Quanto è abbastanza?
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Quanto è abbastanza?

Di quanto denaro abbiamo davvero bisogno per essere felici (meno di quello che pensi)

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  1. 312 pagine
  2. Italian
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Di quanto denaro abbiamo davvero bisogno per essere felici (meno di quello che pensi)

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Che cosa intendiamo per "vita buona"? Quali e quanti beni devono esserci garantiti per poterla vivere? Queste domande nascono dalla generale incertezza sul futuro e dalla quotidiana difficoltà nel soddisfare bisogni in continua espansione, in un'epoca in cui il capitalismo economico-finanziario inizia a mostrare tutte le sue contraddizioni: da un lato il culto del profitto e della ricchezza come valori universali, dall'altro la creazione, all'interno delle stesse società industrializzate, di enormi disparità di reddito e di sacche di povertà mai conosciute prima.
Robert Skidelsky, autorevole economista, e suo figlio Edward, docente di filosofia, riprendono la celebre previsione di Keynes, rimasta irrealizzata, secondo la quale in Occidente, all'inizio del Terzo millennio, avremmo avuto "abbastanza" per soddisfare tutte le nostre necessità lavorando non più di tre ore al giorno, e la utilizzano come spunto di riflessione per capire l'origine del nostro malcontento e trovarne il rimedio. Lo smisurato ampliamento della sfera dei bisogni, l'aumento delle ore di lavoro a scapito del tempo libero e il conseguente abbassamento della qualità della vita impongono un profondo cambiamento di prospettiva: non dobbiamo più chiederci che cosa serve per raggiungere il benessere, ma che cosa sia davvero il nostro bene. Attingendo alle lezioni della sociologia (da Weber a Veblen), al pensiero filosofico (Aristotele in particolare) e alle più intuitive teorie economiche (da Kaldor a Frank), gli autori mostrano come la ricchezza non sia, e non debba essere, un fine in sé, bensì un semplice mezzo per vivere una vita buona, e tratteggiano possibili forme di organizzazione sociale ed economica diverse dall'attuale.
Rifiutando un concetto univoco di progresso umano (che sia il PIL o un'idea generica di felicità), l'ambizioso obiettivo di Robert e Edward Skidelsky è non solo quello di individuare un numero preciso di "beni" fondamentali irrinunciabili, come la salute, la sicurezza, il rispetto, l'autonomia, ma anche formulare alcune proposte radicali di politica economica - per esempio, l'introduzione di un "reddito di base" o del work-sharing, un sistema di suddivisione dell'orario a tempo pieno fra più lavoratori -, che possano mostrarci la nuova direzione da prendere.
Non provare a sviluppare una visione collettiva della vita buona che attribuisca un significato "morale" alla ricchezza è un lusso che non possiamo più permetterci. Anche perché comporterebbe uno spreco irrimediabile: non di denaro, ma di possibilità umane.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852034114
Argomento
Economia

Note

Introduzione

1 John Maynard Keynes, La fine del laissez-faire, in Esortazioni e profezie, trad. it. Milano, Il Saggiatore, 2011, p. 245.
2 George Orwell, La strada di Wigan Pier, trad. it. Milano, Mondadori, 1960, p. 222.
3 W. Stanley Jevons, Teoria della economia politica ed altri scritti economici, trad. it. Torino, UTET, 1947, p. 57.
4 Bertrand Russell, Elogio dell’ozio, trad. it. Milano, TEA, pp. 22-24.
5 Charles Baudelaire, Diari intimi, in Opere, trad. it. Milano, Enrico dall’Oglio Editore, 1965, p. 664.
6 John Maynard Keynes, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, trad. it. Torino, UTET, 1971, p. 568.
7 IMSciences.net, 9 settembre 2011.
8 Harry G. Johnson, The Political Economy of Opulence, in «Canadian Journal of Economics and Political Science», XXVI, 4, 1960, p. 554.
9 Adam Smith, La ricchezza delle nazioni, trad. it. Torino, UTET, 1975, pp. 73-74; Alfred Marshall, Principi di economia, trad. it. Torino, UTET, 1959, p. 65; Lionel Robbins, Saggio sulla natura e l’importanza della scienza economica, trad. it. Torino, UTET, 1947, p. 20.
10 John Maynard Keynes, Prospettive economiche per i nostri nipoti, in Esortazioni e profezie, cit., p. 283.

I. L’errore di Keynes

1 Cit. in Robert Skidelsky, John Maynard Keynes. L’economista come salvatore 1920-1937, trad. it. Torino, Bollati Boringhieri, 1996, pp. 119, 308.
2 Per il saggio nel suo complesso, cfr. J.M. Keynes, Prospettive economiche per i nostri nipoti, cit., pp. 273-83. Per le citazioni precedenti, cfr. R. Skidelsky, John Maynard Keynes, cit., p. 786.
3 George E. Moore, Principia Ethica, trad. it. Milano, Bompiani, 1964, pp. 292-93.
4 A.W. Plumptre, cit. in R. Skidelsky, John Maynard Keynes, cit., p. 310.
5 Per un’analisi dei tassi di crescita negli USA, in Europa e nel resto del mondo, cfr. Fabrizio Zilibotti, «Possibilità economiche per i nostri nipoti»: una prospettiva globale 75 anni dopo, in Lorenzo Pecchi e Gustavo Piga (a cura di), Il ventunesimo secolo di Keynes. Economia e società per le nuove generazioni, Roma, Luiss University Press, 2011, pp. 37-48.
6 J.M. Keynes, Prospettive economiche per i nostri nipoti, cit., p. 277.
7 Wenchao Jin et al., Poverty and Inequality in the UK, London, Institute for Fiscal Studies, 2011.
8 «The Week», 16 luglio 2011.
9 Jonathan Gershuny, Busyness as the Badge of Honour for the New Superordinate Working Class, Institute for Social and Economic Research, Working Paper 2005-2009 (2005).
10 Bureau of Labor Statistics (BLS) degli Stati Uniti.
11 Cfr. Axel Leijonhufvud, Spalmando il pane sottile sul burro, in L. Pecchi e G. Piga (a cura di), Il ventunesimo secolo di Keynes, cit., pp. 115-22.
12 Henry Phelps-Brown, The Inequality of Pay, Oxford, Oxford University Press, 1977, pp. 84-86.
13 Lenin, Stato e Rivoluzione, trad. it. Roma, Newton Compton, 1971, cap. V, sez. 3, p. 169; A. Smith, La ricchezza delle nazioni, cit., libro I, cap. V, p. 111; Jeremy Bentham, A Table of the Springs of Action, 1817, p. 20.
14 Questa critica nei confronti di Keynes caratterizza tutti i saggi raccolti in L. Pecchi e G. Piga (a cura di), Il ventunesimo secolo di Keynes, cit.; cfr. i saggi di Stiglitz, p. 49, Freeman, p. 131, e Fitoussi, p. 147.
15 Tom Rachman, Gli imperfezionisti, trad. it. Milano, Il Saggiatore, 2010, p. 100.
16 Aditya Chakrabortty, Why our Jobs are Getting Worse, in «Guardian», 31 agosto 2010. Cfr. anche, sul fenomeno del lavoro standardizzato modello McDonald’s, Irina Grugulis et al., «No Place to Hide». The Reality of Leadership in UK Supermarkets, SKOPE Research Paper 91. Sul taylorismo digitale, cfr. Philip Brown et al., The Global Auction. The Broken Promises of Education, Jobs and Incomes, New York, Oxford University Press, 2010, pp. 65-82. Per l’orrido mondo dei call-center, cfr. Simon Head, The New Ruthless Economy. Work and Power in the Digital Age, New York, Oxford University Press, 2003, pp. 100-16.
17 St Paul’s Institute, Value and Values. Perceptions of Ethics in the City Today, London, St Paul’s Institute, 2011.
18 Harald Bielenski, Gerhard Bosch e Alexandra Wagner, Employment and Working Time in Europe, Dublin, EFILWC (European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions), 2002. L’esatta domanda del sondaggio era: «Supponendo che lei (e il suo compagno/la sua compagna) potesse compiere una libera scel...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Quanto è abbastanza?
  3. Prefazione
  4. Introduzione
  5. I. L’errore di Keynes
  6. II. Il patto faustiano
  7. III. A che cosa serve la ricchezza
  8. IV. Il miraggio della felicità
  9. V. Limiti alla crescita: naturali o morali?
  10. VI. Elementi della vita buona
  11. VII. Vie d’uscita dalla competizione sfrenata
  12. Note
  13. Copyright