’un gabbiano o d’un nasello.
Ma sarà proprio giusto, fare così? – riflette ancora, – o non è un appiattire la persona umana al livello delle cose, considerarla un oggetto, e quel che è peggio, considerare oggetto ciò che nella persona è specifico del sesso femminile? Non sto forse perpetuando la vecchia abitudine della supremazia maschile, incallita con gli anni in un’insolenza abitudinaria?
Si volta e ritorna sui suoi passi. Ora, nel far scorrere il suo sguardo sulla spiaggia con oggettività imparziale, fa in modo che, appena il petto della donna entra nel suo campo visivo, si noti una discontinuità, uno scarto, quasi un guizzo. Lo sguardo avanza fino a sfiorare la pelle tesa, si ritrae, come apprezzando con un lieve trasalimento la diversa consistenza della visione e lo speciale valore che essa acquista, e per un momento si tiene a mezz’aria, descrivendo una curva che accompagna il rilievo del seno da una certa distanza, elusivamente ma anche protettivamente, per poi riprendere il suo corso come niente fosse stato.
Così credo che la mia posizione risulti ben chiara, – pensa Palomar, – senza malintesi possibili. Però questo sorvolare dello sguardo non potrebbe in fin dei conti essere inteso come un atteggiamento di superiorità, una sottovalutazione di ciò che un seno è e significa, un tenerlo in qualche modo in disparte, in margine o tra parentesi? Ecco che ancora sto tornando a relegare il seno nella penombra in cui l’hanno tenuto secoli di pudibonderia sessuomaniaca e di concupiscenza come peccato…
Una tale interpretazione va contro alle migliori intenzioni di Palomar, che pur appartenendo a una generazione matura, per cui la nudità del petto femminile s’associava all’idea d’un’intimità amorosa, tuttavia saluta con favore questo cambiamento nei costumi, sia per ciò che esso significa come riflesso d’una mentalità più aperta nella società, sia in quanto una tale vista in particolare gli riesce gradita. È quest’incoraggiamento disinteressato che egli vorrebbe riuscire a esprimere nel suo sguardo.
Fa dietro-front. A passi decisi muove ancora verso la donna sdraiata al sole. Ora il suo sguardo, lambendo volubilmente il paesaggio, si soffermerà sul seno con uno speciale riguardo, ma s’affretterà a coinvolgerlo in uno slancio di benevolenza e gratitudine per il tutto, per il sole e il cielo, per i pini ricurvi e la duna e l’arena e gli scogli e le nuvole e le alghe, per il cosmo che ruota intorno a quelle cuspidi aureolate.
Questo dovrebbe bastare a tranquillizzare definitivamente la bagnante solitaria e a sgombrare il campo da illazioni fuorvianti. Ma appena lui torna ad avvicinarsi, ecco che lei s’alza di scatto, si ricopre, sbuffa, s’allontana con scrollate infastidite delle spalle come sfuggisse alle insistenze moleste d’un satiro.
Il peso morto d’una tradizione di malcostume impedisce d’apprezzare nel loro giusto merito le intenzioni più illuminate, conclude amaramente Palomar.

La spada del sole

Il riflesso sul mare si forma quando il sole s’abbassa: dall’orizzonte una macchia abbagliante si spinge fino alla costa, fatta di tanti luccichii che ondeggiano; tra luccichio e luccichio, l’azzurro opaco del mare incupisce la sua rete. Le barche bianche controluce si fanno nere, perdono consistenza ed estensione, come consumate da quella picchiettatura risplendente.
È l’ora in cui il signor Palomar, uomo tardivo, fa la sua nuotata serale. Entra in acqua, si stacca dalla riva, e il riflesso del sole diventa una spada scintillante nell’acqua che dall’orizzonte s’allunga fino a lui. Il signor Palomar nuota nella spada o per meglio dire la spada resta sempre davanti a lui, a ogni sua bracciata si ritrae, e non si lascia mai raggiungere. Per tutto dove egli allunga le braccia, il mare prende il suo opaco colore serale, che s’estende fino a riva alle sue spalle.
Mentre il sole scende verso il tramonto, il riflesso da bianco-incandescente si colora d’oro e di rame. E dovunque il signor Palomar si sposti, il vertice di quell’aguzzo triangolo dorato è lui; la spada lo segue, indicandolo come la lancetta d’un orologio che ha per perno il sole.
«È un omaggio speciale che il sole fa a me personalmente», è tentato di pensare il signor Palomar, o meglio l’io egocentrico e megalomane che abita in lui. Ma l’io depressivo o autolesionista che coabita con l’altro nello stesso contenitore, obietta: «Tutti quelli che hanno occhi vedono il riflesso che li segue; l’illusione dei sensi e della mente ci tiene sempre tutti prigionieri». Interviene un terzo coinquilino, un io più equanime: «Vuol dire che, comunque sia, io faccio parte dei soggetti senzienti e pensanti, capaci di stabilire un rapporto con i raggi solari, e di interpretare e valutare le percezioni e le illusioni».
Ogni bagnante che a quest’ora nuota verso ponente vede la striscia di luce che si dirige verso di lui per spegnersi poco più in là del punto dove la sua bracciata si spinge: ognuno ha un suo riflesso, che solo per lui ha quella direzione e si sposta con lui. Ai due lati del riflesso, l’azzurro dell’acqua è più cupo. «È quello il solo dato non illusorio, comune a tutti, il buio?» si domanda il signor Palomar. Ma la spada s’impone ugualmente all’occhio di ciascuno, non c’è modo di sfuggirle. «Ciò che abbiamo in comune è proprio ciò che è dato a ciascuno come esclusivamente suo?»
Le tavole a vela scivolano sull’acqua, tagliando con bordate oblique il vento di terra che si leva a quest’ora. Figure erette reggono il boma a braccia distese come arcieri, contenendo l’aria che schiocca nella tela. Quando attraversano il riflesso ecco che in mezzo all’oro che li avvolge i colori della vela si attenuano e il profilo dei corpi opachi è come entrasse nella notte.
«Tutto questo avviene non sul mare, non nel sole, – pensa il nuotatore Palomar, – ma dentro la mia testa, nei circuiti tra gli occhi e il cervello. Sto nuotando nella mia mente; è solo là che esiste questa spada di luce; e ciò che mi attira è proprio questo. È questo il mio elemento, l’unico che io possa in qualche modo conoscere.»
Ma anche pensa: «Non posso raggiungerla, è sempre lì davanti, non può essere insieme dentro di me e qualcosa in cui io nuoto, se la vedo ne resto fuori ed essa resta fuori».
Le sue bracciate si sono fatte stracche e incerte: si direbbe che tutto il suo ragionamento, anziché aumentargli il piacere di nuotare nel riflesso, glie lo stia guastando, come facendogli sentire in esso una limitazione, o una colpa, o una condanna. E anche una responsabilità a cui non può sfuggire: la spada esiste solo perché lui è lì; se lui se ne andasse, se tutti i bagnanti e i natanti tornassero a riva, o solo voltassero le spalle al sole, dove finirebbe la spada? Nel mondo che si disfa, la cosa che lui vorrebbe salvare è la più fragile: quel ponte marino tra i suoi occhi e il sole calante. Il signor Palomar non ha più voglia di nuotare; ha freddo. Però continua: ora è obbligato a restare in acqua fino a che il sole non scompare.
Allora pensa: «Se io vedo e penso e nuoto il riflesso, è perché all’altro estremo c’è il sole che lancia i suoi raggi. Conta solo l’origine di ciò che è: qualcosa che il mio sguardo non può sostenere se non in forma attenuata come in questo tramo...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Presentazione
  4. Cronologia
  5. Bibliografia essenziale
  6. Palomar
  7. 1. Le vacanze di Palomar
  8. 2. Palomar in città
  9. 3. I silenzi di Palomar
  10. Postfazione di Seamus Heaney
  11. Guida alla numerazione dei titoli dell’indice
  12. Copyright