Il cimitero dei senza nome
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Il cimitero dei senza nome

  1. 364 pagine
  2. Italian
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Il cimitero dei senza nome

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Informazioni sul libro

Facendo l'autopsia sul cadavere di una giovane donna assassinata, Kay Scarpetta si rende conto che il delitto è opera di Temple Gault, un assassino dall'astuzia diabolica che è sempre riuscito a sottrarsi alla giustizia. Questa volta però la coraggiosa anatomopatologa ha deciso di chiudere i conti, definitivamente.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852032875

1

La sera della vigilia di Natale era fredda e costellata di infide lastre di ghiaccio annerito. Dagli scanner si levava la gracchiante colonna sonora delle chiamate di servizio. Mi accadeva raramente di essere accompagnata dopo il crepuscolo nella zona dei quartieri popolari di Richmond. In genere ero io che guidavo. In genere ero io il pilota solitario del furgone blu dell’obitorio che arrivava sulla scena di delitti violenti e inspiegabili. Quella sera invece occupavo il sedile del passeggero di una Crown Victoria, avvolta dalle note di una musichetta natalizia e dalle voci di agenti e centralinisti che si parlavano in codice.
«Babbo Natale ha voltato a destra lì avanti.» Feci segno con la mano. «Secondo me lo sceriffo si è perso.»
«Sì, be’, diciamo pure che è completamente fuori» mi corresse il capitano Pete Marino, comandante del violento distretto che stavamo attraversando. «La prossima volta che ci fermiamo, prova a guardarlo negli occhi.»
Nessuna sorpresa. Nella sua vita privata lo sceriffo Lamont Brown girava in Cadillac e sfoggiava pesanti gioielli d’oro, la comunità locale però lo adorava per il ruolo che incarnava in quel momento. Quelli di noi che sapevano la verità non osavano fiatare. Dire che Babbo Natale non esiste è pur sempre un sacrilegio, ma in quel caso Babbo Natale non esisteva proprio: lo sceriffo Brown sniffava cocaina, e probabilmente rubava metà di quello che ogni anno gli veniva donato perché lo distribuisse di persona ai poveri. Era un vero bastardo. Visto il disprezzo reciproco, recentemente aveva anche fatto in modo di nominarmi membro della giuria in un processo.
Il tergicristalli arrancava sulla gelida crosta del parabrezza e i fiocchi di neve volteggiavano sfiorando l’auto di Marino. Dopo aver attraversato a sciami l’alone di luce dei lampioni, le candide vergini al ballo si trasformavano in macchie nere come il ghiaccio che ricopriva le strade. Il freddo era pungente. Quasi tutta la città se ne stava asserragliata in casa, con gli alberi illuminati che occhieggiavano dalle finestre e il caminetto acceso. Il bianco Natale sognato da Karen Carpenter venne bruscamente interrotto da Marino, che cambiò canale.
«Non ho rispetto per una donna che suona la batteria.» Pigiò con forza l’accendisigari.
«Karen Carpenter è morta» dissi, come se ciò bastasse a proteggerla da altri insulti. «E adesso non stava nemmeno suonando la batteria.»
«Eh, già.» Tirò fuori una sigaretta. «Soffriva di una di quelle malattie legate all’alimentazione… non ricordo come si chiama.»
Il Mormon Tabernacle Choir esplose nell’Alleluia. Il mattino dopo sarei dovuta partire per Miami, per andare a trovare mia madre, mia sorella e Lucy, mia nipote. Mia madre era in ospedale da settimane. In passato era stata una fumatrice accanita, proprio come Marino. Aprii uno spiraglio di finestrino.
«E poi il cuore le ha ceduto… anzi, è proprio quello che l’ha fregata, alla fine» continuò.
«È quello che alla fine frega tutti, Pete» sentenziai.
«Non qui. In questo maledetto posto è l’inquinamento da piombo che ti stronca.»
Ci trovavamo incuneati tra due auto di pattuglia della polizia di Richmond con le luci rosse e blu che lampeggiavano sul tetto, in mezzo a un corteo di macchine stipate di agenti, giornalisti e troupe televisive. A ogni sosta, i rappresentanti del mondo dei media manifestavano il loro spirito natalizio catapultandosi fuori armati di blocchi per appunti, microfoni e macchine fotografiche per immortalare in scatti sentimentali quel Babbo Natale che con aria raggiante distribuiva cibo e pacchi dono ai bambini dimenticati del quartiere e alle loro madri allucinate. Marino e io invece dispensavamo coperte, la mia personale donazione di quell’anno.
Svoltato l’angolo di Magnolia Street, in Whitcomb Court, le portiere si spalancarono e colsi un guizzo rosso, mentre Babbo Natale si tuffava nella luce dei fari seguito dal capo della polizia di Richmond e da altri pezzi grossi. Le telecamere accese stazionavano come dischi volanti al di sopra della folla. Ci fu un’esplosione di flash.
Marino imprecava, sommerso sotto il cumulo delle coperte. «Questa roba puzza. Dove le hai prese, in un negozio per animali?»
«Sono calde, si lavano in fretta e in caso d’incendio non sprigionano gas tossici come il cianuro» risposi.
«Gesù, ma che pensieri allegri!»
Guardai fuori, domandandomi dove fossimo.
«Io non le userei nemmeno per la cuccia del cane» insistette Marino.
«Tu non hai né un cane né una cuccia per cani, e comunque nessuno ti ha offerto niente. Perché ci siamo fermati qui, piuttosto? Questa casa non è sulla lista.»
«Ottima domanda.»
Giornalisti, agenti delle forze dell’ordine e assistenti sociali erano ammassati davanti all’ingresso di uno dei tanti edifici tutti uguali di quel quartiere di cemento che sembrava un dormitorio militare. Marino e io ci aprimmo faticosamente un varco a piedi tra la folla e il mare di macchine fotografiche che galleggiavano nell’oscurità, sovrastati dal fuoco d’artificio dei flash e dai gridolini di giubilo di Babbo Natale: «Oh! Oh! Oh!».
Finalmente riuscimmo a raggiungere l’appartamento. Lo sceriffo si era issato un bimbetto di colore sulle ginocchia e gli stava porgendo alcuni giocattoli incartati. Il piccolo si chiamava Trevi e indossava un cappellino azzurro con una foglia di marijuana stampata sopra la visiera. Aveva due occhi enormi. Seduto sulle ginocchia di velluto rosso di quell’uomo, accanto a un albero decorato di lucine, il suo sguardo appariva smarrito. Nella stanza minuscola e surriscaldata mancava l’aria e c’era puzza di grasso.
«Faccia passare, signora.» Un cameraman mi spostò con una gomitata.
«Lo metta pure lì.»
«Dove sono gli altri giocattoli?»
«Per favore, signora, vada indietro.» Ci mancò poco che il cameraman mi facesse cadere. Cominciavo a innervosirmi sul serio.
«Ci serve un altro pacco…»
«No. È qui, guarda.»
«… roba da mangiare. Ah, sì, va bene. Grazie.»
«Se è dell’assistenza sociale» mi apostrofò il cameraman, «perché non si mette là dietro, eh?»
«Se usassi anche solo metà del cervello che hai ti accorgeresti che la signora non è dell’assistenza sociale» intervenne Marino, lanciandogli un’occhiata eloquente.
Sul divano un’anziana donna con un grembiule sformato scoppiò a piangere, e un agente le sedette accanto per consolarla. Marino mi si avvicinò. «La figlia è stata assassinata il mese scorso. Il caso King, ricordi?» mi bisbigliò all’orecchio.
Scossi la testa. No, non ricordavo. I casi erano davvero troppi.
«Quello che pensiamo l’abbia fatta fuori è un bastardo spacciatore di droga di nome Jones» continuò, tentando di rinfrescarmi la memoria.
Scossi di nuovo la testa. Anche i bastardi spacciatori di droga erano troppi, e Jones non era certo un cognome raro.
Il cameraman stava riprendendo la scena e, quando Babbo Natale mi rivolse uno sguardo fisso e sostenuto, io girai la testa dall’altra parte. Il cameraman mi urtò di nuovo con violenza.
«Se fossi in lei non lo rifarei» lo ammonii in tono minaccioso.
I giornalisti si erano concentrati sulla nonna, la vera protagonista della serata: una giovane era stata uccisa, la madre della vittima piangeva e Trevi era orfano. Spente le luci della ribalta, lo sceriffo appoggiò di nuovo il bambino a terra.
«Capitano, prendo una delle vostre coperte» disse un’assistente sociale.
«Non capisco proprio perché siamo venuti qui» commentò lui, allungandole tutto il pacco. «Mi piacerebbe che qualcuno me lo spiegasse.»
«In questa casa c’è solo un bambino» rispose l’assistente. «Queste sono troppe.» Prese una coperta e gli restituì il pacco offesa, come se Marino le avesse in qualche modo disubbidito.
«Sì, ma in teoria di bambini dovrebbero essercene quattro. Glielo dico io, questa topaia non era sulla lista» brontolò lui.
In quel momento fui raggiunta da un giornalista. «Dottoressa Scarpetta, come mai è qui questa sera? Sta aspettando che muoia qualcuno?»
Lavorava per un giornale locale che non mi aveva mai trattato con particolare riguardo. Finsi di non averlo sentito. In quel momento Babbo Natale si infilò in cucina: un comportamento insolito, visto che non era casa sua e che non aveva chiesto il permesso a nessuno. La nonna, accasciata sul divano, comunque non sembrò neanche averlo notato.
Mi inginocchiai accanto a Trevi, rimasto solo sul pavimento, ancora smarrito davanti ai suoi giocattoli meravigliosi. «Che bel camion dei pompieri!» commentai.
«Guarda, si accende.» Mi mostrò una lucina rossa sul tetto dell’autopompa che girando un piccolo interruttore cominciava a lampeggiare.
Anche Marino venne a inginocchiarsi accanto a noi. «Le batterie di scorta te le hanno date?» Malgrado il tentativo di apparire brusco, non riusciva a dissimulare il sorriso dalla sua voce. «Devi prenderle della misura giusta. Lo vedi questo sportellino? Vanno messe lì dentro, okay? Devi usare quelle…»
Il primo sparo echeggiò dalla cucina come il ritorno di fiamma di un motore a scoppio. Lo sguardo di Marino si fece di ghiaccio. Estrasse la pistola dalla fondina, mentre Trevi si rannicchiava sul pavimento inarcando la schiena. Istintivamente gli feci scudo con il mio corpo. Gli spari continuarono a susseguirsi, mentre il caricatore di una semiautomatica si svuotava contro un bersaglio imprecisato vicino all’ingresso posteriore.
«A terra! A terra!»
«Oh, Dio!»
«Gesù!»
Macchine fotografiche e microfoni caddero e si ruppero, mentre la folla gridava e lottava per guadagnare l’uscita o appiattirsi sul pavimento.
«Tutti a terra!»
Marino si lanciò in direzione della cucina impugnando la nove millimetri con tutte e due le mani. Di colpo la sparatoria cessò, e la stanza piombò nel silenzio.
Raccolsi Trevi, con il cuore che mi martellava nel petto. Tremavo come una foglia. La nonna era rimasta rannicchiata sul divano, con le braccia ripiegate sulla testa; sembrava il passeggero di un aereo in picchiata. Mi sedetti accanto a lei continuando a stringere il bambino. Trevi era rimasto paralizzato. La nonna, invece, singhiozzava per la paura.
«Oh, Gesù. Gesù, ti prego, no.» Gemeva dondolandosi.
«Va tutto bene» le dissi con voce ferma.
«Gesù, basta. Basta! Non posso più sopportare cose del genere. Gesù misericordioso!»
Le presi la mano. «Va tutto bene. Mi ascolti. Lo sente? Hanno smesso, è tutto f...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il cimitero dei senza nome
  4. La notte prima di Natale
  5. Capitolo 1
  6. Capitolo 2
  7. Capitolo 3
  8. Capitolo 4
  9. Capitolo 5
  10. Capitolo 6
  11. Capitolo 7
  12. Capitolo 8
  13. Capitolo 9
  14. Capitolo 10
  15. Capitolo 11
  16. Capitolo 12
  17. Capitolo 13
  18. Capitolo 14
  19. Capitolo 15
  20. Capitolo 16
  21. Capitolo 17
  22. Capitolo 18
  23. Capitolo 19
  24. Capitolo 20
  25. Copyright