Marchionne
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Marchionne

Rivoluzione Fiat

  1. 140 pagine
  2. Italian
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Rivoluzione Fiat

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Venerdì 14 gennaio 2011: i dipendenti di Mirafiori hanno votato, approvandolo con il 54 per cento, un accordo sulle regole di funzionamento della nuova società Fiat-Chrysler che a Torino produrrà un Suv. La Fiom ha votato contro. Un voto su un accordo sindacale, ma anche un referendum su Sergio Marchionne, una delle personalità pubbliche più interessanti e dibattute degli ultimi anni: le scelte da lui fatte e il suo stile di leadership hanno suscitato passioni, diviso i giornali, anticipato la politica, irritato una parte degli osservatori e preso in contropiede quel pezzo del sistema economico poco propenso ai traumi e alle scelte radicali. Ma chi è Sergio Marchionne? Che storia è la sua? Com'è riuscito a salvare la Fiat sette anni fa? Perché ha comprato la Chrysler? Come ha fatto a scuotere la foresta delle relazioni industriali italiane? Marco Ferrante racconta, in questo ritratto fatto di cronaca e di un po' di psicologia del potere, il percorso di un manager diretto, mediatico ma dalla vita personale appartata.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
ISBN
9788852032325
MARCO FERRANTE

MARCHIONNE

Rivoluzione Fiat
NUOVA EDIZIONE
Mondadori

Marchionne

I

Alcuni giudizi dal dibattito su Sergio M. – Che cosa dice l’accordo di Mirafiori – Prime osservazioni sul cambiamento del rapporto tra Marchionne e la Fiom – Cronologia della battaglia del 2010, dalla chiusura di Termini al voto di Pomigliano fino al referendum torinese (passando per il caso del carrello di Melfi)
Venerdì 14 gennaio 2011 lo stabilimento di Mirafiori, Torino, ha votato sull’accordo – siglato dalla Fiat e dai sindacati, con l’eccezione della Fiom – che definisce le regole di funzionamento della nuova società Fiat-Chrysler, esterna al perimetro di Confindustria, che produrrà un Suv Alfa Romeo e Jeep. Nella notte tra venerdì e sabato sono arrivati i risultati. Il sì all’accordo ha vinto con poco più del 54 per cento dei voti. Un voto su un accordo sindacale che introduce alcune novità, ma anche un referendum su Sergio Marchionne.
Marchionne è una delle personalità pubbliche più interessanti e dibattute degli ultimi anni.
Dopo avere evitato alla Fiat il commissariamento di Stato, dopo lo scioglimento dell’accordo con Gm e il lancio della Cinquecento, quando alla grande crisi finanziaria del 2008 si è sovrapposta la crisi dell’economia reale, le scelte da lui fatte in Italia e il suo stile di leadership hanno scatenato passioni, diviso i giornali, anticipato la politica, irritato molti osservatori e preso in contropiede quel pezzo di sistema economico poco propenso ai traumi e alle scelte radicali.
Così se da un lato per Carlo De Benedetti, uno degli ultimi capi carismatici dell’impresa italiana e mai tenero nei confronti delle cose di casa Fiat – ne è stato amministratore delegato per cento giorni a metà degli anni Settanta –, bisogna ringraziarlo «perché ha preso la Fiat in un momento di baratro e l’ha salvata» (sebbene non creda nel nuovo modello Mirafiori come modello di riforma delle relazioni industriali italiane), dall’altro Massimo Mucchetti, in una serie di articoli sul «Corriere della Sera», lo ha raccontato come un giocatore d’azzardo che cambia costantemente il terreno di gioco, specula e massimizza il valore delle sue stock options, senza aver ancora dimostrato la stoffa di industriale dell’auto. Per Roberto D’Agostino, fondatore del sito «Dagospia», è Marpionne; per «Il Sole 24 Ore» è l’uomo 2010 dell’Economia italiana; per i cattolici di «Tempi», il settimanale vicino a Cl, è una specie di principio di realtà, un padrone moderno («anche con tutti i suoi limiti» dice il direttore Luigi Amicone «svincolato da tutto ciò che è fuori dalla fabbrica»). Mentre «il Foglio» di Giuliano Ferrara lo ha raccontato e spiegato, facendone l’oggetto di una campagna che denuncia l’immobilismo della classe dirigente italiana.
Il Marchionne dell’ultimo anno, di Pomigliano e soprattutto di Mirafiori, ha diviso giornali, intellettuali, sindacato, Confindustria, destra e sinistra. E secondo la gran parte degli osservatori, l’esito del referendum nello stabilimento di Torino porterà ora a un ripensamento generale del sistema della rappresentanza sindacale e confindustriale e delle relazioni industriali.
Quali sono le novità contenute nell’accordo di Mirafiori? L’intesa modifica la turnazione (18 turni settimanali), riduce di qualche minuto la somma delle pause dietro una corresponsione di 32 euro mensili, sposta la pausa pranzo a fine turno, sottrae al negoziato preventivo con il sindacato 120 ore annuali di straordinario (con preavviso di quattro giorni e con un margine di flessibilità per chi ha degli impedimenti), introduce una maggiore cogenza per il sindacato nell’attuazione del contratto, a partire dal rafforzamento della clausola di responsabilità per i sindacati: sono previste sanzioni se il sindacato proclama scioperi su ciò che ha concordato e sottoscritto. Il contratto vincola anche i singoli lavoratori ai contenuti sottoscritti (è questo il punto più delicato dell’accordo, perché c’è chi nota come non ci sia una norma che sancisca il diritto individuale allo sciopero; altri invece osservano che l’interpretazione costante dell’articolo 40 della Costituzione sul diritto di sciopero ritiene che esso sia un diritto individuale). Sono previste infine sanzioni pecuniarie per l’abuso dei giorni di malattia: ma anche sulle malattie vigila una commissione paritetica.
L’approvazione dell’accordo modifica il quadro dei rapporti tra aziende e sindacato. È una scossa, perché ha posto il problema della rappresentatività e del funzionamento della democrazia sindacale: è vero che la Fiom ha preso 1700 voti in più dei suoi iscritti, ma la maggioranza dei dipendenti ha detto sì all’accordo contro la Fiom.
Due sono i punti chiave. Innanzitutto, il modello di rappresentanza entra in crisi, perché le newco che non entrano in Confindustria – dunque si svincolano dagli accordi del 1993 – rendono di fatto superata la formula concertativa dell’inizio degli anni Novanta, nella fase in cui i sindacati e le associazioni dei datori di lavoro svolsero una forma di supplenza rispetto ai partiti travolti da Tangentopoli.
Il secondo punto è che si rende necessaria una discussione sulla democrazia sindacale e su come deve funzionare. Spiega Stefano Liebman, professore di Diritto del lavoro alla Bocconi, che «indipendentemente dal giudizio sull’accordo, la vicenda Mirafiori segna la fine della stagnazione creata dai veti incrociati di parti sociali e mondo politico nelle relazioni industriali. Adesso bisognerà riorganizzare il sistema con delle regole efficaci».
Insomma, dopo Mirafiori, un sistema obsoleto di rapporti tra aziende e sindacati dovrà essere aggiornato. Vi si è arrivati dopo una battaglia durata un anno e mezzo. Ma come ci si è arrivati? Vediamo.
Il punto di partenza è la crisi globale. A dicembre del 2008, in un’intervista ad «Automotive News», Marchionne lancia la sua strategia sulle alleanze («nel mondo sopravviveranno solo sei gruppi», dice). Nei primi sei mesi del 2009 perfeziona l’operazione Chrysler. Poi nei piani dell’amministratore delegato della Fiat compare il primo elemento di disturbo nel rapporto con il sindacato, con cui fino a quel momento era andato tutto bene (era nata tutta una discussione sul Marchionne manager socialdemocratico): è la conferma dell’intenzione di chiudere lo stabilimento di Termini Imerese. Il 25 giugno del 2009 afferma: «A Termini Imerese non c’è indotto: è un luogo stranissimo dove non c’è niente intorno. Noi non stampiamo a Termini e lì ci sono costi di logistica che sono enormi». E aggiunge: «Il problema è la collocazione geografica. Termini non ha ragione di esistere. D’altronde se faccio un centro di stampaggio in centro Italia posso fornire quattro stabilimenti». È il primo vero strappo con un pezzo di opinione pubblica che non intende fare i conti con il fallimento dell’economia mista, pubblico + privato, degli anni Settanta e di cui lo stabilimento Sicilfiat è uno dei simboli.
Il caso Termini prende una doppia piega nel dibattito. Da una parte si apre una discussione sul ruolo del governo e su quello che cercherà di fare per risolvere il problema siciliano. Dall’altra fa emergere il ruolo della Fiom, i cui vertici intanto sono impegnati nella dialettica interna alla Cgil: si prepara un congresso separato, con metalmeccanici, funzione pubblica e bancari che scelgono la strada della minoranza. Per cercare di condizionare le scelte del segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, che deve governare la sua successione, Gianni Rinaldini, allora capo della Fiom, sceglie un’accentuazione del radicalismo.
In realtà, con il passare dei mesi, si arriverà allo scontro tra Torino e la Fiom di Maurizio Landini – che subentrerà a Rinaldini –, un po’ perché la Fiat ha fretta di definire il futuro degli stabilimenti italiani e pressa i tempi del negoziato, un po’ perché la Fiom ha bisogno di rafforzare la sua identità, e un po’ perché le condizioni di contorno – la crisi globale, il conflitto sulle idee, una certa diffidenza intervenuta tra le parti – finiscono con il prevalere.
Arriva il 2010. E la cronologia degli eventi si fa fitta. Proviamo a seguirla.
Il 25 gennaio Fiat comunica i risultati 2009: chiude con un rosso di 800 milioni. Il 22 febbraio parte la cassa integrazione in Fiat per 30.000 lavoratori fino al 7 marzo, a causa del calo degli ordinativi registrati a inizio anno.
Il 30 marzo Fiat annuncia 700 milioni di investimento nello stabilimento di Pomigliano per consentire, attraverso il rinnovamento degli impianti, la produzione della nuova Panda a partire dal 2011. In cambio l’azienda chiede ai sindacati 18 turni settimanali per la produzione del nuovo modello e ipotizza una riduzione del personale di 500 unità tramite mobilità a breve e pensionamento anticipato. La Fiom non appoggia la decisione e chiede un tavolo di confronto con l’azienda. È l’origine dello scontro. Da questo momento in poi cresce la tensione, la Fiom comincia a diffidare e la Fiat vuole garanzie.
Il 10 aprile Marchionne, il ministro del Welfare Maurizio Sacconi e Raffaele Bonanni, segretario della Cisl, tengono un incontro informale a margine di una conferenza di Confindustria a Parma. Secondo la ricostruzione di Enrico Marro sul «Corriere della Sera» del 23 giugno, «l’accordo su Pomigliano cominciò a nascere lì».
A fine aprile cambiano gli assetti di Fiat e viene annunciato il piano quinquennale. Il 20 aprile Luca di Montezemolo lascia la presidenza di Fiat a John Elkann, nipote di Giovanni Agnelli. Il giorno dopo, Marchionne annuncia lo scorporo del comparto Auto da quello dei Veicoli industriali e macchinari agricoli. La società non sarà più una conglomerata. Si dividerà in Fiat Auto e Fiat Industrial. Lo scorporo sarà operativo per l’anno nuovo, quando Industrial si quoterà in borsa, separandosi da Fiat Spa. Marchionne annuncia che nel 2014 Fiat e Chrysler insieme produrranno 6 milioni di auto con 51 modelli in cinque anni. Conferma la volontà degli investimenti per il piano Fabbrica Italia (del 2009), e ai sindacati dice inoltre che senza dialogo è previsto un piano B: «E non sarebbe per nulla piacevole. Non è uno scherzo, abbiamo la possibilità di prendere la baracca produttiva e impiantarla altrove». Continua: «Spero di trovare gente con cui dialogare, ma se non ci stanno non possiamo farci niente. Con il piano B non voglio minacciare nessuno, ma l’azienda deve andare avanti».
Continua la trattativa per Pomigliano. L’azienda chiede un sistema di regole certe, educazione nei comportamenti, fine dell’assenteismo, controlli maggiori sulle malattie, una maggiore flessibilità sugli straordinari. Si va verso la rottura con la Fiom, la quale non è d’accordo a causa delle deroghe al contratto nazionale dei metalmeccanici così come proposte da Fiat in cambio degli investimenti.
L’8 maggio si chiude il congresso nazionale della Cgil, l’alleanza tra Fiom, funzione pubblica e bancari, sull’asse Rinaldini-Podda-Rocchi viene sconfitta. Camusso sarà segretario della Cgil.
Il 15 giugno Fiom dice no all’intesa sullo stabilimento di Pomigliano e respinge l’ipotesi del referendum sulle nuove regole contrattuali. Il referendum tra gli operai è stato proposto dalle altre quattro sigle sindacali. Si va all’accordo separato tra Fim (Cisl), Uilm (Uil), Ugl, Fismic. Per Fiat l’accordo è condizione necessaria per sbloccare gli investimenti da 700 milioni. Per Confindustria la scelta della Fiom, che parla di «ricatto» da parte dell’azienda, è segno di «cecità».
Il 18 nuovo caso. Marchionne dice: «A Termini Imerese gli operai hanno scioperato perché giocava la Nazionale».
Il 22 giugno si tiene il referendum: vince il sì con il 63 per cento (95 per cento di partecipazione alle urne).
Il clima è difficile. In gioco c’è un modo di vivere, nel caso di Pomigliano emerge anche la contraddizione della meridionalità industriale. Una dipendente racconta a Paolo Bricco del «Sole 24 Ore» di aver votato no all’accordo perché si è offesa con Marchionne: «C’ho avuto molto gusto a scrivere una volta nella vita no».
Si apre lo scenario della creazione di una newco svincolata dal contratto nazionale dei metalmeccanici, fuori dal perimetro di Confindustria.
Il 10 luglio la Fiat conferma 700 milioni di investimenti e la produzione della nuova Panda. Sulla base dell’accordo separato con Fim, Uilm e Ugl, l’amministratore delegato Marchionne ribadisce i piani per lo stabilimento. La Fiom non viene convocata il giorno dell’annuncio perché non ha firmato l’accordo. Qualche giorno dopo interviene il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti: «Investire è più importante di ogni polemica». Dopo le trattative fallite tra Fiat e Fiom, il Governo esce allo scoperto sulle sorti dello stabilimento campano, dove la situazione non è serena.
Nasce il caso Melfi: nel corso di uno sciopero allo stabilimento in Basilicata la notte tra il 6 e il 7 luglio, tre operai bloccano un carrello sulla linea automatica della catena di montaggio. Per l’azienda è sabotaggio. Due degli operai sono delegati Fiom.
Il 19 luglio la Fiat registra la newco. Il nome Fabbrica Italia Pomigliano viene iscritto nel registro delle imprese della Camera di commercio di Torino. La cosa sarà ufficializzata dopo una settimana, presidente è Sergio Marchionne. La nuova società stipulerà un nuovo contratto con termini differenti dal contratto nazionale. Criteri in base ai quali dovranno essere riassunti i 5000 dipendenti.
Il 21 luglio l’azienda annuncia i dati del secondo trimestre con un ritorno a sorpresa all’utile netto, 113 milioni. Analisti un po’ spiazzati. Il motivo, nonostante il pesante calo delle vendite in Europa, è da imputare – dice il «Wall Street Journal» – a ricavi leggermente più alti sui veicoli commerciali e alla debolezza dell’euro, che ha favorito le esportazioni.
Marchionne annuncia che la monovolume L Zero sarà prodotta nello stabilimento serbo di Kragujevac, ex Zastava, e non a Mirafiori. La decisione è stata presa nei giorni precedenti, il governo serbo sosterrà l’investimento della Fiat. Nuove polemiche politiche e sindacali. Il Governo convoca l’azienda dopo l’annuncio della delocalizzazione.
Alla fine del mese emerge con più chiarezza l’intenzione di Torino di non entrare in Federmeccanica con le newco e svincolarsi dal contratto nazionale di lavoro. Le deroghe al contratto dei metalmeccanici, volute da Fiat e appoggiate dalla maggioranza dei lavoratori a Pomigliano, che dovranno rientrare nella newco terrebbero la nuova società fuori dalla locale associazione degli industriali, che perderebbe il socio più prestigioso.
Il 28 luglio Sergio Marchionne ed Emma Marcegaglia si incontrano a Roma. Il presidente di Confindustria offre una deroga al contratto solo per il settore Auto.
Intanto l’estate passa tra le polemiche, si aspetta l’autunno.
Il 24 ottobre, per la prima volta da quando è in Italia, Marchionne – che è sempre stato parco di interviste alla stampa italiana – va in tv. Sceglie una trasmissione al centro della discussione pubblica, «Che tempo che fa» di Fabio Fazio. Dice: «Quest’anno abbiamo annunciato che faremo oltre 2 miliardi di utile operativo. Guardate che nemmeno un euro è fatto in Italia. Io sto dicendo che, se dovessi togliere la parte italiana, la Fiat farebbe meglio». La frase scatena una nuova ondata di polemiche. Sembra l’annuncio della fine della relazione con l’Italia. Le persone che lo frequentano riferiscono che Marchionne è deluso dall’atteggiamento di quella parte del sindacato e di classe dirigente politica ed economica che non dà credito all’annuncio sui 20 miliardi di investimento in Italia e di chi tende a ideologizzare lo scontro.
Il 3 novembre Susanna Camusso viene eletta segretario generale della Cgil. Ci si chiede in che modo cercherà di governare il rapporto con la Fiom, lei, ex dirigente socialista del sindacato metalmeccanico, sindacato che negli ultimi anni si è gradualmente portato alla testa del radicalismo di sinistra.
Il 5 novembre si apre il confronto con i sindacati sullo stabilimento di Mirafiori, dove la maggior parte dei modelli andrà fuori produzione entro breve. L’amministratore delegato incontra Cisl e Uil, ma non convoca la Cgil. Come per Pomigliano, a Mirafiori si stabiliscono nuovi termini del contratto di lavoro per i 5000 dipendenti.
Si firma un altro accordo per la cassa integrazione in deroga a Pomigliano e Nola, firmato da Fim, Uilm, Ugl, Fismic. La Fiom non firma. A fine novembre Invitalia, l’agenzia pubblica guidata da Domenico Arcuri, incaricata di fare da advisor su Termini Imerese, rende noto l’elenco delle aziende che hanno presentato i piani per lo stabilimento. Sono in tutto sette, due in più rispetto al programma iniziale. Ora sarà il governo che dovrà decidere a chi affidare la riconversione dello stabilimento siciliano.
Il 10 dicembre Marchionne e Marcegaglia si vedono a New York per trovare una soluzione sulle newco e sul rapporto con Confindustria. Marchionne dice che entrerà con le newco nell’associazione quando ci sarà un nuovo contratto Auto.
Il 23 si firma per Mirafiori, senza Fiom.
Il 1º gennaio 2011 Paolo Rebaudengo, artefice della politica delle relazioni industriali di Fiat, va in pensione, ma resterà il capo della delegazione Fiat alle trattative come consulente.
Fiat sale al 25 per cento di Chrysler, e il 3 gennaio lo scorporo debutta in borsa. Parte bene per gli azionisti. Dopo venti giorni la somma della capitalizzazione delle due società, Industrial e Spa, è superiore di oltre 3 miliardi al valore della capitalizzazione della vecchia società. Il 31 dicembre 2010 Fiat capitalizzava 18,8 miliardi di euro. Il 18 gennaio 2011 la somma del valore dei titoli di Industrial e Spa segnava 22 miliardi.
Intanto, nuove polemiche sui guadagni di Marchionne e sulle sue stock options, che valgono più di 150 milioni di euro. Il manager, già considerato socialdemocratico, viene accusato dai suoi avversari di guadagnare troppo, mentre minaccia il perimetro dei diritti dei suoi dipendenti. Lo scontro diventa anche propaganda. Qualcuno nota che sì, Marchionn...

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