Il nido dei calabroni
eBook - ePub

Il nido dei calabroni

  1. 448 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il nido dei calabroni

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Un imprendibile serial killer, che si firma marchiando le sue vittime con la vernice arancione, sta terrorizzando la città di Charlotte. Toccherà a Virginia West, energico vicecapo della polizia cittadina, il compito di fermarlo.
Un nuovo indimenticabile personaggio dalla scrittrice che ha dato vita a Kay Scarpetta.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Il nido dei calabroni di Patricia Cornwell, Anna Rusconi in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Letteratura e Letteratura poliziesca e gialli. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852034442

1

L’estate incombeva fosca su Charlotte. Tremuli luccichii balenavano sull’asfalto bollente. Il traffico convulso del mattino premeva verso le lusinghe del futuro, nuovi edifici spuntavano, il passato si arrendeva ai bulldozer. Dal centro città si impennavano i sessanta piani dell’US Bank Corporate Center, sormontati da una corona di canne d’organo inneggianti al dio denaro. Capitale dell’ambizione e del cambiamento, Charlotte era cresciuta così in fretta da non riuscire più a orientarsi nelle sue stesse strade. Il suo sviluppo non conosceva tregua, spesso era goffo come quello di un adolescente, o troppo pieno di ciò che i suoi primi coloni avevano chiamato orgoglio.
Città e contea dovevano il loro nome alla principessa Charlotte Sophia di Mecklenburg-Strelitz, prima che diventasse la consorte di Giorgio III. I tedeschi, che aspiravano alle stesse libertà degli scozzesi e degli irlandesi, erano una cosa, gli inglesi un’altra. Quando, nel 1780, Lord Cornwallis aveva deciso di occupare quella che sarebbe diventata celebre come la Queen City, la città regina, di fronte alla salda resistenza degli ostinati presbiteriani aveva ribattezzato Charlotte il “nido di calabroni dell’America”. Due secoli dopo, l’effigie del calabrone svolazzante era ancora il simbolo della città, della sua squadra di basket e del dipartimento di polizia che proteggeva entrambe.
Era la stessa sagoma bianca in campo blu scuro che vibrava sulle spalle della candida camicia d’uniforme del vicecomandante di polizia Virginia West. In realtà, la maggioranza dei tutori dell’ordine non aveva la più pallida idea di cosa significasse quel simbolo. Alcuni pensavano che fosse un tornado, una civetta delle nevi, o una barba. Altri erano certi che avesse un legame con gli eventi sportivi dell’arena, o dello stadio da duecentotrenta milioni di dollari che dominava il centro come un’astronave aliena appena atterrata. Ma Virginia West era stata punta più di una volta, conosceva bene il nido di quel calabrone. Era ciò che ogni mattina la aspettava quando usciva per recarsi al lavoro e apriva le pagine del Charlotte Observer, era la violenza che impazzava e il ronzio di voci che parlavano tutte insieme. Quel lunedì si sentiva di pessimo umore, pronta a ribaltare il mondo intero.
Il dipartimento di polizia si era appena trasferito nel nuovo complesso di lucido cemento noto come Law Enforcement Center, o LEC, situato nella stessa centralissima Trade Street da cui erano transitati gli invasori inglesi. L’intera zona era un costante fiorire di cantieri, come se la trasformazione fosse un virus inarrestabile, e nel parcheggio del LEC regnava il caos. Virginia West non aveva ancora preso pieno possesso del suo ufficio, ma tra pozzanghere di fango e nuvole di polvere era costretta a portare la sua nuova autopattuglia blu al lavaggio almeno un paio di volte la settimana.
Quel mattino le aree riservate di fronte alla centrale le serbavano un’altra sorpresa: il suo posto era occupato da una motocicletta verde pappagallo con rifiniture cromate, una Suzuki da spacciatore di quelle che fanno girare la testa a più di una persona e in più di un modo.
— Maledizione! — Si guardò intorno, sperando di individuare l’autore del reato.
Il parcheggio brulicava di agenti, qualcuno in arrivo, qualcuno in uscita, qualcun altro solo di passaggio per un trasporto detenuti; era un dipartimento da milleseicento membri regolari, a cui si sommava il viavai dei collaboratori esterni. Per un attimo Virginia West rimase seduta a osservare la scena, le narici solleticate dal profumo della tartina uovo e pancetta di Bojangles, probabilmente ormai fredda. Alla fine optò per un quarto d’ora di tregua in un parcheggio a tempo. Scese dalla macchina e cercò di raccattare alla meglio valigetta, portafoglio, cartelline di lavoro, giornali, la colazione e un grosso bicchiere di caffè da asporto.
Mentre chiudeva la portiera con un colpo d’anca, il tizio della moto emerse dall’edificio. Indossava un paio di jeans mollemente calati sui glutei, con i classici quindici centimetri di boxer color pastello in bella mostra: un look da duro che seguiva la moda dei carcerati, a cui veniva confiscata la cintura per evitare impiccagioni indesiderate. La nuova tendenza era dilagata al di là di qualsiasi barriera socioeconomica e razziale, lasciando mezza città in ridicoli bragoni. E lasciando Virginia West alquanto perplessa. Si staccò dalla macchina e mosse qualche passo oberata dal suo pesante carico. Il ragazzo la superò con passo baldanzoso, mormorandole una specie di buongiorno.
— Brewster! — Il richiamo lo bloccò con la stessa efficacia di un mitra spianato. — Ti credi tanto furbo a rubarmi il parcheggio?
Brewster sogghignò. Gli anelli e un Rolex falso balenarono nell’aria mentre spalancava le braccia e la pistola faceva capolino da sotto la giacca. — Guardati intorno e dimmi cosa vedi. Non c’è un fottuto parcheggio in tutta Charlotte.
— È il motivo per cui alle persone importanti come me ne assegnano uno riservato — ribatté la donna all’agente investigativo, che era un suo sottoposto. Quindi gli lanciò le chiavi. — Riportamele appena avrai spostato la macchina.
Virginia West, quarantadue anni, per strada faceva ancora voltare la testa agli uomini. Non aveva mai sposato nessuno tranne ciò che credeva essere la sua unica missione in terra. Aveva capelli rosso scuro non molto curati e un po’ troppo lunghi per i suoi gusti, occhi scuri e vivaci e un corpo notevole che non si meritava, visto che non faceva nulla per conservarne le curve intatte e le superfici piatte e levigate. Le altre donne la invidiavano per come portava l’uniforme, ma non era quello il motivo per cui lei la preferiva agli abiti borghesi: Virginia West aveva sotto di sé oltre trecento agenti investigativi del calibro di Ronald Brewster, sbruffoni a cui valeva sempre la pena di ricordare cos’era il rispetto per la legge.
Il suo ingresso al LEC fu accolto dai saluti di numerosi poliziotti. Girò a destra, diretta verso gli uffici in cui il comandante Judy Hammer prendeva le importanti decisioni di ordine pubblico, decisioni destinate a influenzare la vita dei quasi sei milioni di cittadini posti sotto la sua giurisdizione. Virginia West adorava il suo capo ma in quel momento lo disapprovava. Conosceva già lo scopo di quella convocazione, e purtroppo si trattava di qualcosa per cui non poteva fare nulla. Era una situazione assurda. Nell’anticamera il capitano Fred Horgess coprì con una mano la cornetta del telefono e scosse la testa come per dirle non so che farci. Virginia West raggiunse la scura porta di legno sui cui spiccava la lucida targhetta in ottone del comandante Hammer.
— Non promette niente di buono — la avvertì il capitano con un’alzata di spalle.
— Chissà perché, ci ero già arrivata da sola — rispose Virginia West in tono irritato.
Tenendo in equilibrio il fardello che le ingombrava le braccia bussò con la punta della scarpa nera e abbassò la maniglia servendosi di un ginocchio, raddrizzando il bicchiere appena in tempo per non rovesciare il caffè. Nel suo ufficio, Judy Hammer sedeva dietro la scrivania sommersa di carte, tra fotografie di figli e nipoti; appeso alla parete alle sue spalle, il motto PREVENIRE IL PROSSIMO CRIMINE. Il comandante della polizia di Charlotte aveva superato da poco la cinquantina, indossava un elegante completo pied-de-poule e il suo telefono suonava in continuazione. In quel momento aveva cose più importanti a cui pensare.
Virginia West depositò il suo carico su una sedia e prese posto su un’altra, accanto alla Vittoria Alata in ottone che l’anno precedente l’International Association of Chiefs of Police aveva conferito in premio a Judy Hammer. La quale, dal canto suo, non si era mai presa la briga di trovarle un piedistallo adatto o un luogo d’esposizione più degno: il trofeo, alto un metro e venti, continuava a occupare lo stesso riquadro di moquette di fianco alla scrivania, come fosse in attesa di venire trasportato altrove. Se il comandante Hammer vinceva quei premi, era proprio perché non le interessavano.
— So già di che cosa si tratta — esordì Virginia West togliendo il coperchio dal bicchiere del caffè e liberando uno sbuffo di vapore. — E tu sai già che cosa ne penso.
Judy Hammer le fece segno di tacere, quindi si sporse sulla scrivania intrecciando le dita delle mani. — Ascolta, Virginia, finalmente ho l’appoggio del consiglio comunale, del capo dei servizi e del sindaco.
— Be’, si sbagliano tutti, te compresa. — La West mescolò lo zucchero e la panna nel caffè. — Non riesco a credere che tu abbia potuto convincerli, ma ti avverto fin da ora che presto troveranno il modo di mandare tutto all’aria perché in realtà non lo vogliono davvero. E non dovresti volerlo neanche tu. Per un cronista di nera arruolarsi volontario nella polizia e uscire di ronda con noi rappresenta un maledetto conflitto di interessi, non capisci?
Virginia West scartò rumorosamente la colazione di Bojangles, una tartina unta che il suo capo non avrebbe mai avvicinato alle labbra, nemmeno ai tempi in cui era sottopeso e passava tutto il giorno in piedi, dentro e fuori da carceri e riformatori, impegnata in analisi statistiche e archiviazioni, in ispezioni e controlli di vetture rubate, tutti compiti eccitanti di un’epoca in cui alle donne non era ancora permesso montare di pattuglia. Semplicemente, Judy Hammer non credeva nel valore nutritivo dei grassi.
— Insomma! — esclamò Virginia West dopo il primo boccone. — Mi pare che fosti proprio tu a intentare causa all’Observer per colpa di quel cronista, no?
Il comandante Hammer non amava ripensare a Weinstein, una vera delusione, per non dire un vero criminale, uno il cui metodo di lavoro consisteva nell’intrufolarsi non visto nell’ufficio del capitano in servizio o della Divisione Investigativa per rubare rapporti dalle scrivanie, dalle stampanti e dai fax. Tanta collaborazione era culminata in un articolo di prima pagina su un’edizione domenicale: un ritratto del comandante Hammer in cui si dava a intendere che usasse l’elicottero della polizia per fini personali, che impiegasse agenti fuori servizio come autisti privati e tuttofare e che, il giorno in cui sua figlia era stata arrestata per guida in stato di ubriachezza, avesse approfittato della propria autorità per farla rilasciare. Naturalmente, nulla di tutto ciò era vero. Judy Hammer nemmeno aveva una figlia.
Si alzò, frustrata e preoccupata dalla confusione che regnava nel mondo. Si fermò davanti alla finestra, le mani sprofondate nelle tasche della gonna, dando la schiena al vicecomandante West.
— Al Charlotte Observer, così come in municipio, si sentono poco capiti e poco considerati — disse, riprendendo la sua opera di evangelizzazione. — E io so che neanche loro ci capiscono. Né peraltro ci considerano.
La West appallottolò con aria disgustata la carta e il bicchiere della colazione, aggiudicandosi due canestri. — L’unica cosa che interessa a quelli dell’Observer è vincere un altro premio Pulitzer.
Il comandante si girò, il volto serissimo. — Ieri ho pranzato con il nuovo direttore. È stata la prima volta in almeno dieci anni che un rappresentante delle forze dell’ordine è riuscito ad avere una conversazione civile con un rappresentante della stampa. Non esiterei a definirlo un miracolo. — Prese a camminare avanti e indietro per la stanza, gesticolando appassionatamente, come sempre in quei momenti. Amava la sua missione. — Abbiamo deciso di provarci. Certo, la bomba potrebbe anche esploderci tra le mani. — Fece una pausa. — Ma se invece funzionasse? Andy Brazil…
— Chi? — La West inarcò le sopracciglia.
— Un ragazzo molto, molto determinato — proseguì il comandante. — Ha frequentato l’accademia per poliziotti volontari riportando i migliori voti in assoluto e impressionando assai favorevolmente gli istruttori. Questo basta forse a metterci al riparo dalle sorprese? Certo che no, Virginia. Ma non intendo permettere a questo giovane reporter di rovinarci un’indagine fornendo un’immagine sbagliata del nostro operato. Quindi non gli mentiremo, non lo ostacoleremo e non ci accaniremo contro di lui.
Con un gemito, la West si prese la testa fra le mani.
Il comandante Hammer tornò a sedersi alla scrivania. — Se le cose funzioneranno — riprese — saranno l’intero dipartimento e la comunità stessa a guadagnarne. Sarà un esempio per tutti e ovunque. Se solo ogni cittadino potesse trascorrere una notte in servizio con noi… Quante volte ti ho sentito ripetere questa frase?
— Be’, non la dirò mai più.
Il comandante Hammer si sporse sulla scrivania, puntando un dito contro quel vice che tanto ammirava ma altrettanto spesso desiderava scuotere per la sua ristrettezza di vedute. — Ti voglio di nuovo in pista — disse. Era un ordine. — Con Andy Brazil. Regalagli una dose di quelle che non si scordano facilmente.
— Oh, Cristo, Judy! — esclamò la West. — Perché? Perché mi fai questo? Sto già impazzendo abbastanza per decentralizzare le indagini. Le unità stradali sono nella merda, mi mancano due capitani, e tanto per cambiare la Goode e io non riusciamo a metterci d’accordo su niente…
Ma il comandante Hammer non la stava già più ascoltando. Inforcò gli occhiali da lettura e cominciò a sfogliare un promemoria. — A partire da oggi — concluse.
Espirando rumorosamente e controllando i tempi sul Casio da polso, Andy Brazil correva veloce e concentrato sulla pista del Davidson College, nella piccola cittadina omonima situata a nord di Charlotte. Lì era cresciuto e aveva frequentato i corsi accademici e di tennis garantiti dalle borse di studio. In realtà in quel college era sempre vissuto. O meglio, era vissuto in una fatiscente casa di legno in Main Street, dirimpetto a un cimitero che, come la scuola mista recentemente ristrutturata, risaliva a prima della Guerra Civile.
Sua madre aveva lavorato fino a pochi anni addietro nel servizio di ristorazione universitario. Andy era cresciuto nel campus osservando il succedersi di generazioni di ricchi studenti e borsisti Rhodes. Anche quando ormai stava per laurearsi con la lode, alcuni compagni di corso, in particolare i capi della tifoseria sportiva, avevano continuato a trattarlo come un sempliciotto di paese, civettando con lui mentre serviva loro uova e fiocchi d’avena. E quando lo incontravano in corridoio, carico di libri e preoccupato per qualche minuto di ritardo, la loro reazione era sempre di ottusa perplessità.
Andy Brazil non si era mai sentito veramente a casa né lì né da nessun’altra parte. Era come se guardasse tutti attraverso una parete di vetro: per quanto si sforzasse, non riusciva mai a toccare chi stava al di là, né gli altri riuscivano a toccare lui, a meno che non si trattasse di qualche mentore. Aveva passato la vita infatuandosi di insegnanti, allenatori, guardie della sicurezza interna, amministratori, rettori, medici e infermiere. Tutti erano sempre parsi accogliere di buon grado, persino con entusiasmo, le sue insolite riflessioni e gli scritti che timidamente sottoponeva al loro giudizio quando, fuori orario di lavoro, andava a trovarli portando in regalo una bibita comprata da M&M o un sacchetto di biscotti fatti da sua madre. Andy Brazil era, molto semplicemente, un acuto osservatore della realtà. Uno scrittore nato, che aveva accettato la sua vocazione con umiltà e coraggio.
Quel mattino era troppo presto perché ci fosse già in giro qualcuno, a parte una tizia dal corpo irrimediabilmente sformato, la moglie di un docente, e due donne in tuta da ginnastica che si lamentavano a perdifiato dei mariti grazie ai quali adesso erano lì a farsi una corsetta anziché essere in ufficio a lavorare. Brazil indossava maglietta e pantaloncini del Charlotte Observer e dimostrava meno dei suoi ventidue anni. Era un ragazzo fiero e di bell’aspetto, con zigomi alti, capelli striati di biondo e un corpo tonico in splendida forma. Sembrava quasi non accorgersi della reazione che la sua presenza suscitava negli altri, o forse la cosa non gli interessava: la sua attenzione era perennemente rivolta altrove.
Scriveva da quando aveva imparato a tenere in mano la penna, e dopo la laurea, cercando lavoro, aveva giurato al direttore dell’Observer, Richard Panesa, che se gli avesse dato una sola possibilità non se ne sarebbe pentito. Panesa lo aveva assunto nella redazione di TV Week, come responsabile dell’aggiornamento programmi di una cosa che nemmeno guardava. I colleghi gli stavano antipatici. Lo stesso valeva per il caporedattore, un tizio grasso e iperteso. Quel posto non gli riservava alcun futuro, a parte la vaga promessa di una cover story che non arrivava mai. Così Andy Brazil aveva iniziato ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il nido dei calabroni
  4. Capitolo 1
  5. Capitolo 2
  6. Capitolo 3
  7. Capitolo 4
  8. Capitolo 5
  9. Capitolo 6
  10. Capitolo 7
  11. Capitolo 8
  12. Capitolo 9
  13. Capitolo 10
  14. Capitolo 11
  15. Capitolo 12
  16. Capitolo 13
  17. Capitolo 14
  18. Capitolo 15
  19. Capitolo 16
  20. Capitolo 17
  21. Capitolo 18
  22. Capitolo 19
  23. Capitolo 20
  24. Capitolo 21
  25. Capitolo 22
  26. Capitolo 23
  27. Capitolo 24
  28. Capitolo 25
  29. Capitolo 26
  30. Copyright