Oggetti di reato
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Oggetti di reato

  1. 322 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni sul libro

Due scrittori di successo vengono uccisi. Due delitti misteriosi che impegnano la responsabile dell'Istituto di medicina legale, le cui indagini si trasformano in un incubo spaventoso che minaccia la sua stessa vita. Un poliziesco ad alta tensione della serie di Kay Scarpetta.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
ISBN
9788852027789

1

Risistemate le lettere da Key West nella cartelletta di carta grezza tirai fuori un paio di guanti di cotone bianco, li infilai nella valigetta medica nera e scesi di un piano con l’ascensore, fino all’obitorio.
Le piastrelle dell’ingresso erano ancora umide di lavaggio, i locali dell’autopsia chiusi. Di fronte all’ascensore, diagonalmente, c’era la cella frigorifera in acciaio inossidabile e aprendo il massiccio portellone fui investita dalla familiare e maleodorante folata di aria fredda. Individuai la barella senza bisogno di controllare i cartellini attaccati agli alluci, riconoscendo l’esile piede che spuntava dal lenzuolo bianco. Conoscevo ogni centimetro di Beryl Madison.
Occhi azzurro fumo che fissavano inespressivi tra le palpebre allungate, il viso inerte e devastato da tagli pallidi e aperti, quasi tutti sul lato sinistro. Il collo squarciato fino alla spina dorsale, i fasci muscolari tranciati. Sul lato sinistro del torace e del petto, a distanza ravvicinata, nove ferite da coltello aperte, come grosse asole rosse, quasi perfettamente verticali. Erano state inferte in rapida successione, una dopo l’altra, con tale violenza da imprimere sulla pelle i segni dell’impugnatura. La lunghezza dei tagli sugli avambracci e sulle mani andava da mezzo centimetro a dieci centimetri. Con le due sulla schiena ed escludendo le coltellate profonde e lo squarcio alla gola, le ferite superficiali da taglio erano ventisette, tutte inflitte mentre Beryl cercava di sottrarsi agli attacchi di una grossa lama affilata.
Non avrei avuto bisogno di fotografie o di grafici del corpo. Mi bastava chiudere gli occhi per vedere la faccia di Beryl Madison, i nauseanti dettagli della violenza subita dal suo corpo. Il polmone sinistro presentava quattro perforazioni. Le carotidi erano praticamente recise. Anche l’arco aortico, l’arteria polmonare, il cuore e il sacco pericardico erano stati perforati. Agli effetti pratici, quando lo psicopatico l’aveva quasi decapitata, Beryl era già morta.
Stavo cercando una spiegazione. Qualcuno aveva minacciato di ucciderla. Lei era fuggita a Key West. Fuori di sé dal terrore. Non voleva morire. Era accaduto tutto la sera del suo ritorno a Richmond.
Perché l’hai lasciato entrare in casa? Perché l’hai fatto, in nome di Dio?
Sistemato il lenzuolo, riparcheggiai la barella tra le altre, tutte occupate, contro la parete in fondo alla cella frigorifera. L’indomani alla stessa ora il suo corpo sarebbe stato già cremato, le ceneri in viaggio verso la California. Beryl Madison avrebbe compiuto trentaquattro anni il mese successivo. Non lasciava parenti in vita; nessuno, pareva, a questo mondo, eccetto una sorellastra a Fresno. La pesante porta si richiuse di scatto.
L’asfalto del parcheggio dietro l’ufficio del capo della sezione medicina legale era caldo e rassicurante sotto i miei piedi; sentivo l’odore del creosoto delle traversine della ferrovia che arrostivano sotto il sole stranamente caldo per quella stagione. Era Halloween.
La porta del reparto era spalancata, uno degli assistenti dell’obitorio innaffiava il cemento per rinfrescarlo. Si divertì ad arcuare il getto, spingendomelo abbastanza vicino da irrorarmi le caviglie con l’acqua vaporizzata.
«Ehi, dottoressa Scarpetta, facciamo orario di banca, adesso?» mi gridò.
Erano passate da poco le quattro e mezzo. Raramente lasciavo l’ufficio prima delle sei.
«Serve un passaggio?» aggiunse.
«Ho la macchina, grazie» risposi.
Sono nata a Miami. La parte di mondo in cui Beryl si era rifugiata durante l’estate non mi era estranea. Chiudendo gli occhi rividi i colori di Key West, i verdi chiari, gli azzurri e i tramonti sgargianti, quasi esagerati – solo Dio poteva farla franca, con quelli. Beryl Madison non sarebbe mai dovuta tornare a casa.
Una LTD Crown Victoria nuova di zecca, lucida come cristallo nero, entrò lentamente nel parcheggio. Aspettandomi la solita Plymouth sgangherata, restai di stucco quando il finestrino della Ford si aprì ronzando. «Aspetti l’autobus o cosa?» La mia faccia stupita si rifletté negli occhiali a specchio del tenente Pete Marino, che, quando le serrature elettroniche scattarono con un click secco, cercò di darsi un tono blasé.
«Sono sconvolta» dissi, sistemandomi nel lussuoso abitacolo.
«Me la sono regalata per la promozione.» Premette sull’acceleratore. «Non male, eh?»
Dopo anni di cavallini male in arnese, Marino si era finalmente concesso uno stallone.
Notai il buco nel cruscotto quando tirai fuori le sigarette.
«Questo ti serve per l’abat-jour o il rasoio elettrico?»
«Oh, al diavolo» protestò. «Qualche deficiente mi ha grattato l’accendisigari. All’autolavaggio. Cristo, avevo la macchina solo da un giorno, ci crederesti? L’ho portata là, no? Ero troppo preso per farci caso, le spazzole avevano rotto l’antenna e gliele stavo cantando, a quegli incompetenti…»
Qualche volta Marino mi ricordava mia madre.
«… solo più tardi mi sono accorto che quel dannato accendino era sparito.» Si interruppe, frugandosi in tasca mentre io cercavo dei fiammiferi nella borsa.
«Ehi, capo,» disse in tono sarcastico, lasciandomi cadere un accendino Bic in grembo, «pensavo che avessi deciso di smettere di fumare.»
«Infatti» borbottai. «Comincerò domani.»
La sera in cui Beryl Madison era stata uccisa ero andata a vedere un’opera, una cosa sfarzosa cui era seguito un salto in un pub dalla fama immeritata, in compagnia di un giudice in pensione sempre meno virtuoso a mano a mano che la serata procedeva. Non avevo con me il telefono cellulare. Non potendo rintracciarmi, la polizia aveva chiamato Fielding, il mio sostituto, sul luogo del delitto. Sarebbe stata la prima volta che mettevo piede in casa della scrittrice massacrata.
Windsor Farms non era certo il posto in cui ci si aspetta che accadano cose tanto orribili. Le case erano grandi e rientrate rispetto alla strada. Sorgevano su terreni impeccabilmente curati. Quasi tutte disponevano di un sistema d’allarme e di aria condizionata: un bisogno in meno di aprire le finestre. Se il denaro non può comprare l’eternità, può sempre comprare un certo grado di sicurezza. Non mi era mai capitato un caso di omicidio nelle Farms.
«Ovviamente da qualche parte le arrivava del denaro» osservai, mentre Marino si fermava a uno stop.
Una donna dai capelli candidi a spasso con il suo candido maltese ci guardò di traverso mentre il cane, annusata una zolla d’erba, si esibiva nell’inevitabile.
«Stupida palla di pelo» commentò Marino, fissando con disprezzo la donna e il cane che riprendevano il cammino. «Detesto quelle bestiacce. Non fanno altro che abbaiare e pisciare dappertutto. Se vuoi un cane, almeno sceglilo con i denti.»
«C’è gente a cui basta un po’ di compagnia» dissi.
«Sì.» Fece una pausa, quindi tornò alla mia considerazione precedente. «Beryl Madison aveva del denaro e lo teneva quasi tutto in casa. Comunque, per quanti soldi avesse, sembra che laggiù a Key West ne scialacquasse un bel po’. Stiamo ancora vagliando le sue carte.»
«Erano state frugate?»
«Sembrerebbe di no» rispose. «A quanto pare come scrittrice non se la cavava male, dal punto di vista dei guadagni, intendo. Pare che usasse diversi pseudonimi. Adair Wilds, Emily Stratton, Edith Montague.» Gli occhiali a specchio tornarono a girarsi verso di me.
Nessuno di quei nomi mi era familiare, eccetto Stratton. «Stratton è il suo secondo nome» dissi.
«Può darsi che questo giustifichi il soprannome, Straw.»
«Insieme ai capelli biondi» osservai.
I capelli di Beryl erano biondo miele e al sole assumevano riflessi dorati. Una donna minuta dai lineamenti fini, regolari. Forse da viva era uno di quei tipi che fanno colpo. Difficile a dirsi. La sola fotografia che avevo visto era della patente.
«Parlando con la sorellastra,» mi stava spiegando Marino «ho scoperto che Beryl veniva chiamata Straw dai più intimi. Chiunque fosse, la persona a cui scriveva dalle Keys doveva essere al corrente del suo soprannome. Almeno questa è la mia impressione.» Aggiustò lo specchietto. «Non riesco a immaginare perché abbia fotocopiato quelle lettere. Ci ho riflettuto. Voglio dire, quanta gente conosci che fotocopia le proprie lettere?»
«Hai detto che era un tipo che si segnava tutto» gli ricordai.
«Sì. Anche questo mi lascia perplesso. Supponiamo che il tizio la stesse minacciando da mesi. Cosa faceva? Cosa diceva? Non lo so, perché lei non ha registrato le telefonate né annotato nulla. Insomma, Beryl Madison fotocopia le proprie lettere ma non prende alcun appunto quando qualcuno minaccia di farla fuori. Dimmi tu se ti pare logico.»
«Non tutti ragionano come noi.»
«Be’, certi non ragionano affatto perché si trovano immischiati in qualcosa che non vogliono rendere noto.»
Imboccato il vialetto d’accesso di ghiaia, parcheggiò davanti alla porta del garage. L’erba era trascurata e costellata di alti fiori di tarassaco che oscillavano nella brezza. Vicino alla cassetta delle lettere era stato piantato un cartello: VENDESI. Sulla porta d’ingresso grigia era ancora attaccato il nastro adesivo giallo usato per delimitare la scena del delitto.
«La sua macchina è nel garage» disse Marino, scendendo. «Una bella Honda Accord EX nera. Credo che troverai interessanti alcuni particolari.»
Nel vialetto ci fermammo a guardarci intorno. I raggi del sole ormai obliqui mi intiepidivano le spalle e il collo. L’aria era fresca, l’incessante ronzio degli insetti autunnali il solo rumore. Inspirai adagio, profondamente. All’improvviso mi sentii molto stanca.
La villa era in stile internazionale, moderna e assolutamente lineare, con un fronte orizzontale di ampie finestre sostenute da pilastri al pianterreno: faceva pensare a una nave con il sottocoperta aperto. Di pietra grezza e legno grigio, era il tipo di casa che avrebbe potuto costruirsi una giovane coppia facoltosa: locali grandi, soffitti alti, un sacco di spazio costoso e sprecato. Windham Drive terminava proprio all’altezza della villa, il che spiegava come mai nessuno avesse notato o udito niente fino a quando non era stato troppo tardi. La casa era cintata su due lati da pini e querce che calavano una sorta di sipario vegetale tra Beryl e i vicini. Sul retro il terreno finiva bruscamente in una scarpata di massi e boscaglia, livellandosi poi a perdita d’occhio in una vergine distesa di alberi.
«Accidenti. Scommetto che aveva anche dei cervi» commentò Marino mentre passeggiavamo da quella parte. «Niente male, eh? Ti affacci alle finestre e pensi che il mondo sia tuo. Quando nevica dev’essere uno schianto. Non mi dispiacerebbe un buchetto come questo. D’inverno accendi il tuo bel fuoco, ti versi un po’ di bourbon e dai un’occhiata ai boschi. Dev’essere piacevole essere ricchi.»
«Specialmente da vivi.»
«Eh, grande verità» sospirò.
Le foglie cadute scricchiolavano sotto le nostre suole. Girammo intorno all’ala occidentale. La porta d’ingresso era a livello del patio, e notai lo spioncino. Mi fissava come un minuscolo occhio vuoto. Marino lanciò via il mozzicone, facendolo volare sull’erba, quindi si frugò nella tasca dei pantaloni azzurro polvere. Si era tolto la giacca. La grossa pancia sporgente al di sopra della cintura, la camicia bianca a maniche corte aperta sul collo e gualcita intorno alla fondina ascellare.
Tirò fuori una chiave attaccata a un’etichetta gialla, e mentre lo osservavo aprire la serratura rimasi di nuovo colpita dalle dimensioni delle sue mani. Rudi e abbronzate, mi ricordavano guantoni da baseball. Non sarebbe mai potuto diventare dentista o musicista. Intorno ai cinquant’anni, con capelli grigi e radi e una faccia sciupata a forza di stare in vetrina come i suoi abiti, era ancora abbastanza imponente da intimidire i più. È raro che poliziotti della sua stazza finiscano immischiati nelle risse: i bulletti di strada danno un’occhiata e lasciano perdere.
Fermi nel rettangolo di luce dell’ingresso, indossammo i guanti di cotone. La casa odorava di stantio e di polvere come tutte le case che danno sulla strada e restano chiuse per qualche tempo. La Squadra rilievi del Dipartimento di polizia di Richmond aveva già passato al setacc...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Oggetti di reato
  4. Prologo
  5. Capitolo 1
  6. Capitolo 2
  7. Capitolo 3
  8. Capitolo 4
  9. Capitolo 5
  10. Capitolo 6
  11. Capitolo 7
  12. Capitolo 8
  13. Capitolo 9
  14. Capitolo 10
  15. Capitolo 11
  16. Capitolo 12
  17. Capitolo 13
  18. Capitolo 14
  19. Capitolo 15
  20. Capitolo 16
  21. Capitolo 17
  22. Copyright