Comandare è fottere
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Comandare è fottere

Manuale politicamente scorretto per aspiranti carrieristi di successo

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  1. 112 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Comandare è fottere

Manuale politicamente scorretto per aspiranti carrieristi di successo

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Il mondo del lavoro è una giungla, con poche regole e tanti aspiranti leoni. Lo sa bene Celli, che per anni è stato ai vertici delle maggiori aziende italiane. E allora risultano inutili, se non addirittura ridicoli, i discorsi buonisti e politicamente corretti sulle strategie per fare carriera. In questo "piccolo vademecum per bastardi di professione" l'ex direttore generale della Rai dice tutto quello che di solito in proposito si tace. Ovvero che, alla faccia dell'utopia delle pari opportunità, "nascere bene" aiuta eccome. Così come aiuta saper scegliere la persona giusta da servire per poi abbandonarla se fa comodo, selezionare alleati e nemici, usare l'arte della seduzione e della finzione. E quando finalmente arrivi, consiglia Celli, non guardarti indietro, sii sempre pronto a succedere a te stesso o a farti rimpiangere attraverso i successori.
Parafrasando il celebre detto "Comandare è meglio che fottere", Celli scrive così questa sorta di Principe di Machiavelli per manager o aspiranti tali, nel quale i mezzi sono tutti giustificati se il fine è la poltrona del capo.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
ISBN
9788852032288

1

Nascere bene, aiuta

Arrivare in posizione di comando è un’aspirazione che, prima o poi, coglie tutti. E, dunque, perché vergognarsi?
Come ogni malattia che non prevede cure, la voglia di affermarsi alimenta se stessa senza pentimenti, non avendo nessuna remora a vedere la benedizione di Dio nella propria personale conquista della “posizione”.
Magari poco, ma il potere finisce quasi sempre per avere un suo appeal inevitabile. A nessuno fa schifo avere ragione: e non c’è modo di averla con più facilità di poterla imporre sulla base della posizione che si occupa o dei rapporti di forza che si riescono a stabilire.
Godere del potere è una sensazione che, una volta provata, non si può dimenticare.
Così, tanto vale persistere e puntare a godere il più a lungo possibile, costi quel che costi, e alla faccia di quanti dovranno pagare dazio per la vostra soddisfazione. Perché anche questo va considerato con attenzione: per uno che gode, ci sono molti che dovranno soffrire, quasi sempre. E anche questo è parte non piccola del godimento: vedere quelli che non ci riusciranno mai dà una sensazione di benessere aggiuntiva che eccita la voglia di resistere.
Una logica da bastardi?
Quasi sempre sì. Il potere, volenti o nolenti, contribuisce in maniera rilevante a rendere plausibile la sindrome della “carogna di rispetto”; la coltiva e la razionalizza. Chi comanda non ha tempo di andare per il sottile, di farsi degli scrupoli. E se c’è qualcuno che vuole convincerci del contrario, ebbene, quello è persino più pericoloso. È bene guardarsi dai capi riluttanti.
Ogni tentennamento sarebbe solo segno di debolezza, qualcosa che porta male.
Metterebbe sul chi vive gli obbedienti recalcitranti, alimenterebbe le tentazioni alla defezione. In una parola, finirebbe con il legittimare i mediocri, consentendo a tutti di sperare. E la speranza è un vizio, sulla strada del successo, che produce aspettative: queste, prima o poi, pretenderanno di essere soddisfatte, andando a pascolare direttamente nei vostri territori.
Mai lasciare spazi alle speranze, chiudere i varchi. Stuccare le crepe. Bisogna pur vivere.
Il potere, come è noto, non può essere di tutti; solo i migliori hanno il diritto di salire, consentendo a tutti gli altri di occupare il posto che loro compete: in basso. A distanza di sicurezza.
Per questo è essenziale partire avvantaggiati.
Chi l’ha detto che bisogna essere corretti alla partenza?
In fondo, essere “figli di” non è colpa di nessuno.
Si nasce senza volerlo e ci si accasa dove capita capita.
Tanto vale approfittarne, se la fortuna ha guardato dalla parte giusta.
Qui, tanto per essere chiari, non è questione di giustizia, o di altre malinconie del genere; è solo, e semplicemente, questione di culo. Che, come tutti sanno, non sarà mai un fattore democratico in prospettiva, ma è assolutamente neutro e imparziale nella sua distribuzione originaria.
A ciascuno le sue carte. A truccarle, se mai, ci penserà la vita, magari tassando in proprio, e su altri piani, quelli che all’inizio sembrava favorire.
Ma questa è tutt’altra storia.
Così, se hai un padre ben posizionato, e già avvezzo a comandare, ti sentirai una nullità a essere da meno.
È anche probabile che, talvolta, la discendenza non sia all’altezza del capostipite e, anzi, non è raro incontrare figli coglioni di padri di successo, ma questo, per quanto sconfortante, quasi mai sarà un ostacolo vero alla carriera.
Se i numeri non ci sono, la famiglia o i famigli compenseranno con devozione le difficoltà dell’erede, faranno velo pudico alle sue magagne e stenderanno reti di protezione, così che gli venga garantito un sentiero privilegiato. Sono stampelle, ma aiutano a non farsi male. Il nome è un adesivo potente per le fratture che verranno.
Perché è certo che lui farà degli errori. Forse, persino qualche disastro. Ma vuoi mettere? È così difficile essere all’altezza di genitori di successo. E poi occorrerebbe non trascurare i complessi, le umiliazioni anche, per doversi misurare quotidianamente con chi non ha più nessuno da ringraziare, avendo già tutto guadagnato.
Bisognerebbe avere più compassione per i figli dei ricchi e dei potenti: la loro, diciamola tutta, è una vita d’inferno.
Magari non hanno nessuna voglia di imitare i padri, figurarsi seguirli in azienda o essere mandati in stage presso qualche grande banca d’affari: una rottura senza pari. Così farebbero volentieri a meno di doversi sacrificare; in fondo i genitori hanno già provveduto in abbondanza, e per qualche generazione.
Fra retribuzioni, stock option, elusioni calibrate, e qualche puntata in nero, il patrimonio di famiglia è più che solido e, soprattutto, al sicuro.
Eppure a nessuno di loro verrà risparmiato il destino di avere, a loro volta, successo. Lo stesso destino che condannerà molti altri a doverli subire.
Perché negare, ai giovani di buon sangue, un Consiglio di amministrazione che non costa nulla? Ci sarà sempre qualcuno in grado di rendere ininfluente la loro presenza, consegnandoli, nel contempo, all’ammirazione della stampa per la rapidità della carriera e l’eleganza innata del vestire.
Loro, intanto facendo finta di ascoltare, annegheranno la noia giocherellando discretamente (ah!, la discrezione proverbiale dei carrieristi di tradizione!) con l’iPhone, mentre programmano, sottobanco, le prossime scorribande con gli amici, a Cortina o a Portofino.
Se la forma è salva, e l’immagine curata professionalmente, alla fine il “vecchio” capirà: l’età avanza per tutti, le ambizioni si ridisegnano, e i toni si ammorbidiscono.
Per i figli ben nati c’è sempre un paradiso. Basta, alle volte, avere buoni angeli custodi.
Gli altri? E chi se ne frega degli altri.
È vero che qualcuno, senza storia, mastica voglie che non gli competono. Ed è anche probabile che qualcuno ce la faccia. È già accaduto.
Si danno casi di arrampicate senza rete e di successi che nessuno aveva messo in conto. Siamo in democrazia, dopotutto.
Così si sono aperte, pericolosamente, falle che non promettono nulla di buono.
Aspiranti parvenu e succhiaruote, si direbbe. Dei quali è bene diffidare.
Perché, quasi sempre, avendo masticato amaro per le sofferenze patite a causa dell’infelice punto di partenza, avranno maturato tanta di quella rabbia da riuscire poi dove gli altri, anche i privilegiati, stenteranno persino a immaginare che possano arrivare.
Ma c’è pronta una compensazione, tra predestinati; e alla lunga si converge.
Così, chi si afferma “impropriamente”, quelli cioè che non sanno stare al loro posto alzando la testa senza pudore, finiranno quasi sempre per assomigliare – in anticipo – a quelli che una storia ce l’hanno già in proprio. Anzi, a posteriori, verranno anche benedetti. Il fatto di avercela fatta, anche a dispetto dei santi, li legittima agli occhi di chi sta al vertice e li ha guardati sgomitare per farsi largo.
E se prima li vedeva con sospetto, ora è probabile che li osservi con una certa ammirazione.
È un piacere, in fondo, scoprire qualcuno che ha mostrato di avere la tua stessa pasta e afferma il potere come unica ragione di vita.
In fondo, il sangue nuovo rigenera la stirpe e rafforza la tribù. Purché con moderazione.
È proprio vero che tra scalatori ci si intende, almeno fino a quando ci sono posti a disposizione.
E allora, benvenuti nell’Olimpo. In attesa della prossima guerra.

2

Se non hai risorse, attaccati!

(La parabola del servitore infedele)

Può capitare di essere nessuno. O di svegliarsi una mattina con questa illuminazione precisa. Il mondo corre, tutti si affrettano, ognuno ha la sua chance: c’è chi si disbriga in proprio, chi ha ereditato; chi viene spinto inevitabilmente ai margini. L’agitazione è generale, e i cammini si intrecciano, alcuni finendo per convergere, anche casualmente, altri ostacolandosi brutalmente.
E tu sei lì, con quella sensazione precisa di impotenza che deriva dal fatto di non avere risorse pregiate da giocare; un curriculum, il tuo, senz’arte né parte. Grigio come la giornata che si sta profilando.
Qualche lavoretto di supporto, per carità, fatto con diligenza e anche con un discreto risultato di ritorno. Ma è roba da poco, non si può andare al mercato con merce così striminzita.
Almeno parlassi bene l’inglese!
Te lo aveva detto tua madre che avresti dovuto approfittarne, quando le estati erano ancora libere e lunghe, ma tu avevi altro per la testa, e così sei in ritardo: biascichi qualcosa ma, nel complesso, fai ridere.
Oggi i pensieri sono proprio storti, non ti riesce di trovare il bandolo per una soluzione qualsiasi e così sei persino pronto a gettare la spugna.
La carriera non fa per te.
Quante volte te l’hanno detto, con un sorriso di compatimento. I tuoi colleghi non ti hanno perdonato nulla, tantomeno la speranza. Non dovrebbe essere concesso di sperare a chi non ha proprio i fondamenti per guardare a un futuro migliore. Tutto ciò che è a buon mercato quasi sempre non vale nulla e, soprattutto, non può produrre. Per questo non dovrebbe essere concesso ai poveracci di sperare: è pericoloso. Per loro, s’intende. Potrebbero farsi delle idee, crearsi delle aspettative; aumentare la delusione per un futuro che non verrà, o non verrà come loro sono portati a immaginare.
Sul lavoro, poi, è tutto così prevedibile e pianificato.
Se ti guardi intorno non hai alcuna difficoltà a individuare chi ce la farà e chi no. Gli eletti sembrano avere delle stigmate. Si muovono con eleganza innata, dribblano i problemi, risolvono quelle che ti sembrano difficoltà insormontabili. Si ritrovano tra loro senza doversi spiegare e, soprattutto, senza chiedere.
Loro non hanno bisogno di sperare. Così oggi hai proprio la sensazione di essere nessuno.
Eppure le voglie non ti sono passate. Quelle, per intenderci, che fanno sentire anche a te il piacere di poter comandare, la sottile e insistita percezione di come sarebbe bello stare lassù in alto: magari non altissimo, anche a metà piramide, così da avere sotto qualcuno che da te deve dipendere e a cui far sentire il fiato sul collo.
Le umiliazioni ti hanno reso suscettibile, non ti hanno domato. Anzi, se si può dire, hanno rinforzato la spinta a “fargliela vedere”. Devi solo trovare il modo, ma adesso sai (lo avverti con precisione) che prima o poi ci arriverai; costi quel che deve costare.
Ecco una situazione tipica: come conciliare la propria propensione a comandare con una condizione oggettivamente svantaggiata? Quale strada imboccare, per arrivare a soddisfare i propri progetti (così apparentemente inattuali) senza perdersi d’animo per il deprecabile punto di partenza cui ci ha costretto il destino?
Se la spinta ad arrivare comunque è tale da non poter essere controllata, per via soprattutto dell’ambizione che sprona o della rivalsa che tormenta a causa delle umiliazioni patite, è bene rifarsi ai classici, che sono sempre un’autorevole fonte di ispirazione.
E cosa c’è di più classico del Vangelo?
Avendo una risposta per ogni tipo di problema, non ci resterà che cercare quella che fa al caso nostro, imbattendoci così nelle suggestioni illuminanti della parabola del servitore infedele.
LA PARABOLA DEL SERVITORE INFEDELE
In quel tempo, Gesù diceva anche ai discepoli: “C’era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi.
“Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore. L’amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione?
“Zappare, non ho forza, mendicare, mi v...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Comandare è fottere
  3. Introduzione
  4. 1. Nascere bene, aiuta
  5. 2. Se non hai risorse, attaccati! (La parabola del servitore infedele)
  6. 3. Scalate senza gloria? Accontentiamoci (Curriculum e dintorni)
  7. 4. Quando arrivi, non guardarti indietro
  8. 5. La corte, i miracoli, la buona stampa
  9. 6. Femminile, ma non troppo (Dell’arte della seduzione)
  10. 7. Vizivirtù
  11. 8. Chi ha un nemico ha un tesoro
  12. 9. In crisi? Mai
  13. 10. Sulla retorica delle risorse umane e il buon uso della funzione personale
  14. 11. Piccolo vademecum per bastardi di professione
  15. 12. Come non uscire di scena e succedere a se stessi
  16. 13. Come farsi rimpiangere attraverso i successori
  17. 14. Fottere, fottersi, essere fottuti
  18. Ringraziamenti
  19. Copyright