Il momento di uccidere
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Il momento di uccidere

  1. 504 pagine
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Il momento di uccidere

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Informazioni sul libro

Hanno picchiato a sangue e violentato sua figlia. Carl Lee Hailey è nero ed è un eroe del Vietnam; loro sono due bianchi, ubriachi e razzisti. Li uccide, in preda ad una furia selvaggia, davanti a numerosi testimoni. Si tratta di brutale omicidio o esecuzione esemplare? Vendetta o giustizia? Il caso infiamma gli Stati Uniti. Per dieci giorni in un tribunale del profondo Sud americano si discute la colpevolezza di un uomo senza mai poter ignorare il colore della sua pelle.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
ISBN
9788852028113

1

Billy Ray Cobb era il più giovane e il più piccolo dei due teppisti. A ventitré anni ne aveva già passati tre nel penitenziario di Parchman. Possesso di droga a scopo di spaccio. Era un giovane sbandato, piccolo ma scaltro, sopravvissuto in carcere grazie a un puntuale rifornimento di droga da vendere o magari regalare ai neri e alle guardie in cambio di protezione. Da quando lo avevano rilasciato aveva allargato l’attività e, in un anno, il suo piccolo traffico di stupefacenti l’aveva innalzato alla posizione di uno dei malavitosi più ricchi della Ford County. Era un uomo d’affari, con dipendenti, impegni, accordi… tutto, tranne le tasse. Alla concessionaria della Ford di Clanton era conosciuto come l’ultimo che, in tempi recenti, aveva pagato in contanti un camioncino nuovo. Sedicimila dollari, tutti e subito, per un pickup giallo canarino con quattro ruote motrici, un fuoriserie di gran lusso. I cerchioni cromati e le gomme da gara li aveva ottenuti in una transazione d’affari. La bandiera dei ribelli della Confederazione appesa al lunotto posteriore era stata rubata da Cobb a un ragazzo ubriaco di una lega studentesca durante una partita di football dell’Ole Miss. Il pickup era la cosa più preziosa che Billy Ray possedesse. Si sedette sulla sponda posteriore, bevendo una birra, fumando uno spinello e guardando il suo amico Willard che se la spassava con la negretta.
Willard aveva quattro anni più di Cobb ma, dal grado di maturità, ne dimostrava una dozzina di meno. Era generalmente un tipo innocuo, che non aveva mai avuto guai seri ma neppure un lavoro serio. Magari qualche scazzottata e una notte in guardina, ma niente di più. Diceva d’essere un taglialegna, ma quasi sempre i dolori alla schiena lo tenevano lontano dalle foreste. S’era fatto male quando lavorava su una piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico, e l’azienda gli aveva pagato un risarcimento cospicuo, che aveva perso totalmente quando l’ex moglie l’aveva ripulito. La sua vocazione principale era fare il dipendente part time di Billy Ray Cobb, che non pagava molto ma non lesinava sulla droga. Per la prima volta dopo tanti anni Willard riusciva sempre a mettere le mani sulla roba. E ne aveva bisogno, da quando s’era fatto male alla schiena.
La bambina aveva dieci anni ed era piccola per la sua età. Stava appoggiata sui gomiti, bloccati con una corda di nylon gialla. Le gambe erano allargate in modo esagerato, con il piede destro legato a una giovane quercia, il sinistro al paletto storto e marcio di una recinzione abbandonata. La corda aveva tagliato la carne delle caviglie e il sangue le scorreva fra le gambe. Il viso era insanguinato e gonfio, un occhio tumefatto e chiuso, l’altro semiaperto che le permetteva di vedere l’altro bianco seduto sul camioncino. Non guardava l’uomo che le stava sopra e ansimava, sudava e bestemmiava. Le faceva male.
Quando l’uomo ebbe finito le diede una sberla e rise, e anche l’altro rise. Cominciarono a ridere ancora più forte e si rotolarono sull’erba accanto al camioncino, come due pazzi, gridando e continuando a sghignazzare. La bambina girò la testa dall’altra parte e pianse sommessamente, cercando di non farsi sentire. Poco prima l’avevano schiaffeggiata perché piangeva e urlava. Avevano promesso di ucciderla se non fosse stata zitta.
I due si stancarono di ridere e si issarono sul cassone. Willard si pulì con la camicia della negretta, ormai intrisa di sangue e di sudore. Cobb gli passò una birra fredda presa dal frigorifero e notò che l’aria era molto umida. Guardarono la bambina che singhiozzava e si lasciava sfuggire strani suoni soffocati, fino a che stette zitta. La lattina di birra di Cobb era semivuota, e non era più fredda. La scagliò contro la bambina. La lattina la colpì allo stomaco, la spruzzò di spuma bianca, poi rotolò in terra accanto ad altre lattine, tutte uscite dallo stesso frigorifero. A una a una le avevano tirato addosso tutte le lattine di due confezioni da sei e avevano riso. Willard faticava a centrarla, ma Cobb era abbastanza preciso. Non erano tipi da sprecare la birra, ma le lattine più pesanti colpivano meglio e poi era divertente vedere la spuma che schizzava dappertutto.
La birra tiepida si mescolò al sangue scuro, scorse lungo il viso e il collo della bambina e formò una pozza dietro la testa. Lei non si mosse.
Willard chiese a Cobb se secondo lui era morta. Cobb aprì un’altra lattina e spiegò che non lo era. In genere i negri non morivano solo perché li prendevi a calci e a botte e li violentavi. Ci voleva ben altro, magari un coltello, una pistola o una corda, per far fuori un negro. Anche se non aveva mai partecipato all’uccisione di uno di loro, in prigione aveva vissuto in compagnia di molti negri e sapeva tutto. Si ammazzavano fra di loro e usavano sempre un’arma. Quelli che venivano soltanto pestati e violentati non morivano. Anche i bianchi venivano pestati e violentati, e alcuni morivano. Ma i negri no. Avevano teste più dure. Willard sembrò soddisfatto.
Poi quest’ultimo domandò che cosa aveva intenzione di fare, adesso che avevano finito di divertirsi. Cobb tirò una boccata dallo spinello e disse che non aveva ancora finito. Saltò giù dalla sponda e attraversò la radura per raggiungere il punto dove stava la bambina. Inveì e le urlò di svegliarsi, poi le versò in faccia la birra fredda e rise come un pazzo.
La bambina lo seguì con lo sguardo quando Cobb girò intorno all’albero sulla sua destra e la fissò fra le gambe. Quando Cobb si abbassò i pantaloni, lei girò la testa verso sinistra e chiuse gli occhi. Stava per farle male di nuovo.
Guardò fra gli alberi e vide qualcosa… un uomo che correva come un pazzo fra i tralci e la vegetazione. Era suo papà, che urlava e la indicava e accorreva disperatamente per salvarla. Lo chiamò a gran voce e lui scomparve. La bambina non sentì più nulla.
Quando riprese i sensi uno degli uomini stava sdraiato sotto il pianale del camioncino, l’altro sotto un albero. Dormivano. Lei aveva le braccia e le gambe intorpidite. Il sangue, la birra e l’urina avevano intriso il terriccio sotto di lei e formato un impasto gommoso che la incollava al suolo e s’incrinava ogni volta che lei si muoveva e si dibatteva. Doveva scappare, pensava; ma per quanto si sforzasse riuscì solo a spostarsi di pochi centimetri verso destra. Aveva i piedi legati così in alto che toccava appena terra con il sedere. Le gambe e le braccia erano così malridotte che non potevano muoversi.
Cercò con gli occhi il suo papà fra gli alberi e lo chiamò sottovoce. Attese, poi perse di nuovo i sensi.
Quando si svegliò per la seconda volta i due uomini erano in piedi e si stavano muovendo. Il più alto le si avvicinò barcollando con un coltello in mano. Le afferrò la caviglia sinistra e segò energicamente la corda fino a quando cedette. Poi le liberò anche la gamba destra, e lei si raggomitolò in posizione fetale, voltando la schiena a tutti e due.
Cobb passò un pezzo di corda sopra un ramo e fece un nodo scorsoio a un’estremità. Afferrò la bambina e le infilò il cappio intorno alla testa, attraversò la radura tenendo in mano l’altro capo della corda e sedette sulla sponda del camioncino dove Willard fumava un altro spinello e sogghignava al pensiero di ciò che stava per fare l’amico. Cobb tese con forza la corda, poi la strattonò, fece sobbalzare il corpicino nudo sul terreno fino a quando fu proprio sotto il ramo. La bambina tossì e rantolò, e Cobb allentò generosamente la corda per concederle qualche altro minuto. Legò la corda al paraurti e aprì un’altra birra.
Sedettero tutti e due sulla sponda a bere e a fumare mentre la guardavano. Erano stati quasi tutto il giorno al lago, dove Cobb aveva un amico con la barca e varie ragazze che avrebbero dovuto essere facili e invece non avevano voluto saperne. Cobb era stato generoso con la birra e la droga, ma le ragazze non avevano ricambiato le sue gentilezze. Frustrati, avevano lasciato il lago e stavano gironzolando senza meta quando, per caso, avevano incontrato la bambina. Camminava lungo una strada sterrata con un sacchetto di generi alimentari, quando Willard l’aveva centrata alla nuca con una lattina di birra.
«Hai intenzione di farlo tu?» chiese Willard che aveva gli occhi rossi e vitrei.
Cobb esitò. «No, lascio fare a te. È stata un’idea tua.»
Willard tirò una boccata dallo spinello, sputò e disse: «Non è stata una mia idea. Sei tu, quello che sa ammazzare i negri. Fallo tu».
Cobb slegò la corda dal paraurti e la tirò. La corda scrostò il ramo e fece piovere frammenti di corteccia d’olmo intorno alla ragazzina, che li guardava a occhi sbarrati e si mise a tossire.
All’improvviso sentì qualcosa, come una macchina con la marmitta molto rumorosa. I due uomini si voltarono in fretta e guardarono lungo il viottolo in direzione della strada. Bestemmiarono e corsero intorno al camioncino. Uno bloccò la sponda, l’altro corse verso la bambina. Inciampò e le cadde molto vicino. Fra le imprecazioni, i due l’afferrarono, le tolsero la corda dal collo, la trascinarono verso il camioncino e la buttarono sul pianale. Cobb la schiaffeggiò e minacciò di ammazzarla se non fosse stata zitta e ferma. Le disse che l’avrebbe portata a casa se fosse rimasta sdraiata e avesse fatto quello che le dicevano: altrimenti l’avrebbero ammazzata. Sbatterono le portiere e lanciarono il camioncino sulla strada sterrata. La bambina pensò che stava andando a casa. Perse i sensi.
Cobb e Willard agitarono il braccio quando la Firebird dalla marmitta rumorosa li incrociò sul viottolo. Willard si voltò a guardare per essere sicuro che la negretta fosse immobile. Cobb svoltò sulla strada principale e accelerò.
«E adesso?» chiese nervosamente Willard.
«Non lo so» rispose Cobb, ancora più innervosito. «Ma dobbiamo fare qualcosa prima che mi sporchi di sangue tutto il camioncino. Guardala: sta sporcando dappertutto.»
Willard rifletté per un momento mentre finiva una birra. «Buttiamola giù da un ponte» disse, orgoglioso dell’idea.
«Giusto. Bella pensata.» Cobb frenò bruscamente. «Passami una birra» ordinò a Willard, che scese e andò a prendere due lattine.
«Ha sporcato di sangue persino il frigorifero» riferì mentre ripartivano a tutta velocità.
Gwen Hailey sentiva che era successa una cosa terribile. Di solito avrebbe mandato al negozio uno dei tre maschi, ma ne avevano combinato una delle solite e per punizione il padre aveva ordinato loro di strappare le erbacce nell’orto. Tonya era già andata altre volte al negozio da sola, dato che era lontano poco più di un chilometro e mezzo, ed era una bambina giudiziosa. Ma dopo due ore, Gwen mandò i ragazzi in cerca della sorellina. Pensavano che fosse a casa dei Pounders a giocare con i ragazzini, o che avesse proseguito per andare a trovare la sua migliore amica, Bessie Pierson.
Al negozio, il signor Bates disse che era venuta a fare la spesa e se n’era andata un’ora prima. Jarvis, il secondogenito, trovò il sacchetto della spesa sul bordo della strada.
Gwen chiamò il marito alla cartiera, poi caricò in macchina Carl Lee Jr e si avviò lungo le strade sterrate intorno al negozio. Arrivarono a un gruppo di vecchie case nella piantagione Graham per chiedere a una zia se sapeva qualcosa. Si fermarono all’emporio di Broadway, a un chilometro e mezzo dal negozio di alimentari di Bates, e alcuni vecchi neri dissero che lì non l’avevano vista. Batterono tutte le strade sterrate e i viottoli per un raggio di cinque chilometri intorno alla casa.
Cobb non riuscì a trovare un ponte che non fosse occupato da negri con le canne da pesca. Su ognuno dei ponti c’erano quattro o cinque negri con cappellacci di paglia e canne da pesca, e sotto ogni ponte, lungo le rive, ce n’erano altri seduti sui secchi, sempre con i cappellacci di paglia e le canne, e stavano tutti immobili tranne quando scattavano per scacciare una mosca o una zanzara.
Adesso aveva paura. Willard s’era addormentato e non poteva aiutarlo: era rimasto solo a doversi sbarazzare della ragazzina in modo che non potesse raccontare che cosa le avevano fatto. Willard russava mentre lui correva lungo le strade di campagna in cerca di un ponte o di una rampa su un fiumicello, per fermarsi e buttarla giù senza essere visto da una mezza dozzina di negri con i cappelli di paglia. Guardò nello specchietto e vide che la ragazzina stava cercando di alzarsi. Frenò e lei piombò sul pianale, sotto il lunotto. Willard andò a sbattere contro la plancia, stramazzò a terra e continuò a russare. Cobb li maledisse tutti e due.
Il lago Chatulla non era altro che un’enorme pozzanghera artificiale poco profonda, con una diga ammantata d’erba che si estendeva lungo uno dei suoi bordi esattamente per un miglio. Era situato all’angolo sudoccidentale della Ford County, e per una parte sconfinava nella Van Buren County. In primavera era il più grande specchio d’acqua dello Stato del Mississippi. Ma verso la fine dell’estate le piogge finivano, e il sole bruciava l’acqua prosciugando gradatamente il lago. Allora le rive si ritiravano e si restringevano di molto, creando un bacino poco profondo d’acqua bruno rossiccia. Era alimentato da innumerevoli ruscelli, fiumiciattoli, rigagnoli e da un paio di corsi d’acqua abbastanza grandi da meritare il nome di fiumi. L’esistenza di tanti affluenti rendeva necessario un grande numero di ponti nei pressi del lago.
Ed era su quei ponti che il camioncino giallo correva disperatamente in cerca del posto più adatto per scaricare l’indesiderata passeggera. Cobb era alla disperazione. Sapeva che c’era un altro ponte, uno stretto ponte di legno su Foggy Creek. Quando si avvicinò, vide altri negri con le canne da pesca; svoltò in una stradina laterale e si fermò. Abbassò la sponda, trascinò a terra la bambina e la buttò in un valloncello orlato di kudzu.
Carl Lee Hailey non s’era precipitato a casa. Gwen si agitava facilmente, e gli aveva telefonato alla cartiera diverse volte dicendo che i ragazzi erano stati rapiti. Timbrò il cartellino all’orario d’uscita e impiegò il solito tempo per coprire il tragitto di mezz’ora che lo separava da casa. L’ansia lo assalì solo quando svoltò nel viottolo e vide la macchina della polizia ferma davanti al portico. Sul viottolo e sullo spiazzo c’erano diverse macchine dei parenti di Gwen, e ce n’era anche una che non riconobbe. Dai finestrini sporgevano numerose canne da pesca, e c’erano almeno sette cappellacci di paglia.
Dov’erano Tonya e i ragazzi?
Quando aprì la porta di casa sentì il pianto di Gwen. Nel piccolo soggiorno, alla sua destra, trovò una folla raccolta attorno a una minuscola figura stesa sul divano. La bambina era ricoperta da asciugamani bagnati, e circondata da parenti in lacrime. Quando Carl Lee si avvicinò al divano tutti smisero di piangere e si scostarono. Solo Gwen restò accanto alla figlia, e continuò ad accarezzarle i capelli. Carl Lee s’inginocchiò e toccò la spalla della bambina. Le parlò e lei si sforzò di sorridere. Il visetto era una maschera irriconoscibile di ematomi e lacerazioni. Le palpebre erano gonfie, chiuse e sanguinanti. Gli occhi di Carl Lee si riempirono di lacrime alla vista del corpicino avvolto negli asciugamani e macchiato di sangue dalla testa ai piedi.
Carl Lee chiese a Gwen che cosa era successo. Lei cominciò a tremare e a gemere e il fratello l’accompagnò in cucina. Carl Lee si rialzò, si rivolse agli altri e ripeté la domanda.
Silenzio.
Lo chiese per la terza volta. Il vicesceriffo Willie Hastings, che era cugino di Gwen, si avvicinò e spiegò che certi pescatori giù al Foggy Creek avevano visto Tonya stesa in mezzo alla strada. Lei aveva mormorato il nome di suo padre, e l’avevano portata a casa.
Poi Hastings ammutolì e si guardò i piedi.
Carl Lee continuò a fissarlo e attese. Tutti gli altri trattennero il respiro e guardarono il pavimento.
«Che cosa è successo, Willie?» urlò Carl Lee.
Hastings guardò fuori dalla finestra e ripeté ciò che aveva detto Tonya alla madre a proposito dei due bianchi e del loro camioncino, la corda e gli alberi, e il male che le avevano fatto. Hastings s’interruppe quando sentì avvicinarsi la sirena dell’ambulanza.
Tutti uscirono e attesero sotto il portico mentre gli infermieri scaricavano la barella e si avviavano all’ingresso.
Poi si fermarono quando la porta si aprì e Carl Lee uscì reggendo la figlia. Le sussurrava parole aff...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il momento di uccidere
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. 18
  22. 19
  23. 20
  24. 21
  25. 22
  26. 23
  27. 24
  28. 25
  29. 26
  30. 27
  31. 28
  32. 29
  33. 30
  34. 31
  35. 32
  36. 33
  37. 34
  38. 35
  39. 36
  40. 37
  41. 38
  42. 39
  43. 40
  44. 41
  45. 42
  46. 43
  47. 44
  48. Copyright