Ho visto cose...
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  1. 180 pagine
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Non un'autobiografia, né un libro di memorie, ma molto di più. Ho visto cose... è una raccolta di aneddoti a volte seri, altre divertenti e appassionati, una ricchissima galleria di storie e personaggi vissuti e raccontati in prima persona da Clemente Mimun, direttore del Tg5. Una vita incredibile, cominciata come fattorino all'agenzia Asca nel 1971, e poi evoluta nel giornalista che detiene il record italiano di direzioni di telegiornali: Tg2, Tg1, Tg dei servizi parlamentari e Tg5.
In Rai dall '83 al '92 e di nuovo dal '94 al 2007, Mimun ha visto tutto e incontrato tutti, vivendo l'Italia che conta in pubblico e in privato: Berlinguer a Botteghe Oscure e allo stadio, Pertini al bar di Montecitorio fino agli stucchi del Quirinale. In udienza privata da papa Wojtyla, che si ritira nella sua stanza roteando il bastone come Charlot. Da Roberto Benigni sul set di Pinocchio agli incontri con Woody Allen, per ritrovarsi di fronte a Jerry Lewis seduto alla sua scrivania, o assieme a Vasco Rossi alle prese con una dieta terrificante, o accanto alla squadra del cuore, la Lazio, da tifoso e da dirigente. Ha attraversato la Prima e la Seconda Repubblica - di cui qui ripesca politici e giornalisti (da Andreotti a Berlusconi e Craxi, da Mentana a Frajese) -, ha litigato con colleghi illustri (Indro Montanelli, Marco Travaglio) e con direttori generali della Rai, ha conosciuto giornalisti fannulloni e talenti precari (Enrico Lucci), ha visto dal di dentro i meccanismi del cosiddetto servizio pubblico, la Rai, e della tv commerciale, al Tg5. Insomma ha visto cose che noi umani non avremmo neppure potuto immaginare.

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Informazioni

Lilly

Ho conosciuto Lilly Gruber negli anni Ottanta, quando arrivò dal Trentino, chiamata al TG2 da Antonio Ghirelli, grandissimo maestro di giornalismo sportivo ed ex portavoce di Pertini e Craxi che si era imposto di importare aria fresca e, per scegliere volti nuovi, visionò tutte le videocassette dei conduttori regionali. Lilly fece subito breccia nell’immaginario collettivo degli italiani per il suo modo insolito e originale di condurre: si metteva di sbieco, coi gomiti piantati sulla scrivania, la voce suadente, le parole ben scandite, la pronuncia perfetta in ogni lingua e quel suo fare più autoritario che autorevole, quasi a dire: “Tutti zitti e fermi, ora vi do le notizie, mica vi metterete a mangiare?”.
Esattamente il contrario del modo garbato di entrare nelle case che applicavano e suggerivano gli anchor più consolidati: “Toc-toc, se volete abbiamo un po’ di informazioni per voi”. Lilly diventò la prima donna della televisione italiana, una sorta di fenomeno di costume e presto si rivelò anche politicamente e sindacalmente impegnata, “la pasionaria rossa”. Memorabile quel suo modo di leggere le note degli uffici stampa dei partiti che, da sempre, piombano in redazione nel bel mezzo del telegiornale. Lei, abituata a leggere tutto sul gobbo, tranne alzare gli occhi qua e là, da attrice consumata, per elencare dati di borsa e quotazioni delle valute, di fronte a quella che giudicava una “velina” alzava il foglio in modo visibile per far capire che quella roba lì la leggeva perché doveva, non certo perché le piaceva.
Il massimo lo raggiungeva quando la cosiddetta velina arrivava da via del Corso, cioè dal Partito socialista. Lilly sembrava avere un’antipatia viscerale nei confronti di Craxi e compagni, così, ogni qual volta si accingeva a riportare quelle note, Ugo Intini, storico portavoce del partito del garofano, veniva colto da violenti attacchi di mal di fegato. Puntualmente, si raccontava allora, veniva raggiunto da veementi telefonate dei maggiorenti del PSI, poi da via del Corso partivano pepatissime chiamate a Enrico Manca, presidente della RAI. Lilly si affermò via via anche come inviata degli esteri, con una vena pacifista e una forte antipatia per il dipartimento di Stato americano, come dimostrò anni dopo in Iraq.
Forse per la pressione, non proprio benevola, che avvertiva su di sé, o più probabilmente per ambizione, nel 1990 la Gruber decise di tentare il passaggio al TG1. Non so se mise a punto altre iniziative, ma di certo, colei con cui al massimo scambiavo rapidi saluti quando ci si incrociava, un pomeriggio mi telefonò, chiedendomi di prendere un caffè al bar di via Teulada, dove allora, bei tempi, erano allocate le redazioni dei TG della RAI. Io ero caporedattore dei servizi speciali del TG1 e spesso Bruno Vespa, neodirettore dell’Ammiraglia, mi utilizzava anche per servizi politici di un certo rilievo. Mi ritrovai di fronte a Lilly e ci sedemmo a un tavolino in disparte. Lei ruppe subito gli indugi. Non uso le virgolette perché vado a memoria, ma garantisco sul senso del colloquio. In sostanza mi disse... so che sei buon amico di Vespa e che ti stima, mentre io lo conosco meno. Fammi una cortesia, digli che vorrei lasciare il TG2, dove per me l’aria è diventata irrespirabile, e che mi piacerebbe lavorare con lui. Non pongo il problema della conduzione, posso tranquillamente rinunciarci.
A me la Gruber e il suo essere personaggio, nonostante avessimo idee agli antipodi, stava e sta simpatica. Così poche ore dopo mi capitò di essere a tu per tu con Vespa e ne parlammo. Bruno era incuriosito e interessato perché, obiettivamente, Lilly era un buon colpo d’immagine. Non pensò ai possibili contraccolpi interni in una redazione assai poco disponibile a inserimenti di quel peso. Ricordo che chiamò davanti a me Manca per chiedergli cosa ne pensasse. La telefonata durò pochi secondi. Manca ne parlò con Craxi e il presidente della RAI lo richiamò a stretto giro incoraggiandolo ad agire: la Gruber avrebbe rafforzato la qualità dell’organico del TG1. A Viale Mazzini e a Via del Corso stapparono champagne, quando l’ipotesi divenne realtà. Il PSI controllava il TG2 e aveva un problema in meno.
Lilly si presentò come una fedelissima di Vespa e insieme agli altri conduttori dell’Ammiraglia si fece ritrarre sorridente in copertina del “Radiocorriere” mentre lo prendeva amorevolmente in braccio. Una grande squadra, senonché, poco dopo, la Gruber partecipò alla rivolta contro di lui, secondo alcuni lo accoltellò alle spalle, secondo altri “promosse” la sua uscita dopo che il direttore aveva dichiarato la DC «azionista di riferimento del TG1». Vespa ereditò un TG1 stravagante, con giornalisti passati da filogovernativi a tupamaros. È un grandissimo professionista, secondo me un solista impareggiabile, più che un direttore d’orchestra.
Anch’io, naturalmente, mi ritrovai Lilly feroce avversaria nell’esecutivo dell’USIGRAI quando venni nominato alla direzione del TG2. Forse senza volerlo, è andata spesso contro chi l’aveva aiutata. Ci ritrovammo insieme quando, nel 2002, approdai alla direzione del TG1. Il suo approccio fu amichevole. Volle parlarmi quasi subito perché soffiavano venti di guerra nel Golfo Persico e mi disse che si aspettava di essere la prima inviata del TG1 a Bagdad, perché in quel campo si considerava la massima esperta.
Mi sconsigliò in modo tranchant alcuni altri giornalisti degli esteri. Li demolì uno a uno, chi perché abituato a fare servizi dalle terrazze degli alberghi, chi perché palesemente inadeguato. Voleva evitare soprattutto due cose: l’inserimento di Ennio Remondino e di Carmen Lasorella. Lui era celebre per i reportage sulla guerra nei Balcani, e Lilly gli attribuiva la volontà di predisporre, sotto di sé, una sorta di costosissimo quartier generale della RAI a Bagdad, mentre lei era fermamente intenzionata a fare pool con una collega della TV di Stato spagnola. Altro “pericolo” da evitare era l’arrivo nell’area dell’altra nota giornalista, Carmen Lasorella, che secondo la Gruber brigava con un cardinale caldeo per ottenere, oltre al visto, una sorta di potere di veto a discapito di altri colleghi. E infine mi spiegò che, avendo io da poco portato Franco Di Mare (eccellente inviato, ex dell’“Unità”) dal TG2 al TG1, sarebbe stato meglio non utilizzarlo in un frangente così importante, per evitare imbarazzi con gli altri. E dire che lei aveva la stessa identica provenienza, il TG2.
La guerra in Iraq, oltre a costare decine di migliaia di vite e danni per miliardi di euro, mi ha fatto invecchiare anzitempo. Per la preoccupazione, visto che c’erano diversi miei giornalisti nelle zone di conflitto, per i capricci di alcuni, Lilly compresa, ma soprattutto per quel che la Gruber combinava nelle dirette. Fui sommerso dalle interrogazioni e dalle telefonate di protesta, da tutti i settori politici, sinistra inclusa, perché si ostinava a definire quella irachena “resistenza”. E poi raggiunse il culmine quando, alla notizia del rapimento del povero Fabrizio Quattrocchi e dei suoi tre compagni, definì quelli italiani “mercenari”. Non era un termine da spendere per nessuno che fosse nelle mani di spietati terroristi e tagliatori di teste. Si doveva occupare prima di uomini, poi di eventuali contractors.
Tentai vanamente di spiegarle che erano termini sbagliati ma, o perché le sfuggivano parole in libertà, o perché aveva deciso di tirare diritto, continuò su quella strada. Come direbbero gli americani, ho comunque difeso il mio reporter, anche contro le mie idee.
Fu blobbata decine di volte all’atto di sistemarsi capigliatura e le coloratissime pashmine. Meno noto, anzi del tutto inedito, invece, un episodio che la dice lunga sul caratteraccio di Lilly. Durante il TG3 delle 19, dunque non in edizione straordinaria, Giovanna Botteri, collegata in diretta da Bagdad, dopo due giorni di black out, con un videotelefono in dotazione al TG1 diffonde in esclusiva mondiale le immagini del primissimo raid americano sui cieli della capitale irachena. Nello stesso momento, persino la CNN, impegnata a inquadrare altre zone della città, buca l’evento. Era, se si vuole fortunosamente, uno scoop mondiale di cui la RAI poteva andare orgogliosa. Senonché, la Gruber mi chiamò a ripetizione proprio in quei minuti, pretendendo che togliessi il videotelefono alla Botteri e facessi andare in onda lei con un’edizione straordinaria. Le feci presente che essendo già in onda, in edizione ordinaria, un TG della RAI, non se ne ravvedeva assolutamente il motivo. Farfugliò e urlò ancora qualcosa, la linea era molto disturbata e in più il dialogo era tra sordi, quindi chiusi la comunicazione. Non avvertii mai più tanto disprezzo nei miei confronti da parte di un collega. Avevo ragione io, dovevamo andare fieri del fatto che a essere in onda era un telegiornale della nostra azienda. D’altra parte, anche in seguito la Botteri si fece valere sul piano professionale, girando per Bagdad col suo operatore, rischiando grosso, credo persino contro le indicazioni aziendali, per raccontare storie che al TG1 con la Gruber non arrivarono mai. Poi, per motivi estremamente seri come la minaccia terroristica che pendeva sulle teste delle nostre inviate, finalmente la Gruber tornò in Italia.
Era il giorno del suo compleanno e pensai di fare un gesto di simpatia e amicizia, inviandole un mazzetto di fiori di campo che le consegnarono puntualmente all’arrivo a Fiumicino. Lì era attesa anche da un’auto di “Domenica in”, che voleva festeggiare in diretta il suo ritorno in patria. Ricordo l’ingresso trionfale nello studio, l’abbraccio della conduttrice Mara Venier, la standing ovation che le tributò il pubblico. Se non ricordo male, Mara le chiese chi avesse abbracciato per primo al suo rientro a Fiumicino e Lilly rispose: «Mio marito».
Grandioso, salvo che suo marito Jacques Charmelot, giornalista francese, aveva vissuto tutta la crisi irachena al fianco della moglie, nella stessa stanza d’albergo!
Durante le settimane durissime di polemiche, non venni mai meno al compito di difendere la mia reporter. Lei poi, senza alcun preavviso, si candidò con l’Ulivo alle Europee, nelle stesse elezioni che videro la discesa in campo di Michele Santoro. Lo scoprii leggendo una lettera che aveva lasciato, senza neppure segnalare una particolare urgenza, alla mia segretaria, in cui criticava aspramente il TG1 che realizzavo, per le censure cui sarebbe stata sottoposta dal sottoscritto, neanche fossi una sorta di funzionario al servizio di Berlusconi e del centrodestra. Lo scriveva una che si candidava per Prodi.
Ricordo che l’unica volta che io e lei battibeccammo fu perché il mio vicedirettore Alberto Maccari – poi diventato direttore dell’Ammiraglia – mi fece notare che la Gruber citava sempre la “discussa” legge Gasparri. Le feci osservare che ogni legge viene discussa, la prese per un’insopportabile censura. La verità è che fu sua la scelta di andarsene e scelse bene i tempi.
Lilly è stata eletta a Strasburgo facendo l’en plein di voti, ma è stata una meteora. Prima delle elezioni garantì con la sua proverbiale modestia: «In Europa continuerò a battermi per la libertà e la democrazia perché all’Unione credo davvero. Sono altoatesina, vengo da una terra di confine e bilingue, ho un marito francese, parlo l’inglese per lavoro, se non mi sento una cittadina europea io...».
Dopo una legislatura è tornata di corsa alla TV, a LA7, dove fa un ottimo programma di approfondimento politico. E sempre in un’intervista che precedette lo scranno europeo, a chi le chiedeva se avesse riflettuto sul fatto che il TG1 sembrava un trampolino di lancio verso la politica, visti i casi di Michelini, Fava, Gawronski, Graziani, Del Noce, Badaloni e Volcic, lei serafica rispose:«Veramente non ci avevo pensato». Incredibile. Mi ha fatto venire in mente una vecchia e popolarissima pubblicità di un dentifricio: «Con quella bocca può dire ciò che vuole».

Maria Luisa Busi

Sui teleschermi si presenta sempre serissima, ma garantisco che talvolta sorride. Va in onda in grande spolvero, con abiti ricercati, anche se non griffati, raramente con gli orecchini, comunque dopo una robusta seduta di trucco e parrucco. Alla riunione di sommario del TG1, invece, arrivava sempre vestita in modo dimesso, con occhiali scuri e aria sofferta, quasi che tutti i mali del mondo si fossero riversati su di lei. È la Maria Luisa Busi che ho conosciuto io, con la quale ho tentato, vanamente, di lavorare per quattro anni e mezzo.
Alle riunioni interveniva di rado. Magari per segnalare qualche iniziativa di comitati di donne antimafia, manifestazioni di don Ciotti o eventi che riguardassero il tema su cui mi è parsa più appassionata: la follia, il disagio mentale, la legge Basaglia.
Al mio arrivo al TG1, nel maggio 2002, decisi di non fare alcun giro di colloqui coi colleghi prima di presentare il piano editoriale. Mi limitai a incontrare vicedirettori e capiredattori per avere un po’ il polso della situazione e avvertii tutti che non volevo affrontare alcun caso personale prima di essere nella pienezza dei poteri. Ciò nonostante, Maria Luisa superò il fragilissimo filtro della mia segreteria e mi si sedette di fronte per fare quattro chiacchiere. Fu un colloquio surreale, davvero irresistibile.
La prese alla lontana, dicendo che avevamo delle amicizie comuni, persone che entrambi stimavamo. Per esempio Claudio Accardi, ottimo corrispondente da Gerusalemme, che era scomparso di recente.
Iniziò: «Sai, Claudio mi stimava tanto e so che anche tu, a parte qualche incomprensione, gli sei stato amico».
«Certo» risposi «l’ho conosciuto negli anni Settanta quando lavorava nel PSI, poi è diventato un eccellente giornalista di politica internazionale e ci siamo frequentati per anni anche fuori dal lavoro.»
«Purtroppo Claudio è morto...»
E io mestamente: «Sì, purtroppo non c’è più».
La Busi rilanciò : «Io ero molto legata a Paolo Frajese, un collega eccellente, un vero maestro. Sai, mi stimava e so che avevate grande affetto reciproco».
E io: «Assolutamente sì, mi onoravo della sua amicizia e dei suoi consigli professionali. Paolo fu tra i pochi che ebbe la gentilezza di darmi suggerimenti o muovermi appunti ai miei esordi televisivi. Sapevo che lo faceva a fin di bene e in buona fede».
Lei: «Purtroppo è morto».
E io, di rimando: «Sì, purtroppo. E come l’hanno trattato poi. Gli hanno tolto la conduzione del TG1 delle 20 e mandato a Parigi, dove aveva difficoltà a piazzare i suoi reportage, ma lui ha dimostrato ancora una volta tutta la sua grandezza. E alla vigilia della pensione hanno traccheggiato perfino sull’ipotesi di farlo proseguire in una collaborazione con la RAI. Una vergogna di cui Zaccaria era perfettamente a conoscenza».
E lei: «Eh, Paolo non c’è più».
Così inizia e finisce l’unico scambio a tu per tu fra Maria Luisa Busi e il sottoscritto durante la mia non breve direzione del TG1.
Di scontri pubblici, invece, ne avemmo diversi. Ogni sera, alle 19.01, quindi dopo i titoli del TG3, mi faceva sapere attraverso i colleghi dell’impaginazio...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Ho visto cose...
  3. Prefazione
  4. Voglio fare il giornalista
  5. Il ciclostilista
  6. Con le mani in Asca
  7. La vespa e Totò
  8. Pronti al lancio
  9. Pertini e i cornetti
  10. Berlinguer e gli UFO
  11. Il caso “Skappler”
  12. Moro e il registratorino
  13. Annus horribilis
  14. La barzelletta seria
  15. Il cerchio magico
  16. Il caso Tortora
  17. L’era del Mammuth
  18. Nonno Biagi
  19. Eravamo tre amici al bar
  20. La discesa in campo
  21. Vasco e il solito
  22. Incubo Moratti
  23. Lo scivolo
  24. Buono come il pane
  25. Nuovo TG paradiso
  26. Villa Baudo
  27. Nazisti, circensi e marchettari
  28. Videomessaggi
  29. Ma che 50, ve ne do 100!
  30. Razza Duomo
  31. Lucci della ribalta
  32. La mia Lazio
  33. Papa Charlot
  34. Foglie morte
  35. King Fu Panda
  36. Doppio turno
  37. Unfair play
  38. Il patto di sangue
  39. L’inquilino all’ottavo piano
  40. Toro Seduto
  41. Lilly
  42. Maria Luisa Busi
  43. Giorgino
  44. Teatro Montecitorio
  45. Uno per tutti
  46. Il signore degli Agnelli
  47. Andreotti
  48. Benignità
  49. Allen e il piccolo diavolo
  50. Il duello Prodi-Berlusconi
  51. Sei tifoso? Raisport!
  52. La solitudine del numero uno
  53. Il funerale in vita
  54. Viv rai in e(s)terno
  55. Pronto pizza
  56. Albertone
  57. Comunisti al sole
  58. Picchiatello
  59. Craxi
  60. Il mio pantheon
  61. Da Prodi a Monti
  62. Strani stranieri
  63. Non dimentico
  64. Pesciolini
  65. Stravaganze
  66. No, a sinistra no!
  67. Conclusioni
  68. Copyright