Diari
  1. 384 pagine
  2. Italian
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Informazioni sul libro

Il diario inedito di un grande maestro della pop art americana, dall'adolescenza fino a poco prima della morte, nel 1990. Queste pagine, corredate da numerosi disegni, non solo raccontano con toccante spontaneità l'evoluzione artistica e personale di Haring, ma regalano anche un vibrante affresco del clima culturale dell'East Village negli anni Ottanta.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
ISBN
9788852029554
Argomento
Arte
Categoria
Arte generale

1987

Febbraio 1987
Seduto in pantaloncini sotto un portico dipinto di giallo e blu con tavoli e sedie e molte mosche che ronzano, cerco di mettermi a scrivere.
Sono in Brasile già da tre settimane e ancora non ho scritto nulla. Leggo Neuromante di William Gibson, l’autobiografia di Malcolm X e Sterminatore di Bill Burroughs; rileggo The Last Museum di Brion Gysin. Ho fatto alcuni dipinti sul muro della casa di Kenny, sulla spiaggia fuori Ilheus.
Poi ho scoperto che Andy Warhol è morto. Da quel momento mi è stato difficile pensare ad altro. Questo cambia in qualche modo i miei programmi.
Ritornerò a New York il 16 marzo e andrò subito in Europa. A Knokke, in Belgio, per controllare il posto in cui dovrei fare una mostra a giugno, e poi in Germania per lavorare sulle sculture in una acciaieria fuori Düsseldorf (ora dovrei fare i modellini); quindi a Monaco per dare i tocchi finali al Carosello per Luna Luna, il parco di divertimenti fatto dagli artisti. Poi a New York, in tempo per la commemorazione di Andy, il 1° aprile. Quindi mi devo trattenere a New York, fare un dipinto per il nuovo ristorante di Mr Chow a Kyoto e finire le scenografie per il balletto con Jennifer Muller e Yoko Ono. Dopo la prima del balletto, il 21 aprile, parto per l’Europa. Di nuovo.
Andrò a Parigi per una mostra collettiva al Beaubourg, per fare un murale all’ospedale pediatrico, lavorare alle sculture in Germania e poi a Tokyo per fare il giurato al concorso di sculture Parco. Probabilmente anche per disegnare le insegne stradali per qualche nuova strada a Tokyo.
Poi di nuovo in Europa o in America fino al 1° giugno, quando devo comparire in TV a Bruxelles o ad Anversa , dove il 4 giugno devo inaugurare una mostra. Il 5 giugno si inaugura Luna Luna. Quindi sto in Europa per l’apertura della mostra di Knokke e il progetto di sculture; forse farò anche un murale su un edificio a Düsseldorf.
Questo è tutto fino a luglio; per ora questi sono i piani.
Il che mi da tempo a sufficienza per darmi da fare e tenere la mente e il corpo occupati – e allontanare i pensieri da ciò che intorno a me sta scomparendo. Dopo la morte di Bobby Breslau a gennaio, ho dovuto affrontare una nuova situazione di solitudine. Bobby è sempre stato una specie di spirito guida (estetico) che mi ha aiutato a mantenermi sulla retta via negli ultimi anni. La sua opinione era tenuta in grande considerazione e io rispettavo il suo gusto e il suo giudizio. Alla fine, la decisione era sempre la mia, ma la sua autorevole opinione mi aiutava a dare una piega a queste scelte. Non ci può essere un altro Party della Vita senza Bobby, anche se noi (Bobby, Julia, Gruen e io) avevamo già deciso di non farlo quest’anno. Le cose cambiano in modo strano. È come un uccellino che viene buttato fuori dal nido. Soprattutto gli ultimi anni sono stati importanti e stimolanti per fare le scelte giuste ed elaborare progetti nella giusta direzione. Bobby e Andy erano determinanti nel delineare quella strada.
Bobby era un santo mandato come messaggero e protettore, come il grillo parlante di Pinocchio. Conosceva tutti e mi ha presentato altre persone chiave per la mia vita, come Grace Jones e Larry Levan. Non era tanto la presentazione quanto il supporto di Bobby e la sua approvazione che mi procuravano un immediato rispetto da parte delle persone che mi faceva conoscere. Ha vissuto a New York tutta la sua vita ed è stato sulla “scena” sin dagli anni Sessanta. Tutti quelli che conoscevano Bobby ne rispettavano l’opinione. Ha lavorato con Stephen Burroughs, all’apice della sua carriera negli anni Settanta. E poi nei primi anni Ottanta ci eravamo incontrati: per me aveva assunto il ruolo di guida e protettore. Bobby era lo schermo perfetto contro cui lanciare idee. La sua reazione, positiva o negativa che fosse, favorevole o contraria, era sempre molto concreta e un’opinione molto forte. Anche se qualche volta eravamo in disaccordo, questo stesso fatto mi aiutava a rafforzare la fiducia nelle mie opinioni o decisioni.
Non mi ha mai giudicato, ma spesso mi rimproverava e non esitava a dirmi se il gusto o lo stile di qualcosa non andava. Non mi mentiva mai, che gli fosse stato consigliato o meno. Di tanto in tanto mi viene in mente Bobby seduto al mio fianco alla scrivania che compone un numero e mi passa il telefono, prima che io abbia la possibilità di protestare o pensarci due volte; succedeva così che dovessi parlare con la persona all’altro capo del filo, che mi piacesse o meno, ed ero costretto a “ringraziarli” o “affrontare la cosa” o “esprimere la mia opinione”, come sapevo che avrei dovuto fare sin dall’inizio.
Mi spingeva con braccio fermo ma gentile e lingua tagliente ma piena di tatto. E quando gli piaceva qualcosa non era mai astruso nel mostrare il suo elogio. L’ultimo segno di approvazione erano le piccole “danze” (come le chiamava Benny Soto), quando entrava nello studio, vedeva un quadro e saltava su e giù battendo le mani. «Ben fatto, ragazzo.» Oppure: «Ce l’hai fatta di nuovo, ragazzo!». Sempre incoraggiamento e sostegno.
E non solo per me. Bobby aiutava molte persone con il suo intuito, i consigli, le opinioni, l’incoraggiamento e il sostegno. Dai modelli ai designer, dagli artisti ai ballerini, attori, musicisti, fotografi, fino agli uomini d’affari e ai semplici amici.
Era rapido nel dare consigli sulle opportunità a disposizione e nell’infondere fiducia per qualunque progetto si stesse accarezzando. Fece di questo il suo compito nella vita e non se ne lamentò mai. Contemporaneamente era egli stesso uno straordinario artista e artigiano. Lo dimostra la lettera di Diana Vreeland, incorniciata e appesa nel suo appartamento. Gli aveva scritto: «Tu sei per la pelle quello che Cellini era per l’oro». Le sue opere in pelle erano incredibili per design ed esecuzione. Il “bambino” di pelle che fece per me diventò più tardi il prototipo per il “bambino gonfiabile” che realizzammo a Hong Kong. È stato incredibile, a dicembre, arrivare a casa nel mio nuovo appartamento sulla 6th Avenue e trovare una collezione di “Cuscini Bobby”, che lui aveva fatto perché si intonassero con il mio divano di pelle. È stata l’ultimo regalo, e sono cuscini davvero bellissimi.
Bobby era anche la luminosa guida per l’attività del Pop Shop. Rispettava il mio scarso interesse per il “fare soldi” e capiva come me che dietro all’iniziativa ci stessero ragioni estetiche. Il Pop Shop è una grande “performance” e anche se Bobby cercò di farla fruttare non mi forzò mai, né mise in dubbio i miei obiettivi personali e le ragioni che mi spingevano a occuparmene. Sebbene le nostre opinioni fossero differenti, ci capivamo e ci rispettavamo.
Ricordo uno degli ultimi incontri fra me, Bobby e Julia prima che Bobby fosse ricoverato. Stavamo discutendo gli obiettivi “carrieristi” del manager del Pop Shop, e il modo in cui fraintendeva i miei obiettivi personali. Bobby spiegò che «aveva sempre avuto una buona impressione» degli stimoli che avevano portato ad avviare il Pop Shop e “capiva” la ragione per cui non provavo grande interesse nel fare soldi. Sono pochissimi quelli che capiscono perché qualcuno vuole aprire un negozio ma non vuole guadagnarci. Non penso che Bobby avesse mai lavorato così per qualcun altro, ma rispettava il mio atteggiamento e lo approvava. Mi fece capire che pensava che io «sapessi quello che stavo facendo».
Bobby aveva la sensibilità e l’emotività di un artista. Lui era anche il mio personale informatore. Era sempre il primo a trovarmi sul «New York Times» e sul «Post». Ritagliava regolarmente gli articoli interessanti e mi portava cassette da ascoltare. Poteva “sentire” il talento. Una volta, qualche anno fa, andammo a un party al Limelight per uno dei Jackson. Si esibiva una giovane cantante di cui non avevamo mai sentito parlare. Continuò a dirmi che gli sembrava davvero brava. A me non sembrava così notevole, ma lui fu irremovibile. Be’, come al solito aveva ragione: era Whitney Houston.
Images
Perdere Bobby ha significato per me una nuova responsabilità, non solo nell’andare avanti senza le sue rassicurazioni, ma anche nel cercare di riempire il vuoto che ha lasciato, continuando a sostenere altre persone che ne hanno bisogno.
L’ultima cosa al mondo che mi aspettavo dopo la partenza per il Brasile era la morte di Andy.
Andy era il sostegno complementare a Bobby. Era l’altra rassicurazione che ciò che stavo facendo andava nella direzione giusta. Mi spiego meglio, non è che non ci siano più persone che mi sostengono e mi danno fiducia, è solo che Bobby e Andy erano probabilmente le due più importanti.
La vita e il lavoro di Andy hanno reso possibile il mio lavoro. Andy aveva stabilito il precedente che rende possibile l’esistenza della mia arte. È stato il primo vero artista pubblico in senso globale, e la sua arte e la sua vita hanno cambiato il concetto di “arte e vita” nel XX secolo. È stato il primo vero “artista moderno”.
Andy probabilmente era l’unico vero artista pop. La cosa che mi ha colpito di più, in una recente esposizione della serie Disaster alla DIA Foundation, era un paragrafo in un opuscolo illustrativo. Si trattava di una citazione di Lawrence Alloway sulla Pop Art, in cui si spiegava come, all’inizio del Pop, ci fosse stato un collasso e una fusione fra arte e vita (una celebrazione della cultura popolare), abbracciata per prima dagli artisti pop. Poi, poco a poco, i pittori si erano ritirati da quest’area ed erano ritornati a idee “istituzionali”. Questo, c’era scritto, era il punto in cui Andy si era separato dal resto del gruppo ed era rimasto fedele alle idee originali della Pop Art.
Era rimasto un artista pop. Aveva reinventato l’idea della vita dell’artista come Arte. Sfidava l’intera nozione della “sacra” definizione dell’Arte. Confondeva i confini fra arte e vita a tal punto da renderli praticamente indistinguibili.
Aveva affrontato il problema della macchina fotografica registrando immagini in un modo che Duchamp aveva appena sfiorato. Sfidava l’intera gestione mercificata del mondo dell’arte, battendoli al loro stesso gioco. È diventato un maestro per una generazione di artisti, presente e futura; artisti cresciuti con il Pop, che hanno guardato la televisione sin da quando sono nati, che “capiscono” la cultura digitale. Penso onestamente che sia stato l’artista più importante dai tempi di Picasso, che alla gente piaccia o meno, e a molti non fa piacere. Il mondo che ruota intorno ai musei e alle aste non sapeva come comportarsi con lui. Il valore del suo lavoro non era equivalente al “valore di mercato” delle sue opere. In linea di principio, era certamente molto più importante di Johns o Lichtenstein, ma il prezzo dei suoi lavori non è mai stato pari ai loro, perché non stava alle regole “del gioco”.
Io venivo continuamente paragonato ad Andy, ma non so se questo accadesse per i giusti motivi. Per me era un onore essere paragonato a lui, per quanto mi sembri che non ci assomigliamo molto e che i nostri contributi siano molto differenti.
Ma riconoscerò sempre il mio debito nei suoi confronti. Il più grande onore era il supporto e l’incoraggiamento che mi dispensava. La sua semplice amicizia era la dimostrazione del suo sostegno. All’inizio, quando cominciammo a scambiarci lavori, tenevamo conto del valore di ciascuna opera, ma presto siamo diventati amici e abbiamo cominciato a passarcele una in cambio di un’altra (invece di calcolare somme sproporzionate). Ho imparato un mucchio di cose da Andy nei cinque anni della nostra amicizia. Mi ha preparato per il “successo” cui stavo andando incontro quando lo conobbi e mi ha insegnato la “responsabilità” che deriva da quel successo. Il suo insegnamento è arrivato soprattutto attraverso l’esempio, ma spesso mi dava idee e suggerimenti, qualche volta spiritosi e qualche volta seri. Negli ultimi anni era uno dei pochi artisti con cui potevo davvero parlare delle cose che stavo cercando di fare. Inoltre era uno dei soli artisti il cui studio mi ispirava a lavorare di più e più duramente. Ironia della sorte, è stato lui a convincermi a essere più attento alla salute e consapevole del mio corpo. Quando ero alla Factory e lui riusciva a fare più flessioni di me ho capito che era arrivato il momento di cominciare ad allenarmi. Era sempre interessato a tutto ciò che stavo facendo ed era totalmente addentro in tutto quel che gli accadeva intorno. Comunque non era uno che prendesse solo. Dava quanto, se non più, di quello che prendeva. Era la personificazione di New York.
È difficile immaginare cosa sarà New York senza Andy. Come si saprà dove andare o cosa è “alla moda”?
Egoisticamente, mi sento come se avessi perso più di tutti. Ho perso un amico, un maestro e il più grande sostenitore nel vero Mondo dell’Arte.
Come Bobby, Andy era la rassicurazione a cui anelavo per la difficile strada che sto progettando. Ha stabilito il precedente per la mia impresa nel mondo commerciale e nella cultura popolare. Lui è la convalida per un tipo di “serietà” o “realtà” in equilibrio sulla corda dove io cammino fra arte “alta” e “bassa”. Il suo sostegno mi ha fatto dimenticare quegli avvoltoi dei critici che aspettavano la mossa sbagliata e avevano ansiosamente anticipato la mia caduta. La sua comprensione aveva più valore di quella di qualunque critico d’arte. In ogni caso, la maggior parte dei critici scrive solo per difendere le proprie idee e le proprie tesi precedenti.
Andy mi ha praticamente convinto ad aprire il Pop Shop quando cominciavo ad avere fifa. Dava sempre il suo sostegno a una nuova idea o impresa. Aveva ulteriormente mostrato il suo favore al Pop Shop creando una maglietta che promuoveva a ogni occasione. Si procurava lavori per me, mi indirizzava i collezionisti e commerciava continuamente le opere.
Mi sento in dovere di proseguire le iniziative che lui ispirava e incoraggiava. Non c’è nessun altro che possa rendergli omaggio come me. Almeno nessuno di cui ora io sia a conoscenza. Ci devono essere nuovi artisti che stanno venendo fuori da qualche parte, ma in questo momento non ne vedo nessuno. Non è un’impresa facile e sarà anche più difficile senza Andy e Bobby, ma ne vale la pena, qualunque rischio si corra; ed è un’onorevole iniziativa, che sia capita oppure no.
Col...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Diari
  3. Premessa - di David Hockney
  4. Introduzione - di Robert Farris Thompson
  5. Nota al testo
  6. Diari
  7. 1977
  8. 1978
  9. 1979
  10. 1980
  11. 1981
  12. 1982
  13. 1983
  14. 1984
  15. 1985
  16. 1986
  17. 1987
  18. 1988
  19. 1989
  20. Collezioni principali
  21. Elenco delle illustrazioni
  22. Copyright