Lettere morali a Lucilio
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Lettere morali a Lucilio

  1. 656 pagine
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Lettere morali a Lucilio

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Scritte durante gli ultimi anni di vita, le Lettere morali a Lucilio costituiscono la più geniale opera di Seneca sotto il profilo del pensiero filosofico e la più significativa della sua personalità. Colloquiando con l'amico Lucilio, Seneca si rivela psicologo sensibile e raffinato, che conosce l'arte della persuasione e si rende conto di come il dialogo sia la forma più consona per raggiungere il perfezionamento morale. Seguace del pensiero stoico, senza però assumerne le posizioni estreme, il grande erudito latino raccomanda la supremazia della ragione e il sacrificio dell'individuo a vantaggio della collettività.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852033728

Lettere morali a Lucilio

Libro primo

1
Seneca saluta il suo Lucilio
1. Fai così, o mio Lucilio: renditi padrone di te stesso e il tempo che finora ti era portato via con la forza o sottratto con la frode o che ti sfuggiva di mano raccoglilo e conservalo. Persuaditi, succede proprio come ti scrivo: certi momenti ci sono tolti con brutalità, altri presi subdolamente, altri ancora si disperdono. Però lo spreco più vergognoso è quello provocato dall’incuria. E se avrai la compiacenza di prestare attenzione, bada: la maggior parte della vita se ne va mentre operiamo malamente, una porzione notevole mentre non facciamo nulla, tutta quanta la vita mentre siamo occupati in cose che non ci riguardano. 2. Mi indicherai un uomo che attribuisca un valore effettivo al tempo, che sappia soppesare ogni giornata, che si renda conto di morire ogni giorno? Sbagliamo, infatti, in questo: che ravvisiamo la morte innanzi a noi; ebbene: una gran parte della morte appartiene già al passato. Tutto ciò che della nostra esistenza è dietro di noi, la morte lo tiene saldamente. Fai dunque, o mio Lucilio, quel che mi scrivi che fai: tienti strette tutte le tue ore, così avverrà che dipenderai meno dal domani. Mentre si differiscono gli impegni, la vita ci passa davanti.1 3. Tutto, o Lucilio, è al di fuori dell’uomo: solo il tempo è nostro; di quest’unico bene lubrico e fugace la natura ci ha affidato il possesso e ne può escludere chi vuole. E poi, osserva come è grande la follia dei mortali: tollerano che siano loro rinfacciati come un debito, quando li abbiano ottenuti, i doni più insignificanti, di pochissimo valore e comunque rimpiazzabili; nessuno, invece, si considera debitore di qualcosa, se ha ricevuto un po’ di tempo; eppure questo è l’unico bene che nemmeno una persona riconoscente può restituire.
4. Forse chiederai che cosa faccio io che ti impartisco tali insegnamenti. Lo confesserò candidamente: proprio quello che succede a un uomo amante del lusso, ma scrupoloso: tengo alla perfezione il registro delle spese. Non ho il diritto di affermare che non sperpero nemmeno un poco di tempo, ma dirò quanto ne perdo e perché e in che modo; così renderò ragione della mia povertà. Del resto, mi capita ciò che succede alla maggior parte delle persone in miseria per colpa loro: tutti sono comprensivi, nessuno, però, viene ad aiutarle. 5. E allora? Non considero un poveraccio chi si accontenta di quel poco – non importa quanto – che gli è rimasto. Preferisco tuttavia che tu tenga in serbo le tue risorse e comincerai a farlo nel momento opportuno. Infatti, come giustamente vedevano i nostri vecchi, è troppo tardi risparmiare quando si è giunti in fondo al vaso,2 perché ciò che rimane è davvero poca cosa e, per giunta, la peggiore. Stammi bene.
2
Seneca saluta il suo Lucilio
1. Da ciò che mi scrivi, e da quello che sento, attingo buone speranze sul tuo conto: non vaghi di qua e di là e non sei angosciato dal cambiar continuamente di luogo. Questa frenesia è tipica di un animo ammalato: il primo indizio di una mente equilibrata penso che sia il saper trovare un punto fermo e restare in compagnia di se stessi. 2. Sta’ bene attento, però, che codesto tuo leggere molti autori e volumi d’ogni genere non sia qualcosa di vacillante e inconsistente. È opportuno indugiare su pensatori ben selezionati e assimilarli, se intendi ricavarne elementi utili che si mantengano facilmente nel tuo animo. Non è in alcun luogo chi si trova dappertutto. Ecco quel che capita a chi trascorre la vita spostandosi da un luogo all’altro: incontra molta gente che lo ospita, ma nessuna amicizia. E questo è anche il destino di quanti non studiano a fondo qualche grande pensatore, ma passano in rassegna ogni cosa di corsa e senza soffermarsi su alcuna. 3. Non serve all’organismo né viene assimilato quel cibo che, una volta assunto, è subito eliminato; nulla ostacola in eguale misura la salute quanto il cambiare medicamento a ogni piè sospinto; non riesce a cicatrizzarsi quella ferita in cui si tentano vari farmaci; non si rinvigorisce quella talea che viene spesso trapiantata. Non esiste nulla di così utile da poter giovare di sfuggita. La quantità dei libri ti mette a disagio: bene, poiché non potresti leggere quanto saresti in grado di procurarti, è sufficiente che tu abbia solo ciò che potresti leggere. 4. «Ma» tu dici «ora voglio srotolare1 questo volume, ora quello...» È proprio di uno stomaco viziato assaggiare molti cibi, e, se questi sono vari e in opposizione l’uno all’altro, intossicano, non nutrono.2 Dunque leggi sempre libri di provata autorevolezza e se talvolta ti è venuta la voglia di passare ad altri per distrarti, torna poi a quelli di prima. Ogni giorno assicurati qualche aiuto contro l’indigenza, contro la morte e non meno contro altri flagelli, quindi fra i molti pensieri che ti sono passati sotto gli occhi scegline uno solo che tu possa assimilare in quel giorno. 5. Anch’io faccio lo stesso: leggo non so quanti testi e mi tengo saldamente a qualcuno. Oggi è la volta di un pensiero che ho scovato in Epicuro (infatti ho l’abitudine di passare nel campo altrui non come disertore, ma come esploratore): «Cosa onorevole» egli dice «è una povertà soddisfatta delle proprie risorse». 6. Ma non si tratta di povertà, se è vissuta in questo modo. Non chi ha poco, ma chi desidera di più è povero. Che importa quanto denaro quel tale tiene racchiuso nel forziere, che importano la quantità di cereali nei granai, la consistenza degli armenti nei pascoli o il reddito dei suoi capitali, se sta sempre lì, addosso ai beni altrui, se fa i conti non di ciò che ha acquisito, ma di quello che potrebbe ottenere? Mi chiedi quali siano i limiti delle ricchezze? Ecco il primo: avere l’indispensabile, ed ecco il successivo: avere ciò che è sufficiente.
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Seneca saluta il suo Lucilio
1. Hai affidato a un tuo amico – come tu lo chiami – l’incarico di consegnarmi alcune lettere, poi, subito dopo, mi raccomandi di non metterlo a parte di ogni affare che ti riguarda, perché neppure tu hai l’abitudine di farlo: così in una stessa lettera hai affermato e negato che egli è tuo amico. Orbene, se hai adoperato questo termine nella sua accezione, direi, più convenzionale e definito amico quel tale, così come chiamiamo “onorevoli” i candidati alle cariche pubbliche e “signori”, se non ci viene in mente il nome, quelli che incontriamo per strada, la cosa vada pure così. 2. Ma se giudichi amico qualcuno di cui non ti fidi come di te stesso, sbagli tremendamente e non hai l’esatta nozione del valore di un’amicizia autentica. Prendi pure ogni tua decisione insieme con l’amico, ma prima decidi sui tuoi rapporti con lui: una volta sorta l’amicizia, bisogna avere fiducia, e, prima di stringerla, è necessaria una valutazione precisa. Confondono i doveri dell’amicizia, invertendo i termini, quelli che contro gli insegnamenti di Teofrasto giudicano dopo avere manifestato il proprio affetto, e cessano di dimostrarlo dopo aver giudicato. Rifletti a lungo, se devi accogliere qualcuno nella tua amicizia. Quando avrai deciso in tal senso, accettalo di tutto cuore, parla con lui francamente come a te stesso. 3. Osserva dunque la seguente regola di vita: non ci sia alcuna cosa che confidi a te stesso, la quale tu non possa confidare persino al tuo nemico; ma poiché si producono circostanze che è consuetudine tenere segrete, rendi partecipe di ogni tua preoccupazione, di tutti i tuoi pensieri chi ti è amico. Credendo nella sua fedeltà, lo renderai fedele. Certuni, infatti, hanno insegnato le vie dell’inganno, temendo di essere ingannati; altri hanno avvalorato, con i loro sospetti, il diritto di comportarsi in modo negativo. Perché mai dovrei trattenere qualche parola in presenza del mio amico? Perché non dovrei considerarmi solo, se lui è presente?1 4. Alcuni raccontano al primo che incontrano fatti che si dovrebbero confidare soltanto a persone amiche e scaricano in qualsivoglia orecchio le proprie angosce; certuni, al contrario, sono atterriti dall’idea che altri, sia pure le persone più care, ne vengano a conoscenza, e relegano ogni segreto nel più profondo recesso del loro animo, non fidandosi, se lo potessero, neppure di se stessi. Non bisogna fare né una cosa né l’altra, ambedue sbagliate: avere fiducia in tutti e in nessuno; ma la prima la definirei più nobile, l’altra più sicura. 5. Analogamente dovresti biasimare queste due categorie di persone: le irrequiete e quelle che non si scompongono mai. Infatti non si può chiamare vera operosità quella che si compiace del trambusto, ma scorrazzare di una mente esagitata; non significa, però, essere quieti il considerare penosa ogni attività: un atteggiamento di questo genere rivela soltanto accidia e fiacchezza.2 6. Dunque terrai a mente questa massima che ho letto in Pomponio: «Taluni si sono rifugiati nei loro nascondigli al punto da pensare che sia immerso nella più nera foschia ciò che è in piena luce». Bisogna contemperare queste due tendenze: il neghittoso agisca e l’uomo attivo sappia riposare. Prendi le tue decisioni insieme con la natura: ti dirà che essa ha fatto il giorno non meno che la notte. Stammi bene.
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Seneca saluta il suo Lucilio
1. Prosegui con tenacia come hai cominciato e affrettati quanto puoi perché tu possa godere più a lungo di un animo sgombro da errori e bene ordinato. Per la verità provi soddisfazione anche nel correggerti e ancora nel mettere ordine in te stesso; però c’è ben altro piacere: quello che si avverte contemplando la propria mente pura di ogni macchia e perfettamente lucida. 2. Certo ti ricordi quanta gioia provasti quando, deposta la toga pretesta,1 indossasti la toga virile e fosti accompagnato come in corteo sino al Foro. Ebbene, aspettati una soddisfazione ancora più grande, quando avrai dismesso un abito mentale puerile e la filosofia ti avrà iscritto nel ruolo degli uomini tutti d’un pezzo. Fino a questo momento persiste non la fanciullezza, ma, ciò che è più grave, la puerilità, e l’aspetto più negativo, a dire il vero, consiste nell’avere l’autorevolezza dei vecchi e i difetti dei fanciulli, e non solo dei fanciulli, ma addirittura degli infanti: quelli paventano cose insignificanti, questi temono spauracchi inesistenti, noi abbiamo paura delle une e degli altri. 3. Continua per la tua strada, capirai che certe situazioni devono essere meno temute proprio perché incutono molta paura. Nessun male che sopraggiunge per ultimo è davvero grande. Ti si appressa la morte: dovresti temerla se potesse restare con te. A questo punto, una delle due: o non ti colpisce o ti sfiora e passa oltre. 4. «È arduo» tu dici «indurre l’animo a disprezzare l’essenza che gli dà vita.» Ma non vedi per quali miserabili motivi viene disprezzata? Uno si impicca davanti alla porta di casa dell’amica, un altro si butta giù dal tetto per non sentire più i rimbrotti del padrone collerico, un altro ancora, per non essere ricondotto in servitù, si caccia, mentre è in fuga, un pugnale nelle viscere:2 non credi che la virtù possa conseguire ciò che l’eccessiva paura ha realizzato? Una vita tranquilla non può toccare a un uomo che si preoccupa troppo di prolungarla e che annovera tra i grandi beni una lunga serie di consoli.3 5. Rifletti ogni giorno sulla possibilità di lasciare in tutta serenità la vita, che molti abbracciano e si tengono stretta come quel tale che, mentre è trascinato da un vorticoso corso d’acqua, si abbarbica ai rovi e alle asperità della riva. La maggior parte degli esseri umani oscilla miserevolmente tra la paura della morte e i crucci della vita: non sa vivere, non vuole morire. 6. Renditi dunque serena la vita lasciando da parte ogni angoscia. Non c’è ricchezza che giovi a chi la possiede se l’animo non è preparato a perderla; nessuna perdita, poi, è più agevole di ciò che, una volta perduto, non può lasciar alcun vuoto. Pertanto, contro un genere di sventure che possono abbattersi anche sugli uomini più potenti, devi armarti di coraggio e di perseveranza. 7. Il destino di Pompeo fu deciso da un principe sotto tutela e da un eunuco;4 quello di Crasso da un Parto crudele e insolente; Gaio Cesare5 ordinò a Lepido di porgere il collo al tribuno Destro; egli stesso dovette offrire il suo a Cherea: nessuno la Fortuna ha mai portato così in alto da non minacciarlo nella stessa misura in cui era stata indulgente con lui. Non cullarti nella tranquillità del presente: in un attimo il mare è sconvolto e nello stesso giorno proprio là dove eseguivano festose evoluzioni le barche vengono sommerse. 8. Pensa che un rapinatore, un nemico può metterti il gladio alla gola: ammettiamo pure che non ci sia alcuno che abbia più potere di te, tuttavia non c’è schiavo che non abbia su di te facoltà di vita e di morte. Dirò così: chiunque disprezza la propria vita è padrone della tua. Passa in rassegna gli esempi di quelli che perirono per complotti orditi nella loro stessa casa o per violenza aperta o inganno: constaterai che non minore è il numero dei caduti per il rancore dei servi rispetto a quello degli uccisi per la collera dei re. Che ti importa dunque del grado di potenza della persona che temi, se chiunque può mettere in atto ciò che temi? 9. Supponiamo che tu sia caduto in mani nemiche e che il vincitore ordini di trascinarti via per metterti a morte: bene, vieni portato là dove non cessi mai di essere condotto. Perché inganni te stesso e ora per la prima volta capisci ciò che già da gran tempo subivi? Intendo dire: ti si conduce là da dove sei nato. Bisogna meditare su questi temi e su altri dello stesso genere, se vogliamo attendere in tutta calma quell’ora suprema, che ci incute una tale paura da rendere agitate tutte le altre.
10. In ogni modo, per concludere questa lettera, eccoti un pensiero che oggi mi è piaciuto, anche questo colto in un giardinetto altrui: «È una grande ricchezza la povertà regolata secondo la legge della natura».6 Ma sai quali limiti ci impone questa legge della natura? Non patire né la fame né la sete né il freddo. Per estinguere la fame e la sete non è necessario mettersi a sedere presso le superbe porte dei potenti né sopportarne l’arroganza e l’affabilità umiliante; non è necessario avventurarsi sui mari o partecipare a spedizioni militari. Si può ottenere facilmente ciò che la natura reclama ed ecco: la tavola è imbandita. 11. Si suda per avere il superfluo. È questo il comportamento che logora la toga,7 che ci fa invecchiare sotto la tenda, che ci sospinge su lidi stranieri. Ciò che basta è a portata di mano: chi vive in armonia con la povertà è ricco. Stammi bene.
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Seneca saluta il suo Lucilio
1. Ti impegni con grande tenacia e, tralasciata ogni altra occupazione, ogni giorno miri esclusivamente a renderti migliore. Approvo questa tua condotta e me ne rallegro, e non soltanto ti esorto a perseverare, ma anche te lo chiedo come in una preghiera. Ti raccomando, però, di non abbandonarti a stranezze nel modo di vestire o nel tuo stile di vita, come usano fare quelli che non intendono veramente progredire, ma mettersi in mostra. 2. Sciattezza nella persona, chioma da “capellone”, barba trascurata ad arte, ostilità dichiarata per qualsiasi oggetto d’argento, un giaciglio collocato sulla nuda terra e ogni altro atteggiamento che per una via distorta si accompagna al desiderio di distinguersi: evita tutto questo. Già il nome stesso di filosofia, perfino se viene gestito con moderazione, è piuttosto odioso: che sarà mai se cominceremo a estraniarci dalle abitudini di vita delle persone normali? Nell’intimo ci sia pure piena discordanza, l’apparenza esterna sia però in armonia con quella di tutti gli altri. 3. La toga non sia di gran lusso, ma neppure sporca; niente argenterie con profondi intarsi d’oro massiccio, ma nemmeno pensiamo sia un segno di temperanza essere privi di ogni oggetto d’oro e d’argento. Comportiamoci in modo da seguire una linea di vita migliore di quella della gente comune, ma non in netto contrasto, altrimenti cacceremo e distoglieremo da noi quelli che vogliamo correggere. Per giunta, otterremo questo bel risultato: di noi non vorranno imitare nulla, temendo di doverci poi imitare in tutto. 4. La filosofia mette in primo piano questi valori: buon senso, solidarietà umana e socievolezza; da questo impegno dichiarato ci sottrarrà, invece, una diversità troppo accentuata. Stiamo attenti che quei mezzucci con cui vogliamo attirare l’ammirazione del prossimo non siano ridicoli e scostanti. Certo, il nostro ideale è vivere secondo natura; ma è contro natura torturare il proprio corpo, odiare un certo decoro personale, facile peraltro da ottenere, desiderare la sordida sciatteria, alimentarsi con cibi non solo di infima qualità, ma anche disgustosi e ripugnanti. 5. Come è indice di intemperanza non poter fare a meno di cose raffinate, così è segno di follia evitare risolutamente quelle d’uso comune e reperibili con poca spesa. La filosofia esige moderazione, non sofferenza, e la moderazione può anche non essere indecorosa. Ecco la giusta misura che preferisco: la vita trovi un punto di equilibrio fra costumi eletti e modi di comportamento della gente comune; tutti guardino con deferenza al nostro stile di vita, ma si riconoscano in noi. 6. «E allora? Ci comporteremo come tutti gli altri? Non esisterà distinzione alcuna fra noi e loro?» Moltissima: si accorge che siamo ben diversi dalla massa chi ci analizza più da vicino. Ch...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. di Seneca
  3. Lettere morali a Lucilio
  4. Prefazione
  5. Introduzione
  6. Cenni biografici
  7. Bibliografia essenziale
  8. Lettere morali a Lucilio
  9. Note
  10. Postfazione di Michel Foucault
  11. Indici
  12. Copyright