The Element
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The Element

Trova il tuo elemento cambia la tua vita

,
  1. 288 pagine
  2. Italian
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The Element

Trova il tuo elemento cambia la tua vita

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Informazioni sul libro

Esiste un luogo in cui le cose che amiamo e quelle che siamo bravi a fare si ritrovano insieme. Questo luogo dell'anima si chiama "l'Elemento". È essenziale che ciascuno di noi nel corso della vita trovi il proprio elemento, e riesca così a esprimere appieno talento e creatività.
Secondo Ken Robinson tutti nasciamo con capacità naturali straordinarie, con cui perdiamo il contatto man mano che cresciamo. Ironicamente, uno dei motivi per cui questo succede è proprio l'istruzione che riceviamo. L¿attuale sistema scolastico sembra fatto apposta per soffocare la nostra creatività. Non ci viene mai data la possibilità di esplorare noi stessi, di capire le nostre reali inclinazioni. E il risultato è che la maggior parte di noi non si renderà mai conto delle proprie capacità e di ciò che potrebbe fare. E questo rappresenta non solo una fonte di sofferenza e frustrazione per ciascuno di noi, ma soprattutto un'enorme perdita per il futuro del mondo in cui viviamo...
"Dobbiamo imparare ad apprezzare e a coltivare il talento e i modi diversi in cui si esprime individualmente. Dobbiamo creare ambienti - nelle scuole, nei luoghi di lavoro, negli uffici pubblici - in cui ogni persona sia spinta a sviluppare la propria creatività. Dobbiamo assicurarci che tutti abbiano la possibilità di fare ciò che vorrebbero, di scoprire il proprio Elemento e di scoprirlo a modo loro."
The Element è un inno alla strabiliante varietà delle passioni e dei talenti umani, e al nostro straordinario potenziale di crescita ed evoluzione. È un invito a impegnarci attivamente nel presente, l'unico modo per prepararci davvero a un imprevedibile futuro.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
ISBN
9788852030406

1

L’Elemento

Gillian aveva solo otto anni, ma il suo futuro sembrava ipotecato. A scuola era un disastro, o almeno questo era il parere dei suoi insegnanti. Era lenta, aveva un’ortografia terribile e i voti erano insufficienti. Oltre a ciò rappresentava un elemento di disturbo per tutta la classe: faceva chiasso, si distraeva guardando fuori dalla finestra, costringeva la maestra a interrompere la lezione per richiamarla, e subito dopo distraeva i compagni vicini a lei. Gillian non se ne preoccupava: era abituata a essere richiamata dai grandi, e non si vedeva come una bambina difficile, diversamente dagli insegnanti. La situazione precipitò quando i suoi genitori ricevettero una lettera dalla scuola.
A scuola pensavano che Gillian soffrisse di un disturbo dell’apprendimento di qualche genere, e che fosse più opportuno per lei frequentare un istituto per bambini con esigenze particolari. Tutto questo accadeva negli anni Trenta. Ora, probabilmente, le verrebbe diagnosticato il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, e probabilmente le prescriverebbero il Ritalin o qualche farmaco simile. Ma a quei tempi non si sapeva ancora nulla di quella sindrome, non era ancora stata classificata, nessuno sapeva che esistesse.
I genitori di Gillian, ricevuta la lettera della scuola, si preoccuparono seriamente e decisero di darsi da fare. La madre mise alla bimba il vestitino più elegante e le scarpe più belle, le fece la coda di cavallo, e la portò da uno psicologo, temendo il peggio.
Gillian mi raccontò di essere stata ricevuta in una grande stanza rivestita di pannelli di quercia, con libri rilegati in pelle sugli scaffali. In piedi accanto alla scrivania, c’era un uomo imponente, con una giacca di tweed. L’uomo la accompagnò verso il fondo della stanza, e la fece sedere su un enorme divano di pelle. La bambina non arrivava a toccare il pavimento con i piedi, e l’ambiente le incuteva timore. Preoccupata per l’impressione che avrebbe potuto fare al medico, si infilò le mani sotto le gambe per tenerle ferme.
Lo psicologo ritornò alla sua scrivania, e per venti minuti parlò con la madre di Gillian delle difficoltà che la bambina stava incontrando a scuola e dei problemi che il suo comportamento creava. Pur senza rivolgersi mai direttamente alla bimba, lo psicologo non smise mai di osservarla, facendola sentire sempre più a disagio e confusa. Malgrado la giovane età, capiva che quell’uomo avrebbe avuto un ruolo determinante nella sua vita. Sapeva cosa significava frequentare una scuola “speciale”, e lei non voleva andarci. Era sicura di non avere nessun problema, ma tutti sembravano pensare il contrario. Dal modo in cui sua madre rispondeva alle domande dello psicologo, era possibile che anche la donna lo credesse.
Forse, pensava Gillian, avevano ragione loro.
Alla fine, la madre di Gillian e lo psicologo smisero di parlare. L’uomo si alzò, si avvicinò al divano e si è sedette accanto alla bambina.
“Gillian, ti voglio ringraziare perché sei stata molto paziente” le disse “ma temo che dovrai pazientare ancora un po’. Ho bisogno di parlare con tua madre in privato. Usciremo per qualche minuto. Non preoccuparti, non ci vorrà molto.”
La bambina annuì impaurita, e i due adulti la lasciarono sola. Mentre stava uscendo, però, lo psicologo si allungò sulla scrivania e accese la radio.
Non appena arrivarono nel corridoio fuori dallo studio, il dottore disse alla madre di Gillian: “Rimanga qui per un momento, e guardi cosa sta facendo”. C’era una vetrata su una parete della stanza, e loro si sistemarono in un punto in cui Gillian non poteva vederli. Quasi subito, la bambina si alzò e cominciò a volteggiare al ritmo della musica. I due adulti rimasero a osservarla per qualche minuto, ammutoliti di fronte alla grazia dei movimenti della bambina. Chiunque avrebbe notato che c’era qualcosa di naturale, addirittura di innato, in essi, e chiunque avrebbe notato l’espressione di assoluto piacere che le illuminava il volto.
Alla fine, lo psicologo si voltò verso la madre della piccola e le disse: “Sa, signora Lynne, Gillian non è malata. È una ballerina. La iscriva a una scuola di danza”.
Chiesi a Gillian che cosa successe dopo. Mi rispose che sua madre seguì il consiglio dello specialista. “Fu così meraviglioso che non riesco neppure a descriverlo” mi rispose lei. “Sono entrata in questa stanza, e ho scoperto che era piena di persone come me. Persone che non riuscivano a rimanere sedute immobili. Persone che dovevano muoversi per pensare.
Gillian frequentava settimanalmente la scuola di danza, e ogni giorno si esercitava a casa. Alla fine, fece un’audizione alla Royal Ballet School di Londra, e fu ammessa. Poi entrò alla Royal Ballet Company, diventò prima ballerina e si esibì in tutto il mondo. Al termine della prima parte della sua carriera, formò una propria compagnia e produsse molti spettacoli di grande successo sia a Londra sia a New York. Infine conobbe Andrew Lloyd Webber, e creò con lui alcune delle produzioni teatrali di maggior successo di tutti i tempi, compresi Cats e Il fantasma dell’Opera.
La piccola Gillian, la bambina senza futuro, diventò famosa in tutto il mondo come Gillian Lynne, una delle migliori coreografe dei nostri tempi, un’artista che ha saputo donare gioia a milioni di persone, e che ha guadagnato milioni di dollari. Tutto questo è accaduto perché qualcuno l’aveva guardata negli occhi, qualcuno che aveva già visto bambine simili, e sapeva interpretare i segnali. Qualcun altro forse l’avrebbe sedata con dei medicinali, ma Gillian non era una bambina problematica. Non aveva bisogno di frequentare una scuola speciale.
Aveva solo bisogno di essere chi era veramente.
A differenza di Gillian, Matt andò sempre bene a scuola, aveva voti discreti e superava tutti gli esami obbligatori. Tuttavia, si annoiava davvero molto. Per divertirsi, iniziò a disegnare durante le lezioni. “Non avrei fatto altro che disegnare” mi raccontò “ed ero diventato così bravo che riuscivo a farlo anche senza guardare, così gli insegnanti pensavano che fossi attento.” Per lui, le lezioni di disegno erano l’opportunità per abbandonarsi liberamente alla sua passione. “Coloravamo le figure nei libri, e io pensavo: ‘Non riuscirò mai a colorare nei contorni. Oh, cosa mi importa!’.” Quando fu alle superiori, la cosa assunse una dimensione totalmente diversa. “C’erano lezioni d’arte, e gli altri studenti si limitavano a stare seduti dietro ai banchi, l’insegnante era annoiata a morte, e tutte le attrezzature rimanevano lì, inutilizzate. Così feci quanti più disegni potevo, trenta in una volta! Guardavo la mia opera, come mi sembrava, e poi gli davo un titolo. Delfino in mezzo alle alghe, va bene! Avanti il prossimo! Ricordo di aver fatto così tanti dipinti che quando si accorsero che stavo usando troppi fogli, mi obbligarono a smettere.
“Ero eccitato all’idea di creare qualcosa che prima non esisteva nella mia vita. A mano a mano che la mia tecnica migliorava, diventava sempre più divertente: ‘Oh, questo è proprio come dovrebbe essere’. Poi, però, mi resi conto che il mio tratto non migliorava molto, quindi iniziai a concentrarmi sulle storie e sulle barzellette. Lo trovavo più divertente.”
Matt Groening, conosciuto in tutto il mondo come il creatore dei “Simpson”, scoprì la sua vera ispirazione seguendo le orme di quegli artisti i cui disegni mancavano di perizia tecnica, ma i cui stili originali si combinavano con storie originali. “Mi incoraggiava vedere persone che non sapevano disegnare bene ma che riuscivano a guadagnarsi da vivere, come James Thurber. Anche John Lennon è stato molto importante per me. Il suo libro Niente mosche su Frank è pieno di disegni scadenti, ma anche di divertenti “poesie in prosa” e storie folli. Per un certo periodo ho cercato di imitare John Lennon. Anche Robert Crumb ha avuto una grossa influenza su di me.”
I suoi insegnanti e i suoi genitori, persino suo padre che era un cartoonist e regista, cercarono di indirizzarlo verso altre carriere. Cercarono di convincerlo ad andare al college, e a trovare una professione più sicura. In effetti, finché non arrivò al college (una scuola non tradizionale, senza voti o corsi obbligatori), incontrò un solo insegnante che lo spronò. “La mia maestra di prima elementare conservava tutti i disegni che avevo fatto in classe. Voglio dire, li ha tenuti per anni. La cosa mi ha commosso, perché... insomma, ha avuto centinaia di alunni. Il suo nome è Elizabeth Hoover. Ho dato il suo nome a un personaggio dei ‘Simpson’.”
La disapprovazione delle figure autorevoli non fece desistere Matt perché, nel suo cuore, sapeva che cosa lo ispirava veramente.
“Già da bambino, quando giocavo con i dinosauri o le statuine, sapevo che avrei continuato a farlo per tutta la vita. Guardavo gli adulti entrare nei loro uffici con le valigette in mano, e pensavo: ‘Non posso finire così. Questo è quello che voglio fare’. Anche i miei amichetti pensavano la stessa cosa, ma crescendo cambiarono e diventarono più seri. Per me non è mai esistito altro che giocare e raccontare storie.
“Sapevo qual era il percorso obbligato... la scuola superiore, il college, un po’ di esperienze e poi trovare un lavoro. Sapevo anche che per me non avrebbe funzionato. Sapevo che avrei disegnato cartoon per tutta la vita...
“Ho trovato amici con i miei stessi interessi, a scuola. Ci frequentavamo, disegnavamo fumetti che poi portavamo a scuola e ci mostravamo l’un l’altro. Con il tempo diventammo più ambiziosi e cominciammo a fare film. Era meraviglioso. In parte, ci compensava del fatto che non avevamo una vita sociale molto intensa: invece di restare a casa, il fine settimana, uscivamo e facevamo film. Invece di andare alla partita, il venerdì sera, andavamo all’università a vedere film underground.
“Decisi di vivere di espedienti, anche se non pensavo che avrebbe funzionato. Pensavo che avrei finito per fare qualche lavoro schifoso, che avrei odiato. Mi immaginavo di lavorare in un magazzino di pneumatici. Non so perché pensassi sempre una cosa del genere. Immaginavo che avrei rotolato pneumatici avanti e indietro per tutto il giorno, e nelle pause avrei disegnato cartoon.”
Le cose andarono diversamente. Matt si trasferì a Los Angeles, riuscì a piazzare il suo fumetto Life in Hell al “L.A. Weekly”, e cominciò a farsi un nome. Questo suscitò l’interesse della Fox che lo invitò a creare brevi segmenti animati durante il “Tracey Ullman Show”. Fu allora che inventò i “Simpson”, su due piedi... non aveva la benché minima idea che avrebbe fatto una cosa del genere quando si era presentato all’incontro. Lo show diventò un programma di mezz’ora, in onda ogni domenica su Fox: oggi sono diciannove anni di programmazione. E da lì sono seguiti film, fumetti, giocattoli e altri innumerevoli gadget. In altre parole, un impero della cultura popolare.
Nulla di tutto ciò sarebbe accaduto se Matt Groening avesse ascoltato chi gli diceva di intraprendere una “vera” carriera.
Non tutte le persone di successo non hanno amato studiare o non andavano bene a scuola. Paul era ancora uno studente delle superiori, con ottimi voti, quando entrò nella sala conferenze della University of Chicago per la prima volta. Non si era reso conto che varcava la soglia di un “santuario” dell’economia. Sapeva solo che quell’università era vicina a casa. Alcuni minuti dopo era “rinato”, come scrisse in un articolo. “La conferenza di quel giorno riguardava la teoria di Malthus secondo cui la popolazione umana avrebbe continuato a riprodursi come fanno i conigli fino a che la sua densità per acro di terra avrebbe ridotto i salari al livello minimo di sussistenza, quando il tasso di natalità avrebbe eguagliato il tasso di mortalità. Mi risultò così facile comprendere quell’equazione differenziale che cominciai a sospettare (a torto) di essermi perso qualche misteriosa complessità.”
In quel momento iniziò la vita di Paul Samuelson come economista. È una vita che lui descrive come “divertimento puro”, che lo ha visto lavorare come professore al MIT, diventare presidente dell’International Economic Association, scrivere numerosi saggi (compresi i più grandi best seller di economia di tutti i tempi) e centinaia di articoli, avere un impatto determinante sulla politica e, nel 1970, diventare il primo americano a vincere il Nobel per l’Economia.
“Ero un ragazzino precoce, bravissimo a risolvere problemi logici e i test per il QI. Quindi, se si può dire che l’economia era fatta per me, si può dire anche che io ero fatto per l’economia. Non bisogna sottovalutare l’importanza vitale di scoprire presto che il lavoro per te è un gioco. Questo trasforma potenziali insoddisfatti in guerrieri felici.”
Tre storie, un messaggio
Gillian Lynne, Matt Groening e Paul Samuelson sono tre persone differenti con tre storie molto differenti. Ciò che le accomuna è un messaggio straordinariamente forte: ciascuno di loro si è sentito realizzato e davvero soddisfatto dopo aver scoperto ciò a cui era naturalmente portato e che accendeva la sua passione. Io definisco storie come queste “epifanie”, perché comportano una rivelazione, una divisione del mondo in “prima” e “dopo”. Tali epifanie hanno rivoluzionato la vita di queste persone, dando loro uno scopo, una nuova direzione e un senso come niente altro avrebbe potuto fare.
Queste persone e le altre di cui parlerò hanno trovato se stesse. Hanno scoperto il loro Elemento, il punto in cui le cose che amiamo fare e quelle per cui siamo portati si ritrovano insieme. Elemento è sinonimo di potenziale. Si manifesta in modo diverso in ciascuno di noi, ma le sue componenti sono universali.
Lynne, Groening e Samuelson hanno raggiunto traguardi importanti nella loro vita. Ma non sono i soli a essere capaci di imprese del genere. Una cosa li rende speciali: il fatto che hanno scoperto ciò che piace loro fare, e lo stanno realmente facendo. Hanno trovato il loro Elemento. Per esperienza so che la maggior parte delle persone non riesce a trovarlo.
Eppure, scoprire il proprio Elemento è essenziale per stare bene, per raggiungere il successo e, di conseguenza, per migliorare le nostre organizzazioni e i nostri sistemi educativi.
Sono fermamente convinto che se ognuno di noi riuscisse a trovare il proprio Elemento, tutti avremmo la possibilità di raggiungere mete più importanti e di sentirci realizzati. Non voglio dire che tutti potremmo essere ballerine, cartoonist di successo o premi Nobel. Voglio dire che tutti possediamo talenti e passioni particolari che ci possono spronare a ottenere molto di più di quanto immaginiamo. Capirlo può cambiarci la vita e può offrirci la migliore occasione, forse la sola, per raggiungere un successo vero e sicuro in un futuro molto incerto.
Essere nel nostro Elemento dipende dal fatto di riuscire a scoprire i nostri talenti e le nostre passioni peculiari. Perché la maggior parte delle persone non ci è riuscita? Una delle ragioni principali è che quasi tutti hanno una visione molto limitata delle proprie doti. Questo è vero sotto molti punti di vista.
Il primo limite risiede nella scarsa consapevolezza della varietà delle nostre abilità. Tutti nasciamo con straordinarie capacità immaginative, intellettive, emotive, intuitive, spirituali, fisiche e sensoriali. Nella maggior parte dei casi, usiamo solo una parte minima di questi poteri, e alcuni non li usiamo affatto. Molte persone non hanno trovato il loro Elemento perché non hanno compreso le loro potenzialità.
Il secondo limite risiede nella mancanza di comprensione di come tutti questi poteri siano interconnessi. Quasi tutti noi pensiamo che le nostre menti, i nostri corpi, i nostri sentimenti e le nostre relazioni con gli altri operino in modo indipendente l’uno dall’altro, come sistemi separati. Molte persone non hanno trovato il loro Elemento perché non comprendono la loro reale natura organica.
Il terzo limite risiede nella mancanza di consapevolezza del potenziale che abbiamo per crescere e cambiare. Buona parte delle persone sembrano pensare che la vita sia un percorso lineare, che le nostre capacità scemino con l’età, e che le opportunità perdute non si ripresenteranno più. Molte persone non hanno trovato il loro Elemento perché non comprendono la loro costante capacità di rinnovamento.
Questa visione limitata di noi stessi può dipendere dai nostri simili, dalla nostra cultura, dalle aspettative che abbiamo riguardo a noi stessi. Un fattore determinante per tutti, tuttavia, è l’istruzione scolastica.
Siamo tutti diversi
Alcune delle persone più brillanti e creative che conosco non andavano bene a scuola. Molte di loro non hanno scoperto ciò di cui erano capaci – e chi erano veramente – finché non hanno lasciato la scuola e non si sono affrancate dall’istruzione ricevuta.
Sono nato in Inghilterra, a Liverpool, e negli anni Sessanta vi ho frequentato una scuola, la Liverpool Collegiate. Dall’altra parte della città c’era il Liverpool Institute. Uno degli studenti di quell’istituto era Paul McCartney.
Paul passò la maggior parte dei suoi anni al Liverpool Institute perdendo tempo. Piuttosto che studiare, quando arrivava a casa preferiva ascoltare musica rock e imparare a suonare la chitarra. Questa si rivelò una scelta azzeccata, per lui, soprattutto dopo che ebbe incontrato John Lennon a una festa estiva, in un altro sobborgo della città. Si fecero reciprocamente una buona impressione, e alla fine decisero di formare un gruppo musicale con George Harrison e, più tardi, Ringo Starr. Un gruppo chiamato Beatles. Un’ottima idea.
Nella metà degli anni Ottanta, sia la Liverpool Collegiate sia il Liverpool Institute avevano chiuso. Gli edifici rimasero vuoti e abbandonati. Poi sono tornati a vivere, seppur in modo diverso. La mia vecchia scuola è stata trasformata in un complesso di appartamenti di lusso... un cambiamento notevole, dal momento che la Collegiate era tut...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. The Element
  3. Ringraziamenti
  4. Introduzione
  5. 1. L’Elemento
  6. 2. Pensare in modo diverso
  7. 3. Al di là dell’immaginazione
  8. 4. Essere nella Zona
  9. 5. Trovare la propria tribù
  10. 6. Che cosa penseranno di me?
  11. 7. Ti senti fortunato?
  12. 8. Qualcuno mi aiuti
  13. 9. È troppo tardi?
  14. 10. Per amore o per denaro
  15. 11. Raggiungere la meta
  16. Postfazione
  17. Note
  18. Indice analitico
  19. Copyright